Subaltern studies Italia

L’analisi e la classe - a cura di Ferdinando Dubla

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martedì 6 maggio 2025

OCCIDENTALISMO POSTCOLONIALISMO MAOISMO nei SUBALTERN STUDIES GROUP

 


Terzo Mondo. ‘Neanche il Terzo Mondo’, ‘È proprio da Terzo Mondo’. ‘Roba da Terzo Mondo’. Una tale classificazione, che si è diramata nel senso comune occidentalista, gerarchizza ideologicamente coloro che credono di essere la storia da coloro che sono considerati meri oggetti di essa. Gli studi subalterni, non riconoscendo il discorso gerarchico, ne destrutturano la logica, ne svelano la mistificazione. La coppia che parametra l’unico mondo è quella sviluppo/sottosviluppo. Ma il parametro è il sistema capitalista. Per estendersi a dismisura il sistema ha necessità di politica: quella imperialista. L’imperialismo è colonialismo su larga scala, esterno ma anche interno ai singoli Stati-nazione. Ed ecco perchè i Subaltern studies incontrano gli studi postcoloniali: non perchè sia terminato il colonialismo (interno/esterno) ma perchè il sistema [imperialista-capitalista-liberista-neoliberista, ogni categoria analitica ne contiene un’altra] produce la subalternità e la rende funzionale al proprio dominio. / fe.d.

cfr. PER UN DIBATTITO CRITICO SUI SUBALTERN STUDIES E POSTCOLONIAL STUDIES, http://ferdinandodubla.blogspot.com/2023/06/per-un-dibattito-critico-sui-subaltern.html

Anche il pensiero deve essere decolonizzato

La gerarchizzazione del dominio capitalista passa per il senso comune ai più larghi settori sociali: diventa così un a-priori logico che si funzionalizza al sistema.

consapevolezza che il progetto di «recuperare» il subalterno come soggetto agente vero e proprio era destinato a fallire, dal momento che, per definizione, il concetto di subalternità implica una posizione «di minorità» che non può essere annullata in modo retroattivo. Si comprese dunque che il progetto di scrivere la storia dei subalterni era destinato a non raggiungere mai i suoi obiettivi.

G.Prakash, The Impossibility of Subaltern History, in «Nepantla: Views from South», 1, 2000, p. 287.

Ma è proprio la ragione per la quale il potere euristico critico marxista è necessario. Gli studi post/ possono integrare questo potere con uno sguardo che metta in evidenza quale degli assetti dominanti debba essere de-mistificato nella gerarchizzazione dei saperi. L’emergenza ecologica e la diffusa coscienza di massa di un riequilibrio tra la produzione/produttività degli esseri umani con il loro stesso ambiente esterno, mette in crisi oggettiva il mito dello sviluppo e la teleologia del progresso, che nutre il capitalismo delle presunte fasi ‘espansive’, soggetto alla caduta tendenziale del saggio di profitto su larga scala. Il fondatore dei Subaltern studies, Ranajit Guha, allarga, per il tramite di Gramsci, il campo non solo semantico, ma politico, da “proletariato” a “gruppi subalterni”, cioè tutti i gruppi subordinati per ragioni storiche, di classe e frazioni di classe, genere, cultura, lingua, religione. Allarga, non restringe, svela l’estensione del condizionamento ai livelli sovrastrutturali, richiede indagine sociale e, dunque, chiede un’individuazione più larga delle forze motrici di un processo rivoluzionario, sovrastrutturalmente decondizionato e decolonizzato nella contesa egemonica. Per un nuovo ‘paradigma di civiltà’.

“Secondo Grasmci, in estrema sintesi, i gruppi subalterni interagiscono con le formazioni politiche dominanti in modo da influenzarne le decisioni e tale processo genera delle trasformazioni in entrambe le soggettività, subalterna e dominante. Ma è proprio nella dialettica con il potere che la stessa identità subalterna, altrimenti «frammentaria per definizione» si costituisce come soggetto collettivo”.

Gennaro Ascione, «Indiani d'America»: studi postcoloniali, in Storica, Anno XII, 2006, nr.34, Viella, formato digitale, pos. 491.

http://ferdinandodubla.blogspot.com/2023/09/decolonizzare-il-sapere-subaltern.html

http://ferdinandodubla.blogspot.com/2024/09/il-pensiero-decoloniale-e-la-categoria.html

 

L’influenza “doppia e sincopata” del maoismo sull’Indian Subaltern Studies Group



repertorio naxalita

 

Il progetto degli Studi Subalterni, e la teoria postcoloniale più in generale, sono stati resi possibili e in modo significativo formati dall'ascesa maoista in alcune parti dell'India tra la fine degli anni '60 e l'inizio degli anni '70. Le critiche alla modernità, al nazionalismo e allo Stato-nazione, e alle narrazioni omogeneizzanti del progresso che caratterizzano queste correnti intellettuali, lungi dall'essere riflessi della loro dissociazione dalla politica radicale, sono il risultato indiretto di un profondo cambiamento culturale e intellettuale, conseguenza del movimento naxalita di questo periodo. Questa genealogia alternativa deve procedere attraverso una lettura altrettanto alternativa del movimento naxalita. Ci si interroga sul perché questo movimento sia stato così importante, data la sua teorizzazione politica semplificata e i suoi successi militari di breve durata. La strategia naxalita di "annientare" i proprietari terrieri feudali e la campagna di "distruzione delle statue" condotta dai giovani naxaliti nel 1970 – comunemente considerata e condannata come infantile e di estrema sinistra – possono essere interpretate invece come uno sviluppo critico della teoria marxista, uno sviluppo che ha poi trovato un'esposizione più esplicita ed elaborata negli scritti del gruppo Subaltern Studies e nelle teorie cosiddette ‘postcoloniali’.

Abstract Seth, S. (2006). From Maoism to postcolonialism? The Indian ‘Sixties’, and beyond. Inter-Asia Cultural Studies, 7(4), 589–605. - tr. Ferdinando Dubla

 

[C’è un] valore tattico di determinate scelte di ordine metodologico ed epistemologico in relazione ai diversi contesti di spendibilità accademica del discorso intellettuale prodotto dal collettivo indiano, o meglio, in relazione a quel nucleo condiviso di tesi e approcci che accomuna gli studiosi coinvolti nel progetto. Abbiamo sottolineato, a sostegno di questa tesi, tre passaggi chiave: il momento della genesi del gruppo, nel 1980, che, nel contesto politico e accademico indiano, si caratterizza dal punto di vista intellettuale come una negazione delle precedenti «storie dal basso» prodotte in India sulle rivolte contadine e con un riferimento esplicito alla storiografia marxista britannica ispirata dalle opere di E.P.Thompson; il momento dell'internazionalizzazione del collettivo e della contemporanea ascesa di diversi suoi membri all'interno delle principali strutture di produzione del sapere anglo-americane a metà degli anni ottanta, in cui assume un valore decisivo la svolta decostruzionista e l'abbandono esplicito della prospettiva storiografica della History from below inglese; la fase della piena riconoscibilità accademica internazionale dell'Indian Subaltern Studies Group come versante storiografico del più ampio progetto Postcolonial Studies, che corrisponde alla rivendicazione, per il termine «subalternità» come costruzione concettuale, della capacità di includere tutte le soggettività che hanno subito il colonialismo come processo storico. La seconda tesi, funzionale all'elaborazione della prima, consiste nella influenza doppia e sincopata del maoismo sul lavoro del collettivo indiano. Una prima dimensione in cui abbiamo rintracciato questa influenza è la collocazione politica del gruppo, definita dal carattere radicale e antagonista dei suoi membri nel contesto nazionale indiano: l'interesse per le masse contadine, l'attenzione posta sul ruolo dei contadini nel processo di costruzione della nazione indiana derivano dall'esperienza di mobilitazione politica del collettivo, sebbene riorganizzata in termini gramsciani lungo l'asse concettuale egemonico/subalterno. Una seconda dimensione in cui abbiamo rintracciato l'influenza, sebbene indiretta, del maoismo come teoria sociale, è il ruolo determinante attribuito alla sfera culturale come ambito relativamente autonomo delle pratiche dei subalterni. Ma soprattutto, il fatto che tale influenza giunga filtrata attraverso una serie di dibattiti interni all'accademia occidentale dimostra come, per quanto il riferimento alla storia indiana costituisca un elemento essenziale nell'autodefinizione dell'Indian Subaltern Studies Group, sia il contesto accademico internazionale occidentale il quadro di riferimento rispetto al quale gli studiosi subalterni hanno adottato strategie e preso posizione. Chiaramente ambedue queste influenze vanno inscritte nel quadro di più ampi e complessi processi di interazione culturale con altri dibattiti ai quali la vicenda intellettuale dell'Indian Subaltern Studies Group è collegata. Eppure, l'enfasi posta sul maoismo, sulle modalità e sui tempi della sua relazione con il versante storiografico della critica postcoloniale ci offre una ulteriore e differente chiave interpretativa sui processi intellettuali e di collocazione accademica attraverso cui il collettivo di studiosi indiani, nato negli anni ottanta, è riuscito a definire uno spazio di produzione intellettuale riconoscibile e rilevante, fino a divenire un punto di riferimento, e dunque un'etichetta, nel panorama accademico mondiale.

Gennaro Ascione, cit. pos. 678-696

 

IL ‘CORRIDOIO ROSSO’



repertorio naxalita

 

I maoisti del Communist Party of India (CPI) sono noti anche col nome di Naxaliti, termine che deriva dal villaggio di Naxalbari situato nel Bengala Occidentale, in cui nel 1967 divampò una violenta rivolta contadina. per opporsi allo sfruttamento subito da parte dei proprietari terrieri e delle autorità, e per liberarsi dal giogo del sistema feudale esistente, eredità del modello coloniale inglese, diffuso ancora oggi nell’India rurale. 150 contadini armati di archi e frecce, attaccarono i latifondisti e presero possesso delle fattorie e dei campi per alcuni mesi prima di deporre le armi di fronte alla violenta risposta dell’esercito regolare indiano.  Una rivolta dallo scarso valore pratico ma che è rimasta simbolicamente impressa nella mitologia di quelle migliaia di diseredati che affollano le campagne e le metropoli dell’India. Pochi anni dopo infatti un attivista comunista, Charu Majumdar, diede vita al Comitato di Coordinamento dei Comunisti di tutta l’India (AICCCR). Di ispirazione dichiaratamente maoista, l’intento di Majumdar era quello di dare vita ad una sollevazione in tutto il Paese a partire dalle campagne. Coscienti della complessità del territorio indiano i maoisti si appoggiarono spesso a realtà tribali pre induiste (gli adivasi) e agli “intoccabili” dalit che già da tempo contestavano apertamente il sistema castale hindu. In breve tempo il movimento cominciò a sfaldarsi, dilaniato da lotte intestine tra i filo-sovietici e i filo-cinesi, ma questa spaccatura non impedirà a numerosi giovani di intraprendere la via della lotta armata. Negli anni 70’ le università di Calcutta vennero contagiate dal fascino dei discorsi di Majumdar e moltissimi studenti entrarono così in clandestinità, fuggendo dalle grandi città industriali per nascondersi nelle foreste e nelle campagne. Qui i rivoluzionari sostituirono il governo ufficiale, organizzando un sistema di gestione del territorio, di giustizia e di riscossione dei tributi che in alcune regioni vige anche oggi. Andra Pradesh, Chhattisgarh, West Bengala, Bihar, fino all’Orissa e al Karnataka: tutti stati che furono e sono fino ad oggi teatro delle operazioni Naxalite. Il cosiddetto “corridoio rosso”. Tra la fine degli anni sessanta  e l’inizio degli anni settanta l’India intera fu scossa da un’ondata di attentati e omicidi contro poliziotti, avversari politici e latifondisti. La risposta del governo indiano fu dura e violenta, nel 1971 Indira Ghandi ordinò un rastrellamento di tutti gli stati interessati dalla guerriglia maoista decimando il movimento. Lo stesso Majumdar fu arrestato nel 1972. Morì in carcere qualche giorno dopo, stremato dalle violenze e dalle torture.

biblio: consultato Piero Pagliani, Naxalbari-India - L'insurrezione nella futura "terza potenza mondiale", Mimesis, 2007

a cura di Ferdinando Dubla



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cfr. anche in questo blog

Subaltern studies: #radicalcriticaltheory, il pensiero critico trasformativo


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