di Gennaro
Ascione
F.Cooper, Conflict and Connection: Rethinking Colonial
African History, in «The American Historical Review», 99, 1994, pp.
1516-45.
Nello stesso anno
(1994) Guha aderiva al programma di critica alla storiografia del colonialismo
avviato da Bernard S. Cohn, * dando un ulteriore segnale di un impegno comune
degli studiosi provenienti dalla periferia, in funzione anti-eurocentrica. L'«American
Historical Review», a sua volta, apriva un luogo di confronto tra la
prospettiva latinoamericana, quella indiana e la storiografia africana sul tema
degli studi subalterni e della critica postcoloniale; operazione che non ha
mancato di inserire nuovi elementi nel discorso di elaborazione di strumenti
concettuali non-occidentali=°. In qualità di storico africano, Frederick Cooper
** non esitava a sottolineare, nel suo intervento, che quella oggetto del forum
ospitato dalla prestigiosa rivista statunitense non costituiva la prima forma
di interazione e di scambio epistemico sud-sud, eppure era un primo tentativo
articolato di decolonizzare il sapere da parte di soggetti collocati in
posizioni strutturalmente subalterne, piuttosto che l'ennesimo sforzo di
importare versioni eterodosse, e in questo senso autocritiche, di prospettive
prodotte all'interno del campo di riflessione occidentale. Cooper sottolineava
infatti come la definizione stessa di subalternità nell'Africa postcoloniale
risultasse molto più fluida di quanto non lo fosse in America Latina, o in
India, poiché all'interno degli Stati africani postcoloniali, il continuo
susseguirsi di mutamenti nelle relazioni di potere tra gruppi sociali in
competizione o in aperto conflitto, in intervalli temporali notevolmente
ristretti, indeboliva la solidità di quei dispositivi concettuali fondati su
rappresentazioni della distribuzione di potere che riflettono piuttosto gli
assetti sociali specificamente inerenti allo spazio dello Stato-nazione
occidentale. Egli giungeva dunque a conclusioni simili a quelle di Spivak
riguardo alla perenne mutevolezza della definizione di subalternità,
estromettendo però qualsiasi riferimento alla prassi decostruzionista. Lo
stesso Cooper tornava agli elementi condivisi dalle entità geostoriche una
volta definite «terzo mondo», e, cioè, la comune condizione di subordinazione
rispetto al colonialismo occidentale come esperienza storica di dominio
materiale e di sterilizzazione preventiva di qualsiasi tentativo di
autorappresentazione subalterna, attuato per mezzo dell'apparato
logico-grammaticale delle scienze storico-sociali occidentali='
Gennaro Ascione, *** §
3. Postcolonial cross-genealogies, in Storica, Anno XII, 2006, nr.34, Viella
cit. formato digitale
note a cura di #SubalternStudiesItalia
* Il suo lavoro di
antropologo è stato studiato da vicino dagli studiosi dei Subaltern Studies, in
particolare da Ranajit Guha. Nel 1987 aveva pubblicato An Anthropologist Among
the Historians - (Un antropologo tra gli storici), Oxford University Press.
Nel 1996 sarà
pubblicata un’opera che influenzerà notevolmente gli studi subalternisti, ma
anche postcoloniali, Colonialism and its Forms of Knowledge - (Il colonialismo
e le sue forme di conoscenza),
Princeton University Press. - nota redazionale
** Frederick Cooper (New York, 1947) è uno
storico e africanista statunitense che ha dedicato la propria attività di
ricerca allo studio della storia dell'Africa, in particolare con riferimento
agli impatti del colonialismo e della decolonizzazione. È professore di storia
alla New York University.
Cooper iniziò la
propria carriera occupandosi dei movimenti sindacali nell'Africa orientale, e
in seguito estese il proprio campo d'interesse a tutta la storia recente
dell'Africa. È noto, fra l'altro, per la teorizzazione del concetto di
"stato guardiano" (gatekeeper state) con riferimento alla particolare
natura delle istituzioni statali africane. - nota redazionale
DECOLONIZZARE
IL SAPERE - (2a) - LE TRACCE di UN AGIRE AUTONOMO
Ranajit
Guha, le fonti di ispirazione e gli studiosi del Subaltern Studies Collective
- Guha riunì in un
unico gruppo di ricerca alcuni giovani storici, + tra cui Partha Chatterjee,
Gyanendra Pandey, Shahid Amin, David Arnold, David Hardiman e Dipesh
Chakrabarty, il cui lavoro venne
pubblicato per la prima volta in due volumi a distanza di pochi mesi l'uno
dall'altro. Secondo Guha, entrambe le tradizioni storiografiche, imperiale e
marxista-nazionalista, erano elitarie. (..)
Guha si proponeva
invece di rinvenire e testimoniare le tracce di un agire autonomo, non
riducibile completamente alla volontà di un ceto dirigente in formazione,
indipendentemente dalla natura del rapporto di quest'ultimo con il dominio
coloniale. (..)
Diverse furono le fonti
di ispirazione di Guha e dei suoi collaboratori. Tre fondamentali ed esplicite:
le riflessioni sulla storia e la società italiana di Antonio Gramsci, l'inglese
History from below, il post-strutturalismo francese. Una quarta, il maoismo
come teoria sociale, attraversa come un fiume carsico la vicenda che stiamo
narrando. /
Gennaro Ascione, *** §
3. Postcolonial cross-genealogies, in Storica, Anno XII, 2006, nr.34, Viella cit. formato digitale
note redazionali a cura
di #SubalternStudiesItalia
+ nel 1982 diede avvio
alla serie di volumi "Subaltern Studies", tradotti in parte anche in
lingua italiana a cura di Sandro Mezzadra.
- vedi anche Shahid
Amin, Gautam Bhadra e Gautam Bhadra, Ranajit Guha's Biography, with complete
bibliography, in David Arnold e David Hardiman (a cura di), Subaltern Studies, VIII, Oxford, Oxford
University Press, 1994.
Subaltern studies Italia
IL
GRAMSCI DI GUHA: Dominance Without Hegemony (2b)
- Guha adoperò il
concetto di «subalterno» in modo tale da individuare un campo semantico quanto
più inclusivo possibile, collocandovi «tutti i gruppi subordinati per ragioni
storiche, classe, genere, cultura, lingua e religione», oppure, in maniera
ancor più provocatoria, definendolo come «la differenza demografica tra la
popolazione indiana totale e l'élite dominante indigena e straniera» + Ma, nel
cantiere di idee aperto da Gramsci negli anni della sua prigionia, ciò che allo
storico indiano apparve particolarmente adatto a interpretare la morfologia del
potere postcoloniale nel subcontinente fu la teoria del rapporto tra dominatori
e dominati. ++ Secondo Gramsci, in estrema sintesi, i gruppi subalterni
interagiscono con le formazioni politiche dominanti in modo da influenzarne le
decisioni e tale processo genera delle trasformazioni in entrambe le
soggettività, subalterna e dominante. Ma è proprio nella dialettica con il
potere che la stessa identità subalterna, altrimenti «frammentaria per
definizione» si costituisce come soggetto collettivo. +++
Per Guha, nell'India coloniale e postcoloniale, non solo i gruppi subalterni intervenivano indirettamente nelle scelte delle élites e sviluppavano le proprie strategie di collaborazione e resistenza, ma operavano simultaneamente in uno spazio politico autonomo rispetto allo spazio politico delle formazioni dominanti, anzi, era proprio nell’atto del sottrarsi all’interazione con il potere che i gruppi subalterni salvaguardavano la propria indipendenza d’azione e di pensiero, la loro “essenziale alterità”. Guha rielaborò lo strumento euristico dell’egemonia, privato della componente del consenso, per sostenere che come era avvenuto per l’élite nazionalista italiana nella seconda metà dell’Ottocento, così l’élite nazionalista indiana del XX secolo godeva sì del dominio sui gruppi subalterni, ma non era egemone rispetto ad essi e tale differenza era intrinseca, o meglio, così come il processo di formazione dello Stato-nazione italiano era differente da quello della Francia per non essere stato caratterizzato dalla presenza di un partito giacobino, così la stratificazione sociale esperita dall'India differiva da quella inglese, per non aver prodotto un analogo proletariato industriale e di conseguenza le organizzazioni politiche tese a canalizzarne le attività nella vita istituzionale della macchina statale. Pertanto, la configurazione assunta dal potere nel subcontinente non tendeva necessariamente verso il consolidamento di una egemonia, ma poteva funzionare, e di fatto aveva funzionato e continuava a funzionare, indipendentemente da essa: un “dominio senza egemonia”. ++++
Gennaro Ascione, *** §
3. Postcolonial cross-genealogies, in Storica, Anno XII, 2006, nr.34, Viella
cit. formato digitale
+++ Guha, A proposito di alcuni aspetti della
storiografia dell'India coloniale, in "Subaltern Studies. Modernità e
(post)colonialismo", a cura di Id. e G.C. Spivak, Verona 2002, p. 42 e passim
++++ A. Gramsci, Quaderni del carcere, Einaudi, Torino
1976, vol. V, p. 123.
***
https://fondazionefeltrinelli.it/autori/gennaro-ascione/
vedi anche IL DOMINIO SENZA EGEMONIA. GRAMSCI e GUHA
link http://ferdinandodubla.blogspot.com/2022/02/il-dominio-senza-egemonia-gramsci-e-guha.html
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