La
categoria del “colonialismo interno” [già presente per alcuni aspetti in
Gramsci e in alcuni più accorti ‘meridionalisti' di ascendenza marxista
(Cinanni, Misefari, Zitara)] serve, a nostro avviso, a reinquadrare la
tradizionale “questione meridionale” italiana, nell’ambito del pensiero
decoloniale e la rimodulazione non latitudinaria del Sud e dei Sud del mondo,
restituendo così le cause sociali, politiche, economiche e culturali inerenti i
processi di sistema oggi specifici dell’ineguaglianza strutturale del
capitalismo e dell’imperialismo colonialista. Studiamone dunque lo spessore
ermeneutico / fe.d.
Salvo Torre, Il
pensiero decoloniale, UTET, 2024
Scheda del libro
- A partire dalla metà del XX secolo, con una forza
crescente, sono state espresse critiche e proposte politiche che invitano a
ripensare in modo radicale la storia degli ultimi secoli e le gerarchie su cui
si sono fondati i sistemi di dominio. È un insieme di teorie che ha fatto
irruzione nel campo delle scienze sociali e della teoria politica, rivendicando
modi di interpretare il mondo, ha animato movimenti politici e sociali, ha
mostrato come la violenza brutale dell'esperienza coloniale sia stata
fondamentale per la costruzione della modernità capitalista. Con il termine
pensiero decoloniale si può indicare ormai questo insieme di idee e teorie che
sono nate in aree differenti e che stanno contribuendo a ridefinire anche la
grande crisi planetaria degli ultimi decenni. È un pensiero che tende
costantemente a ridefinirsi, cerca spazi innovativi e si reinterpreta
continuamente, per questo è più facile definirlo come un processo, non come un
campo classico di studi o una corrente di ricerca. Il pensiero decoloniale ci
propone di immaginarci oltre i nostri limiti storici, di collocarci in un tempo
e in uno spazio sociale differenti da quelli attuali, di costruire un mondo
liberato dalle forme di oppressione.
-Salvo Torre
è ricercatore di Geografia presso il Dipartimento di Scienze della Formazione
dell'Università degli Studi di Catania, docente di Geografia culturale, fa
parte del comitato di redazione della rivista “La libellula”.
SUL
COLONIALISMO INTERNO
Nel 2010 viene
ripubblicato un testo del 1984, “Oprimidos pero no vencidos” (Rivera
Cusicanqui, 2010a), che propone una
ricostruzione della storia della conflittualità politica e sociale contadina
nelle comunità aymara e quechua del XX
secolo. Il testo contiene diverse indicazioni metodologiche ed è anche un’occasione per rilanciare la teoria
sul colonialismo interno. L’autrice opera un interessante parallelismo con il pensiero di Marc Bloch
(1949), si concentra sull’idea della memoria corta (breve), costruita nelle narrazioni di potere e
assunta in toto dagli oppressi, la definisce un elemento che nella società boliviana accomuna campesiños e
operai, i ceti lavoratori. Nella sua specificità, soprattutto nel sottolineare come i campesiños non siano
tutti appartenenti alle comunità indigene e non abbiano necessariamente le stesse richieste o
esigenze, in realtà si riconnette molto alla struttura della critica marxista. Silvia Rivera Cusicanqui sembra
intravedere nello scontro tra la memoria breve e la memoria lunga (la memoria larga), una parte
consistente di tale processo. In questo quadro la costruzione della memoria nazionalista è contrapposta e
conflittuale rispetto a quella indigena. La nuova nazione, nata dall’indipendenza, deve inglobare le
minoranze e collocarle in spazi contenuti e per realizzare ciò ha bisogno anche di una narrazione identitaria
forte e di distruggere le altre memorie.
Una parte del ragionamento proviene indubbiamente anche dagli studi di
Maurice Halbwachs (1925), sulla
costruzione della memoria condivisa. Lo spostamento dell’attenzione sulla
costruzione del discorso ci sembra in
effetti un punto di incontro forte anche con i dispositivi foucaultiani, sul
necessario riconoscimento da parte dei
colonizzati dell’ordine sociale generale (Restrepo, 2004). L’applicazione
di quel quadro di indagine al caso delle
comunità andine, porta la sociologa a considerare la memoria collettiva un campo specifico di lotta per la
decolonizzazione di tutte le relazioni sociali: il recupero della memoria genera consapevolezza dello
sfruttamento di lungo periodo e sostiene la ricerca di un’identità forte4.
Nello stesso anno viene pubblicata anche una riflessione sulle pratiche
decolonizzatrici, “Ch’ixinakax utxiwa”,
testo che riveste una certa importanza per la comprensione del metodo
proposto. La rivendicazione iniziale,
«Io sono Chixi», il modo con cui è scritto, cioè il confronto con la
comunità aymara e l’uso ricorrente del
pronome collettivo, per indicare che il testo è una responsabilità condivisa, rappresentano anche una specifica proposta di
pratica decolonizzatrice (Rivera Cusicanqui, 2010b; 2012). Il testo contiene anche un intervento
che sintetizza il conflitto diretto con la teoria della decolonialidad e con i postcolonial studies.
Si tratta di una posizione forte, indigenista e antioccidentale, in cui autori come Quijano e Mignolo sono
considerati esplicitamente espressione del sistema di potere coloniale delle accademie statunitensi e in
cui allo stesso modo gli esponenti dei postcolonial studies vengono indicati come subordinati a quel
sistema di potere. Silvia Rivera ritiene che la categoria di colonialismo interno ispirata da Pablo
González Casanova sia più utile a definire le modalità di funzionamento del potere.
Sebbene il colonialismo
interno come sistema di dominio somigli molto a
varie proposte del dibattito post-strutturalista sull’analisi del
potere, in realtà González Casanova (1963;
1987) offre una lettura della società molto più dipendente dai processi
economici e interna al marxismo
latinoamericano. Per González Casanova (1965) il colonialismo interno è
strettamente legato alla nascita dello
Stato-nazione e alle modalità con cui la questione dello Stato coinvolge
l’autodeterminazione dei popoli,
l’espressione della loro autonomia. Il dibattito a cui fa riferimento è essenzialmente
quello della storia politica europea,
soprattutto della lettura storica dei conflitti sociali che hanno determinato
la composizione nazionale degli stati.
da Salvo Torre, Maura Benegiamo, Alice Dal Gobbo,“Il
pensiero decoloniale: dalle radici del dibattito ad una proposta di metodo”, in ACME: An
International Journal for Critical Geographies, 19(2), 448–468.
https://doi.org/10.14288/acme.v19i2.1946
Biblio.:
-Rivera Cusicanqui, Silvia. 2010c. Violencias
(re)encubiertas en Bolivia. La Paz: La Mirada
Salvaje/Editorial PiedraRota.
-Rivera Cusicanqui, Silvia. 2010b. Ch’ixinakax
utxiwa: una reflexión sobre prácticas y discursos descolonizadores, Buenos Aires: Tinta Limón.
-Rivera Cusicanqui,
Silvia. 2012. Ch’ixinakax utxiwa: A Reflection on the Practices and Discourses
of Decolonization, The South Atlantic
Quarterly 111 (1), 95-109.
-Bloch, Marc.
1949. Apologie pour l'histoire ou métier d'historien. Paris: Armand Colin,
Cahier des Annales, 3.
-Halbwachs,
Maurice. 1925. Les Cadres sociaux de la mémoire. Paris: Félix
Alcan.
-Restrepo, Eduardo. 2004. Teorías contemporáneas de
la etnicidad. Stuart Hall y Michel Foucault.
Santiago de Cali: Editorial Universidad del Cauca.
-González Casanova, Pablo. 1963. Sociedad plural,
colonialismo interno y desarrollo en América Latina. Revista del Centro Latinoamericano de
Ciencias Sociales 3, 31-51.
-González Casanova, Pablo. 1965. La democracia en
México. Ciudad de México: Era.
- González Casanova, Pablo. 1987. Sociología de la explotación. Ciudad de México: Siglo XXI.
-González Casanova, Pablo. 2000. La formación de
conceptos en los pueblos indios. In, Velasco,
Ambrosio (ed.). El concepto de heurística en las ciencias y las
humanidades. Ciudad de México: Siglo
XXI.
Cfr. su questo blog:
MERIDIONALI
QUAESTIO ET COLONIIS. Presentazione (Misefari, Cinanni, Zitara)
1. Misefari e Cinanni
http://ferdinandodubla.blogspot.com/2022/04/la-resistenza-meridionale-per-la.html
2.
Nicola Zitara
http://ferdinandodubla.blogspot.com/2022/04/classe-e-mezzogiorno-nicola-zitara-e.html
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