Terzo
Mondo. ‘Neanche il Terzo Mondo’, ‘È proprio da Terzo Mondo’. ‘Roba da Terzo
Mondo’. Una tale classificazione, che si è diramata nel senso comune
occidentalista, gerarchizza ideologicamente coloro che credono di essere la
storia da coloro che sono considerati meri oggetti di essa. Gli studi
subalterni, non riconoscendo il discorso gerarchico, ne destrutturano la
logica, ne svelano la mistificazione. La coppia che parametra l’unico mondo è
quella sviluppo/sottosviluppo. Ma il parametro è il sistema capitalista. Per
estendersi a dismisura il sistema ha necessità di politica: quella
imperialista. L’imperialismo è colonialismo su larga scala, esterno ma anche
interno ai singoli Stati-nazione. Ed ecco perchè i Subaltern studies incontrano
gli studi postcoloniali: non perchè sia terminato il colonialismo
(interno/esterno) ma perchè il sistema
[imperialista-capitalista-liberista-neoliberista, ogni categoria analitica ne
contiene un’altra] produce la subalternità e la rende funzionale al proprio
dominio. / fe.d.
cfr. PER UN DIBATTITO
CRITICO SUI SUBALTERN STUDIES E POSTCOLONIAL STUDIES, http://ferdinandodubla.blogspot.com/2023/06/per-un-dibattito-critico-sui-subaltern.html
Anche
il pensiero deve essere decolonizzato
La gerarchizzazione del
dominio capitalista passa per il senso comune ai più larghi settori sociali:
diventa così un a-priori logico che si funzionalizza al sistema.
consapevolezza
che il progetto di «recuperare» il subalterno come soggetto agente vero e
proprio era destinato a fallire, dal momento che, per definizione, il concetto
di subalternità implica una posizione «di minorità» che non può essere
annullata in modo retroattivo. Si comprese dunque che il progetto di scrivere
la storia dei subalterni era destinato a non raggiungere mai i suoi obiettivi.
G.Prakash, The Impossibility of Subaltern History, in
«Nepantla: Views from South», 1, 2000, p. 287.
Ma è proprio la ragione
per la quale il potere euristico critico marxista è necessario. Gli studi post/ possono integrare questo potere
con uno sguardo che metta in evidenza quale degli assetti dominanti debba
essere de-mistificato nella gerarchizzazione dei saperi. L’emergenza ecologica
e la diffusa coscienza di massa di un riequilibrio tra la
produzione/produttività degli esseri umani con il loro stesso ambiente esterno,
mette in crisi oggettiva il mito dello sviluppo e la teleologia del progresso,
che nutre il capitalismo delle presunte fasi ‘espansive’, soggetto alla caduta
tendenziale del saggio di profitto su larga scala. Il fondatore dei Subaltern
studies, Ranajit Guha, allarga, per il tramite di Gramsci, il campo non solo
semantico, ma politico, da “proletariato” a “gruppi subalterni”, cioè tutti i
gruppi subordinati per ragioni storiche, di classe e frazioni di classe,
genere, cultura, lingua, religione. Allarga, non restringe, svela l’estensione
del condizionamento ai livelli sovrastrutturali, richiede indagine sociale e,
dunque, chiede un’individuazione più larga delle forze motrici di un processo
rivoluzionario, sovrastrutturalmente decondizionato e decolonizzato nella
contesa egemonica. Per un nuovo ‘paradigma di civiltà’.
“Secondo Grasmci, in
estrema sintesi, i gruppi subalterni interagiscono con le formazioni politiche
dominanti in modo da influenzarne le decisioni e tale processo genera delle
trasformazioni in entrambe le soggettività, subalterna e dominante. Ma è
proprio nella dialettica con il potere che la stessa identità subalterna,
altrimenti «frammentaria per definizione» si costituisce come soggetto
collettivo”.
Gennaro Ascione,
«Indiani d'America»: studi postcoloniali, in Storica, Anno XII, 2006, nr.34,
Viella, formato digitale, pos. 491.
http://ferdinandodubla.blogspot.com/2023/09/decolonizzare-il-sapere-subaltern.html
http://ferdinandodubla.blogspot.com/2024/09/il-pensiero-decoloniale-e-la-categoria.html
L’influenza “doppia e sincopata” del maoismo sull’Indian Subaltern Studies Group
repertorio
naxalita
Il progetto degli Studi
Subalterni, e la teoria postcoloniale più in generale, sono stati resi
possibili e in modo significativo formati dall'ascesa maoista in alcune parti
dell'India tra la fine degli anni '60 e l'inizio degli anni '70. Le critiche
alla modernità, al nazionalismo e allo Stato-nazione, e alle narrazioni
omogeneizzanti del progresso che caratterizzano queste correnti intellettuali,
lungi dall'essere riflessi della loro dissociazione dalla politica radicale,
sono il risultato indiretto di un profondo cambiamento culturale e
intellettuale, conseguenza del movimento naxalita di questo periodo. Questa
genealogia alternativa deve procedere attraverso una lettura altrettanto
alternativa del movimento naxalita. Ci si interroga sul perché questo movimento
sia stato così importante, data la sua teorizzazione politica semplificata e i
suoi successi militari di breve durata. La strategia naxalita di
"annientare" i proprietari terrieri feudali e la campagna di
"distruzione delle statue" condotta dai giovani naxaliti nel 1970 –
comunemente considerata e condannata come infantile e di estrema sinistra –
possono essere interpretate invece come uno sviluppo critico della teoria marxista,
uno sviluppo che ha poi trovato un'esposizione più esplicita ed elaborata negli
scritti del gruppo Subaltern Studies e nelle teorie cosiddette ‘postcoloniali’.
Abstract Seth,
S. (2006). From Maoism to postcolonialism? The Indian ‘Sixties’, and beyond. Inter-Asia Cultural Studies, 7(4),
589–605. - tr. Ferdinando Dubla
[C’è un] valore tattico
di determinate scelte di ordine metodologico ed epistemologico in relazione ai
diversi contesti di spendibilità accademica del discorso intellettuale prodotto
dal collettivo indiano, o meglio, in relazione a quel nucleo condiviso di tesi
e approcci che accomuna gli studiosi coinvolti nel progetto. Abbiamo
sottolineato, a sostegno di questa tesi, tre passaggi chiave: il momento della
genesi del gruppo, nel 1980, che, nel contesto politico e accademico indiano,
si caratterizza dal punto di vista intellettuale come una negazione delle
precedenti «storie dal basso» prodotte in India sulle rivolte contadine e con
un riferimento esplicito alla storiografia marxista britannica ispirata dalle
opere di E.P.Thompson; il momento dell'internazionalizzazione del collettivo e
della contemporanea ascesa di diversi suoi membri all'interno delle principali
strutture di produzione del sapere anglo-americane a metà degli anni ottanta,
in cui assume un valore decisivo la svolta decostruzionista e l'abbandono
esplicito della prospettiva storiografica della History from below inglese; la
fase della piena riconoscibilità accademica internazionale dell'Indian
Subaltern Studies Group come versante storiografico del più ampio progetto
Postcolonial Studies, che corrisponde alla rivendicazione, per il termine
«subalternità» come costruzione concettuale, della capacità di includere tutte
le soggettività che hanno subito il colonialismo come processo storico. La
seconda tesi, funzionale all'elaborazione della prima, consiste nella influenza
doppia e sincopata del maoismo sul lavoro del collettivo indiano. Una prima
dimensione in cui abbiamo rintracciato questa influenza è la collocazione
politica del gruppo, definita dal carattere radicale e antagonista dei suoi
membri nel contesto nazionale indiano: l'interesse per le masse contadine,
l'attenzione posta sul ruolo dei contadini nel processo di costruzione della
nazione indiana derivano dall'esperienza di mobilitazione politica del
collettivo, sebbene riorganizzata in termini gramsciani lungo l'asse
concettuale egemonico/subalterno. Una seconda dimensione in cui abbiamo
rintracciato l'influenza, sebbene indiretta, del maoismo come teoria sociale, è
il ruolo determinante attribuito alla sfera culturale come ambito relativamente
autonomo delle pratiche dei subalterni. Ma soprattutto, il fatto che tale
influenza giunga filtrata attraverso una serie di dibattiti interni
all'accademia occidentale dimostra come, per quanto il riferimento alla storia
indiana costituisca un elemento essenziale nell'autodefinizione dell'Indian
Subaltern Studies Group, sia il contesto accademico internazionale occidentale
il quadro di riferimento rispetto al quale gli studiosi subalterni hanno
adottato strategie e preso posizione. Chiaramente ambedue queste influenze
vanno inscritte nel quadro di più ampi e complessi processi di interazione
culturale con altri dibattiti ai quali la vicenda intellettuale dell'Indian
Subaltern Studies Group è collegata. Eppure, l'enfasi posta sul maoismo, sulle
modalità e sui tempi della sua relazione con il versante storiografico della
critica postcoloniale ci offre una ulteriore e differente chiave interpretativa
sui processi intellettuali e di collocazione accademica attraverso cui il
collettivo di studiosi indiani, nato negli anni ottanta, è riuscito a definire
uno spazio di produzione intellettuale riconoscibile e rilevante, fino a
divenire un punto di riferimento, e dunque un'etichetta, nel panorama
accademico mondiale.
Gennaro Ascione, cit.
pos. 678-696
IL
‘CORRIDOIO ROSSO’
repertorio
naxalita
I maoisti del Communist
Party of India (CPI) sono noti anche col nome di Naxaliti, termine che deriva
dal villaggio di Naxalbari situato nel Bengala Occidentale, in cui nel 1967
divampò una violenta rivolta contadina. per opporsi allo sfruttamento subito da
parte dei proprietari terrieri e delle autorità, e per liberarsi dal giogo del
sistema feudale esistente, eredità del modello coloniale inglese, diffuso
ancora oggi nell’India rurale. 150 contadini armati di archi e frecce,
attaccarono i latifondisti e presero possesso delle fattorie e dei campi per
alcuni mesi prima di deporre le armi di fronte alla violenta risposta
dell’esercito regolare indiano. Una rivolta dallo scarso valore pratico
ma che è rimasta simbolicamente impressa nella mitologia di quelle migliaia di
diseredati che affollano le campagne e le metropoli dell’India. Pochi anni dopo
infatti un attivista comunista, Charu Majumdar, diede vita al Comitato di
Coordinamento dei Comunisti di tutta l’India (AICCCR). Di ispirazione
dichiaratamente maoista, l’intento di Majumdar era quello di dare vita ad una
sollevazione in tutto il Paese a partire dalle campagne. Coscienti della
complessità del territorio indiano i maoisti si appoggiarono spesso a realtà
tribali pre induiste (gli adivasi) e agli “intoccabili” dalit che già da tempo
contestavano apertamente il sistema castale hindu. In breve tempo il movimento
cominciò a sfaldarsi, dilaniato da lotte intestine tra i filo-sovietici e i
filo-cinesi, ma questa spaccatura non impedirà a numerosi giovani di
intraprendere la via della lotta armata. Negli anni 70’ le università di
Calcutta vennero contagiate dal fascino dei discorsi di Majumdar e moltissimi
studenti entrarono così in clandestinità, fuggendo dalle grandi città
industriali per nascondersi nelle foreste e nelle campagne. Qui i rivoluzionari
sostituirono il governo ufficiale, organizzando un sistema di gestione del
territorio, di giustizia e di riscossione dei tributi che in alcune regioni
vige anche oggi. Andra Pradesh, Chhattisgarh, West Bengala, Bihar, fino
all’Orissa e al Karnataka: tutti stati che furono e sono fino ad oggi teatro
delle operazioni Naxalite. Il cosiddetto “corridoio rosso”. Tra la fine degli
anni sessanta e l’inizio degli anni settanta l’India intera fu scossa da
un’ondata di attentati e omicidi contro poliziotti, avversari politici e
latifondisti. La risposta del governo indiano fu dura e violenta, nel 1971
Indira Ghandi ordinò un rastrellamento di tutti gli stati interessati dalla
guerriglia maoista decimando il movimento. Lo stesso Majumdar fu arrestato nel
1972. Morì in carcere qualche giorno dopo, stremato dalle violenze e dalle
torture.
biblio: consultato Piero
Pagliani, Naxalbari-India - L'insurrezione
nella futura "terza potenza mondiale", Mimesis, 2007
a cura di Ferdinando Dubla
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cfr. anche in questo blog
Subaltern
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