sabato 28 luglio 2012
ILVA di Taranto: il documento politico del PdCI
Tanti sono i soggetti che hanno la
responsabilità della situazione ambientale di Taranto, a cominciare dal ruolo
svolto dalla Marina Militare con le attività dell’arsenale e continuando con
l’impatto di insediamenti industriali: Raffineria, Cementir e Italsider, oggi
Ilva, di proprietà del gruppo Riva.
A tutto questo va aggiunta la responsabilità
di tanta parte politica, quella più conservatrice che ha governato il paese e
amministrato la città, che ha permesso
per lunghi anni a questi soggetti imprenditoriali di fare i propri affari senza
tener conto della compatibilità ambientale delle loro attività produttive.
Nello specifico, l’impennata dell’inquinamento
coincide con il passaggio della proprietà della grande fabbrica dall’Iri al
gruppo Riva, passaggio avvenuto in modo quanto meno strano tant’è che ancora
oggi non se ne conoscono chiaramente le modalità e il costo reale.
Tutto questo ha permesso a Riva di operare senza
un sostanziale controllo continuando a produrre per diciassette anni ubbidendo solo alle leggi di un mercato senza regole,
sacrificando alla logica del profitto i lavoratori, la popolazione e l’intero
territorio tarantino.
Riva ha messo in atto una politica di intimidazione
prima e poi di attacco alla classe operaia, ai suoi diritti, al suo sindacato e
perfino agli stessi valori della democrazia, sanciti nella carta costituzionale
circa il ruolo sociale della proprietà e dell’iniziativa imprenditoriale
privata.
Non si può dimenticare l’infamante palazzina
Laf, nella quale vivevano reclusi un centinaio di lavoratori che reclamavano
solo rispetto dei propri diritti e dignità, c’è voluta la magistratura e non
l’azione di altri a cui spettava il dovere di farlo."
Così oggi, di fronte ad un padrone che rifiuta
il confronto con le rappresentanze dei lavoratori la magistratura interviene
avendo preso atto di elementi che denunciano le responsabilità dell’azienda del
disastro ambientale.
Né Riva può strumentalmente utilizzare i
lavoratori per attaccare l’operato della magistratura o per sottrarsi agli
adempimenti per abbattere le emissioni attraverso gli investimenti necessari su
innovazioni tecnologiche.
Il problema non si risolve con la chiusura
dell’area a caldo dell’Ilva, si tratta invece di capire che è giunto il momento
di rivendicare la modifica degli impianti attraverso il coinvolgimento di tutti
gli attori per le responsabilità politiche, manageriali e operative.
La chiusura di una parte importante dello
stabilimento di Taranto avrebbe ricadute disastrose perfino sulla tenuta
occupazionale e delle attività del porto.
Taranto deve diventare un caso Nazionale: occorre
quindi che il governo produca un piano di bonifica del territorio e della
fabbrica e non solo di riqualificazione ambientale; esso deve interessare la messa sotto controllo
delle emissioni di tutte le attività produttive.
Occorre che la classe operaia sia
rappresentata con forza dalle organizzazioni sindacali nella trattativa e nel
controllo delle misure adottate dal piano.
Occorre che le istituzioni: Regione,
Provincia, Prefettura, Comune diventino soggetti di confronto con Ilva e di
controllo del territorio sulle emissioni attraverso l’uso delle strutture
pubbliche preposte come ARPA che devono vigilare con gli strumenti del caso
ventiquattro ore su ventiquattro.
I comunisti Italiani, preoccupati della
situazione di scontro determinatasi, sono al fianco dei lavoratori per la
difesa del posto di lavoro ed esprimono solidarietà al Sindaco Stefàno
condividendone a pieno la impostazione politica per la soluzione del problema
Taranto li, 27-7-2012
Partito dei Comunisti
Italiani
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento