Subaltern studies Italia

L’analisi e la classe - a cura di Ferdinando Dubla

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martedì 6 giugno 2023

VEDI ALLA VOCE RANAJIT GUHA _ Subaltern studies Italia, Dipesh Chakrabarty, Arjun Sengupta

 

Vedi alla voce Ranajit Guha - link permanente sullo storico indiano fondatore dei Subaltern studies

  

Abbiamo cercato di contribuire in maniera fondamentale al concepimento e sviluppo della voce <Ranajit Guha> in italiano su Wikipedia, anche in collegamento con 13 paesi tra cui la stessa India. Abbiamo cercato, in particolare, di renderla sintetica per una consultazione rapida, ma senza rinunciare alla diretta documentazione delle fonti e l’acribia, come nel caso del paragrafo interamente elaborato da noi e titolato <I Subaltern studies> che abbiamo chiesto di tradurre nelle altre 13 lingue ai nostri collaboratori internazionali.

Qui trovate il link permanente nella forma attuale:


https://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Ranajit_Guha&oldid=133794080


non ulteriormente modificata della voce

 

 

Su Subaltern studies Italia_ https://www.facebook.com/profile.php?id=100071061380125

gli speciali su Ranajit Guha, lo storico indiano scomparso il 28 aprile u.s. in Austria. Il fondatore dei Subaltern studies (1982) nel ricordo e nell’impegno di ricerca e trasformazione sociale di chi alla sua figura si ispira nel presente.

 

Caratterizzante l’analisi di Guha sono anche le categorie di prosa del mondo, prosa della storia e prosa della controinsurrezione. Nella sua critica ad Hegel, secondo cui non c’è storia senza costruzione dello Stato, i popoli subalterni, coloniali, dominati dagli Imperi, sono fuori della ‘prosa della storia’, sono popoli senza storia, costituiscono la ‘prosa del mondo’. La prosa della ‘controinsurrezione’ è la narrazione delle classi dominanti contro l’insorgenza delle classi subalterne. [] Cfr. Ranajit Guha, “La storia ai limiti della storia del mondo” - con un testo di Rabindranath Tagore e Introduzione di Massimiliano Guareschi, Sansoni, 2003, pag.49. 

 

UTSAHO: IL COINVOLGIMENTO È MEMORIA, OFFRE ALLA VITA IL SUO TEMPO

 

Dipesh Chakrabarty ricorda il suo maestro, “Ranajitda” Guha

 

 

Dipesh Chakrabarty remembering Ranajit Guha: My guru, my friend 

The Indian Express

2 maggio 2023

traduzione e titoli   #SubalternStudiesItalia

 

- I lettori di questo giornale sono già stati informati con alcuni dibattiti sul significato dell'opera di Ranajit Guha, uno dei più illustri storici dell'India coloniale e moderna, morto a Vienna il 28 aprile, poche settimane prima del suo centesimo compleanno. Questo breve saggio è un tributo personale all'uomo che ha aperto la strada alla scrittura di "storie subalterne" - storie di gruppi e popoli socialmente subordinati - e i cui scritti e pensieri hanno ispirato profondamente molti storici e scienziati sociali della mia generazione e di quelle successive in India e altrove.

- Guha, tuttavia, era molto più di uno storico. Era davvero un intellettuale creativo, il suo lavoro ha percorso diverse strade, come molti hanno già raccontato. Probabilmente l'ultima fase è stata la più notevole per la sorpresa che ha creato. Proprio quando il mondo lo celebrava come il paladino delle storie delle classi subalterne, decise di smettere di scrivere in inglese e scrisse una serie di libri e saggi pionieristici in bengalese che trattavano questioni che erano allo stesso tempo letterarie e filosofiche.

Nel mio ultimo incontro con lui, il 15 marzo di quest'anno, ha menzionato il suo interesse per la memoria e il tempo nei suoi ultimi decenni. La vita riguarda ciò che ti coinvolge, ha detto, usando la parola bengalese per entusiasmo (utshaho), e ha aggiunto qualcosa in tal senso: "Qualunque cosa ti coinvolga diventa memoria e dà alla vita la sua dimensione temporale".

Ranajitda e sua moglie Mechthild, un'antropologa, arrivarono all'Australian National University nel 1980 quando ero uno studente di dottorato. Il mio supervisore, DA Low, è stato determinante nella creazione di una posizione per lui. Avevo incontrato Ranajitda l'anno prima in Inghilterra ed ero stato inserito in quello che divenne il famoso circolo di "Studi subalterni". Ranajitda e Mechthild trascorsero i successivi 15 anni circa a Canberra. Fu allora che ebbi il privilegio di conoscerlo da vicino come studioso e come essere umano. In effetti, non si potevano separare i due. Ranajitda non era tenuto a offrire alcun corso. Quello che ho imparato da lui è stato per lo più appreso in contesti informali, durante lunghe passeggiate intorno al lago Burley Griffin che costeggiavano il campus, davanti a tazze di caffè o pranzi all'università, o durante i deliziosi pasti preparati da Mechthild - e talvolta dallo stesso Ranajitda. È stato molto speciale quando lo stesso Ranajitda era lo chef. Era meticoloso nella sua cucina come lo era nella sua scrittura. Niente è stato affrettato. Potrebbe passare l'intera giornata in cucina seguendo una ricetta delicata per un delizioso piatto bengalese. C'era qualcosa di straordinario nel rapporto di Ranajitda con il tempo. Ha rifiutato di essere affrettato. Quando la vita accademica intorno a lui diventava sempre più frenetica, si assicurava di non avere mai più scadenze di quelle che poteva gestire senza stressarsi, in modo da poter dedicare alla sua scrittura tutta la cura e il tempo di cui aveva bisogno. A questo proposito, la sua vita è stata una critica permanente al travolgente senso di accelerazione che stava prendendo il sopravvento sulle vite accademiche mentre la tecnologia digitale iniziava a liberare i suoi poteri.

Non sorprendeva quindi che il metodo socratico fosse una parte importante del modo in cui insegnava. Era sia un insegnante, un maestro e un amico che si interessava profondamente alla mia vita quotidiana. Ricordo il giorno in cui è nato mio figlio. Quando l'ho chiamato dall'ospedale per dargli la notizia, mi ha detto che aveva già pensato a un nome per mio figlio, un nome che mio figlio porterà per tutta la vita. Caldo e affettuoso, era anche capace di forti antipatie e disaccordi. Soprattutto, tuttavia, amava la buona discussione. Ma se cedevi troppo in fretta, obietterebbe in un'amichevole dimostrazione di disappunto, è come se una partita finisse molto prima del tempo previsto! "Non puoi arrenderti così in fretta", diceva. "Trova un argomento che puoi difendere più a lungo."

Ranajitda era senza dubbio uno storico molto creativo. Ma la natura puramente empirica e legata al tempo e al luogo degli argomenti storici non ha soddisfatto la sua ricerca di comprensione della condizione umana, motivo per cui, credo, si è rivolto alla letteratura e alla filosofia nell'ultima fase della sua scrittura. Ma i suoi interessi filosofici erano evidenti anche mentre lavoravamo sulla storia dei subalterni. Ci diceva spesso: "non puoi leggere un pensatore da solo, devi leggere all'indietro e leggere le persone che stavano leggendo". Quindi, per leggere Marx, dovevi leggere Hegel; per leggere Derrida, avevi letto Heidegger; per leggere Foucault bisognava tornare a Nietzsche, e così via, fino ad arrivare ai fondamenti. La mia copia personale della Logica breve di Hegel è ancora quella che mi ha regalato, il suo nome firmato in bengalese con la sua bella calligrafia sul frontespizio.

Ranajitda ci ha fatto vedere quanto potesse essere gioiosa e idealistica la ricerca delle idee anche mentre scrivevamo e dibattevamo storie. Idealista, perché ci sono voluti tempo, duro lavoro e concentrazione per padroneggiare idee difficili. Gioioso perché lo sforzo ti fa scoprire come i testi influenti a livello globale spesso costituiscano lunghe tradizioni di pensiero all'interno delle quali discutiamo le nostre questioni contemporanee. Se il lavoro nelle discipline umanistiche è una serie infinita di conversazioni con i nostri antenati intellettuali, Ranajitda rimarrà uno di questi antenati per gli anni a venire.

 

* L'autore è Dipesh Chakrabarty, storico indiano, che ha contribuito in maniera determinante alla teoria postcoloniale e agli studi subalterni. È il Lawrence A. Kimpton Distinguished Service Professor in storia all'Università di Chicago ed è il destinatario del Toynbee Prize 2014, dal nome del professor Arnold J.

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Ranajit Guha passes away: The Subaltern School and Guha’s contributions to South Asian Studies

Arjun Sengupta *

La scomparsa di Ranajit Guha: i Subaltern studies e i contributi agli studi sull'Asia meridionale 

La Subaltern School (Studi subalterni)  ha inaugurato una nuova era nella ricerca storica dell'Asia meridionale, tentando di fornire una voce e una soggettività alle classi subordinate della società.

- Lo storico Ranajit Guha, in procinto di compiere 100 anni maggio 2023, è morto nella sua residenza a Vienna Woods, in Austria il 28 aprile, ha riferito Anandabazar Patrika. Guha ha inaugurato un nuovo modo di studiare l'Asia meridionale, allontanandosi dal primato delle narrazioni elitarie che avevano precedentemente dominato la ricerca storica e l’accademia. 

Lo storico bengalese, insieme ai suoi collaboratori (molti dei quali erano suoi studenti), iniziò la Scuola Subalterna - Subaltern studies, che rimane una delle scuole post-coloniali e post-marxiste più influenti della storia.

Nel corso del tempo, l'influenza di questa scuola ha trasceso la storia dell'Asia meridionale per influenzare la ricerca storica e l’accademia di tutto il mondo e su vari aspetti della vita e della società.

 

Ranajit Guha e la nascita della Scuola Subalterna

Nato a Siddhakati, Backerganj (l'attuale Bangladesh) il 23 maggio 1923, Guha emigrò nel Regno Unito nel 1959, dove divenne lettore di storia all'Università del Sussex.

Mentre studiava e insegnava la storia indiana, Guha ha riconosciuto che le principali narrazioni storiche di/e sull'India, erano grossolanamente inadeguate per studiare la complessità del suo passato. Fondamentalmente, ciò che mancava alle narrazioni tradizionali era la voce delle classi inferiori: i subalterni.

Il termine "subalterno" fu coniato per la prima volta dal filosofo marxista italiano Antonio Gramsci per riferirsi a qualsiasi classe di persone (per Gramsci, contadini e lavoratori) soggetta all'egemonia di un'altra classe dominante. Questo termine è stato ripreso da Ranajit Guha e colleghi che la pensavano allo stesso modo nei primi anni '80 nel loro tentativo di "rettificare il pregiudizio elitario caratteristico di gran parte della ricerca e del lavoro accademico" nel campo degli studi sull'Asia meridionale. 

Nella prefazione del numero inaugurale degli influenti Subaltern Studies, Guha scrive: “La parola subalterno sta per... 'di rango inferiore'. Verrà utilizzato in queste pagine come un attributo generale di subordinazione nella società dell'Asia meridionale… espresso in termini di casta, classe, genere e carica”. E continua, “la subordinazione non può essere intesa se non come uno dei termini costitutivi in ​​una relazione binaria in cui l'altro è predominio, poiché 'i gruppi subalterni sono sempre soggetti alle attività dei gruppi dominanti, anche quando si ribellano e insorgono'”.

Questo è il fulcro di ciò che sono i Subaltern Studies e del motivo per cui sono stati influenti. Guha non solo sviluppa una nuova narrazione dei subalterni che storicamente è mancata nel mondo accademico tradizionale, ma riconosce che la categoria dei subalterni è costruzione concettuale non essenzialista, cioè è un prodotto della relazione di dominio e subordinazione tra élites e subalterni e non di qualche categoria divina, inevitabilmente.

Ciò getterebbe le basi di una scuola di studi storici che problematizzerebbe intese secolari a favore di una lettura più sfumata della storia e della società. 

 

La Scuola Subalterna (Studi subalterni) e il contesto in cui è nata

La ricerca storica e accademica tradizionale sull'Asia meridionale, prima dei Subaltern studies, era o un prodotto dell'eurocentrismo coloniale o era dominata dai punti di vista delle élites native, spesso fortemente influenzate dalle strutture e dalle narrazioni coloniali stesse.

Ad esempio, la classificazione in tre parti della storia indiana di James Mills in antica (indù), medievale (musulmana) e moderna (coloniale e postcoloniale) rimane influente fino ad oggi, avendo formato generazioni di storici nazionalisti. Tuttavia, non solo si tratta di un'imposizione impensabile in un quadro dominante utilizzato per studiare la storia europea, ma si perde anche una diversità di esperienze che avrebbero dovuto caratterizzare lo studio storico. La storia è solo lo studio di re e governanti, definiti in questo contesto dalla loro identità religiosa? E le storie degli intoccabili, delle donne e delle comunità tradizionalmente non dominanti? E i contadini e gli operai? 

Anche gli accademici di sinistra che apparentemente scrivevano sui popoli non sono stati in grado di abbandonare completamente i quadri europei e l'ortodossia marxista che privilegiava la classe come categoria dominante dell'analisi storica. Erano ignari o sprezzanti delle specifiche modalità indiane di subalternità e quindi non erano in grado di apprezzare veramente la società indiana nella sua complessa ricchezza e sfumatura. La scuola subalterna è arrivata e ha cambiato questo.

Nel suo intramontabile classico, Elementary Aspects of Peasant Insurgency in Colonial India (1983), Ranajit Guha scrive della coscienza contadina e delle diverse modalità di espressione del dissenso da parte dei contadini nell'India coloniale. Mentre la resistenza contadina era stata documentata fin dall'inizio del dominio coloniale, secondo Guha, negli studiosi coloniali, "il senso della storia (era) convertito in un elemento di interesse amministrativo". Di conseguenza, “al contadino veniva negato il riconoscimento come soggetto della storia a sé stante anche per un progetto tutto suo”.

L'approccio di Guha era fondamentalmente diverso. Il suo lavoro si è concentrato sullo studio dell'insurrezione contadina dal punto di vista del contadino. Fornisce ai contadini ribelli la propria agenzia politica piuttosto che quella fornita loro dalle élites indigene. Metodologicamente, anche quando Guha guarda a fonti storiche di uso comune come i documenti coloniali, il suo approccio le problematizza, consapevole della posizione dei creatori e, di conseguenza, consapevole di possibili pregiudizi nelle fonti stesse.

Alcune critiche alla Scuola Subalterna

Sebbene la Subaltern School - Subaltern studies sia stata estremamente influente nel guidare generazioni di lavoro accademico sull'Asia meridionale e sulle società postcoloniali sin dagli anni '80, ha ricevuto critiche. Una delle principali riguarda la sua attenzione all'agire soggettivo rispetto alla struttura oggettiva. Critici come Vivek Chibber sostengono che i Subaltern studies tendono a trascurare i modi in cui le strutture sociali e politiche limitano l'azione dei gruppi subalterni. Di conseguenza, la scuola subalterna è stata accusata di presentare una visione eccessivamente romantica dell'agire soggettivo e della resistenza subalterna.

Inoltre, Chibber sostiene che l'approccio alla politica degli studi subalterni, tende a concentrarsi eccessivamente sui movimenti e su una resistenza basati sull'identità. Sostiene che questo approccio trascura l'importanza della politica di classe e il potenziale per i gruppi subalterni di impegnarsi in lotte trasformative che sfidano le strutture economiche e politiche esistenti. Ciò è particolarmente vero per i lavori più recenti della Scuola. 

Infine, nel tentativo di problematizzare l'eurocentrismo dei marxisti tradizionali, la Scuola Subalterna, secondo Chibber, ha intrapreso una strada all’estremo opposto, rifiutando ogni forma di teorizzazione universale in quanto incapace di spiegare le particolarità dell'Asia meridionale. Chibber critica questa impostazione, sostenendo che "prendere conoscenza di certe forze universali non è un impedimento a spiegare anche la diversità".

 

First published on: 29-04-2023  The Indian Express, New Delhi, Arjun Sengupta * - Ranajit Guha passes away: The Subaltern School and Guha’s contributions to South Asian Studies - traduzione  #SubalternStudiesItalia 

* Giornalista | Ricercatore nel Settore Sviluppo | Ricerca qualitativa | Scuola di economia di Delhi | St. Stephen's College, Università di Delhi



Ranajit Guha (right) with his wife Mechthild in 2008. (Photo: Nonica Datta for Permanent Black)










lunedì 29 maggio 2023

IL PADRE DI BARBARA

 

Barbara Balzerani, Lettera a mio padre, Derive e Approdi, 2020 - con prefazione di Vincenzo Morvillo /


 

IN NOMINE PATRIS

 

Ai livelli apicali dell’organizzazione BR degli anni 70 e 80 del Novecento italiano, oggi la Balzerani non scrive solo memorie o memorie traslitterate, ma si cimenta con la scrittura per l’interpretazione della realtà sociale e la sua trasformazione strutturale e perciò rivoluzionaria. Il suo ultimo lavoro tratta del lavoro. Schiavistico di oggi, nel neoliberismo dell’arcano della forma di merce in cui il rapporto umano è mediato-tediato dal denaro e rende gli esseri umani alienati. Per far questo, interloquisce con la figura trasfigurata nel ricordo del padre, il suo. Ma interloquisce anche con il suo padre ideologico -Karl Marx- e lo fa attraverso le Tesi di filosofia della storia di Walter Benjamin, un padre che però, appunto, non amava l’ortodossìa, ma l’azione politica che aggiornava la teoria perchè irrompeva nella storia.

Tra i limiti di una passata appartenenza ortodossa anche quello di non aver compreso che la teoria critica marxista non può avere ortodossia, pena lo scollegamento con la realtà sociale che si dice di voler trasformare in senso rivoluzionario. È quanto può leggersi implicitamente in filigrana in questo ultimo libro della Balzerani. / fe.d.

 

/scheda/

 

"Lettera a mio padre" parla di lavoro, così cambiato dall’epoca delle mitiche tute blu, di quel lavoro operaio e delle mani che oggi sembra scomparso. Con la progressiva diminuzione del lavoro artigiano ciò che è andato perduto è, infatti, un immenso patrimonio di conoscenze e di pratiche, di gesti e di attività via via incorporati nelle macchine. Il racconto di Barbara Balzerani – autrice conosciuta, certo, per le vicende legate alla sua militanza politica, ma amata anche per la sua poetica capace di tradurre in forma letteraria temi complessi – è un dialogo immaginario tra una figlia e un padre, alla ricerca di una via di uscita dal nichilismo dell’astrazione delle merci che sovrasta le relazioni sociali contemporanee. Una rilettura dei cambiamenti che il capitalismo ha indotto nel mondo del lavoro e, in contraltare, di quelle forze vive che continuano a contrapporsi.

 

Una scelta che il padre non ha mai potuto comprendere

 

- Barbara, come Benjamin, ci dice di spezzare la linearità fisica del Tempo. Di sparare agli orologi. Di interrompere l’accumulo progressivo di futuro tramutatosi in accumulo sviluppista di produzione al presente. Altro che sviluppo delle forze produttive! Siamo ormai giunti nel regno dell’ombra di Mordor. Dominato da un bifronte Sauron-Rolex, Signore degli orologi. Il cui volto vorace assomiglia a quello di un Amministratore Delegato. Una Mordor neoliberista, dove macchine/orchi di odierni Talo hanno divorato la creatività umana del lavoro, trasformando gli stessi individui in alienati profili avatar, deprivati di spazio vitale. Macerie di corpi su macerie di corpi, nel segno dell’ideologia tempestosa del progresso. Solo nuovi angeli o nuovi barbari rivoluzionari potranno redimere il passato e riscattare le generazioni oppresse della Storia, è Marx stesso a dircelo, dopotutto. E ancora, Tesi 11: (+) Il programma di Gotha reca già tracce di questa confusione. Esso definisce il lavoro come «la fonte di ogni ricchezza e di ogni cultura». Allarmato, Marx ribatte «che l’uomo non possiede altra proprietà» che la sua forza-lavoro, «non può non essere lo schiavo degli altri uomini che si sono resi... proprietari». Ciononostante la confusione continua a diffondersi, e poco dopo Josef Dietzgen proclama: «Il lavoro è il messia del tempo nuovo. Nel... miglioramento... del lavoro... consiste la ricchezza, che potrà fare ciò che nessun redentore ha compiuto». Questo concetto della natura del lavoro, proprio del marxismo volgare, non si ferma troppo sulla questione dell’effetto che il prodotto del lavoro ha sui lavoratori finché essi non possono disporne. Esso non vuol vedere che i progressi del dominio della natura, e non i regressi della società; e mostra già i tratti tecnocratici che appariranno più tardi nel Fascismo. Fra cui c’è anche un concetto di natura che si allontana funestamente da quello delle utopie socialiste anteriori al ’48. Il lavoro, come è ormai concepito, si risolve nello sfruttamento della natura, che viene opposto – con ingenuo compiacimento – a quello del proletariato. A suo padre, che dei padroni e della fabbrica ha voluto fare a meno per tutta la vita, credendosi e sentendosi libero del suo tempo, Barbara rimprovera l’ingenua illusione di una fede nel progresso e nel lavoro che, malgrado tutto, avrebbe dovuto riscattare una povertà dignitosa ma fredda. Vincenzo Morvillo / fine estratto

 

(+) Walter Benjamin, le cui Tesi di Filosofia della Storia intridono tutto il libro di Barbara.

 

Nel post del blog abbiamo riunificato i post della pagina e aggiunto stralci dal libro

 

Stralci dal libro

 

Marx dice che le rivoluzioni sono la locomotiva della storia universale. Ma forse le cose stanno in modo del tutto diverso. Forse le rivoluzioni sono il ricorso al freno d’emergenza da parte del genere umano in viaggio su questo treno. Walter Benjamin

 In linea di principio un facchino differisce da un filosofo meno che un mastino da un levriero. È la divisione del lavoro che ha creato un abisso tra l’uno e l’altro. Karl Marx

 

 

Faglie potenti si sono aperte tra avanzate e ritirate. Dal Rojava al Chiapas, dal confederalismo democratico allo zapatismo, lingue e tradizioni diverse si sono mescolate e rafforzate su un’idea di società basata sull’autogoverno. L’eco delle rivendicazioni risuonano tra i continenti, arricchendosi di esperienze diverse, rimbalzando dagli indios e dalle città del sud America ai valligiani di Susa, ai combattenti curdi del partito dei lavoratori. Alla resistenza di baschi e catalani di cui si può leggere la storia seguendone le tracce nei luoghi della memoria delle città, ascoltandone nella lingua d’origine il filo dei racconti che tengono viva una lunga tradizione antifascista, di lotta per la giustizia sociale, per la libertà dei prigionieri politici.

 

Chi sono? Sono quelli che non si arrendono perché debbono raccontare la storia dei vinti, mai sconfitti. Sono l’insurrezione che ritorna dalle profondità della terra, dalla periferia della modernità.

 

 

Che ne dici? Anch’io ho creduto che questi automi ci avrebbero liberato dalla fatica come se le tecnologie fossero neutrali e buone di per sè. C’è voluto il deragliamento delle locomotive rivoluzionarie del ‘900 per ricominciare a ripensare altri modi di vita collettiva, soprattutto grazie al protagonismo delle periferie dei tanti sud. Quelle che più hanno pagato i costi di un progresso che ha viaggiato alla velocità necessaria a infettare il mondo con la pandemia del «lavora, consuma, crepa».

 

La divisione del lavoro è stata necessaria per rendere più redditizia la produzione, assicurandosi lavoratori manuali impossibilitati di governarne il processo, costretti alla ripetitività di un’unica mansione. È uno strumento di potere e la tecnica c’entra poco e niente. Questo tu lo sai bene ma hai preferito pensare di non essere stato sotto il suo dominio. Hai preferito pensarti libero raccontando di esserti sottratto alla sua maledizione, solo perché non hai mai creduto fosse possibile combatterla e uscirne vivo. Altri hanno osato, hanno vinto, hanno perso ma sempre secondo il principio rivoluzionario che l’abolizione della divisione del lavoro sia un cacciavite tra i più efficaci per sabotare il comando e lo sfruttamento.

 

È la storia della lotta di classe quando si esauriscono le possibili mediazioni e si intravede una strada di ritorno a un riscatto di dignità. Narrata senza risparmio di paradossi nella descrizione di personaggi, che sono sempre altro perché è il padrone a decidere anche del sesso di chi è costretto a cercarsi un lavoro e di impatto con lo strozzinaggio sulla loro miseria esercitato da banche e finanza.

 

 

#BarbaraBalzerani #letteramiopadre 

 

a cura di #SubalternStudiesItalia

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sabato 27 maggio 2023

DALLA PROSA del MONDO alla PROSA DELLA STORIA TO BACK. RANAJIT GUHA TRIBUTE - রণজিৎ গুহের প্রতি শ্রদ্ধা Raṇajiṯ Guha prati śrad'dhā

 

[Secondo Hegel] “I gradi descrivono la trasformazione della prosa del mondo nella prosa della storia come progresso dello spirito verso la libertà e l’autocoscienza”. +

- Il tentativo dello storico Ranajit Guha di portare le storie delle classi subalterne all'interno della corrente principale degli studi storici, si confronta con il pensiero di Hegel e le sue categorie di ‘prosa del mondo’ e ‘prosa della storia’. Compulsando il filosofo tedesco sulla filosofia della ‘storia del mondo’, (Guha prende in esame in particolare Estetica, II, Einaudi, 1997, pp.1088-1106 e le Lezioni sulla filosofia della storia, La Nuova Italia, 1941, pag.167 e passim, le edizioni più vicine a quelle cui lo storico indiano si avvale, Lectures on the Philosophy of World History, a cura di H.B. Nisbet, Cambridge University Press, 1975-1982) se non c’è storia senza costruzione dello Stato, tappa cruciale del cammino dello spirito verso l’autocoscienza, i popoli subalterni, coloniali, dominati dagli Imperi, sono fuori della ‘prosa della storia’, sono popoli senza storia, costituiscono la ‘prosa del mondo’, esseri ‘alienati’ e ‘frammentati’. La ‘spiritualizzazione’ della storia, identificata con lo stesso progresso lineare, pur carico di tensioni e conflitti, è completa. Ma la contraddizione hegeliana, secondo Guha, esclude il processo di riconoscimento: “La prosa del mondo in cui gli esseri umani si rendono intellegibili gli uni agli altri nel corso della loro lotta quotidiana per il riconoscimento reciproco si impregna quindi di storicità”. (cfr.  Guha, La storia, cit. pag.38).

 

- Una nuova narrazione dei subalterni, nella forma del collettivo di ricerca, che va oltre lo "statalismo" fino all'essere-nel-mondo quotidiano, alle fonti di un narrare dominante che lascia ‘tracce subalterne’ per chi le sa seguire, (+1) (+2) alla riappropriazione della propria ‘presenza’ storica e la conquista della coscienza di classe con l’insorgenza.

Viene chiamata infatti ‘prosa della controinsurrezione’ - controinsurgencia - la narrazione delle classi dominanti contro l’insorgenza delle classi subalterne, che si manifesta in diverse forme e modi riferiti alle specifiche connotazioni politico-culturali con cui si struttura il dominio senza egemonia.

 

 + Guha, Ranajit Guha, La storia ai limiti della storia del mondo - con un testo di Rabindranath Tagore e Introduzione di Massimiliano Guareschi, Sansoni, 2003, pag.49.

 

+1. “un grande acume nell’interpretazione delle fonti quanto mai necessario per chi si arrischia nel difficile compito di scrivere la storia dei Subalterni sulla base degli archivi prodotti dai dominatori. I subalterni infatti, per definizione, non producono le proprie fonti; di esse parlano le fonti di chi cerca di mantenerli in uno stato di soggezione. Eppure Guha è riuscito a riconoscere la soggettività dei subalterni negli archivi e nei racconti dei dominatori. Queste tracce sono state lasciate dai subalterni proprio nel momento in cui hanno scelto di rovesciare l’ordine che li condannava alla miseria e alla sottomissione.”, Paolo Capuzzo, da Gramsci, le culture e il mondo, Viella 2009, ed. e.book, pos.384 di 3249.

+2. Nel delineare una metodologia di analisi delle fonti, Guha si affida ai risultati della linguistica così da poter decrittare l’intero corpus degli scritti storiografici per andare oltre l’aura ingannevole di «perfetta neutralità». La critica ha origine nell’«esame delle componenti del discorso, veicolo di ogni ideologia», e quindi dall’individuazione dei segmenti, classificati secondo la loro finalità in funzioni– ruolo indicativo – e indizi– ruolo interpretativo. Successivamente, attraverso un’operazione metalinguistica, si assegna un nome ai diversi segmenti; emerge in questo modo la struttura narrativa del discorso storico e l’intreccio tra il carattere metonimico – il racconto dei fatti – e quello metaforico di elaborazione. La decostruzione e l’analisi sequenziale consentono così di individuare tra le «fessure del tessuto narrativo» il codice della controinsurrezione e la conseguente distorsione della storiografia. - Anna Cerchi, Ranajit Guha e i Subaltern Studies: fonti e metodi della storiografia subalterna, su Academia.edu

Il narratore della storia subalterna si appropria del proprio oggetto storico attraverso un processo di inversione e di presa di coscienza negativa: l’essere subalterno si manifesta nello spazio di antagonismo delineato dalla coscienza ufficiale e colonialista, e ciò che ne emerge è una “immagine catturata in uno specchio deformante”, precisamente «image caught in a distorting miror»,

Ranajit Guha, Elementary Aspects of Peasant Insurgency in Colonial India, Delhi, 1983, Oxford University Press, pag.333

#SubalternStudiesItalia
#tributeRanajitGuha #SubalternStudies







martedì 23 maggio 2023

SUBALTERN STUDIES ITALIA SALUTA RANAJIT GUHA

 

23 maggio. Omaggio ad un maestro.



LO STORICO INDIANO RANAJIT GUHA fondatore dei Subaltern studies (1982) + è morto in Austria il 28 aprile scorso. Oggi avrebbe compiuto 100 anni.

- Alle classi subalterne non spetta un posto nella storia, sono la storia. Il dominio “senza egemonia” è prosa della storia, il disegno hegeliano di ‘astuzia della ragione’, dominio occidentale nella storia, coloniale e razzista, quelle delle élites dirigenti e della loro controinsurrezione. L’insorgenza dei subalterni è la prosa del mondo dei popoli senza storia, che si riappropriano della storia del mondo. Cioè della loro storia. Nelle società postcoloniali senza mediazione politico culturale delle classi dominanti, si sviluppa il processo rivoluzionario contro il sistema imperialista del colonialismo capitalista. È la battaglia per l’egemonia per sconfiggere il dominio senza egemonia (Dominance Without Hegemony) di Gramsci, il filosofo marxista che con il Quaderno 25, scritto a Formia dal 1934, sviluppa le fondamenta della teoretica rivoluzionaria e pone il tema dei subalterni. /

 

Le premesse. La voce dell’insurrezione è la voce delle classi contadine.

 

Le nostre simpatie andavano al movimento contadino che si ispirava alla rivoluzione cinese e alle idee di Mao Tse-tung. Noto come movimento Naxal (da Naxalbari, il distretto rurale dove si era formato), esso fu schiacciato dagli sforzi congiunti del Congresso e dei due partiti comunisti in una serie di feroci operazioni repressive tra il 1968 e il 1971.

Ranajit Guha, Omaggio ad un maestro, da: Gramsci le culture e il mondo, a cura di Giancarlo Schirru, Viella, 2009, in collaborazione con Fondazione Istituto Gramsci onlus e International Gramsci society Italia, cit. da 1ed. e.book 2011 /

- Oltre che nei passaggi in cui vengono riportate le dichiarazioni dei ribelli, la mentalità che si cela dietro all’insurrezione emerge anche in maniera più sottile e recondita: la subalternità è un concetto topologico, una posizione fisica che affiora dai confini escludenti della presenza, e quindi della scrittura, dominanti. Nei documenti si profila una sorta di dipendenza e complementarietà dialettica tra le due parti in causa (cfr. Ranajit Guha, Elementary Aspects of Peasant Insurgency in Colonial India, Delhi, 1983, Oxford University Press, pag.15). /

 

L’anno di nascita dei Subaltern studies può essere considerato il 1982 con la pubblicazione di Ranajit Guha “Writings on South Asian History and Society” (1.) - Scritti sulla storia e la società dell'Asia meridionale, Delhi: Oxford University Press. L’opera Elementary Aspects of Peasants Insurgency in Colonial India (1983) è il risultato dell’applicazione dei presupposti teorici del primo periodo del collettivo (1982-89). La forma del collettivo di ricerca è metodo e sostanza di studio e  lavoro collaborativi, resa funzionale alla nuova narrazione dei gruppi sociali subalterni. / fe.d., in memoria di Ranajit Guha, 23.05.2023

La pagina dedicata a Ranajit Guha nella sezione Subaltern studies Italia di Lavoro Politico - web http://lavoropolitico.it/subaltern_studies_storia.htm

Tag.: #RanajitGuha #SubalternStudies #SubalternStudiesItalia

In questo blog trovi anche:

I ‘POPOLI SENZA STORIA’: PROSA DEL MONDO O PROSA DELLA STORIA

 

IL DOMINIO SENZA EGEMONIA. GRAMSCI e GUHA

 


RANAJIT GUHA E I SUBALTERN STUDIES

 


Ranajit Guha: l”adattamento” di Gramsci nei Subaltern studies

 


Alle origini dei Subaltern Studies: come nacquero dai margini di Gramsci










martedì 16 maggio 2023

IL CONVEGNO DI MATERA DEL 6 FEBBRAIO 1955: ROCCO SCOTELLARO, INTELLETTUALE DEL MEZZOGIORNO

 

IL RAPPORTO TRA PANZIERI E SCOTELLARO


Non abbiamo aspettato gli anniversari: per noi studio e ricerca su Rocco Scotellaro, intellettuale meridionale ’organico’ alle classi subalterne, di tipo e impostazione gramsciani, è un impegno permanente. Ma anche quello su Raniero Panzieri, nel metodo e nel merito. Nel metodo dell’inchiesta sociale e la ricerca collettiva, la ‘conricerca’, con i soggetti stessi dell’indagine autori della propria storia fuori la mediazione delle classi dominanti e l’indispensabile aggiornamento sulla composizione di classe per la soggettività rivoluzionaria. Nel merito di una concezione di democrazia sociale integrale, diretta e rappresentativa insieme, a partire dai luoghi di lavoro, connettendosi al Gramsci consiliarista dell’Ordine Nuovo e oggi di estrema attualità come contrapposizione ai modelli imperialistici e nazionalisti. Dunque continueremo a offrirvi materiali storici crediamo indispensabili per continuare l’analisi subalternista. / fe.d.

 

- In qualità di responsabile della sezione stampa e propaganda del PSI, tra il settembre del 1954 e il febbraio del 1955, Raniero Panzieri organizza tre convegni: “Sulla difesa del cinema italiano” (Venezia), “Per la libertà della cultura” (Bologna) - entrambi nel settembre 1954 - “Rocco Scotellaro intellettuale del Mezzogiorno (Matera, 6 febbraio 1955), introdotto dalle relazioni di Carlo Levi, Franco Fortini, e concluso dallo stesso Panzieri che poi ne scrisse su ‘Mondo operaio’ in collaborazione con Pietro Nenni.

 

IL CONVEGNO DI MATERA DEL 6 FEBBRAIO 1955: ROCCO SCOTELLARO, INTELLETTUALE DEL MEZZOGIORNO

Promosso dal Partito Socialista Italiano in occasione del primo anniversario della morte.

A introduzione della discussione vi furono le relazioni di Vincenzo Milillo, “Vita di militante di Rocco Scotellaro”; Carlo Levi, “Cultura e contadini in Rocco Scotellaro”; Franco Fortini, La poesia di Rocco Scotellaro”, poi pubblicata nel volumetto dallo stesso titolo, Basilicata Editrice, Roma, 1974. Il programma prevedeva anche una relazione di Raniero Panzieri (“Scotellaro, gli intellettuali e la rinascita del Mezzogiorno”) che però rinunziò a svolgerla, ricomprendendola nelle sue conclusioni al Convegno. Alla presidenza era Tommaso Fiore. Come risulta dallo scritto di Giovanni Pirelli (“Il dibattito sull’opera di Rocco” in “Mondo operaio” nr.4 del 19 febbraio 1955, pp.4-6), nel corso della discussione presero la parola Luigi Anderlini, Carlo Muscetta, Vincenzo Tarricone, Muzio Mazzocchi Alemanni, Mario Alicata, i contadini Andrea Di Grazia (democristiano e protagonista di una delle biografie raccolte da Scotellaro) e Zazo (segretario della sezione socialista di Tricarico), A.M.Cirese. In occasione del Convegno venne organizzata a Matera una mostra di opere di Carlo Levi e Renato Guttuso, dedicate al Mezzogiorno; vennero proiettati anche il film “La terra trema” di Luchino Visconti, il documentario di Giulio Petroni sulla pittura di Guttuso e Levi, e quello di Carlo Lizzani, “Qualcosa è cambiato nel Mezzogiorno”.

Del Convegno non vennero pubblicati gli Atti; gli fu invece dedicato quasi per intero (pp.1-12 e 17-20) un fascicolo del quindicinale del PSI, “Mondo operaio” (VIII, nuova serie, nr.4, ivi). Il fascicolo contiene un lungo editoriale ( “Il meridionalismo di Scotellaro", pp.1-3) firmato M.O. ma scritto da Raniero Panzieri e comparso poi con la sua firma sull’”Avanti!” del 20 febbraio 1955.

 

- Il Convegno di Matera ebbe una certa risonanza sulla stampa nazionale e locale, di sinistra e di destra. Una lista delle cronache e dei commenti (non priva però di qualche lacuna) può ricavarsi dalla meritoria bibliografia scotellariana di Franco Vitelli, più avanti citata. Particolare segnalazione tra gli altri commenti merita quello di M. Alicata, Da Bologna a Matera: Lotte e idee nelle campagne ( prima in ‘Il Contemporaneo’, II, nr.8, 19 febbraio 1955, e poi nel volume dello stesso Alicata, La battaglia delle idee, Editori Riuniti, Roma 1968, pp.83-86), in cui si giudica che, in ragione del preciso collegamento tra ‘politica’ e ‘cultura’, il dibattito di Matera abbia fatto avanzare “d’un bel passo” l’indagine critica sull’opera di Scotellaro come poeta e come rilevatore di biografie contadine. 

Il dibattito di Matera si intreccia naturalmente con le più ampie discussioni allora in corso sul tema (e l’ideologia) della ‘civiltà contadina’, così strettamente collegato con “Cristo si è fermato ad Eboli” (e gli altri lavori di Carlo Levi), e con “Contadini del Sud” o più in generale con l’opera poetica di Scotellaro. 

·         Alcuni degli scritti più sopra menzionati sono stati ristampati (con criteri di scelta e di ordinamento non sempre chiarissimi) nel volume Omaggio a Scotellaro (Lacaita editore, Manduria, 1974) a cura di Leonardo Mancino; alle pp. 797-815 il volume contiene un’ampia bibliografia cronologica curata da Franco Vitelli. 

·          

 - estratto redazionale #SubalternStudiesItalia da Alberto Mario Cirese, Intellettuali, folklore, istinto di classe - Note su Verga, Deledda, Scotellaro, Gramsci, Einaudi, 1976, pp. 139-141

 

Cfr. anche Alberto Mario Cirese, Per Rocco Scotellaro: letizia, malinconia e indignazione retrospettiva, scritto per gli “Annali di San Michele”, nr. 18, 2005, pp. 201-233

http://www.etesta.it/materiali/2018_2019_amc_SCOTELLARO2005.pdf

In questo scritto, in cui Cirese intreccia molti ricordi personali, sono esplicitati numerosi particolari sulle 'stroncature' del critico letterario del PCI Carlo Muscetta (il più critico, insieme al posteriore Alberto Asor Rosa, dell'opera del poeta e intellettuale di Tricarico, con stile alquanto altezzoso, molto più dello stesso Alicata, che a Matera ebbe modo di chiarire la sua posizione politico-culturale con toni di profondo rispetto) e sul controverso rapporto con Ernesto de Martino, sebbene nel suo scritto documentato, minuzie (o che appaiono tali) diventano troppo giganti e 'dietrologiche'. Sicchè bisognerebbe rendere contestuale il rapporto fra lo stesso Cirese e l'etnologo napoletano.  

 

Panzieri-Scotellaro, ‘Mondo Operaio’ nr. 4 del 19 febbraio 1955 sul convegno di Matera del 6 febbraio estratto - - -

 


CONTADINI come SOGGETTO CULTURALE e POLITICO / l’autonomia e la “rabbia appassionata” tit. #SubalternStudiesItalia

 

- Nello sforzo di avvicinare ed esprimere il momento drammatico della rottura con il passato ed il risveglio alla storia nazionale e alla lotta del mondo contadino, gli intellettuali recano un contributo decisivo alla formazione della cultura nazionale. In questa consapevole tendenza, attraverso e al di là delle inevitabili incertezze, è la lezione esemplare dell’opera di Rocco Scotellaro.

Nel moto di rinascita mutano dunque profondamente i rapporti tradizionali tra contadini e intellettuali.

Dietro la «rabbia appassionata» dei contadini oppressi del Sud nei confronti degli intellettuali di cui parlava Gramsci, in particolare nei confronti della piccola borghesia intellettuale del Mezzogiorno c’era il «mistero» della cultura come strumento indispensabile ed inaccettabile di vita e di oppressione insieme. Ma sempre in. questa «rabbia appassionata » c’è stata l’aspirazione alla conquista della cultura, della autonomia. Questa conquista diviene possibile nel momento in cui presso le masse contadine si forma la coscienza precisa dei loro problemi e delle loro rivendicazioni, in cui cioè questi problemi vengono da esse riconosciuti nel loro valore obiettivo e collettivo e nel nesso con le altre questioni del Paese.

Questo riconoscimento positivo, questo inserimento della vita e delle esigenze del mondo contadino nella società nazionale, è per le masse rurali conquista, certo faticosa, di una propria nuova autonomia e con essa trasformazione della «rabbia appassionata» verso la cultura in rivendicazione e amore positivo di cultura. (..)

I contadini del Sud — è stato detto a Matera ed è stato dimostrato dalla profonda serietà dell’incontro tra contadini e intellettuali — sono forza matura e capace ormai di far propria e di sostenere questa lotta, con lo slancio e il disinteresse insieme che essa richiede. Le masse meridionali sanno ormai che l’affermazione della loro autonomia può e deve anche realizzarsi in forme precise e sempre più mature nella difesa e nello sviluppo della cultura, sostanza ed arma della loro richiesta di libertà.

Raniero Panzieri (e Pietro Nenni)

 

fonte: https://salvatoreloleggio.blogspot.com/2019/07/il-meridionalismo-di-scotellaro-pietro.html?fbclid=IwAR0OxD3TV55LPvwLGKbA8tuVUlm5SKz44iRTkgKPS0ex4kJd9EwEf2E90Xo

 




Tag.: #RoccoScotellaro #RanieroPanzieri

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