Subaltern studies Italia

L’analisi e la classe - a cura di Ferdinando Dubla

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martedì 5 dicembre 2023

LA CLASSE OPERAIA VA ALL’INFERNO: LA "PALAZZINA LAF" DI MICHELE RIONDINO

 





Taranto - Dopo l’anteprima romana, il 22 novembre 2023 è stata proiettata in prima assoluta a San Giorgio Jonico al Cine multisala Casablanca il film di Michele Riondino, figlio di questa terra (bellissima la colonna sonora di Diodato, “La mia terra” ) PALAZZINA LAF.

Una ricostruzione neorealista ma con moderno linguaggio cinematografico del mobbing operaio e la discriminazione di classe all’interno dell’Ilva di Taranto alla fine dei 90 del secolo scorso, anni in cui si propalava la scomparsa della classe e dunque della sua centralità politica. Ma si era fatta invisibile per le classi dominanti nel dominio del senso comune. La classe c’era, eccome, era all’inferno, era alla Palazzina LAF. Un film dunque dal solido impianto civile e “engagè” diceva Sartre, impegnato, dagli echi grotteschi, arrabbiati e per questo rivoluzionari, che rimandano a “La classe operaia va in paradiso“ di Elio Petri del 1973, e Gian Maria Volontè che oggi veste i panni del siderurgico Caterino Lamanna - Michele Riondino.

 

Accanto all'attore e regista tarantino in sala anche  Claudio Virtù, uno dei mobbizzati del 1997 all’Ilva di Taranto e autore di un libro dal medesimo titolo da cui è stata tratta la sceneggiatura. “Naturalmente ambientalista, sono figlio di operai e un operaista, mi hanno chiesto di occuparmi di cinema e non di politica o di sindacato, ebbene ho fatto cinema, per amore della mia città. Ne è scaturita una critica al cinismo e all’indifferenza, al menefreghismo e all’arrivismo, il vano blandire il padrone, ma nello stesso tempo la necessità di accrescere la coscienza di classe e la consapevolezza civica diffusa, registrando la crisi di rappresentativitá del sindacato in fabbrica. La figura di Caterino Lamanna, che porta il nome di uno dei primi confinati di reparto alla FIAT, è l’emblema di tutte le contraddizioni che la presenza siderurgica e la protervia padronale porta in una città baciata dal mare e dalla natura, da quelle ambientali a quelle sociali del Sud operaio. / fe.d.

 

La mia città, in una sorta di autoanalisi, sta metabolizzando il racconto del film e ne sta traendo conclusioni molto importanti.

Il mio film però non è solo per Taranto, per i tarantini.

Palazzina laf vuole raccontare la condizione dei lavoratori delle nostre fabbriche, vuole parlare del silenzio che c’è attorno e dentro alle nostre fabbriche.

Il mio film parla dei lavoratori: di quelli che difendono la propria dignità, il proprio ruolo e le proprie competenze e di quelli che sono disposti a vendere la propria dignità e i propri colleghi pur di ricoprire un ruolo che non gli compete.

Il mio film è un urlo di rabbia nei confronti della politica (soprattutto di sinistra) e del sindacato per aver abbandonato la dimensione umana del lavoratore e averlo ridotto a una semplice tessera sindacale. Michele Riondino, 4.12.2023

 

La recensione di Paola Casella, del "Quotidiano di Puglia", 2.12.2023


Ho visto Palazzina Laf: film crudo, realistico e soprattutto coraggioso. Quella vicenda è consegnata alla storia, ma non è ancora troppo lontana nel tempo. L’interpretazione di Michele Riondino è magistrale, ha impersonato il protagonista, Caterino Lamanna, con l’anima ed ogni fibra del suo corpo, per l’intensità della sua espressione mi ha ricordato in qualche tratto Eduardo De Filippo.

Bravissimi Elio Germano, che ha dato vita a Giancarlo Basile, un personaggio che resterà ormai nella storia del cinema, e tutti gli altri attori che hanno messo a nudo in modo autentico e credibile l’umanità dei personaggi.

Al centro della storia il primo caso di mobbing della storia d’Italia, il diritto ad un lavoro degno, accennato il dramma sanitario.

Struggente l’interpretazione di Diodato nella colonna sonora che è una poesia d’amore in musica per la nostra terra.

In primo piano nel film la fabbrica, il suo inferno, il quartiere Tamburi, la masseria, che mi è sembrata quella di Vincenzo Fornaro; la città si è vista, invece, solo sullo sfondo, bellissima, ma lontana e, all’epoca, ancora ignara della sua condizione, della sua forza e soprattutto del nuovo destino che ormai pretende. -

 

Ottima recensione quella della giornalista Paola Casella, ma voglio solo fare una considerazione: nel 1997, anno in cui è ambientato il film, la popolazione di Taranto forse non si sa pensare ancora senza la grande fabbrica siderurgica, ma ignara non lo era: la consapevolezza in particolare ecologica crescerà sempre di più, meno nelle classi dirigenti politiche, “tutti si abbeverano alla mamma Italsider” era un motto che si sentiva spesso, per indicare che un’intera città era legata e dipendeva dalla monocultura dell’acciaio, che dà benessere ‘a tutti’ e da cui la classe politica dominante e “im-prenditori” scassati “prendono prebende”. La vicenda della palazzina LAF scuote ancor di più le coscienze, rimette al centro la posizione della classe operaia, alle prese in quegli anni con la privatizzazione del ‘polo siderurgico strategico’: tanto strategico da essere svenduto dal governo Dini a un padrone senza scrupoli, mentre la città era governata dal ‘citismo’ e l’estrema destra egemone, sindaco Gaetano De Cosmo. Pochi allora compresero, questo sì, che quella vicenda di mobbing operaio alludeva a una necessaria svolta storico-politica, l’unità di cittadini e lavoratori, per riprendere in mano il destino del proprio territorio. Ma c’è chi non lo comprende ancora adesso. 

- Il 26 novembre 2017 ci lasciava precocemente Alessandro Leogrande, scrittore e giornalista d’inchiesta tarantino dalla parte degli ultimi. Anche l’ultimo film dell’attore e regista Michele Riondino, anche lui di Taranto, PALAZZINA LAF, è dedicato a lui. Anche la recente cura editoriale delle poesie del poeta-operaio Pasquale Pinto di Stefano Modeo per Marcos y Marcos (”La terra di ferro”) va inscritta in un lascito ”alessandrino”.

Perché noi, in queste terre, gli siamo tutti debitori. Amava Pasolini, Alessandro, studiava Gramsci, utilizzava molte loro analisi e categorie per capire il presente dell’emarginazione sociale, delle storie di chi non ha voce per raccontarle. Pagine dolenti le sue, necessarie però al riscatto dei subalterni. E un atto d’amore per i sud senza latitudine. 

 

Ci sono città che diventano specchio del paese, delle sue trasformazioni, dei suoi nodi irrisolti, dei suoi fallimenti, delle sue cadute, delle sue ansie di riscatto. Taranto è una di queste: singolare laboratorio urbano, stretto tra le ciminiere dell’Ilva e il mare che si apre davanti ai suoi palazzi, emblema dello sviluppo novecentesco e del suo rifluire verso una crisi profonda. Taranto è una città a strati. Una città in cui i piani storici, temporali, sociologici si accavallano, spesso nascondendosi a vicenda. L’essere stata una antica capitale della Magna Grecia, un porto del Mediterraneo avvezzo al meticciato e alle più disparate dominazioni straniere, è solo uno di questi strati: uno strato sempre più difficile da afferrare, che sprofonda nei meandri della Storia e sovente ritorna sotto forma di sogno o pulsione nascosta. Ma la città che conosciamo, quella che oggi si estende come una grigia lingua di cemento per diversi chilometri all’apice del golfo che prende il suo nome, è in realtà una città profondamente novecentesca, segnata dalla grande industria e dalle politiche di sviluppo che l’hanno determinata. Negli ultimi decenni dell’Ottocento, subito dopo l’Unità d’Italia, Taranto aveva poco più di trentamila abitanti. Essi abitavano per lo più nell’antica isola, la città vecchia. Con la costruzione dell’Arsenale militare è iniziato il caotico sviluppo economico e urbanistico che l’ha poi contraddistinta per tutto il ventesimo secolo. Proprio sul fallimento di quell’apparato militar-industriale, è stato in seguito edificato il sogno siderurgico, la nuova industria di Stato che ha fatto di Taranto la città più operaia del Mezzogiorno. Di quella fucina prometeica, incistata sulle rive dello Ionio, solo molto tempo dopo si sono raccolti i cocci. 

Alessandro Leogrande, 2013, da “Fumo sulla città”, Fandango, cit. ed. digitale Feltrinelli 2022, §corrispondente


- Il film di Riondino PALAZZINA LAF è dedicato ad Alessandro Leogrande. Crediamo sia proprio l’opera da noi citata ad aver costituito una prima sceneggiatura del film, corroborata da un altro testo che per l’attore e ora anche regista di terra jonica è stato fonte di ispirazione per l’intera vicenda e il profilo dei personaggi: PALAZZINA LAF - Mobbing: la violenza del padrone, di Claudio Virtù (in foto accanto a Michele Riondino alla prima di Taranto) per le edizioni Archita, 2001, testo ormai introvabile e da ristampare per una sua distribuzione su larga scala.


#LavoroPolitico #PalazzinaLAF #mobbing #classeoperaia

 



 

C’è ora anche da annoverare il libro del poeta-operaio (dell’Ilva) Pasquale Pinto, curato da Stefano Modeo per Marcos y Marcos “La terra di ferro e altre poesie (1971-1992)“ https://www.leparoleelecose.it/?p=38661

oltre che il saggio di Salvatore Romeo “L'acciaio in fumo-L'Ilva di Taranto dal 1945 a oggi”, per Donzelli, 2019, che sta diventando un classico storiografico di storia dell’industria, indispensabile per la memoria operaia.

Per l’analisi politico-sociologica cfr. su questo blog

 

Mutazione antropologica e paradigma produttivistico: il caso-Taranto e l'analisi marxista

 



 

 

a cura di Ferdinando Dubla


domenica 26 novembre 2023

SIONISMO, IMPERIALISMO e CAPITALISMO

 





Cos’è il sionismo? Un’ideologia, una teoria politica? Non è un’ideologia, perchè nel suo atto di fondazione (“Lo Stato ebraico” di Theodor Herzl, giornalista di origini ungheresi naturalizzato austriaco, del 1896) c’è la rivendicazione nazionalista ma non delle basi sociali di uno Stato ispirato a precise idealità valoriali. È dunque una teoria politica nazionalista, sviluppatasi poi in termini teologici e religiosi nella sua parte egemone di legittimità di occupazione territoriale. È esistito infatti un sionismo socialista (Moses Hess, ma anche David Ben-Gurion) che verso gli anni trenta mise in ombra il "sionismo politico" sia sul piano internazionale sia nel Mandato britannico della Palestina, dove i sionisti socialisti predominavano tra le molte istituzioni dello Yishuv, la comunità ebraica del periodo precedente all'indipendenza, soprattutto nella federazione sindacale nota come Histadrut. E il sionismo cosiddetto “revisionista”, di Vladimir Žabotinskij, leader dell'Organizzazione Nazionale Militare sionista Irgun con il progetto di una legione ebraica in Palestina, anticomunista e ispirato dal fascismo, tant’è che il leader del revisionismo italiano - Leone Carpi- negli appunti del suo discorso per il Congresso revisionista del 1935 a Vienna, ribadiva le affinità col fascismo in quanto ideologia nazionale. L’egemonia del sionismo politico si è avuta nella storia proprio per la sovrapposizione del fondamentalismo integralista religioso nella sfera politica, legittimando la statualità nazionalista in termini biblici, in realtà coprendo gli interessi imperialisti occidentali a guida USA-NATO nei confronti del mondo arabo, con una progressiva e violenta colonizzazione funzionale geostrategicamente ed economicamente, al capitalismo internazionale. / fe.d. #subalternstudiesitalia 

 

 IL CONFLITTO TRA IL SIONISMO e il POPOLO PALESTINESE

è certamente più complesso della battaglia contro l’apartheid, anche se in entrambi i casi abbiamo un popolo che ha pagato o che paga ancora un prezzo pesantissimo fatto di spoliazione, pulizia etnica, occupazione militare e profonda ingiustizia sociale. Gli ebrei sono un popolo con una tragica storia di persecuzione e genocidio; poichè sono legati dalla loro antica fede alla terra di Palestina, il loro “ritorno” a una patria promesso dall’imperialismo inglese parve a buona parte del mondo (ma soprattutto a un Occidente cristiano responsabile dei peggiori eccessi dell’antisemitismo) come un risarcimento eroico e giustificato per ciò che avevano sofferto. Ma per anni pochi hanno prestato attenzione alla conquista della Palestina da parte delle forze ebraiche o alla popolazione araba già presente che ne pagava i costi esorbitanti, con la distruzione della sua società, l’espulsione della maggioranza e l’odioso sistema giuridico - in pratica una forma di apartheid - che ancora la sottopone a discriminazione all’interno di Israele e nei territori occupati. (..) Due popoli in una terra, oppure uguaglianza per tutti, oppure una testa un voto, oppure un’umanità comune affermata in uno stato binazionale.

Edward Said, Al-Arham, 1-7 marzo 2001 e Al-Hayat, 2 marzo 2000

#EdwardSaid

 

 

 

Edward Said (Gerusalemme, 1935 - New York, 2003)

 

cfr. anche su questo blog:

 

EDWARD SAID: INTERPRETARE L’OGGI CON LE LENTI DELLA STORIA

 

EDWARD SAID tra Oriente ed Occidente

 

 

La politica di occupazione israeliana in Palestina


Palestinian Academic Society for the Study of International Affairs (PASSIA) | passia.org
Traduzione a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

2023

[Avvertenza della redazione: le cifre e i dati dell'occupazione militare israeliana in Palestina contenuti in questo quadro sintetico sono aggiornati al 2022. Pur non comprendendo gli eventi del 2023, precedenti e successivi al 7 ottobre scorso, forniscono tuttavia una misura dell'impatto che tali pratiche hanno sulle condizioni di vita del popolo palestinese]


Uccisioni e ferimenti

- Le cifre relative a morti e feriti variano a seconda delle fonti. Secondo il PCBS, dalla Nakba del 1948 al 5 maggio 2021, sono stati uccisi oltre 100.000 Palestinesi e Arabi (all'interno e all'esterno della Palestina) (PCBS, Comunicato stampa sulla 73esima commemorazione annuale della Nakba palestinese, 10 maggio 2021).

- Il seguente grafico mostra il numero di Palestinesi uccisi dalle forze israeliane o da coloni/civili dallo scoppio della prima Intifada nel dicembre 1987, come monitorato dal gruppo israeliano per i diritti umani B'Tselem. (Le cifre non comprendono: i palestinesi cittadini di Israele uccisi dalle forze israeliane; gli attentatori suicidi palestinesi; i palestinesi morti a causa dei ritardi nel ricevere trattamento medico, per esempio bloccati ai checkpoint)

 



- Secondo l'OCHA, 136 Palestinesi sono stati uccisi dalle forze israeliane (Cisgiordania: 99, Striscia di Gaza: 32 Israele: 4) e 3 dai coloni nel 2022, al 10 ottobre. Del totale, 35 erano minori di 18 anni (2 ragazze e 33 ragazzi) e 8 donne. Sul versante israeliano, 13 persone sono state uccise da palestinesi (Cisgiordania: 4, Israele: 9): 4 forze armate, 9 civili (OCHA, Dati sulle vittime, 10 ottobre 2022).

- Nello stesso periodo, 8.321 Palestinesi sono stati feriti (Cisgiordania: 8.300, Striscia di Gaza: 19, Israele: 2), la maggior parte dei quali dalle forze israeliane. Almeno 826 del totale erano minori. Sul lato israeliano, 110 persone sono state ferite da palestinesi (Cisgiordania: 86, Israele: 24): 30 forze armate, 80 coloni e civili (Ibid.). - Tra il 2000 e il settembre 2022, 2.220 bambini sono stati uccisi a causa della violenza militare israeliana o dei coloni, tra cui 547 di età compresa tra 0 e 8 anni. La maggior parte (1.709) è stata uccisa a Gaza. Queste cifre non includono i bambini coinvolti nelle ostilità. Nel 2022, 22 bambini sono stati uccisi a settembre (per dettagli e aggiornamenti: https://www.dci-palestine.org/child_fatalities_statistics).

- Le autorità israeliane hanno detenuto circa 1 milione di Palestinesi da quando è stato fondato lo Stato di Israele nel 1948 e oltre 650.000 Palestinesi dal 1967 (Addameer).

- Dal 1967, quasi 1 milione di Palestinesi sono stati arrestati da Israele, tra cui 17.000 donne e 50.000 bambini, e sono stati emessi oltre 54.000 ordini di detenzione amministrativa (Commissione per gli Affari dei Detenuti e degli Ex-Detenuti, citata in Anadolu Agency, 5 giugno 2021), di cui 9.500 solo dal 2015 (Palestinian Prisoner's Society).

- Al 18 ottobre, Israele aveva detenuto circa 5.300 Palestinesi nel 2022, tra cui 620 bambini e 111 donne. Del totale, 2.353 erano abitanti di Gerusalemme e 1.610 erano detenuti in via amministrativa (Palestinian Prisoner's Society).

- Nei primi nove mesi del 2022, Israele ha emesso oltre 1.610 ordini di detenzione amministrativa per i Palestinesi. (www.addameer.org/) e ha condotto 2.481 operazioni di arresto in Cisgiordania (https://www.ochaopt.org/poc/13-26-september-2022).

- I prigionieri politici palestinesi (chiamati da Israele "prigionieri di sicurezza") sono detenuti in 18 prigioni (Damon, Hadarim, HaSharon, Rimonim, Ayalon, Nitzan, Neve Tirza, Ramleh, Ashqelon, Gilboa, Shatta, Megiddo, Ofer, Ayala, Ohalei Kedar, Eshel, Ketziot/Negev, Nafha e Ramon), 3 centri di detenzione (Salem, Huwwara e Gush Etzion) e 4 centri di interrogatorio (Haifa, Petah Tikva, Ashkelon e Al-Moskobiya a Gerusalemme). Inoltre, esiste un tribunale militare a Ofer (Addameer).

- Bambini in detenzione: Mentre un bambino israeliano non può essere condannato a una pena detentiva fino all'età di 14 anni, secondo la legge civile, le forze israeliane possono mandare in prigione i bambini palestinesi all'età di 12 anni, secondo la legge militare. Secondo il DCI, oltre 8.000 bambini palestinesi sono stati detenuti e processati nel sistema di detenzione militare israeliano dal 2000, in media 500-700 ogni anno. A giugno 2022, 137 bambini di età compresa tra i 12 e i 17 anni erano detenuti, tra cui 1 ragazza e 5 in detenzione amministrativa (DCI Palestina, https://www.dci-palestine. org/bambini_in_detenzione_israeliana).

- Dal 1967 e fino a settembre 2022, 230 Palestinesi sono morti nelle carceri israeliane, di cui 2 nel 2022: l'ex prigioniero Ihab Al-Kilani, di Nablus, è morto il 16 maggio a causa di un cancro derivante da negligenza medica al momento della sua detenzione, e Saadia Farajallah, 68 anni, di Idna, vicino a Hebron, è morta il 2 luglio a Damon (Palestinian Prisoners Club).

- Sebbene l'Alta Corte di Giustizia israeliana abbia vietato l'uso della tortura arbitraria come metodo di interrogatorio il 6 settembre 1999, essa è ancora praticata, compresi l'isolamento, la privazione del sonno, le aggressioni fisiche e sessuali, le posizioni di stress, i lunghi interrogatori, le minacce, l'impedimento delle visite dei familiari e degli avvocati. Dal 2001, oltre 1.300 denunce presentate da vittime di tortura sono state presentate al Ministero della Giustizia, ma solo due sono state esaminate e nessuna ha portato a un'incriminazione (PCATI, Tortura in Israele 2021, Rapporto sulla situazione, 2021).

Espropriazione e distruzione di terreni e proprietà

- Nel corso della Nakba del 1948, Israele ha espropriato circa 17.178.000 dunum (1.000 dunum=1 km2 ) di terra ai Palestinesi e, tra il 1950 e il 1966, altri 700.000 dunum ai Palestinesi rimasti nel territorio del nuovo Stato. Dopo la guerra del 1967, Israele ha espropriato 849.000 dunum di terra palestinese, di cui oltre 400.000 dunum appartenevano a Palestinesi sfollati dalla Cisgiordania e dalla Striscia di Gaza durante la guerra (Badil, Survey of Palestinian Refugees and Internally Displaced Persons (2010-2012), Vol. VII, 2012).

- Israele controlla oltre l'85% della terra della Palestina storica (rispetto al 6,2% durante il Mandato britannico) (PCBS, Comunicato stampa, 73esima commemorazione annuale della Nakba palestinese, 10 maggio 2021).

- Nel corso del 2021, Israele ha confiscato 25.365 dunum di terra palestinese in Cisgiordania, ha distrutto 2.931 dunum (per la maggior parte tramite l'immersione in acque reflue o acqua, in misura minore tramite ruspe, vandalismo, spruzzatura di sostanze chimiche e incendi dolosi) e 17.755 alberi, e ha demolito 93 pozzi e serbatoi d'acqua ("Violazioni israeliane contro alcune risorse naturali nel corso del 2021", Land Research Center, febbraio 2022).

- Un database su tutte le leggi e le proposte di legge israeliane che promuovono l'annessione della Cisgiordania occupata a Israele è disponibile qui: https://www.yesh-din.org/en/legislation/.

Residenza, chiusure e restrizioni di movimento

- Nel giugno 1967, subito dopo l'occupazione dei Territori palestinesi, Israele ha condotto un censimento in cui solo i Palestinesi che erano allora presenti nei Territori palestinesi occupati (TPO) sono stati registrati come residenti legali nel registro della popolazione e successivamente hanno ricevuto carte d'identità.  Da allora, Israele ha mantenuto il pieno controllo dell'anagrafe, nonostante gli Accordi di Oslo richiedessero il suo trasferimento - insieme ad altre questioni civili - all'Autorità Palestinese per le Aree A e B. Le persone non iscritte all'anagrafe possono unirsi legalmente alle loro famiglie e risiedere in Cisgiordania solo dopo l'approvazione di Israele per l'unificazione familiare, che tuttavia non è un diritto acquisito, ma un atto 'benevolo' delle autorità israeliane. Dal 1967, queste hanno cancellato o rifiutato la registrazione, la residenza e le richieste di unificazione familiare di decine di migliaia di Palestinesi, per lo più con la motivazione di essere rimasti fuori dal Paese per troppo tempo (www.hamoked.org/files/2011/ 114221_eng.pdf).

- L'Autorità Palestinese non può emettere carte d'identità valide senza coordinarsi con Israele, lasciando migliaia di palestinesi senza documenti, compresi coloro che hanno riportato coniugi e figli dall'estero nei TPO coloro che cercano di cambiare il loro indirizzo da Gaza alla Cisgiordania e coloro che non si sono registrati all'età di 16 anni. Negli anni '90, Israele ha fissato una quota annuale per le autorizzazioni all'unificazione familiare, con un picco di circa 4.000 unità. Sulla scia della Seconda Intifada nel 2000, il processo di unificazione è stato di fatto interrotto. Nel 2007, Israele ha aperto la questione dell'unificazione familiare come gesto di buona volontà nei confronti dell'Autorità palestinese, esaminando circa 50.000 richieste e approvandone 32.000. Tra il 2010 e il 2018, sono state approvate solo cinque richieste. Nel 2022, c'erano ancora centinaia di richieste non evase. I cittadini stranieri coniugi di Palestinesi della Cisgiordania non possono aprire un conto bancario o lavorare legalmente. Se lasciano il Paese, potrebbero non essere autorizzati a tornare. Nel gennaio 2022, Israele ha promesso di 'legalizzare' lo status di 9.500 palestinesi e stranieri senza documenti che vivono nei TPO.

- Dal marzo 1993, ai palestinesi della Cisgiordania e della Striscia di Gaza è stata imposta una chiusura generale, negando loro l'ingresso in Israele e a Gerusalemme, la libertà di movimento all'interno della Cisgiordania e l'accesso ai luoghi di culto, al lavoro e ai servizi medici, educativi e di altro tipo. Coloro che entrano 'illegalmente' o aiutano altri a farlo rischiano il carcere e le sanzioni. La politica di chiusura di Israele non rispetta il diritto internazionale, secondo il quale Gerusalemme Est è parte integrante della Cisgiordania, e gli Accordi di Oslo, che considerano il Territorio palestinese come un'unica unità territoriale.

- Per spostarsi tra la Cisgiordania, la Striscia di Gaza e Gerusalemme Est o per viaggiare all'estero, la maggior parte dei palestinesi deve ottenere dei permessi da Israele, che sono validi solo per determinati periodi, orari, scopi e persone e possono essere annullati in qualsiasi momento. Particolarmente limitato è l'accesso alle strade dei coloni, alle aree vicine o controllate dagli insediamenti e alla terra e ad altre risorse naturali. In alcune aree della Cisgiordania, i palestinesi devono persino ottenere permessi speciali di 'residenza' per poter rimanere nelle loro case e/o accedere alla loro terra.

Demolizioni di case

- Durante la Nakba del 1948, Israele ha distrutto circa 52.000 case e strutture palestinesi e altre 56.500 dal 1967 nei TPO (https://icahd.org/).

- Tra il 2009 e la metà di ottobre 2022, Israele ha distrutto 8.867 strutture palestinesi in Cisgiordania, sfollando oltre 13.000 persone e colpendo i mezzi di sussistenza di 160.784 persone. Del totale delle strutture distrutte, 1.569 erano finanziate da donatori, 1.725 erano situate a Gerusalemme, 6.973 erano situate nell'Area C e 169 nelle Aree A e B (OCHA, Dati su demolizioni e sfollamenti in Cisgiordania, 14 ottobre 2022).

- Solo nel 2021 (al 14 ottobre), Israele ha distrutto 697 strutture in Cisgiordania, sfollando 836 persone e colpendo oltre 25.500 altre. Del totale, 105 strutture erano finanziate da donatori, 558 si trovavano nell'Area C, 111 a Gerusalemme, 241 erano unità residenziali e 229 strutture agricole (OCHA, Dati su demolizioni e sfollamenti in Cisgiordania, 14 ottobre 2022).

- Secondo B'Tselem, dal 2006 al 31 agosto 2022, Israele ha demolito almeno 4.803 unità abitative palestinesi in Cisgiordania (esclusa Gerusalemme Est) per mancanza di permessi, lasciando 8.115 persone (di cui 4.092 minori) senza casa. Altre 280 unità sono state distrutte per punizione, lasciando 1.358 persone senza casa, e 1.891 per "scopi militari", lasciando 13.444 persone senza casa. Nei primi 8 mesi del 2022, sono state distrutte 487 unità abitative in Cisgiordania, di cui 98 a Gerusalemme e il 96,5% del totale perché costruite "illegalmente" (https://statistics.btselem.org/en/intro/demolitions).

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2023: 80% della popolazione di #Gaza è stata sfollata. 74% sono bambini e donne. Non potranno tornare perché Israele ha distrutto le loro case.

 



 

Palestina: cronologia della vergogna - di Milad Jubran Basir

La Palestina, come il resto del mondo arabo, è stata sotto il dominio ottomano dal 1516 fino al 1914, quattrocento anni.

 

1917 – Dichiarazione Balfour: il 2 novembre, il governo britannico promette a Lord Rotschild la creazione di un “focolare nazionale per il popolo ebraico” in Palestina. All’epoca solo il 4% della popolazione è di religione ebraica, mentre il 20% è costituito da cristiani e il 76% da musulmani.

 

1919 – Il Congresso Nazionale Palestinese respinge la dichiarazione di Balfour e chiede l’indipendenza della Palestina.

 

1922 – La Società delle Nazioni affida alla Gran Bretagna il Mandato sulla Palestina. L’amministrazione britannica incoraggia l’immigrazione ebraica.

 

1947 – Il 29 novembre, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, per mezzo della risoluzione 181, approva il Piano di partizione della Palestina tra uno Stato per gli arabi palestinesi e uno per gli ebrei, ed assegna a questi ultimi il 56% della Palestina, mentre all’epoca rappresentano il 33% della popolazione e detengono solo il 6% delle terre.

 

1948 – I britannici rinunciano al Mandato lasciando il problema in mano alle Nazioni Unite.

 

1948-1949 – Il 14 maggio 1948 Israele proclama la propria indipendenza: per i palestinesi è la Nakba (Catastrofe), che costringe 800mila palestinesi all’esodo mentre 531 villaggi vengono rasi al suolo. L’11 dicembre, l’Onu adotta la Risoluzione 194 con cui chiede a Israele di consentire il ritorno dei rifugiati.

 

1967 – Tra il 5 e il 10 giugno, durante la guerra dei Sei Giorni contro gli arabi, Israele occupa il resto della Palestina storica, cioè la Cisgiordania, la Striscia di Gaza e Gerusalemme est. Il 22 novembre, la Risoluzione 242 delle Nazioni Unite esige il ritiro di Israele dai Territori Occupati.

 

1982 – Il 6 giugno Israele lancia contro il Libano la cosiddetta “Operazione Pace in Galilea”. Tra il 16 e il 18 settembre, milizie libanesi protette dall’esercito invasore israeliano entrano nei campi profughi di Sabra e Shatila e massacrano oltre tremila palestinesi, per lo più vecchi, donne e bambini.

 

1987 – L’8 dicembre nei Territori occupati esplode la Prima Intifada, sollevazione popolare nonviolenta, per chiedere l’autodeterminazione e l’indipendenza del popolo palestinese.

 

1988 – Il 15 novembre, durante la sessione del Consiglio Nazionale Palestinese dell’Olp riunito ad Algeri, Yasser Arafat proclama lo Stato indipendente di Palestina sui confini del 4 giugno 1967.

 

1993-1995 – Gli Stati Uniti promuovono tra i rappresentanti della Palestina e quelli di Israele una serie di incontri, noti come Accordi di Oslo, che si interpretano come il primo passo verso la creazione di uno Stato palestinese. Durante il cosiddetto “processo di pace”, Israele raddoppia il numero degli insediamenti illegali nei territori palestinesi.

 

2000 - La visita provocatoria di Ariel Sharon (allora capo dell’opposizione parlamentare in Israele) sulla Spianata della Moschea di Gerusalemme provoca l’inizio della Seconda Intifada.

 

2000 - L’iniziativa di pace della Lega Araba offre a Israele il riconoscimento e la pace in cambio del ritiro dai Territori occupati nel 1967 e di una soluzione al problema dei rifugiati palestinesi. Israele ignora la proposta, invade tutte le città palestinesi e comincia la costruzione del muro dell’apartheid (2002).

 

2003-2004 – Il presidente Yasser Arafat è in stato d’assedio all’interno della Muqata di Ramallah. Il 9 luglio la Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja dichiara che “la costruzione del muro e il regime che lo accompagna sono contrari al diritto internazionale”. L’11 novembre 2004 l’intenzione di eliminare Yasser Arafat culmina con la sua morte.

 

2008-2009 – Israele compie una brutale aggressione contro il popolo palestinese nella Striscia di Gaza, assassinando 1.500 palestinesi e ferendone 5.500. Migliaia di abitazioni, centri commerciali, scuole e luoghi di culto vengono distrutti.

2010 - Le forze di occupazione israeliana continuano con la confisca di terre e proprietà dei palestinesi in Cisgiordania e a Gerusalemme Est per la costruzione degli insediamenti di coloni israeliani. La politica di Israele a Gerusalemme si basa sulla pulizia etnica, culturale e religiosa dei palestinesi.

 

2012 – Il 14 novembre, Israele lancia un’altra offensiva militare aerea contro la Striscia di Gaza che dura una settimana. La cosiddetta “operazione Pilastro di Difesa” causa la morte di 167 palestinesi. Il 29 novembre l’Assemblea Generale dell’Onu, con il voto favorevole di 138 Paesi compresa l’Italia, approva la Risoluzione A/RES/67/19 che riconosce la Palestina come Stato Osservatore delle Nazione Unite.

 

2014 – L’8 luglio Israele scatena un’altra devastante aggressione contro Gaza che dura fino al 26 agosto. La cosiddetta “Operazione Margine di Protezione” uccide 2.104 palestinesi, tra cui 495 bambini e 253 donne.

 

2015 – Il 30 settembre, 119 paesi, compresa l’Italia, votano a favore dell’innalzamento della bandiera palestinese sul Palazzo dell’Onu.

 

2016 – Il 18 ottobre l’Unesco approva una risoluzione intitolata “Palestina occupata” che riguarda la città vecchia di Gerusalemme. La risoluzione, al fine di tutelare il patrimonio culturale palestinese, riconosce il “Monte del Tempio” con il solo nome arabo Haram al Sharif (Spianata delle Moschee), definisce Israele una “potenza occupante” e critica il modo in cui gestisce l’accesso ai luoghi sacri; chiede ad Israele di rispettare lo status quo della città di Gerusalemme in vigore prima del settembre del 2000 (la Spianata delle Moschee sotto il controllo del ministero giordano degli Affari islamici e dei luoghi sacri). Il 23 dicembre, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, approva, con l’astensione degli Stati Uniti, la risoluzione 2334 che condanna gli insediamenti israeliani.

 

2017 – Il 14 gennaio il presidente Abu Mazen inaugura l’Ambasciata dello Stato di Palestina presso la Santa Sede. Il 27 maggio, dopo 40 giorni di digiuno, termina uno dei più imponenti scioperi della fame mai portati avanti dai detenuti nelle carceri israeliane, cui partecipano 1.800 prigionieri palestinesi. Il 6 dicembre il presidente Usa Trump proclama Gerusalemme capitale di Israele. Con la sola eccezione degli Usa e il voto favorevole dell’Italia, il Consiglio di Sicurezza il 18 dicembre respinge la decisione di Trump, con la risoluzione ripresa e approvata dall’Assemblea Generale delle Nazione Unite il 21 dicembre dello stesso anno.

 

2018 – Il 30 marzo la popolazione palestinese di Gaza intraprende la “Grande Marcia del Ritorno”, subendo una tremenda repressione da parte dell’esercito israeliano che causa più di 200 morti e migliaia di feriti. Il 18 luglio la Knesset (il Parlamento israeliano) approva una legge che qualifica Israele come “Stato – nazione del popolo ebraico”. Il 31 agosto gli Usa decidono di uscire dall’Unrwa, l’agenzia dell’Onu per l’assistenza ai profughi palestinesi, fondata nel 1949, l’8 settembre di annullare lo stanziamento annuale per i sei ospedali palestinesi di Gerusalemme Est, e il 10 settembre di chiudere la sede dell’Olp a Washington.

 

2020 – Il governo israeliano, con il sostegno del presidente degli Usa Trump, annuncia la sua intenzione di annettere parte della Cisgiordania, annuncio mai realizzato finora grazie alla reazione del popolo palestinese e alle proteste di tanti Paesi. Il presidente dell’Anp Abu Mazen ha reagito duramente all’annuncio del governo israeliano di essere pronto ad annettere parte della Cisgiordania, dichiarando “finiti” tutti gli accordi con Israele e Stati Uniti.

 da Sinistra Sindacale nr. 19/2023

a cura di Ferdinando Dubla

 

su questo blog:

 

LA PROMESSA DELLA TERRA _ SUL FUTURO DELLA PALESTINA

 



giovedì 16 novembre 2023

LA CAREZZA DI SAVASTA

 



LA CAREZZA DI SAVASTA

 

 

Il pentimento di Antonio Savasta e della sua compagna, Emilia Libéra, due dei leggendari ragazzi di Centocelle, era stato un colpo definitivo per le Brigate Rosse. Sostanzialmente, aveva liquidato l’organizzazione. Anche dal punto di vista strettamente umano fu molto difficile accettare che Antonio avesse tradito. Savasta era giudicato un compagno esemplare, zelante e attivo, ma anche allegro e leale. Era amatissimo. Venne torturato scientificamente, è accertato: i poliziotti che inflissero questo trattamento ai rapitori di Dozier, di cui lui era il capo, sono stati processati e condannati per questo. La pena, però, fu sospesa, il capo della squadretta dei torturatori, Rino Genova, venne poi eletto deputato nelle fila del Psdi.

da Anna Laura Braghetti- Paola Tavella, Il prigioniero, Feltrinelli, 2003, pag.101.

Commenterà Moretti: <Ho visto gli avvenimenti di quel periodo come l’impossibilità di smettere, di trovare una via d’uscita. Prendete uno come Savasta, che ha ammesso ancora più di Peci e fatto molti più danni. Noi su Savasta mettevamo la mano sul fuoco, era uno che ci credeva, di quelli che sarebbero andati fino alla morte. Non so che cosa sia scattato in lui. Le torture sono state determinanti…. ma c’è altro: il fallimento dell’azione Dozier segnava il tracollo della ipotesi politica del Pcc>, cfr. https://raccontidilibri.it/lottarmata-50/

La personalità di Antonio Savasta, nome di battaglia nelle BR- per la costruzione del PCC (Partito Comunista Combattente, la vecchia guardia rimasta intorno a Mario Moretti mentre si consumava nel dicembre 1981 la scissione del Partito Guerriglia del criminologo Giovanni Senzani)  “Emilio” o “Diego”, è intrecciata ad eventi politici drammatici per la parabola discendente delle organizzazioni della lotta armata in nome del comunismo in Italia: lo scollamento totale con i movimenti di massa, che fece avvolgere in una spirale perversa e devastante anche il dibattito interno; le torture e i tormenti ai militanti politici catturati, che però portarono a un criminale regolamento di conti contro coloro che, secondo i più esaltati fra i coatti imprigionati e, in particolare, dell’”ala” di piombo, essa sì terribilmente fanatica e mortifera

(si pensi alla vicenda macabra di Ennio Di Rocco, ucciso il 27 luglio 1982 nel supercarcere di Trani, da sei detenuti, armati di punteruoli, cfr. https://raccontidilibri.it/lottarmata-51/ - stralcio in nota 1)

di Senzani, avevano ‘ceduto’; il disfacimento finale proprio con le rivelazioni di Savasta e Libéra, ben più risolutive del pentitismo precedente (Patrizio Peci in particolare)  o della dissociazione di Valerio Morucci ed Adriana Faranda dopo il loro arresto il 30 maggio 1979.

Nota 1) “L’uccisione del compagno Di Rocco, che voleva costruire un mondo migliore e che è finito con l’ammazzare come un cane un altro compagno, per poi essere massacrato lui stesso dai suoi compagni, non produce alcun “respiro strategico”, e invece fallisce miseramente i suoi obiettivi. I pentiti e i dissociati diverranno sempre più numerosi e l’omicidio susciterà sconcerto e critiche all’interno delle stesse Br.

Qualche tempo dopo le Br-Pcc, accusate di essere un puntello del pentitismo, rispondono con un loro comunicato, nel quale definiscono gli omicidi dei pentiti “fatti sciagurati“, parlano di “clima mafioso, di intimidazioni e di minacce, di processi sommari e faide interne“.  E ancora: “definire il cedimento di un torturato mancanza di coscienza di classe e la tortura come un alibi, è un errore madornale>. In risposta all’accusa di aver scelto la resa, scrivono che i brigatisti del PG: “accecati da un infantile estremismo trionfalista… cercano un nemico interno come panacea per il tracollo di una linea politica“.

Stefano Petrella, che assieme a Di Rocco uccise Peci e assieme a lui fu arrestato e torturato dirà, ma solo 12 anni dopo: <Ennio è stato ucciso dal fanatismo, dalla miseria umana e dalla presunzione personale di qualche dirigente e dall’ignoranza e la vigliaccheria di molti compagni… si è trattato di uno dei gesti più abietti e scellerati della nostra storia>.”

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Un personaggio storicamente molto importante, dunque, al momento del suo arresto a Padova il 28 gennaio 1982 aveva 26 anni, nel comitato esecutivo delle BR-PCC  con Mario Moretti e Barbara Balzerani era tra i capi indiscussi dell'organizzazione, ma il parziale racconto della sua militanza è stato raccolto solo da Nicola Rao e naturalmente può evincersi dalle sue deposizioni ai processi. In realtà Savasta rappresenta insieme il sogno infranto di un avventurismo politico pericoloso ed omicidiario che negli anni ‘70 attraversò molte centinaia di militanti della sinistra antagonista e una presa di coscienza post-factum del velleitarismo strategico e ideologicamente ‘fossile’ dell’interpretazione di una possibile ‘guerra di movimento’ nel cuore dell’Occidente capitalista e nella catena imperialista. Paradossalmente, Savasta (e la colonna veneta del PCC di cui era stato delegato alla guida) è quello che riuscì a colpire, pur in una parabola degradante della sua e delle altre organizzazioni di lotta armata in nome del comunismo, uno dei rappresentanti della catena del ‘cuore dell’imperialismo’ NATO, il generale Dozier. Dopo il rapimento e la sciagurata scelta di assassinare Aldo Moro per colpire il ‘cuore dello Stato’, era un tentativo proprio di riavvicinare i movimenti di massa, per la pace e antimperialisti, antagonisti, al progetto avventurista militarista, tentativo destinato a naufragare nella potenza dispiegata della repressione e della ‘controrivoluzione preventiva’ che un pugno di visionari si era messo in testa di poter battere. Savasta se ne era reso conto anche prima delle torture a cui fu sottoposto, ma incapace di uscire da solo dalla spirale autoreferenziale, se non quando fu ‘ostaggio del nemico’: riempirà centinaia di pagine di verbali, con effetti peggiori di quelli di Peci, provocando oltre cento arresti. Nel marzo del 1982 le BR comunicheranno la "ritirata strategica" ("A tutto il movimento rivoluzionario", Roma, 13-3-1982, in: Controinformazione 23, Milano, 1982) ribadita nel dicembre da un opuscolo (Opuscolo nr.18, "Difesa della politica rivoluzionaria e ritirata strategica", Roma, dicembre 1982).

- Come Giuda, che adempie ad un crudele ma necessario ‘disegno divino’ per permettere al Cristo di salvare l’umanità, il suo lato umano è nella carezza che sa dare alla storia politica di quel movimento che si presumeva rivoluzionario ma destinato in partenza ad una sconfitta senza ritorno, trascinando con sè purtroppo, per il riflusso dei movimenti di massa,  anche  l’intera sinistra di classe e antagonista che non ne aveva condiviso le scelte. In quanto al PCI, che pure si era distinto nella "lotta al terrorismo" come maggior 'partito della fermezza' contro ogni trattativa nel sequestro Moro e nessun riconoscimento politico alle BR,  non potè  sfuggire agli attacchi reazionari sull'"album di famiglia" e fu in grande difficoltà difensiva per le scorie del 'compromesso storico'; oltre che dall'esterno, fu colpito dall'interno, colpito al cuore dei suoi ideali e valori fondanti, e, dopo il crollo del muro berlinese, si consegnerà, con la sua autoliquidazione, all’avversario.

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La liberazione del generale Dozier (28 gennaio 1982) e le confessioni di Emilia Libéra e soprattutto di Antonio Savasta, diedero il colpo di grazia a quanto restava dell'organizzazione BR, ormai priva di una guida centralizzata.

 

“Lo lasciarono seduto sulla sedia, legato e incappucciato. Quella notte alcuni agenti della Celere, incaricati di custodire i brigatisti, si scatenarono.  Calci, minacce, pugni, sputi a Emilio, a Fabrizio e a Giorgio. Minacce di stupro, simulazioni di violenza alle due brigatiste. Una notte d’inferno. La mattina dopo, quando tornarono quelli dell’Ucigos, i prigionieri gli raccontarono delle violenze e delle minacce. Gli dissero che gli aguzzini si definivano i «vendicatori della notte» e che avevano avuto la mano davvero pesante. Genova si incazzò di brutto e pretese subito che i brigatisti fossero liberati dalle bende, spostati dalle sedie e sistemati su delle brandine da campo. Ma poi gli interrogatori ricominciarono. Quello su cui si concentrarono era ovviamente Emilio. «Allora, pezzo di merda, dove cazzo sta quella troia della Balzerani? Ce lo dici o no?» lo incalzavano. Poi toccò a Genova, che provò a farlo ragionare. «Scusa Savasta», gli disse, «se siamo arrivati a voi, evidentemente qualcuno dei tuoi compagni vi ha tradito. E allora vuol dire che la vostra organizzazione non è così granitica e coesa come volete farci credere. Che senso ha continuare a difenderla?» Emilio psicologicamente era finito. Aveva cominciato a svuotarsi dopo aver assassinato Taliercio. E ogni giorno che passava, il suo vuoto interiore aumentava. L’assalto a via Pindemonte, la loro cattura e la liberazione dell’ostaggio erano stati il colpo di grazia. Certo, ora c’erano le minacce e le botte, ma lui neanche le avvertiva. Era chiuso dentro se stesso. Con la testa ormai lontana anni luce da tutto questo. Era stanco, sfinito, esausto, e non vedeva l’ora di liberarsi, di chiuderla una volta per tutte con la lotta armata, la clandestinità, le Brigate Rosse, i pedinamenti, i sequestri, le uccisioni.”, da Nicola Rao, Colpo al cuore. Dai pentiti ai «metodi speciali»: come lo Stato uccise le BR. La storia mai raccontata., Sperling e Kupfer, 2011, cit. da formato e.book, §corrispondente

 

nella foto (da Prima Verona, in rete, 2016) Antonio Savasta si inginocchia per accarezzare una compagna di militanza prigioniera, Emanuela Frascella, tra le sbarre nel processo per il sequestro Dozier, prima udienza 8 marzo 1982. Accanto anche Emilia Libéra, sua ex compagna di vita. Gli altri imputati erano Giovanni Ciucci, Armando Lanza, Roberto Zanca, Ruggero Volinia, più altri otto latitanti, tra cui Pietro Vanzi, Marcello Capuano e Remo Pancelli. In un’altra gabbia gli “irriducibili” Cesare di Lenardo e Alberta Biliato.

 

 

 



 

 

LA CAREZZA DI SAVASTA

 

 Lì tra le sbarre di grida antiche

fermo sta ad aspettare il tempo

 

ti vedo complice di un assetto nuovo

 

la vedo dolce la dolorosa scelta e poso lo sguardo

dove gli altri non vede. Ma ciò che non si vede è. 

 

La mia carezza ti avvolge languida prostrata al tuo sorriso. 

 

Vengo da te, ma il tempo è andato via, il tempo non ci aspetta. 

 

(fe.d.) 

 

Emanuela Frascella e Antonio Savasta - processo Dozier 

(8-25 marzo 1982) 

 

Non mi ritenevo né un traditore né un infame. Ma solo un militante rivoluzionario che aveva preso atto della propria sconfitta e che voleva evitare nuovi morti e nuove tragedie.

/ smarrimento, paura, confusione, solitudine. Un dolore indescrivibile. Mi sentivo sottoterra. L’ultima ruota del carro dell’umanità. E forse lo ero. Prima avevo assassinato delle persone e poi avevo tradito i miei compagni. Assassino e infame./

L’unica cosa di cui ero certo era che la mia militanza nelle Br era finita. Per sempre.

Antonio Savasta, da Nicola Rao, cit.

 

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