Subaltern studies Italia

L’analisi e la classe - a cura di Ferdinando Dubla

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sabato 24 febbraio 2024

NOTE SU "ORIENTALISMO", FILOSOFIA e COMPARAZIONI 'INTERSEZIONALI'

 



NOTE SU ORIENTALISMO e FILOSOFIA

 

- Il libro "Orientalismo" ha rotto la comprensione convenzionale di vecchia data della relazione culturale tra Oriente e Occidente nei circoli accademici occidentali, ha analizzato e criticato l'imperialismo culturale e ha aperto una nuova prospettiva del rapporto tra Oriente e Occidente, in particolare il rapporto culturale.

Author: Edward W. Saïd, Orientalism

Pantheon Books, Publication date 1978

Edward Said, l’”Orientalismo” e la “traveling Theory”

- Said ha utilizzato la "Traveling Theory" (+) per spiegare lo specifico processo di formazione dell'orientalismo: l'orientalismo con immagini orientali rappresentate e ritratte da viaggiatori, missionari e colonizzatori è stato prodotto in un contesto storico specifico, a causa della variazione del contesto del testo quando si è diffuso da est a ovest; l'orientalismo, che originariamente cercava di diventare "conoscenza oggettiva", si trasformò in orientalismo come immagine creata dai poteri dominanti costituenti; per dirla con Gramsci, dall’ideologia del ‘senso comune’ e, con Marx, dalla ‘falsa coscienza’. Di fronte a questa situazione, Said ha sottolineato che abbiamo certamente bisogno di una teoria, ma abbiamo soprattutto bisogno di efficacia ermeneutica, cioè di coscienza critica.

(+) La "teoria del viaggio" di Edward Said si riferisce alla trasmissione e all'adattamento di idee attraverso diversi contesti e discipline.

 

- Il libro di Said “Orientalismo” (1978) è diventato una base classica e teorica per la cosiddetta critica post-coloniale. Le discipline orientaliste hanno rappresentato il tentativo di controllare i territori colonizzati attraverso la determinazione della loro immagine, l'immaginario a loro legato e la narrativa che li rappresenta. Con Said si sviluppa ulteriormente la categoria, che è concettuale e politica insieme, di imperialismo culturale.

Tipico delle teorie definibili come orientaliste è dunque la tendenza a considerare grandi complessi culturali, come l'Islam, l'India o addirittura l'intera Asia, riassumibili in pochi caratteri generali, quali ad esempio spiritualismo, irrazionalismo, fanatismo, dispotismo, e di considerare questi caratteri come immutabili. il pensiero indiano, ad esempio, tenderebbe per natura al misticismo; l'Islam, invece, tenderebbe al fanatismo, e in generale tutti i popoli asiatici sarebbero per natura impossibilitati a costruire una "vera" democrazia. —

Ma può essere la filosofia a rompere gli stereotipi della cultura dominante occidentale? E se sì, quale filosofia?

Geospazio, temporalità e categorie del punto di osservazione. Nord-Sud, Oriente-Occidente.

- Gli stereotipi scompaiono appena si entra nel merito dei contenuti, come al solito. La geografia diventa anch’essa filosofia. Contemplazione, meditazione, concentrazione, ascesi, misticismo, spiritualità, da una parte e riflessione, raziocinio, scienza e coscienza dall’altro? Niente affatto. Sia l’una tradizione filosofica che l’altra contengono nelle modalità contestuali della loro storia, l’interrogazione costante dell’essere umano su se stessi, la propria vita di relazione, soggettività ed oggettività, ermeneutica e costruzione del mondo, la meraviglia, che è aristotelica e zaratustriana insieme, dell’infinito che sovrasta gli stessi orizzonti del limite, quello che mirabilmente Ernesto de Martino chiamava “ethos del trascendimento” e Plotino l’estasi, l’ex-stasis, l’uscire fuori di sè, perdere la presenza nella vertigine di un assoluto che si presuppone come tale.

 

Said, oriente e occidente, Gramsci e Foucault -

 

Secondo Gramsci, una certa forma culturale può dominarne un’altra; Gramsci chiamò questa forma culturale dominante "egemonia culturale". Il capitalismo usa i dis/valori che lo permeano e la ‘narrazione’ egemonica, per raggiungere l'identità culturale conformistica del senso comune di massa. Edward Said (1935-2003) il prestigioso intellettuale di origini palestinesi docente alla Columbia University e autore del testo che ha dato origine e sviluppo a “criticism and postcolonial studies“, “Orientalism” (1978), ha assorbito questa teoria come riferimento, e l'ha inserita nel rapporto di potere tra cultura occidentale e cultura orientale. L'orientalismo rappresentato dai paesi occidentali è una nuova politica coloniale stabilita dall'imperialismo. Esso restringe le differenze tra i paesi orientali e occidentali in superficie, ma l'obiettivo ultimo è ancora quello di stabilire un nuovo tipo di relazione di potere diseguale tra coloniale e colonizzato. L'orientalismo è una manifestazione di egemonia culturale, il concetto di egemonia culturale conferisce all'orientalismo il potere di sostenersi.

 

Said discute l'orientalismo anche nel senso del discorso di Foucault, considera l'"Oriente" come l'altro della cultura autoidentificata occidentale e stabilisce la cosiddetta "essenza" e il valore dell'Occidente nel diverso ordine dei concetti che vengono imposti dalla grammatica del potere. Pertanto, l'Oriente è l'"Oriente" creato dalla cultura occidentale. Che sia come regione geografica o come concetto culturale, è la "costruzione" della storia e della cultura occidentale, ed esiste come l'opposto, l'"altro" della cultura occidentale. /

 

“Chi di voi non è filosofo, scagli la prima pietra”. (fe.d.)

 

TRA ORIENTE E OCCIDENTE, LA RICERCA ‘INTERSEZIONALE’

 

Il neoplatonismo -

La figura dello studioso irlandese Eric Dodds è emblematica della fecondità di una ricerca condotta con gli strumenti plurimi delle scienze umane. Non è solo uno storico del pensiero rigoroso, filologico e insieme interpretativo, è anche un antiaccademico, (*) oggi si direbbe ‘intersezionale’, perchè introduce, nella sua disamina analitica, strumenti ermeneutici antropologico-culturali e psicologico-psicanalitici. Fondamentale rimane, tuttora, “The Greeks and the Irrational“ del 1951, tradotta in varie lingue tra cui l'italiano, in cui vengono elaborate alcune categorie ermeneutiche ancora utilizzate, come, ad esempio, cultura della vergogna (shame culture), cultura della colpa (guilt culture) e timore della libertà (fear of freedom).

Credo però che una delle sue opere più rilevanti in questo senso sia “Temi fondamentali del Neoplatonismo. Filosofia e spiritualità nel pensiero tardo-antico (reperibile oggi nell’edizione a cura di D. Iezzi, Mimesis, Milano-Udine, 2021). La pedanteria filologica con cui va studiata la complessità di una teoresi astratta come quella della tarda antichità, in cui si forma l’intero apparato teoretico del cattolicesimo, apparato presente ai giorni nostri per inciso (per coloro che credono nell’anacronismo di ricerche e studi non apparentemente e strettamente legati all’attualità: stiamo parlando dell‘autoaffermata “cultura egemone” della sedicente “civiltà occidentale”! ), la meraviglia che può venire dalla lettura delle Enneadi di Plotino, filosofo egiziano ponte tra oriente e occidente, il parallelismo ‘anacronistico’ con la teoria dell’illuminazione del buddismo, gli stili di vita e l’approccio all’alimentazione vegetariana come filosofia del suo allievo Porfirio, devono superare gli stereotipi disciplinari, altrimenti non si fa storia della cultura, ma, come diceva il mio maestro Cesare Luporini, una sola cultura come storia.

 

(*) quando parliamo di ‘antiaccademia’ semplifichiamo, forse troppo: è la chiusura nello specialismo di ricerca che impedisce la capacità trasversale dell’interpretazione di testi e autori.

 

sabato 24 febbraio ore 18.30 al circolo cittadino di Manduria un convegno organizzato dalla Scuola di Filosofia ‘Giulio Cesare Vanini’ sulle filosofie orientali e l’”orientalismo”: Confucio, Mo-Ti, il Buddha e il buddismo come filosofia e psicoterapia, la scomposizione delle coordinate geografiche per le coordinate filosofiche di categorie come ‘occidentalismo’ e ‘orientalismo’.

La filosofia stessa è ponte tra oriente ed occidente, che da coordinate geospaziali diventano teoretiche. A sua volta il tema dell’”illuminazione” è un ponte tra filosofia d’oriente e d’occidente. (fe.d.)

L’oppositore di Confucio, Mo-Ti, filosofo cinese vissuto nel V secolo a.C., fu iniziatore di una scuola filosofica affermatasi prima dell'unificazione imperiale, ma non lasciò grande traccia di sè se non come oppositore di Confucio. Mo-Ti era contrario alla sacralità dei riti e della tradizione, affermava che la guerra è una forma di brigantaggio e per ovviare ai mali sosteneva che occorreva vivere frugalmente, con rispetto delle leggi, timore degli dei e degli spiriti, pratica dell'amore universale. Il confucianesimo, al contrario, sosteneva una gerarchia di affetti in relazione ai particolari rapporti esistenti fra gli individui. (or.cap.)

- a cura della scuola di Filosofia “Giulio Cesare Vanini” di Manduria.

#ScuolaFilosofiaVanini #convegno #filosofiaorientale #orientalismo

 

Nelle religioni asiatiche, come l'induismo, il taoismo, e soprattutto il buddismo, l'estasi è il momento sacro in cui avviene l'illuminazione, ed è il pieno sviluppo delle potenzialità e delle qualità naturali presenti nell'individuo. Questo stato è anche chiamato onniscienza oppure saggezza suprema e perfetta, dal sanscrito anuttarā-samyak-saṃbodhi, comunemente detta semplicemente Bodhi, e corrisponde all'illuminazione del Buddha; è lo stato in cui la mente diventa illimitata e non più separata dal resto del mondo, il punto in cui il microcosmo della persona si fonde con il macrocosmo dell'universo.

 

 

Diventa così possibile una condizione di nirvana alla quale ci si allena sotto la guida di un maestro tramite la meditazione, cioè la concentrazione su di sé e la consapevolezza della propria energia.

 

Secondo Plotino (filosofo ellenistico neoplatonico del III secolo d.C.), l'estasi è il culmine delle possibilità umane, che avviene dopo aver compiuto a ritroso il processo di emanazione dalla divinità: essa è un'autocoscienza, ed è la meta naturale della ragione umana, la quale, desiderando ricongiungersi col Principio da cui emana, riesce a coglierlo non possedendolo, ma lasciandosene possedere. Il pensiero cioè deve rinunciare ad ogni pretesa di oggettività abbandonando il dinamismo discorsivo della razionalità, ovvero negando se stesso. Tramite un severo percorso di ascesi, che si serve del metodo della teologia negativa e della catarsi dalle passioni, la ragione riesce così a uscire dai propri limiti, superando il dualismo soggetto/oggetto e compenetrandosi con l'Uno. Quello di Plotino non è tuttavia un semplice panteismo naturalistico, poiché per lui l'estasi è essenzialmente un percorso in salita verso la trascendenza. Appunto, un “ethos del trascendimento”.

(vedi concezione del rito e del mito in Ernesto de Martino)

Il tema dell’”illuminazione” è il ponte tra filosofia d’oriente e d’occidente.

Come teoreticamente sia possibile funzionalizzare punti dirimenti di teorie filosofiche, attraverso la comparazione ’intersezionale’ , ma filologicamente corretta, abbracciando una gamma molto più ampia di ipotesi interpretative. Qui, studiando Plotino, si arriva all’ethos del trascendimento dell’antropologia culturale di Ernesto de Martino, cioè non all’ascendenza, ma alla similitudine con le teorie dell’”illuminazione” dei tipi di buddismo come mistica apofatica, ma sia sacrale e religiosa sia laica, desacralizzata e agnostica, di natura psicologica.

DALL’EX/STASIS (uscire fuori di sè) ALLA COSCIENZA del SÈ



  • In questo schema, ripreso dalla filosofia delle Enneadi di Plotino (Leopoli, 203/205 - Campania, 270) c’è tutta la comparazione ’intersezionale’ tra la filosofia d’oriente e filosofia d’occidente, in questo caso l’origine del (neo) platonismo e la teoria dell’”illuminazione” del Buddha e della “buddità”. * Tra l’altro, Plotino era filosofo egizio, un ponte naturale, l’Egitto, tra Sud -Oriente-Occidente.
    * Come scaturisce dal Principio il mondo, molteplice e in divenire, di cui facciamo esperienza? secondo Plotino, non possiamo che parlare per immagini; in particolare la seguente: l’Uno produce il mondo, inizialmente come “mondo delle idee”, per generazione - ma Plotino parla anche di illuminazione o irradazione [èklampsis], emanazione o processione ecc. - servendosi, cioè, di diverse metafore, tutte, evidentemente, allusive e inadeguate ad esprimere l’inesprimibile scaturigine del tutto dall’Uno. L’inesprimibile è apofatico, cioè muto non perchè senza voce, ma solo ascoltabile nella coscienza-specchio di chi l’ascolta. Che è anche il presupposto paradossale di un possibile agnosticismo: il movimento immanente e trascendente è voce interiore, è la divinità in se stessi, è essere se stessi consapevoli del trascendimento, l’”ethos del trascendimento” di Ernesto de Martino.
    + Voglio ricordare che Plotino non è un cristiano, ma è stato ’saccheggiato’ dai cristiani, a tal punto da vedersi sviluppare, dal suo misticismo, la teoretica cattolica. La comparazione ’intersezionale’ permette una vicinanza di questo ’sentire filosofico’ con i capisaldi del buddismo e di altre teoretiche mistiche, di natura religiosa, ma anche laica e agnostica e finanche psicoterapica, come la lunga via che, attraverso la relazione con gli altri, giunge nuovamente a se stessi attraverso il trascendimento senza divinità esterne.

 

Per l'ermetismo il tema è il rapporto tra uomo e il dio  e il modo in cui l’uomo può coglierne l’essenza, può cogliere cioè l’essenza divina, elevando il proprio stato di coscienza attraverso la gnosi, un processo di natura sovrarazionale ottenibile attraverso l’illuminazione.

 ///

 

stralcio comunicazione Ferdinando Dubla al convegno Scuola di Filosofia ”Giulio Cesare Vanini”, Manduria (TA) il 24 febbraio 2024.

 

ARGOMENTI TRATTATI: Confucio, Mo-Ti, il buddismo come pratica spirituale e come filosofia, l’”orientalismo” e l’imperialismo culturale dell’Occidente, il metodo di studio e di ricerca delle comparazioni ‘intersezionali’.

Convegno a cura della Scuola di Filosofia “Giulio Cesare Vanini” di Manduria.

Telegram: https://t.me/scuolafilosofiaVanini





venerdì 16 febbraio 2024

17 febbraio, i furori eroici di Iordani Bruni Nolani

 



”l’ocio non può trovarsi là dove si combatte contra gli ministri e servi de l’invidia, ignoranza e malignitade.”

“gravi tormenti, que’ razionali discorsi, que’ faticosi pensieri e quelli amarissimi studi”

- Un capolavoro assoluto, la riconciliazione tra lirismo poetico e filosofia raziocinante per il tramite di un pensiero magico, quello dell’infinito, che solo può cogliere la matematica cosmica dell’unità del molteplice. Li lessi che ero liceale, questi dieci dialoghi del Nolano e me ne innamorai. Come spiegare il “furore eroico”? Innanzitutto esso è applicato alla conoscenza, non ad una persona. Ma il soggetto di conoscenza è incommensurabile, e l’unico modo per dispiegarlo è non spiegarlo, ma “sentirlo” con passione intensa, talmente intensa da divenir furore ed eroica per la natura del soggetto stesso. Stampati a Londra nel 1585 - in un periodo per molti versi decisivo, in cui Bruno sviluppa in modo organico i motivi centrali della propria ricerca - raccolgono gli esiti di un confronto serrato con la tradizione neoplatonica e aristotelica, e sviluppano una teoria della conoscenza intesa come autentica riforma interiore, per trasformare il destino dell'uomo, strutturalmente limitato e finito, aprendolo all'esperienza della verità infinita.

- “un uomo cogitabundo, afflitto, tormentato, triste, maninconioso, per dovenir or freddo, or caldo, or fervente, or tremante, or pallido, or rosso, or in mina di perplesso, or in atto di risoluto;”

Lasciatemi, lasciate, altri desiri. Importuni pensier, datemi pace. Perché volete voi ch’io mi ritiri Da l’aspetto del sol che sì mi piace? Dite di me piatosi: — Perché miri Quel che per remirar sì ti disface? Perché di quella face Sei vago sì? — Perché mi fa contento, Più ch’ogn’altro piacer, questo tormento. Giordano Bruno, “Gli eroici furori”, parte II, dialogo primo

Ma andate via, lasciatemi, voi, altri desideri. Pensieri inopportuni, datemi pace. Ma perchè volete che abbandoni la visione del sole che mi piace tanto? Voi mi dite, pietosi: ma perchè guardi ciò che per guardare ti distrugge così? Perchè di quella visione sei così invaghito? - Perchè mi rende contento, più di ogni altro piacere, questo tormento.

(traslitterazione Ferdinando Dubla)

Alzare gli occhi al cielo, al sole, come nel mito della caverna di Platone, fa male e può rendere ciechi. Ma tale è la bellezza di rimirar l’universo infinito e gli infiniti mondi, che piuttosto che farmi importunare dai pensieri effimeri di desideri caduchi, accetto felicemente il tormento che dà la conoscenza / (fe.d.)





Nel settimo discorso del Commento al Convivio, Ficino descrive i vari gradi dell’ascesa dell’anima, ascesa che culmina nell’unione con Dio. In primo luogo, Ficino osserva che l’anima discende verso i corpi nel corso di un processo che si articola in quattro gradi distinti. Il primo livello è costituito dall’intelletto, che si identifica con la mente o νoνς di Platone; seguono, in ordine, la ragione, l’opinione e la natura. Questo ultimo grado, come è indicato anche da una analisi etimologica del termine, coincide con la nascita fisica. Osserva infatti Ficino che «natura» deriva da «nascor», ed indica pertanto la totalità delle cose generate. Per ritornare al suo principio divino, l’anima deve percorrere a ritroso i tre livelli, attraverso un processo che spinge l’uomo ad oltrepassare se stesso, a superare i limiti propri della sua natura, abbandonandosi alla «follia divina». Il processo di ascesa dell’anima coincide con un progressivo abbandono al «furor». Su questa base, Ficino osserva che esistono quattro specie di «furor», che corrispondono ai quattro livelli della ascesa: «il primo è il furore poetico; il secondo, il furore misteriale o sacerdotale, il terzo è il furore profetico, e il quarto è l’affezione d’amore» (Ficino, In Convivium, VII, XIX). [*De Amore o Commentarium in Convivium Platonis (1469), ndr]

Bruno riprende qui il concetto ficiniano secondo cui il furore poetico rappresenta il primo livello, all’interno della gerarchia in cui sono ordinati i diversi tipi di furore. Ricordiamo che, in Platone, l’ordine delle varie modalità in cui si manifesta il furore, è invertito rispetto alla classificazione proposta da Ficino (cfr. Fedro, 244a-245b).

commento di Nicoletta Tirinnanzi, Giordano Bruno, GLI EROICI FURORI - BUR Rizzoli, edizione digitale 2013



Vanni Schiavoni (poeta).sx e Ferdinando Dubla (filosofo).dx nella rappresentazione scenica "Fendo i cieli e all'infinito m'ergo" - reading "Giordano Bruno nella terra del 'rimosso'". Sava (TA), 17.02.2024



giovedì 8 febbraio 2024

L’ALTRA MARA (1.Intro)

 



L'Unità, 25 settembre 1979


- Il 24 settembre 1979 Prospero Gallinari, uno dei più importanti dirigenti delle BR, di estrazione contadina come il partigiano Luigi Longo, da cui aveva mutuato il nome di battaglia di ‘Gallo’, venne sorpreso dalla pattuglia di polizia della volante "Falco 8", allertata da una telefonata anonima della presenza di alcuni giovani in via Vetulonia, quartiere Appio Metronio, che apparentemente stavano agendo con fare sospetto intorno a una macchina. Gallinari era impegnato, insieme con altri militanti, a cambiare la targa di un'Alfa Romeo Giulia blu da utilizzare per un'azione già pianificata per rapinare il Ministero dei Trasporti. Il brigatista aprì immediatamente il fuoco con la sua pistola contro gli agenti e ne seguì una violenta sparatoria, ma dopo aver esaurito un caricatore venne gravemente ferito alla testa e arrestato; due altri militanti riuscirono a fuggire, mentre la brigatista Mara Nanni venne catturata dopo un drammatico inseguimento. - - -

Mara Nanni, l’”altra Mara” delle BR, è morta il 13 novembre 2022. Ci ha lasciato alcune memorie, importanti quelle in Stefano Pierpaolo - Mara Nanni, “E allora?“, Edizioni Interculturali Uno, 2002. A sua volta questo testo ha ispirato una graphic novel di Paolo Cossi, “La storia di Mara”,  Lavieri, 2006. Memorie importanti per comprendere direttamente alcuni percorsi politici di ragazzi degli anni ‘70 che hanno in seguito ripensato la loro esperienza, le emozioni ripercorse al suo primo arresto nel ‘77, senza alcun capo di imputazione, per aver partecipato alla manifestazione del 12 marzo. Una manifestazione snodo storico-politico della vicenda storica degli anni 70 in Italia. Come quella in precedenza degli scontri per l’occupazione di case a San Basilio a Roma l’8 settembre 1974.+ È ora di scrivere la storia dalle fonti dirette, quando ci sono, senza mediazioni. /







San Basilio; Roma; 8 settembre 1974 - foto Tano D'Amico


«La fase storica che ha caratterizzato il movimento degli anni ’60 e ’70 era impregnata di una forte connotazione ideologica. L’aspirazione collettiva era, pur se con metodologie diverse, cementata dalla comune adesione ai principi marxisti. L’esempio che ci proveniva dal Vietnam dalla Cina da Cuba era il punto di riferimento generazionale, pur essendo oggetto di una analisi che ne sopravvalutava il ruolo. La mancanza di un pensare collettivo, di una visione della vita basata sulla solidarietà fra persone dello stesso paese e non solo, sono ormai assenti da molto tempo, a prescindere dai contenuti ideologici di allora, nella cultura occidentale. I movimenti che attraversano questa fase, oltre ad essere privi di una visione ideologica e politica omogenea, fanno i conti con una società in cui trionfa l’individualismo e la passività culturale. L’interpretazione utopistica che del marxismo ha avuto il movimento degli anni ’60 ’70 ha prodotto sì dei danni gravissimi, ma l’assenza dei valori di riferimento e la confusione ideologica potrebbero comunque produrne di ulteriori».

Mara Nanni,

https://vertigine.wordpress.com/2007/01/22/intervista-a-mara-nanni/

Bibliografia minima Mara Nanni - Stefano Pierpaolo - Mara Nanni, E allora?, Edizioni Interculturali Uno, 2002.

scheda - Il testo è un romanzo verità sulla vicenda umana di una ex brigatista rossa, Mara Nanni. Il libro racconta la ribellione, gli arresti, la clandestinità, l'esperienza della detenzione dopo undici mesi di militanza nelle BR, il coinvolgimento e il sentimento di una militanza che, a poco a poco, si svuota del suo senso.

- Paolo Cossi, La storia di Mara, graphic novel, Lavieri, 2006

Dalla quarta di copertina

Gli anni ’70, gli "anni difficili" della storia italiana. Il terrorismo. La quotidianità, assurda e banale, celata dietro le Brigate Rosse. La vita e le scelte della giovane Mara Nanni. La storia vera di una vita difficile raccontata attraverso il tratto lieve ed evocativo di Paolo Cossi. Nel 1978 Mara Nanni sceglie di far parte delle Brigate Rosse. Arrestata il 24 settebre 1979, nel 1981 (primo processo Moro) viene condannata ad un ergastolo, trenta anni di reclusione e un anno di isolamento diurno. Nei successivi gradi di giudizio la pena viene ridotta prima a ventisei anni e poi a quindici anni. Nel 1994 termina il suo periodo di detenzione ma la sua esperienza, e qualche fantasma, restano. Quanto qui narrato è un'altra storia...

Morta Mara Nanni: il ricordo di Alessandro Padula

https://www.ugomariatassinari.it/mara-nanni-padula/



Troviamo bellissima questa foto con il suo bambino, della Mara, la Nanni, l’altra Mara delle BR. Che prima di morire ha lasciato qualche traccia ”non in elenco”, che va scandagliata e analizzata come fonte diretta per lo ‘storico integrale’


MEMORIA

Molte delle cose che ho fatto erano scelte determinate dallo spirito di quei tempi e dal coinvolgimento in un movimento giovanile che aspirava a trasformare il mondo, spesso seguendo analisi teoriche che in seguito si sono rivelate erronee. Alcune trasformazioni della cultura del costume e della società sono state senza dubbio positive, gli anni’70 non sono stati solo anni di violenza politica ma anche anni di creatività e di evoluzione, ma è vero anche che in quella fase storica in molti abbiamo seguito un’utopia che non ha portato risultati positivi né a noi né agli altri. È indubbio che la scelta della lotta armata mi appare oggi come completamente avulsa dalla storia e controproducente per tutti coloro ai quali doveva portare dei risultati positivi.

dall'intervista di Rossano Astremo, Vertigine.com. cit.

 

SCHIAVETTONI

Mara Nanni (2.)

Portata nel cortile, le vennero infilate le braccia negli schiavettoni e fu fatta salire nel cellulare per una destinazione che non conosceva.

Per la prima volta nella sua vita, conosceva l’umiliazione dei chiavistelli e della catena. Trascinata sul pulmino scuro come una belva con un guinzaglio di anelli d’acciaio, le parve d’un tratto tutto ancora più confuso. Più spietatamente disumano. Nel buio del cellulare non riuscì nè a muoversi, nè a staccare lo sguardo da un punto indefinito che fissava pensando. Ma ogni pensiero le sfuggiva di mano e spariva nel nulla senza lasciare alcun segno di sè. Tutto si allontanava dal suo corpo e dalle sue emozioni. Le ultime immagini che le vennero in mente, furono le prime a scomparire nel pozzo nero che stava ingoiando tutto. Poi, velocemente, ogni cosa le potesse appartenere, veniva risucchiata e poi svaniva. Mara non riusciva a percepire se fosse lei a staccarsi dal resto, o se fosse il mondo che la stava abbandonando definitivamente.

Il panico la paralizzò. Lei affogò in un rosso lancinante di paura e solitudine. Nel momento stesso in cui stava per uscire l’urlo che forse l’avrebbe liberata, il furgone arrestò la sua marcia. Il rumore dei cancelli le trasmisero chiaro il messaggio che era appena entrata in un nuovo carcere.

- Il ricordo e le sensazioni sono di Mara Nanni, nel trasferimento dal carcere di Rebibbia a quello di Latina. Arrestata in seguito alla manifestazione degli autonomi e del “movimento” del 12 marzo 1977 a Roma, fu torturata e reclusa. Le sue ricostruzioni in Stefano Pierpaoli - Mara Nanni, op.cit., pp. 41-42.

 

a cura di Ferdinando Dubla

 

#subalternstudiesitalia #inchiestasociale #alidipiomboinoccidente








venerdì 2 febbraio 2024

LA BARBAGIA È ROSSA, L’ITALIA LO SARÀ. La Barbagia di Savasta (6.1)

 



Abstract

- Attorno al 1979 le BR strinsero rapporti con l'organizzazione Barbagia Rossa al fine di organizzare la fuga di alcuni prigionieri politici dal carcere speciale dell'Asinara. I brigatisti Antonio Savasta ed Emilia Libéra furono mandati a Cagliari per creare la colonna sarda delle BR e trasferire l'arsenale delle BR in Sardegna. Il 15 febbraio 1980, a Cagliari, una pattuglia della polizia li riconosce, ma i due riescono a fuggire.

Barbagia Rossa, https://it.wikipedia.org/wiki/Barbagia_Rossa

Il 23 febbraio 1982, nelle campagne di Nuoro, su indicazione di Antonio Savasta, pentito dopo l'arresto, le forze dell’ordine rinvengono un grande deposito di armi delle Brigate Rosse, la cui custodia era stata affidata a Barbagia Rossa. L’arsenale era probabilmente sotto custodia di Barbagia Rossa e forse doveva servire per un attentato al supercarcere di Badu ‘e Carros a Nuoro.

Le decise azioni della polizia misero fine al gruppo proprio in relazione alle confessioni di Savasta nei primi mesi del 1982. La sigla Barbagia Rossa non fece più la sua comparsa.

- Nei primi dieci giorni di febbraio vengono arrestate e accusate di costituzione di banda armata otto persone: Pierino Medde (27 anni, Nuoro), Roberto Campus (28 anni, Nuoro), Gianni Canu (24 anni, Nuoro), Giovanni Meloni (26 anni, Siniscola), Antonio Contena (28 anni, Orune), Mario Meloni (28 anni, Mamoiada), Mario Calia (28 anni, Lodè), Giuliano Deroma (25 anni, Porto Torres).



Antonio Contena, Giovanni Meloni (sopra), Gianni Canu (sotto)


https://barbagiarossa.wordpress.com/barbagia-rossa/

Biblio.: Storia dei grandi segreti d'Italia - Barbagia rossa e l'eversione politica sarda - di Omar Onnis- n.89 - settimanale - 159 pagine - supplemento a La Gazzetta dello Sport, 4 aprile 2023


La copertina del libro raffigura Emilia Libéra tra le sbarre

Il 18 giugno ’81, dopo un anno e quattro mesi dalla sparatoria di Cagliari, il pubblico ministero depone la sua requisitoria su tutta la vicenda indicando 27 persone come protagoniste delle vicende tra cui, ovviamente, Antonio Savasta, Emilia Libéra, Mario Pinna, Mario Francesco Mattu, Rinaldo Steri e Carlo Cioglia. Gli altri sono studenti universitari, artigiani e vecchi sessantottini. Giulio Cazzaniga viene invece prosciolto dalle accuse per infermità mentale.

[fine abstract]



Una bibliografia su Barbagia Rossa è inesistente.

Ma si tratta di storia, storia che ha segnato gli anni tra il 1978 e il 1982 della cronaca in Sardegna, la mia terra.

Ho voluto approfittare del tema “fotografia e violenza politica negli anni ’70” del corso di “Storia della fotografia” tenuto dal prof. Antonello Frongia (Università Iuav di Venezia), per approfondire e ricostruire queste vicende.

Si tratta di temi molto delicati e ancora caldi, per questo mi sono attenuto a una scrupolosa ricostruzione delle vicende accadute riferendomi rigorosamente alla cronaca giornalistica di quegli anni.

Per una corretta interpretazione da parte dei lettori, devo assolutamente sottolineare che per ora ho avuto la possibilità di analizzare soltanto i fatti giornalisticamente interpretati da “L’unione Sarda” una delle due maggiori testate dell’isola insieme a “La Nuova Sardegna”.

Buona consultazione,

Massimiliano Musina, 17 luglio 2008 cap. in successione, extract

 

Febbraio 1980. Il conflitto alla stazione di Cagliari

Collegamenti tra Barbagia Rossa e le Brigate Rosse trovano un’ulteriore conferma il 15 febbraio 1980.

Sono le 16:00, alla stazione ferroviaria di Cagliari due agenti della polizia, il brigadiere Fausto Goddi e la guardia Stefano Peralta, si avvicinano a un gruppo di cinque giovani chiedendo loro i documenti per un controllo; gli agenti contattano la centrale. A Giulio Cazzaniga e Mario Pinna, entrambi nuoresi, viene chiesto di seguirli in questura per degli accertamenti. Gli altri tre vengono lasciati liberi. Due di loro, sedicenti Camillo Nuti ed Emilia Libera, si spostano verso la sala d’attesa della stazione (sono incensurati), l’altro, Mario Francesco Mattu, si allontana in altra direzione (su di lui sussistono dei precedenti, ma non gravi in quell’occasione).

Mentre il brigadiere e i due fermati si dirigono in auto verso la questura, viene dato ordine di tornare indietro e catturare anche gli altri. Vengono rintracciati vicino ai binari solo due dei tre, l’uomo e la donna. Questi seguono gli agenti fino all’uscita della stazione. A quel punto l’uomo abbraccia la sua compagna, tira fuori una pistola e inizia a sparare all’impazzata per coprirsi la fuga. Nasce una vera e propria sparatoria al centro di Cagliari, le pallottole ad altezza d’uomo colpiscono alcune auto posteggiate, ma per fortuna nessun passante. La donna in fuga viene ferita alla fronte, un poliziotto al piede.

Nelle ore successive la città è assediata da oltre quattrocento uomini delle forze dell’ordine, ma dei due fuggitivi nessuna traccia. Inizialmente si pensa che la donna colpita sia Marzia Lelli, nota brigatista; dell’uomo invece non sono disponibili informazioni.

Più tardi si scopre che Giulio Cazzaniga e Mario Pinna, fermati prima del conflitto, appartengono al gruppo di Barbagia Rossa e vengono arrestati per detenzione abusiva di arma da guerra e partecipazione ad azione sovversiva. Ai due si aggiunge il quinto elemento che si era allontanato dalla stazione, Mario Francesco Mattu di Bolotana. Anche lui appartenente a Barbagia Rossa, viene arrestato durante la notte tra il 15 e il 16 febbraio ’80 a casa della sua ragazza a Cagliari dove viene trovata anche una pistola “Luger” calibro 9. Vengono catturati anche cinque giovani che al momento dell’arresto di Mattu si trovano nella stessa casa (dopo alcuni mesi di carcere preventivo, verranno rilasciati perché effettivamente non esiste nessun tipo di legame diretto o indiretto con gli arrestati).

Nei giorni seguenti continuano in maniera serrata le ricerche dei due fuggiaschi. Pinna e Cazzaniga si dichiarano “prigionieri politici”, Mattu viene interrogato. Inizialmente si pensa che i cinque della stazione stessero organizzando un attentato ai danni del capitano Enrico Barisone, ma dopo i primi accertamenti anche questa ipotesi viene scartata.

A cinque giorni dalla sparatoria, in tutta la città si vive uno stato d’assedio. I grandi porti e aeroporti dell’isola vengono controllati sistematicamente per evitare eventuali spostamenti dei due banditi, ma per la polizia è certo che stiano contando su un appoggio a Cagliari.

Intanto proseguono le indagini. Inizialmente si è creduto che la donna in fuga fosse Marzia Lelli, nota brigatista, ma indiscrezioni indicherebbero che si trova in Brasile.

La polizia prende quindi un’altra strada partendo dai documenti forniti al controllo del brigadiere Goddi alla stazione. La carta d’identità della donna era a nome di una certa Emilia Libera, infermiera romana che la Criminalpol non riesce a rintracciare nella Capitale. La polizia ora sostiene che il suo documento è autentico, quindi da adesso è Emilia Libera la ricercata. Si tratta di un’indiziata sopra ogni sospetto poiché, oltre ad aver partecipato a un collettivo al Policlinico di Roma, Libera non è una militante conosciuta. I documenti forniti dall’uomo erano invece fasulli, a nome di Camillo Nuti, ingegnere romano che dopo vari interrogatori non ha avuto difficoltà a provare che non si è mai mosso dalla capitale.

Un’ipotesi accreditata sulla visita in Sardegna di Emilia Libera e del “fasullo” Camillo Nuti (partiti da Roma a Cagliari con un aereo giovedì 14 febbraio ’80) è quella per cui fossero stati incaricati dalla direzione delle Brigate Rosse di valutare e rendersi conto dell’efficienza e del grado di preparazione alla guerriglia dei membri di Barbagia Rossa. Si crede in effetti che l’organizzazione sarda stia consolidando le proprie posizioni. Stando alle indiscrezioni, alcuni esponenti dell’organizzazione sarda (secondo la Digos una quindicina) avrebbero preso contatti con delinquenti comuni e bande legate all’anonima sequestri. Pare che si stesse anche perfezionando l’acquisto di un grosso stock di armi. Insomma Barbagia Rossa, sempre stando alle indiscrezioni, si preparerebbe per entrare grintosamente nel panorama del terrorismo nazionale.

Il 21 febbraio ’80 viene identificato l’uomo in compagnia di Emilia Libera. Si tratta di Antonio Savasta, romano ventiquattrenne, brigatista di recentissima immatricolazione ma praticamente incensurato. Si è arrivati alla sua identificazione scavando nella vita di Emilia Libera, infatti Savasta era, fino a poco tempo fa, il suo compagno.

I due fuggitivi hanno adesso un nome e un volto, ma risultano svaniti nel nulla. Dopo due settimane non c’è ancora nessuna traccia di loro. Si è scoperto che subito dopo la sparatoria alla stazione un’ignara signora li ha ospitati per un’ora nella sua abitazione. Si sono presentati come due ragazzi tranquilli e simpatici che avevano bisogno del bagno.

Febbraio 1982. Le confessioni di Savasta e la scomparsa di Barbagia Rossa

Nel 1982 viene catturato Antonio Savasta che passa nelle file del “pentitismo”.

Le sue rivelazioni investono anche la Sardegna dove partono immediatamente nuovi arresti e indagini.

Nei primi dieci giorni di febbraio vengono arrestate e accusate di costituzione di banda armata otto persone: Pierino Medde (27 anni, Nuoro), Roberto Campus (28 anni, Nuoro), Gianni Canu (24 anni, Nuoro), Giovanni Meloni (26 anni, Siniscola), Antonio Contena (28 anni, Orune), Mario Meloni (28 anni, Mamoiada), Mario Calia (28 anni, Lodè), Giuliano Deroma (25 anni, Porto Torres).

Tra loro possiamo ricordare Antonio Contena, presente durante il conflitto di Sa Janna Bassa nel dicembre ’79, e Pietro Medde, già indagato per Barbagia Rossa e in libertà provvisoria.

La confessione-fiume di Antonio Savasta continua e apre nuove indiscrezioni sui movimenti terroristici in Sardegna.

Ora è certo che nel dicembre del ’79 a “Sa Janna Bassa”, era in corso un vertice tra alcuni esponenti delle Brigate Rosse e di Barbagia Rossa per discutere sull’eventuale costituzione di una colonna sarda delle BR.

Inoltre, sempre grazie alle indicazioni del pentito, viene trovato tra il Montalbo e Monte Pitzinnu (nel territorio di Lula) un fornitissimo deposito di armi da guerra di proprietà delle Brigate Rosse.

L’arsenale comprende cinque razzi di fabbricazione americana per bazooka, un missile anticarro sovietico capace di sfondare agevolmente un muro di un metro, due missili terra-aria di fabbricazione francese che possono essere lanciati a chilometri di distanza con la certezza di colpire il bersaglio, trenta chili di esplosivo al plastico, otto bombe a mano di fabbricazione americana, sei mitra inglesi “Sterling” (lo stesso usato nell’attentato dove morì Santo Lanzafame), un centinaio di cartucce per mitra.

L’arsenale era probabilmente sotto custodia di Barbagia Rossa e forse doveva servire per un attentato al supercarcere di Badu ‘e Carros a Nuoro.

Gli investigatori, sempre indirizzati da Savasta, provano anche che i terroristi stavano progettando dei clamorosi sequestri di persona di leader politici isolani.

Le confessioni di Antonio Savasta seguite dagli arresti e le indagini che queste provocarono, probabilmente diedero un duro colpa all’organizzazione di Barbagia Rossa.

L’unica cosa certa è che dopo l’attentato mortale all’appuntato Lanzafame e dopo questi ultimi avvenimenti provocati dal pentito Savasta la sigla Barbagia Rossa non fece più la sua comparsa.

Cfr. anche Mauro Spignesi, Le imprese di Savasta in Sardegna, Il Manifesto, 5 marzo 1982  

 

a cura di Ferdinando Dubla, Subaltern studies Italia

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