Subaltern studies Italia

L’analisi e la classe - a cura di Ferdinando Dubla

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mercoledì 27 settembre 2023

DECOLONIZZARE IL SAPERE - Subaltern Studies e studi postcoloniali in intersezione


 


di Gennaro Ascione

F.Cooper, Conflict and Connection: Rethinking Colonial African History, in «The American Historical Review», 99, 1994, pp. 1516-45.

Nello stesso anno (1994) Guha aderiva al programma di critica alla storiografia del colonialismo avviato da Bernard S. Cohn, * dando un ulteriore segnale di un impegno comune degli studiosi provenienti dalla periferia, in funzione anti-eurocentrica. L'«American Historical Review», a sua volta, apriva un luogo di confronto tra la prospettiva latinoamericana, quella indiana e la storiografia africana sul tema degli studi subalterni e della critica postcoloniale; operazione che non ha mancato di inserire nuovi elementi nel discorso di elaborazione di strumenti concettuali non-occidentali=°. In qualità di storico africano, Frederick Cooper ** non esitava a sottolineare, nel suo intervento, che quella oggetto del forum ospitato dalla prestigiosa rivista statunitense non costituiva la prima forma di interazione e di scambio epistemico sud-sud, eppure era un primo tentativo articolato di decolonizzare il sapere da parte di soggetti collocati in posizioni strutturalmente subalterne, piuttosto che l'ennesimo sforzo di importare versioni eterodosse, e in questo senso autocritiche, di prospettive prodotte all'interno del campo di riflessione occidentale. Cooper sottolineava infatti come la definizione stessa di subalternità nell'Africa postcoloniale risultasse molto più fluida di quanto non lo fosse in America Latina, o in India, poiché all'interno degli Stati africani postcoloniali, il continuo susseguirsi di mutamenti nelle relazioni di potere tra gruppi sociali in competizione o in aperto conflitto, in intervalli temporali notevolmente ristretti, indeboliva la solidità di quei dispositivi concettuali fondati su rappresentazioni della distribuzione di potere che riflettono piuttosto gli assetti sociali specificamente inerenti allo spazio dello Stato-nazione occidentale. Egli giungeva dunque a conclusioni simili a quelle di Spivak riguardo alla perenne mutevolezza della definizione di subalternità, estromettendo però qualsiasi riferimento alla prassi decostruzionista. Lo stesso Cooper tornava agli elementi condivisi dalle entità geostoriche una volta definite «terzo mondo», e, cioè, la comune condizione di subordinazione rispetto al colonialismo occidentale come esperienza storica di dominio materiale e di sterilizzazione preventiva di qualsiasi tentativo di autorappresentazione subalterna, attuato per mezzo dell'apparato logico-grammaticale delle scienze storico-sociali occidentali='

 

Gennaro Ascione, *** § 3. Postcolonial cross-genealogies, in Storica, Anno XII, 2006, nr.34, Viella cit. formato digitale

note a cura di #SubalternStudiesItalia

* Il suo lavoro di antropologo è stato studiato da vicino dagli studiosi dei Subaltern Studies, in particolare da Ranajit Guha. Nel 1987 aveva pubblicato An Anthropologist Among the Historians - (Un antropologo tra gli storici), Oxford University Press.

Nel 1996 sarà pubblicata un’opera che influenzerà notevolmente gli studi subalternisti, ma anche postcoloniali, Colonialism and its Forms of Knowledge - (Il colonialismo e le sue forme di conoscenza),   Princeton University Press. - nota redazionale

 ** Frederick Cooper (New York, 1947) è uno storico e africanista statunitense che ha dedicato la propria attività di ricerca allo studio della storia dell'Africa, in particolare con riferimento agli impatti del colonialismo e della decolonizzazione. È professore di storia alla New York University.

Cooper iniziò la propria carriera occupandosi dei movimenti sindacali nell'Africa orientale, e in seguito estese il proprio campo d'interesse a tutta la storia recente dell'Africa. È noto, fra l'altro, per la teorizzazione del concetto di "stato guardiano" (gatekeeper state) con riferimento alla particolare natura delle istituzioni statali africane. - nota redazionale

DECOLONIZZARE IL SAPERE - (2a) - LE TRACCE di UN AGIRE AUTONOMO

Ranajit Guha, le fonti di ispirazione e gli studiosi del Subaltern Studies Collective

- Guha riunì in un unico gruppo di ricerca alcuni giovani storici, + tra cui Partha Chatterjee, Gyanendra Pandey, Shahid Amin, David Arnold, David Hardiman e Dipesh Chakrabarty,  il cui lavoro venne pubblicato per la prima volta in due volumi a distanza di pochi mesi l'uno dall'altro. Secondo Guha, entrambe le tradizioni storiografiche, imperiale e marxista-nazionalista, erano elitarie. (..)

Guha si proponeva invece di rinvenire e testimoniare le tracce di un agire autonomo, non riducibile completamente alla volontà di un ceto dirigente in formazione, indipendentemente dalla natura del rapporto di quest'ultimo con il dominio coloniale. (..)

Diverse furono le fonti di ispirazione di Guha e dei suoi collaboratori. Tre fondamentali ed esplicite: le riflessioni sulla storia e la società italiana di Antonio Gramsci, l'inglese History from below, il post-strutturalismo francese. Una quarta, il maoismo come teoria sociale, attraversa come un fiume carsico la vicenda che stiamo narrando. /

 

Gennaro Ascione, *** § 3. Postcolonial cross-genealogies, in Storica, Anno XII, 2006, nr.34, Viella cit. formato digitale

 

note redazionali a cura di #SubalternStudiesItalia

+ nel 1982 diede avvio alla serie di volumi "Subaltern Studies", tradotti in parte anche in lingua italiana a cura di Sandro Mezzadra.

- vedi anche Shahid Amin, Gautam Bhadra e Gautam Bhadra, Ranajit Guha's Biography, with complete bibliography, in David Arnold e David Hardiman (a cura di), Subaltern Studies, VIII, Oxford, Oxford University Press, 1994.

 


Subaltern studies Italia http://lavoropolitico.it/subaltern_studies_italia.htm

IL GRAMSCI DI GUHA: Dominance Without Hegemony (2b)

- Guha adoperò il concetto di «subalterno» in modo tale da individuare un campo semantico quanto più inclusivo possibile, collocandovi «tutti i gruppi subordinati per ragioni storiche, classe, genere, cultura, lingua e religione», oppure, in maniera ancor più provocatoria, definendolo come «la differenza demografica tra la popolazione indiana totale e l'élite dominante indigena e straniera» + Ma, nel cantiere di idee aperto da Gramsci negli anni della sua prigionia, ciò che allo storico indiano apparve particolarmente adatto a interpretare la morfologia del potere postcoloniale nel subcontinente fu la teoria del rapporto tra dominatori e dominati. ++ Secondo Gramsci, in estrema sintesi, i gruppi subalterni interagiscono con le formazioni politiche dominanti in modo da influenzarne le decisioni e tale processo genera delle trasformazioni in entrambe le soggettività, subalterna e dominante. Ma è proprio nella dialettica con il potere che la stessa identità subalterna, altrimenti «frammentaria per definizione» si costituisce come soggetto collettivo. +++

Per Guha, nell'India coloniale e postcoloniale, non solo i gruppi subalterni intervenivano indirettamente nelle scelte delle élites e sviluppavano le proprie strategie di collaborazione e resistenza, ma operavano simultaneamente in uno spazio politico autonomo rispetto allo spazio politico delle formazioni dominanti, anzi, era proprio nell’atto del sottrarsi all’interazione con il potere che i gruppi subalterni salvaguardavano la propria indipendenza d’azione e di pensiero, la loro “essenziale alterità”. Guha rielaborò lo strumento euristico dell’egemonia, privato della componente del consenso, per sostenere che come era avvenuto per l’élite nazionalista italiana nella seconda metà dell’Ottocento, così l’élite nazionalista indiana del XX secolo godeva sì del dominio sui gruppi subalterni, ma non era egemone rispetto ad essi e tale differenza era intrinseca, o meglio, così come il processo di formazione dello Stato-nazione italiano era differente da quello della Francia per non essere stato caratterizzato dalla presenza di un partito giacobino, così la stratificazione sociale esperita dall'India differiva da quella inglese, per non aver prodotto un analogo proletariato industriale e di conseguenza le organizzazioni politiche tese a canalizzarne le attività nella vita istituzionale della macchina statale. Pertanto, la configurazione assunta dal potere nel subcontinente non tendeva necessariamente verso il consolidamento di una egemonia, ma poteva funzionare, e di fatto aveva funzionato e continuava a funzionare, indipendentemente da essa: un “dominio senza egemonia”. ++++

 

Gennaro Ascione, *** § 3. Postcolonial cross-genealogies, in Storica, Anno XII, 2006, nr.34, Viella cit. formato digitale

+++ Guha, A proposito di alcuni aspetti della storiografia dell'India coloniale, in "Subaltern Studies. Modernità e (post)colonialismo", a cura di Id. e G.C. Spivak, Verona 2002, p. 42 e passim

++++ A. Gramsci, Quaderni del carcere, Einaudi, Torino 1976, vol. V, p. 123.

*** https://fondazionefeltrinelli.it/autori/gennaro-ascione/

 

vedi anche IL DOMINIO SENZA EGEMONIA. GRAMSCI e GUHA

 link http://ferdinandodubla.blogspot.com/2022/02/il-dominio-senza-egemonia-gramsci-e-guha.html






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mercoledì 20 settembre 2023

LA VOCE di JACKSON e dei fratelli di SOLEDAD

 


George Jackson, Franz Fanon, Karl Marx “dannati della terra” 

La biografia e l’opera di George Jackson, il cui assassinio nel carcere di San Quintino il 21 agosto del 1967 dimostrò al mondo intero la natura intimamente fascista della presunta democrazia a stelle e strisce, sono ancora non contaminate dai cosiddetti ‘esperti’ di primo livello di Wikipedia, che dovrebbero verificare la correttezza tecnica della voce e invece arbitrariamente ne controllano il ‘politicamente corretto’ e l’”imparzialità” politica. Abbiamo prodotto il link permanente, così da cristallizzare la versione attuale redatta dai collaboratori d’area.

Col sangue agli occhi. Il "fascismo americano" e altri scritti, Einaudi, Torino 1972 (Riedito da Agenzia X, 2008)

scheda

Questo libro è un'arma, con completa intenzione e volontà di esserlo. Completato all'incirca una settimana prima dell'assassinio di George Jackson, avvenuto il 21 agosto 1971 a San Quentin, il libro è stato fatto uscire dall'istituto penale con precise istruzioni su come pubblicarlo, quasi che l'autore sapesse di non poter vivere tanto da vederlo uscire a stampa. Ma sarebbe un errore considerarlo semplicemente l'opera di un individuo: migliaia di senza nome, dentro e fuori le prigioni, si uniscono in questa dichiarazione di guerra rivoluzionaria totale. Scritto da chi era rinchiuso in una cella di isolamento per almeno ventitré ore e mezzo al giorno, circondato da urla rauche che non smettevano mai – un vero e proprio manicomio –, "Col sangue agli occhi" vuol far uscire dal carcere, in tutta la società, quella rivoluzione per cui, dentro al carcere, George ha lavorato ed è morto.

 

 La rivoluzione all'interno di una moderna società industriale capitalistica ha un solo significato: il rovesciamento di tutti i rapporti di proprietà esistenti e la distruzione di tutte le istituzioni che, direttamente o indirettamente, sostengono i rapporti di proprietà esistenti. (p. 25) -

Per lo schiavo, la rivoluzione è un imperativo, è un atto cosciente di disperazione, dettato dall'amore. (p. 27)

LE LETTERE DI JACKSON. DAL CARCERE. (2)




Subaltern’s Jackson

Jackson tentò di coinvolgere nella lotta tutti i subalterni, tutte le masse oppresse, l'obiettivo primario era quello di incentivare la nascita di un fronte unico di tutte le minoranze reiette che andasse dai neri ai chicanos, dagli operai bianchi delle fabbriche all'esercito industriale di riserva dei disoccupati. Per queste ragioni, polemizzò spesso con l'”old left”,  accusata di perseguire interessi corporativi e di mettere in subordine l'urgenza di una svolta rivoluzionaria. La classe operaia è, nel pensiero di Jackson, il soggetto collettivo più realisticamente rivoluzionario, il «vero affossatore della società» capitalistica, anche le esigenze del proletariato sono state spesso subordinate alle impellenze della real-politik, agli equilibri stabiliti a livello internazionale dagli Stati socialisti  (URSS in primis), che giustificavano la loro immobilità con l'apologia riformistica del cambiamento graduale. Per Jackson questa tesi rasentava l'assurdo (quale motivazione più esplicita può esistere di sei milioni di disoccupati, stipendi di pura sussistenza, negazione di ogni principio di libertà, per dar avvio alla rivoluzione?) e il compito di svelare la natura reale dell'oppressione alla classe operaia - in virtù della manifesta incapacità della sinistra istituzionale - sarebbe spettato all'avanguardia nera, al BPP - Black Panther Party, le Pantere Nere,  «unico partito comunista» degli Stati Uniti. #SubalternStudiesItalia

SENZA DISCIPLINA, SENZA DIREZIONE non c’è RIVOLUZIONE

Lettera a un compagno

28 marzo 1971

Mia sorella mi ha informato che sei stato rilasciato e che hai costituito un corso di educazione politica. Noi due siamo ancora vicini, l'ho sentito nelle parole di mia sorella e nelle tue lettere. Da quando ci hanno separato siamo passati più o meno attraverso le stesse scoperte: dalle fughe confuse verso l'Africa delle rivoluzioni nazionali, fino allo stadio delle sommosse dell'Amerika nera rivoluzionaria. Adesso siamo giunti, con il resto del mondo coloniale, al socialismo scientifico rivoluzionario. Ho sempre sperato di non vederti intrappolato allo stadio delle sommosse, come lo sono in piena buona fede tanti e tanti altri fratelli. Qui devo tutti i giorni fargli la predica: pensano che essere pronti alla battaglia sia più che sufficiente. Eppure, senza disciplina e senza direzione, finiscono a lavare macchine in qualche garage, o finiscono cadaveri senza nome negli obitori dello stato metropolitano. Ma ero quasi certo che un fratello come te non sarebbe finito in quel modo.

I fratelli Soledad. Lettere dal carcere di George Jackson, Einaudi, 1971

L’UNITÀ DEI GRUPPI SUBALTERNI, L’UNITÀ DELLA SINISTRA DI CLASSE

Subaltern's Jackson

Se lo stato delle cose determina una riproduzione capitalistica stratificata e serializzata delle forze sociali, se genera l'incomunicabilità di ampie sacche della classe operaia, allora, cento volte più forte deve essere il discorso sull'unità degli sfruttati e di tutti i subalterni. Questo compito deve essere assunto dall'avanguardia del partito comunista nero, il BPP - Black Panther Party, le Pantere Nere.

Jackson cercava di coltivare una coscienza collettiva unitaria come unica possibilità per le masse sfruttate di riscattarsi. Le sue parole erano un invito alla ricerca di convergenze e strategie comuni tra tutti i gruppi radicali della sinistra statunitense.

BLOOD IN MY EYE, BROTHER SOLEDAD (3.)

LE FONTI

…scoprii Marx, Lenin, Trockij, Engels e Mao, e ne fui redento. Durante i primi quattro anni non studiai altro che economia e discipline militari. Conobbi i guerriglieri neri, George “Big Jake” Lewis e James Carr, W.L. Nolen, Bill Christmas, Terry Gibson e molti, molti altri. Tentammo di trasformare la mentalità del criminale nero nella mentalità del rivoluzionario nero. George Jackson - da I fratelli di Soledad. Lettere dal carcere di George Jackson, Einaudi, 1971, p.17.

 

 - In questa scoperta George non era solo. Contemporaneamente altri prigionieri stavano cominciando pian piano a scoprire Marx, Fanon e Mao, acquistando così un modo nuovo di considerare se stessi e la propria lotta - una nuova scala di valori morali. “Sono stato in rivolta per tutta la vita, solo che non lo sapevo”. Le approfondite indagini sociali di Marx e degli altri diedero ai carcerati la possibilità di sentirsi membri della comunità umana, e membri di una fratellanza rivoluzionaria.

 - LA “CATTIVA CONDOTTA”

(la) sua “cattiva condotta” in carcere - è stata la ragione che lo ha costretto a passare più di sette anni in celle di isolamento di ogni genere, comprese le famigerate “celle nude” + del braccio “O” di SOLEDAD, e la ragione di ogni rifiuto di scarcerazione.

+ Sono celle di metri 1,80 per 2,40 senza protezioni contro l’umidità, senza un lavabo o un gabinetto, dove lo si costringeva a mangiare in mezzo alla sporcizia e al tanfo dei propri escrementi, dove gli si permetteva di lavarsi le mani una volta ogni cinque giorni, e dove doveva dormire su un duro materasso di tela posto direttamente sul pavimento gelido.

dalla prefazione di Gregory Armstrong a George Jackson, “Col sangue agli occhi - Il fascismo americano e altri scritti”, PGreco, 2021 (ed.or. “Blood in My Eye”, Random House, 1972 - 1.ed. it, Einaudi, 1972), p.12 e 13.

 

La Cronologia delle vicende giudiziarie e penali dei ‘fratelli di Soledad’ - George Jackson, John Clutchette, Fleeta Drumgo e del fratello più giovane di George, Jonathan, di diciassette anni, la trovi in sintesi qui, voce verificata #SubalternStudiesItalia

https://it.wikipedia.org/wiki/George_Jackson#Cronologia_delle_vicende_giudiziarie_e_penali

link permanente: https://it.wikipedia.org/w/index.php?title=George_Jackson&oldid=133901057

#ferdinandodubla 







mercoledì 13 settembre 2023

UN ARCOBALENO DI PACE IN EUROPA

 



PACE, TERRA e DIGNITÀ:  Michele Santoro e Raniero La Valle indicono un'ASSEMBLEA il 30 SETTEMBRE per portare in Europa le ragioni della pace, della rivoluzione ecologica, dell’uguaglianza sociale. L’appello - piattaforma

Noi sottoscritti, amanti della pace e più ancora della vita, sgomenti per gli sviluppi incontrollati della guerra d’Ucraina e per l’istigazione da parte dei governi a perpetuarla ed estenderla, sentiamo l’urgenza di un impegno personale e intendiamo riunirci in una pubblica Assemblea il 30 Settembre prossimo a Roma

per promuovere un’azione responsabile volta ad invertire il corso delle cose presenti, istituire la pace e ristabilire le condizioni di un sereno futuro.

Rivolgiamo perciò un appello:

Ai pacifici, alle donne e agli uomini di buona volontà, ai resistenti perché nessun volto sia oltraggiato e la dignità sia riconosciuta a tutti gli esseri viventi, agli eredi di milioni di uomini e donne che hanno lottato per il lavoro, per l’emancipazione e per la libertà dal dominio pubblico e privato, a quanti si ribellano al sacrificio degli uni per il tornaconto degli altri, ai giovani che abbiamo perduto, a cui non abbiamo saputo garantire il futuro.

Ai credenti e ai non credenti, agli organizzati e ai disorganizzati, ai militanti di tutti i partiti, agli elettori di

tutte le liste, agli assenti dalle urne e a quelli di deluse speranze, a quanti godono di buona fama e a chi soffre di una cattiva reputazione, agli inclusi e agli scartati.

Noi ci rivolgiamo a voi non perché siamo più importanti, ma perché siamo voi.

E vogliamo dare una rappresentanza a tre soggetti ideali che ancora non l’hanno o l’hanno perduta, a tre beni comuni: la PACE, la TERRA e la DIGNITÀ.

La Terra: è in pericolo, essa non è un patrimonio da sfruttare, un ecosistema da aggredire, ma la casa comune da custodire, da tornare a rendere abitabile per tutte le creature, da arricchire con i frutti del nostro lavoro e le opere del nostro ingegno.

La Dignità: è la condizione umana da riconoscere, restaurare e difendere. La dignità della libertà e della ragione, del lavoro e del tenore di vita, del migrante per diritto d’asilo e del profugo per ragioni economiche, del cittadino e dello straniero, dell’imputato e del carcerato, dell’affamato e del povero, del malato e del morente, della donna, dell’uomo e di ogni altra creatura.

La Pace: tutti dicono di volere la pace nel mondo, ma questa non si può nemmeno pensare se prima non finisce questa guerra in Europa, dunque è una seconda pace, ed è una bugia quella di chi dice di volere la seconda pace se non vuole e impedisce la prima. Noi sappiamo invece che la pace del mondo è politica, imperfetta e sempre a rischio. È assenza di violenza delle armi e di pratiche di guerra, vuol dire non rapporti antagonistici né sfide militari o sanzioni genocide tra gli Stati, implica prossimità e soccorso nelle situazioni di massimo rischio a tutti i popoli.

Il sistema di guerra è diventato il vero sovrano e comanda ogni cosa, pervade l’economia e domina la politica anche quando la guerra non c’è o non è dichiarata. È questa la ragione per cui la stessa guerra d’Ucraina non riesce a finire, benché in essa entrambi i nemici già ne siano allo stesso tempo vincitori e sconfitti e non finisce perché, così ben piantata nel cuore dell’Europa per rialzare la vecchia cortina sul falso confine tra

Occidente e Oriente, la guerra d’Ucraina, è funzionale o addirittura necessaria a quel sistema, e perciò gli stessi negoziati sono stati proibiti.

È esplosa con la funesta offensiva di Putin ma ha subito suscitato una reazione straordinaria avente lo scopo di dividere l’Europa su una frontiera di odio e di sangue tra Ucraina e Russia, così da lasciare agli Stati Uniti una potenza ineguagliabile, e la Cina come vero e ultimo nemico.

LA TERRA stessa è in pericolo, le politiche ecologiche sono sospese e rovesciate, il clima si arroventa e le acque si rompono. Già ora i Grandi col nucleare sfregiano la Terra (in Ucraina con le bombe ricche di uranio impoverito). Per i potenti della Terra si direbbe che non esiste il futuro.

LA DIGNITÀ delle persone e di tutte le creature viene negata e umiliata, a cominciare dalla dignità dei migranti che sono abbandonati al mare o vengono scambiati per denaro perché siano trattenuti nei lager libici o nei deserti tunisini.

A tutto questo noi diciamo NO. Siamo sicuri che se si potesse fare un referendum mondiale, la grande maggioranza dei popoli e dei cittadini della Terra direbbe NO alla guerra come salute dei popoli, NO all’entusiasmo per il massacro, NO alla competizione strategica per il dominio del mondo, NO alla sfida culminante dell’area euro-Atlantica con la Russia e con la Cina.

Noi non neghiamo rispetto e stima ai partiti e alle loro personalità più eminenti e non condividiamo la ripulsa e il discredito di cui oggi sono fatti oggetto. Il nostro è piuttosto un Partito Preso per la Pace, per la Terra e per la Dignità delle creature, senza riserve ed eccezione alcuna.

La prima occasione in cui tutto ciò sarà messo alla prova saranno le elezioni europee.

Risuona per l’Europa la domanda gridata da papa Francesco: “Dove vai Europa?”. Dove stai navigando, senza la bussola della pace?

Il primo punto di un programma elettorale è per noi il rifiuto della creazione di un esercito europeo, erroneamente considerata, nell’attuale deriva politica, il naturale coronamento dell’unità europea. È invece il residuo di una cultura arcaica che ritiene essenziale per la sovranità il potere di guerra e il disporre di un’armata. Un esercito europeo sarebbe integrato nella Nato con gli Stati Uniti al comando, renderebbe permanente la guerra civile europea innescata dal conflitto in Ucraina e il pericolo di una deflagrazione finale in una guerra mondiale già di fatto iniziata.

È invece l’Europa che dovrebbe promuovere la riforma dell’Onu e una politica attiva per il disarmo, con l’inclusione del Brasile, dell’India e del Sudafrica, nazioni che formano i BRICS, nel novero dei Cinque Membri Permanenti del Consiglio di sicurezza. In tal modo la leadership mondiale sarebbe direttamente rappresentativa del 47 per cento (quasi la metà) della popolazione mondiale.

L’Europa ha interesse a sostenere l’opposizione del presidente brasiliano Lula alla supremazia mondiale del dollaro e a sottrarre la moneta e il debito al dominio delle banche private e alla speculazione liberista del mercato di carta per recuperare la sovranità perduta e riconsegnare i beni comuni ai cittadini.

Il sistema di guerra è incompatibile con la democrazia

perché porta inevitabilmente a galla fascismi vecchi e nuovi.

Non ci affascinano i Palazzi ma i Parlamenti. Vorremmo una scuola che non trasformi i ragazzi in capitale umano, in merce nel mercato del lavoro, in pezzi di ricambio per il mondo così com’è, ma in padroni della parola, coscienti e cittadini. Si decida di rendere vero anche nei fatti che la guerra è ripudiata come il patriarcato, che si salvino per primi “gli ultimi”, perché solo in questo modo si salvano anche i primi.

Amiamo l’Europa e l’Occidente ma non pretendiamo un mondo a nostra misura, tanto meno uniformato al modello di “democrazia, libertà e libera impresa”, che si è voluto esportare con le guerre umanitarie e per procura, consacrando così l’economia che uccide.

Per promuovere l’Assemblea del 30 settembre a Roma chiediamo a tutti di firmare questo appello continuando a camminare insieme.

Raniero La Valle

Michele Santoro

 

Invia una mail a associazione.serviziopubblico@gmail.com indicando il tuo nome e cognome e fallo circolare e unisciti all’Assemblea nelle modalità che in seguito Servizio Pubblico comunicherà.



sabato 9 settembre 2023

Ancora sulle divergenze tra maoismo e stalinismo - Omaggio a Roberto Sassi

 


La ragione del titolo: il 31 dicembre 1962 Mao scrisse per i compagni italiani nell’ambito internazionale, “Le divergenze tra il compagno Togliatti e noi” articolo comparso sul “Quotidiano del popolo”. Un successivo scritto, del febbraio 1963, ebbe per titolo “Ancora sulle divergenze tra il compagno Togliatti e noi” e comparve su “Bandiera rossa”. Il X Congresso del PCI nel dicembre 1962 aveva criticato la presa di distanza (che era geostrategica trasformatasi in teorico-politica) della Cina nei confronti dell’URSS della ‘destalinizzazione’ kruscioviana, che stava rivelandosi mera propaganda ad uso interno. (cfr. Mao Tse-Tung, Sull'esperienza storica del socialismo - Scritti 1956 - introduzione e cura di Ferdinando Dubla, NEO, 2002)

 Per il superamento degli -ismi in ambito marxista, tra storicizzazione, storie e miti, alcune pagine di esegesi maoista, che rimarcano le differenze con la categoria affermatasi come ’stalinismo’, del compianto Roberto Sassi, scomparso il 15 luglio u.s. (fe.d.)


Per il superamento degli -ismi, tra storicizzazione, storie e miti

Ma ‘maoismo’ e ‘stalinismo’ sono due categorie identiche? Oppure l’esperienza storico-politica di Mao e delle organizzazioni comuniste che si ispirarono e si ispirano alla sua figura (tema delicato quest’ultimo, in quanto non basta ‘rifarsi a’ ma ‘dimostrare che’, con alcune caricature liturgiche che fanno parte più di fedi e riti religiosi che della storia del movimento operaio o appropriazioni indebite) non separano nettamente le due categorie? La riflessione di Mao può abbracciare le correnti libertarie della ‘tradizione’ marxista e leninista, al netto della storicizzazione, delle storie, dei miti (come negli studi del compianto Roberto Sassi)?

Alcuni testi preliminari per la documentazione

 - Mao Tse Tung, Ribellarsi è giusto - a cura di Roberto Sassi, NdA Press, 2021 [cit. da formato digitale]

 - Mao Tse Tung, Su Stalin e sull'URSS, Einaudi, 1975

 - Mao Tse Tung, Note su Stalin e il socialismo sovietico - prefazione di Aldo Natoli, Laterza, 1975

 - Mao Tse Tung, Sull'esperienza storica del socialismo. Scritti 1956 - a cura di Ferdinando Dubla, Nuova editrice Oriente, 2002 - formato digitale in https://www.academia.edu/49588363/Mao_Tse_Tung_Sullesperienza_storica_del_socialismo_Scritti_1956_introduzione_e_cura_di_Ferdinando_Dubla

- Mao Tse Tung, Sui dieci grandi rapporti, discorso del 25 aprile 1956, in Biblioteca Multimediale Marxista, on line su http://www.bibliotecamarxista.org/Mao/libro_13/sui_10_grand_rapp.pdf

a cura di Ferdinando Dubla

- Il marxismo costituisce la guida all’azione pratica, una guida che non può bastare a se stessa: non si tratta di interpretare il mondo, si tratta di trasformarlo. Lo studio e la discussione hanno senso solo se sorgono e si riferiscono alla trasformazione concreta della realtà concreta. Da qui l’importanza del metodo dell’inchiesta nel marxismo. Marx stesso coglie l’importanza della critica dell’economia politica dall’inchiesta di Engels sulla condizione della classe operaia in Inghilterra. Così, una delle più avanzate esperienze teorico-pratiche antagoniste del ciclo di lotte degli anni 1960-’70, i “Quaderni rossi” di Raniero Panzieri, fanno del metodo dell’inchiesta il cardine per un superamento della fase di stagnazione in cui versava la lotta di classe nell’Occidente industrializzato. Il metodo dell’inchiesta, la critica al “culto del libro”, aprono la strada ad una riflessione filosofica sul materialismo dialettico come teoria fondata sulla prassi, che riesce a cogliere nel principio di contraddizione l’essenza della dialettica. Come è stato sottolineato da Marx, Engels e poi da Lenin e da Mao, il principio fondamentale del materialismo dialettico è il principio di contraddizione (unità degli opposti), che è inerente alle cose e che è esprimibile appunto con l’espressione “l’uno si divide in due”. Da questa concezione deriva che i due poli della contraddizione si condizionano reciprocamente e attraverso la lotta l’aspetto più forte si trasforma da dominato a dominante. Il legame tra i poli è transitorio e instabile, mentre la tendenza alla lotta e alla divisione è la incondizionata e assoluta legge del divenire. Dal punto di vista pratico-politico, questa concezione generale implica la centralità della lotta di classe nella società.

Roberto Sassi da  - Mao Tse Tung, Ribellarsi è giusto - a cura di Roberto Sassi, NdA Press, 2021 [cit. da formato digitale § corrispondenti]

Distruzione e costruzione

L’approccio dialettico al problema della guerra, come espressione sanguinaria della politica imperialista e come momento catartico-rivoluzionario, apre – con la resistenza popolare – la prospettiva di un mondo nuovo, di una nuova democrazia, diretta e di massa. La costruzione di un paese enorme (enormemente popolato e affamato, enormemente arretrato dal punto di vista tecno-industriale, ma altrettanto ricco di risorse naturali, di energie umane, di conoscenze teorico-pratiche sedimentate da una cultura millenaria) attraverso una enorme mobilitazione di massa su due parole d’ordine fondamentali: “servire il popolo” e “contare sulle proprie forze”, questa in estrema sintesi è la linea maoista dopo la proclamazione della Repubblica Popolare Cinese. In Cina il potere popolare incontra costantemente una serie di ostacoli di varia natura, come abbiamo visto prima, che impongono un vero e proprio salto di qualità nella pratica dell’edificazione del socialismo in Cina così come nei rapporti fra i paesi socialisti, fra i partiti comunisti e nella teoria rivoluzionaria. La linea di Mao dà battaglia, in Cina come in tutto il mondo, per uno sviluppo del movimento comunista e del marxismo come suo fondamento teorico. “Servire il popolo”, significa che i comunisti non sono una setta di illuminati intellettuali separati dalle masse, i comunisti non sono neanche dei burocrati privilegiati sempre più separati dalle masse. I comunisti sono “come semi che germogliano fra le masse”, mettono radici e danno frutti. I comunisti risolvono le contraddizioni in seno al popolo con la discussione, non con i carri armati. I comunisti hanno la tenacia di Yu Kung: “niente è difficile al mondo / se si è decisi a scalare la vetta”. “Contare sulle proprie forze”, significa che non bisogna confidare su nessuna provvidenza, su nessun Dio e su nessuno “Stato-guida”: la rivoluzione non si importa e non si esporta. La tragedia degli “aiuti fraterni” dell’URSS ai paesi satelliti è fin troppo nota, la Cina maoista si sottrae all’egemonia sovietica fin dal sorgere della lotta di resistenza nelle campagne. (..) I comunisti debbono impegnarsi in un grande sforzo creativo, perché il marxismo non può che essere una teoria “costituente”, un pensiero-movimento che si arricchisce continuamente con l’incremento delle esperienze di lotta e con l’approfondimento dell’analisi concreta della situazione concreta. Roberto Sassi, cit. da  - Mao Tse Tung, Ribellarsi è giusto - a cura di Roberto Sassi, NdA Press, 2021 [prefazione § da formato digitale].




+15 luglio 2023 - Roberto Sassi, lo studioso maoista italiano marxista creativo e libertario. Nato a Bologna nel 1960, è stato militante del movimento del ‘77 e poi del sindacalismo di base, studioso di filosofia marxista, collaboratore di varie riviste e radio libere. Per Gwynplaine ha curato l’antologia di scritti di Lenin “L’arte dell’insurrezione” (2010) e di quelli di Mao “Ribellarsi è giusto!” (2013). Con Luciano Vasapollo, compagno fraterno, condivideva l’esperienza della Rete dei Comunisti.

L’ABBRACCIO DI VASAPOLLO

“Roberto – ci ha detto Vasapollo – è stato l’amico e il compagno di tutta una vita, con il quale abbiamo condiviso anche l’esperienza dura della reclusione e poi l’impegno politico nella Rete dei Comunisti, uniti da una visione comune del progetto di una futura società più giusta. Il suo impegno è stato sempre generoso e di qualità, sotto il profilo umano, certamente, ma anche per l’aspetto intellettuale, come testimoniano i suoi volumi che ci spingono ad accostarlo ad un altro grande amico e intellettuale militante, Valerio Evangelisti. Come scrive oggi Contropiano, di cui è stato uno degli iniziatori, Roberto Sassi ha contribuito in modo determinante a individuare e spiegare, contro la rimozione seguita alla fine dell’URSS, “Le ragioni dei comunisti oggi. Tra passato e futuro”. Una visione non rinunciataria ma aperta al futuro che ha rappresentato la base per l’avvio di questa nuova presenza, minoritaria ma aperta, capace di una ridefinizione teorica da cui si è fatto nascere, insieme, una riorganizzazione pratica”. Luciano Vasapollo, 17 luglio 2023

Addio a Roberto Sassi, il compagno appassionato studioso di Mao, la terra ti sia lieve

 

- Una montagna di menzogne ci opprime, una filosofia dell’irreversibile e dell’ineluttabile vuole imporci l’accettazione incondizionata dello stato di cose presente. La Storia ci chiude la bocca, curva le nostre spalle. E son sempre di più quelli che, stanchi di cercare l’ago nel pagliaio, cominciano a pensare che la paglia non è poi tanto male… Tempi bui, davvero tempi bui: tempi di disastri e stragi, tempi di tirannia. Il Nuovo Ordine Mondiale Imperialista, dopo aver celebrato i suoi fasti, è precipitato in una crisi di sistema senza precedenti. Il mercato ha regolato tutti i conti, a modo suo, ma i conti non tornano. È tempo di incominciare la Rivoluzione.

Roberto Sassi


Il ricordo dei compagni di Contropiano - Rete dei Comunisti a cui si associa #SubalternStudiesItalia #RobertoSassi








giovedì 7 settembre 2023

LE TERRE del SILENZIO nella fotografia etnografica di FRANCO PINNA

 



Quando la fotografia entra nella storia è arte allo stato puro, perchè non rappresenta la realtà, ma il tempo che la contiene.
(fe.d.)

dalla introduzione di Diego Carpitella, “Franco Pinna e la fotografia etnografica in Italia” in “Viaggio nelle terre del silenzio - Fotografie di Franco Pinna”, Idea editions, 1980

extract.

La scelta di determinati soggetti, dovuta nell’esperienza etnografica di Franco Pinna, dal 1952 a circa il 1960, ad un inserimento in una visione etnologica-politica del Sud italiano; la preferenza per un repertorio umano, sociale, invece che un altro; l’attenzione verso una condizione mentale e materiale, invece che un’altra; una particolare stampa in bianco e nero; una particolare rapidità nel cogliere momenti visivi sintetici e simbolici; una improvvisazione folgorante dinnanzi alle circostanze. Qualcuno potrà obiettare: parole. In effetti si tratta di un graduale avvicinamento a ciò che di specifico ha la fotografia etnografica di Pinna. L’uso della Leica, senza corredi sofisticati, unitamente alla preferenza del bianco-nero, con rapidità di sintesi, sono modi di approfondire la conoscenza di questo singolare caso di fotografia etnografica che è stato Franco Pinna, nell’aura demartiniana. (..) Che questi presupposti di missione sociale, e politica, fossero anche nelle “spedizioni” di De Martino, negli Anni ‘50, non vi è alcun dubbio: dietro non ci sarà stato il moralismo protestante di un paese già spiccatamente industriale, ma c’era invece tutto il tormento de “la questione meridionale”, che attraverso solo pochi attendibili scrittori o le notarili inchieste, da quelle napoleoniche a quelle post-unitarie, volevano “documentare” una realtà: i poveri, i contadini poveri, il latifondo, la fatica, la povertà, materiale e psicologica, l’ingiustizia sociale, la mediazione del potere attraverso il clero, anch’esso sovente povero. Questo intendimento vi era dietro la facciata, apparentemente più intellettuale ed erudita, dei viaggi etnografici in Lucania, Calabria e Puglia degli Anni ‘50, ai quali Pinna partecipò costantemente. (..) pag.6





LE TERRE del SILENZIO nella fotografia etnografica di FRANCO PINNA (parte 2.)

dalla introduzione di Diego Carpitella, “Franco Pinna e la fotografia etnografica in Italia” in “Viaggio nelle terre del silenzio - Fotografie di Franco Pinna”, Idea editions, 1980

extract.

Lo scopo di questi “servizi etnografici”, i primi che vi furono in Italia, vanno visti nell’ambito della profonda finalizzazione di quelle ricerche meridionalistiche: conoscere quella realtà, farne uno strumento di contestazione per poi trasformare la “realtà”, la società, con i suoi modi e rapporti di produzione. I fatti hanno dimostrato che vi era un certo ottimismo nel pensare che una realtà potesse cambiare attraverso una documentazione fotografica “oggettiva”, “realistica” e “contestativa”. Rimane però il fatto che chi scorresse le immagini del repertorio di Franco Pinna, avrebbe una visione corretta di come stavano le cose, una visione costantemente insidiata dal desiderio illuministico e moralistico del progresso e della non meno motivata aspirazione, di conservare le proprie radici, la propria identità nativistica. Ecco, le foto di Franco Pinna rientrano in questa problematica di cultura. Le sue fotografie sono “documento di prova nel processo storico” (Benjamin). pag.9 



Le foto del ‘subalternist’ Franco Pinna e il suo rapporto con de Martino /

Fu durante le spedizioni di de Martino del 1956 (in Basilicata) e poi del 1959 (in Calabria, Basilicata e Puglia) che Pinna raggiunse i risultati più maturi della sua produzione in ambito etnografico. Nella straordinaria sequenza dedicata al funerale di Castelsaraceno (foto sottostante) – così come in quelle che ritraggono i riti in onore della Madonna di Pierno o della Pentecoste a Serra San Bruno, il «gioco della falce» a San Giorgio Lucano o il ciclo coreutico della tarantata Maria di Nardò in Salento – «l’articolazione nello spazio e nel tempo dell’evento rappresentato raggiunge esiti mai prima toccati», grazie all’uso «variato» delle inquadrature (dall’alto, dal basso, frontale, laterale, posteriore) e agli «spostamenti continui di un fotografo davvero infaticabile, capace di farsi trovare in un batter d’occhio prima del corteo funebre, dentro di esso, dietro, sopra, tra i suoi spettatori» (Pinna, 2002, p. 21). 1+

Nelle sue tre pubblicazioni dedicate al Sud, de Martino fece un uso estremamente scarno del vasto materiale prodotto da Pinna: tre fotografie comparvero in Morte e pianto rituale nel mondo antico (1958), undici in Sud e magia (1959), mentre in La terra del rimorso (1961) Pinna non fu nemmeno citato tra i crediti (per tale motivo fece causa a de Martino e all’editore). 2+

Maggiori soddisfazioni arrivarono attraverso le iniziative organizzate da de Martino per promuovere le sue ricerche: grande successo ebbero le 35 fotografie di Pinna esposte dapprima alla galleria «Ferro di cavallo» di Roma, quindi a Viareggio, Torino, Bologna, Milano, Napoli, Bari e Palermo, mentre tre ampi fototesti uscirono nel 1960 su L’Espresso mese.

1+ - Giuseppe Pinna, Con gli occhi della memoria. La Lucania nelle fotografie di Franco Pinna 1952-1959, Il Ramo d’oro editore, 2002, pag.29. [cfr. però anche recensione Roberta Tucci, che esprime forti critiche al lavoro, in commento 1]

2+ L. Mazzacane, P. e De Martino: una vicenda complessa, in F. P. Fotografie 1944-1977, Milano 1996, pp. 125-135

Passi dal Dizionario biografico Treccani

foto Archivio Franco Pinna



le foto in 




a cura di



martedì 5 settembre 2023

RIVOLTA, RIBELLIONE, INSORGENZA E RIVOLUZIONE: la lotta di classe dei briganti

 




Il brigantaggio è stato la risposta diretta del proletariato all’organizzazione della neonata nazione italiana a seguito dell’invasione militare piemontese e dell’impostazione coloniale che ne conseguì. Il filo conduttore dell’analisi degli autori si concentra quindi sulla lotta di classe come elemento distintivo del conflitto, perché è nella condizione materiale dei contadini, delle masse povere che si rivoltano, che vanno ricercate le cause di questo fenomeno.

Enzo Di Brango, Valentino Romano - Brigantaggio e rivolta di classe. Le radici sociali di una guerra contadina Copertina flessibile  Nova Delphi Libri; 2017

- L’idea del libro è quella di leggere il brigantaggio alla luce degli insegnamenti di Karl Marx, oggi studiato persino nelle università americane e ritornato quanto mai attuale dopo la crisi del 2008, per capire la quale molti sono tornati a leggere le pagine de Il Capitale. [..]

il brigantaggio è stato un fenomeno che esprimeva una rivolta di classe le cui radici si trovano nelle condizioni materiali e sociali dei contadini, nel loro disperato bisogno di terra sempre frustrato perché a vincere furono sempre gli stessi: i nobili, gli agrari, gli usurpatori, i baroni, i nuovi borghesi. Arrivano prima i garibaldini e poi i piemontesi, suscitando speranze nei contadini che nel frattempo si sono mossi occupando le terre. Ben presto i contadini capiscono d’essere stati ingannati ancora una volta e non sono più disposti ad accettare la situazione. Dopo il fallimento delle lotte e la chiusura totale alle loro rivendicazioni inizia la rivolta, il brigantaggio. [..]

relazione, conservata nel fondo del generale Govone presso il Museo nazionale del Risorgimento italiano di Torino e pubblicata nel 1902 dal figlio Umberto, Il generale Giuseppe Govone. Frammenti di memorie,: [..] Scrive Govone: “La spiegazione del brigantaggio [è] nella condizione sociale del paese e nel misero stato del proletariato… Questi lavoranti non guadagnano che pochi grani una parte dell’anno. Morirebbero di fame se non ci rubassero. La fame e la miseria è la prima delle piaghe che affligge il proletariato napoletano. Alla fame si aggiungono le ingiustizie di cui è vittima il proletariato… Se quindi oltre alla fame il proletariato non trova schermo contro la prepotenza nulla è a maravigliare che si rivolti contro la società e che le dichiari la guerra per cercare nella propria forza quell’equità che gli è negata. A questa condizione del proletariato napoletano va attribuita, a quanto mi parve dopo un lungo esame, la causa principale del brigantaggio.” Parole di estremo acume, accompagnate da un’altra considerazione fulminante: “Se il brigantaggio attuale nacque colla rivoluzione politica del 1860, non è la rivoluzione politica che ne sia la causa, né l’amore della Dinastia borbonica.”

+  Enzo Ciconte viene considerato tra i massimi esperti in Italia delle dinamiche collegate alle grandi associazioni mafiose. Deputato della X Legislatura (1987-1992) per il Partito comunista italiano, è stato prima membro della Commissione giustizia e successivamente consulente della Commissione parlamentare antimafia. Docente a Roma, L’Aquila e Pavia, ha pubblicato numerosi volumi sul fenomeno della criminalità organizzata.

 

Dall’Introduzione di Enzo Ciconte

 

- I briganti, dopo il 1870, sparirono e subito dopo sparirono dal Mezzogiorno masse enormi di giovani che scelsero la strada dell’emigrazione transoceanica. (..) dopo la conclusione della Seconda guerra mondiale, quando le lotte contadine sviluppatesi nelle stesse terre di sempre incontrarono un ministro come Fausto Gullo, di cui si parla nel libro, il ministro dei contadini, com’era chiamato; definizione che lui completava, non senza compiacimento, aggiungendovi la parola comunista: ministro comunista dei contadini. (..) tesi centrale del libro di Enzo Di Brango e Valentino Romano: il brigantaggio non fu un fenomeno criminale, di assassini e di delinquenti, di barbari cafoni assetati di sangue, ma un fenomeno sociale e di classe, prodotto più genuino delle condizioni del tempo nelle campagne meridionali.

 

- dalla premessa degli autori:

Il presente saggio, tuttavia, porrà la sua attenzione specifica su quelle che furono le motivazioni sociali del conflitto, se esse furono determinate solo da ribellismo fine a se stesso e catalizzato contro il “nuovo che stava avanzando”, o se, invece, nella rivolta contadina possano essere individuati elementi primordiali di lotta di classe. (..)

esporre la dottrina della lotta di classe e di spiegare perché essa interpreti coerentemente i dieci anni di guerra civile tra i contadini meridionali e il novello esercito italiano. (..) Il riferimento specifico non potrà che essere l’analisi e lo sviluppo che di tale dottrina ne farà Antonio Gramsci, nella sua originale ed efficace elaborazione nei Quaderni del carcere.

 

Passi scelti da #SubalternStudiesItalia dal formato digitale

§ paragrafi corrispondenti