Subaltern studies Italia

L’analisi e la classe - a cura di Ferdinando Dubla

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martedì 31 dicembre 2013

L'alba dell'anno nuovo

 
 

Sempre nuova è l'alba

Non gridatemi più dentro,
non soffiatemi in cuore
i vostri fiati caldi, contadini.

Beviamoci insieme una tazza colma di vino!
che all'ilare tempo della sera
s'acquieti il nostro vento disperato.

 Spuntano ai pali ancora
le teste dei briganti, e la caverna -
l'oasi verde della triste speranza -
lindo conserva un guanciale di pietra...

 Ma nei sentieri non si torna indietro.
Altre ali fuggiranno
dalle paglie della cova,
perché lungo il perire dei tempi
l'alba è nuova, è nuova.
 
Rocco Scotellaro, 1945

mercoledì 25 dicembre 2013

L'Espresso in edicola: inchiesta sugli insegnanti


Inchiesta

La scuola cade a pezzi. Per fortuna che ci sono gli insegnanti

Dimenticati, malpagati, maltrattati dai genitori. Eppure proprio grazie ai professori i ragazzi dei licei risalgono in classifica. Ecco come e perché

http://espresso.repubblica.it/inchieste/2013/12/23/news/w-il-prof-1.147076

domenica 22 dicembre 2013

venerdì 20 dicembre 2013

mercoledì 18 dicembre 2013

Natale amaro per gli insegnanti precari


Fonte: Il Manifesto



Taglio da mille euro allo sti­pen­dio dei pre­cari della scuola. Lo aveva sta­bi­lito la legge di sta­bi­lità del 2012, quella appro­vata da Monti, che bloc­cava la mone­tiz­za­zione delle ferie matu­rate per tutti i pre­cari del pub­blico impiego. Il 4 set­tem­bre scorso, il mini­stero dell’Economia ha dira­mato una nota inter­pre­ta­tiva con la quale ha sta­bi­lito la retroat­ti­vità del prov­ve­di­mento. Le ferie matu­rate prima del 1 gen­naio 2013 ver­ranno pagate. Quelle suc­ces­sive no. Lo potranno essere solo dopo avere cal­co­lato i giorni di pausa pre­sta­bi­liti dal calen­da­rio sco­la­stico in vigore (Natale, Pasqua ecc). Dun­que, a Natale, una buona parte dei 140.557 pre­cari con cat­te­dra (record asso­luto sta­bi­lito dal Conto annuale della Ragio­ne­ria Gene­rale dello Stato) non rice­ve­ranno i mille euro a cui avreb­bero diritto. Loro che non hanno diritto alle ferie, in quanto precari.

«La fan­ta­sia non ha limiti — accusa il sin­da­cato Usb — quando si vuole pie­gare il diritto ai pro­pri comodi». Si minac­cia il ricorso ai tri­bu­nali per il paga­mento delle ferie. Ma que­sta non è l’unica sor­presa che tro­ve­ranno sotto l’albero. Sono ormai molte le scuole in tutto il paese che non rie­scono a pagare i sup­plenti per i mesi di novem­bre e dicem­bre. Secondo il Miur que­sta situa­zione dipende dall’insufficienza dei fondi a dispo­si­zione degli isti­tuti e dalla sua impos­si­bi­lità, al momento dicono da Viale Tra­ste­vere, di rifi­nan­ziare il fondo rela­tivo. Per la Flc-Cgil una solu­zione verrà tro­vata. Sem­bra infatti che le «segre­te­rie sco­la­sti­che faranno più paga­menti allo stesso lavo­ra­tore, nei limiti dei fondi dispo­ni­bili e in modo pro­por­zio­nale». Ma ciò non can­cella la grave ano­ma­lia. Ieri, in un’intervista a Rai­news 24, il mini­stro dell’istruzione Car­rozza ha detto di «stare cer­cando le risorse per i pre­cari. Mi trovo ogni giorno a fare fronte a esi­genze che non cor­ri­spon­dono a dispo­ni­bi­lità che ho. E’ un sistema che lavora sem­pre in emer­genza e al limite». Tra­dotto: i soldi non ci sono, e il sistema è a un passo dal baratro.Ieri la vice­pre­si­dente Pd in Com­mis­sione Cul­tura, Manuela Ghiz­zoni e Maria Coscia, capo­gruppo Pd nella stessa com­mis­sione, hanno dichia­rato che i fondi per il diritto allo stu­dio sono stati aumen­tati di 50 milioni di euro che si aggiun­gono ai 100 stan­ziati nel decreto scuola. Gli stu­denti ne chie­dono per­lo­meno 300.

venerdì 13 dicembre 2013

Numero di dicembre di Lavoro Politico


NUMERI
(dicembre 2013)ò
(Stefano Barbieri e Alessandro Hobel, PdCI)

(ferdinando dubla)

6MATERIALI 6


La terra, germoglio di rivolta (e poesia) antifascista

(pietro mita)

martedì 10 dicembre 2013

MADIBA COMUNISTA: “Hamba kahle Mkhonto!”

 
 

Comunicato del Partito Comunista Sudafricano


La notte scorsa, milioni di persone nel Sudafrica, tra cui la maggioranza della classe operaia e dei poveri, insieme a miliardi di esseri umani che popolano il pianeta, hanno perso un vero rivoluzionario, il presidente Nelson Rolihlahla Mandela, “Tata Madiba”.Il Partito Comunista Sudafricano (SACP) si associa ai sudafricani, come agli altri popoli del mondo, esprimendo le più sincere condoglianze alla Signora Graca Machel e a tutta la famiglia di Mandela per la perdita di colui che il presidente Zuma ha giustamente presentato come il più grande dei figli del Sudafrica, il Compagno Mandela.Noi vogliamo pure approfittare di questa occasione per esprimere la nostra solidarietà con l'African National Congress (ANC), un'organizzazione che lo ha forgiato e che egli ha servito in modo encomiabile, insieme ai suoi colleghi e compagni del nostro movimento di liberazione. Come diceva Madiba: “non sono i re e i generali a fare la storia, ma le masse, i popoli, i lavoratori, i contadini”.La scomparsa del Compagno Mandela segna la fine della vita di uno dei più grandi rivoluzionari del 20° secolo, che ha combattuto per la libertà e contro ogni forma di oppressione, nel suo paese e su scala mondiale.In quanto parte delle masse che fanno la storia, il contributo del Compagno Mandela alla lotta per la libertà si è collocato, e forgiato, nell'appartenenza alla direzione collettiva del nostro movimento di liberazione nazionale, guidato dall'ANC- e per questo non è stato un contributo isolato.Nel Compagno Mandela abbiamo avuto un soldato bravo e coraggioso, un patriota e un internazionalista che, riprendendo il motto di Che Guevara “è stato un grande rivoluzionario guidato da grandi sentimenti di amore” per il proprio popolo, un tratto straordinario di tutti gli autentici rivoluzionari popolari.Al momento del suo arresto nell'agosto 1962, Nelson Mandela non era solamente un membro del Partito Comunista Sudafricano allora clandestino, ma era anche un membro del nostro Comitato Centrale.Per noi, comunisti sudafricani, il Compagno Mandela sarà sempre il simbolo del contributo monumentale del SACP alla nostra lotta di liberazione. Il contributo dei comunisti alla lotta per la libertà dei sudafricani è stato difficilmente uguagliato nella storia del nostro paese.Dopo la sua liberazione nel 1990, il Compagno Madiba è diventato un grande e stretto amico dei comunisti, fino al suo ultimo respiro.La lezione importante che noi dobbiamo apprendere da Mandela e dalla sua generazione di dirigenti, è racchiusa nel loro impegno per l'unità basata sui principi in ciascuna delle formazioni della nostra Alleanza [ANC, SACP e sindacato di classe COSATU, ndt], per l'unità della nostra Alleanza nel suo insieme, e per quella dell'insieme del movimento democratico di massa.La sua generazione ha lottato per costruire e cementare l'unità della nostra Alleanza, e per questo noi dobbiamo onorare la memoria del Compagno Madiba preservando l'unità della nostra Alleanza.Si ricordi a coloro che non capiscono quanto sangue sia stato versato per conservare l'unità della nostra Alleanza che non devono infangare l'eredità e la memoria di persone della tempra di Mandela, mettendo in gioco in modo riprovevole l'unità della nostra Alleanza.Il SACP ha sostenuto l'impresa della riconciliazione nazionale di Madiba. Ma la riconciliazione nazionale per lui non ha mai significato evitare di contrapporsi alle ineguaglianze di classe, sociali nella nostra società, come certuni amano fare credere oggi.Per Madiba, la riconciliazione nazionale ha rappresentato una piattaforma per raggiungere l'obiettivo della costruzione di una società sudafricana più egualitaria, liberata dal flagello del razzismo, del patriarcato e delle ineguaglianze più evidenti.E una vera riconciliazione nazionale non sarà mai raggiunta in una società ancora caratterizzata da ineguaglianze che si approfondiscono e dallo sfruttamento capitalista.In omaggio a questo grande combattente, il SACP intensificherà la lotta contro ogni forma di ineguaglianza, anche intensificando la lotta per il socialismo, sola soluzione politica ed economica ai problemi che affronta l'umanità.Per il SACP, la scomparsa di Madiba deve offrire a tutti quei sudafricani che non hanno aderito ad un Sudafrica democratico, e che sempre in un modo o nell'altro hanno mostrato nostalgia del periodo della dominazione bianca, una seconda possibilità di inserirsi in un Sudafrica democratico fondato sul principio delle regole della maggioranza.Facciamo appello a tutti i sudafricani affinché si ispirino al suo esempio di disinteresse, di sacrificio, di impegno e di servizio resi al popolo.I comunisti dicono: “Hamba kahle Mkhonto!” (Riposa in pace, combattente della liberazione!)

domenica 24 novembre 2013

Scuola, ultimatum Ue all’Italia: assumete 137 mila precari entro due mesi


Fonte: Il Manifesto | Autore: Roberto Ciccarelli       

La Commissione Europea ha inviato all’Italia un nuovo avvertimento sulla discriminazione degli insegnanti e del personale precario che lavora nella scuola da più di 36 mesi continuativi a proposito del mancato adeguamento dello stipendio al personale di ruolo. Il nostro paese rischia una multa minima di 10 milioni di euro perché dal 1999, quando è stata emanata la direttiva comunitaria numero 70, non ha mai stabilizzato i 137 mila precari della scuola (stima Anief, 130 mila per Flc-Cgil, Cisl e Uil) che hanno lavorato per più di tre anni con le supplenze.

Nella lettera con la quale la Commissione Ue mette in mora l’Italia si legge che il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (Miur) usa i precari con contratti a termine «continuativi», ad ogni fine di anno scolastico (e comunque alla fine di ogni incarico) li «licenzia», per poi «riassumerli» attraverso il meccanismo della chiamata dalle «graduatorie in esaurimento», oppure con le chiamate dei presi a partire dalla fine di ogni agosto. Un’operazione che si protrae anche per molti mesi. Il problema è che, così facendo, centinaia di migliaia di persone vengono lasciate «in condizioni precarie nonostante svolgano un lavoro permanente come gli altri». La discriminazione di Stato non riguarda solo lo status giuridico, ma anche il reddito. I precari, infatti, guadagnano sensibilmente di meno degli «assunti». Se alla lotteria delle «chiamate» vincono una cattedra piena (cioè 18 ore alla settimana), possono arrivare anche a 1400 euro al mese. L’anno successivo rischiano tuttavia di ricominciare da un reddito anche dimezzato. Considerati i tagli delle cattedre, il riaccorpamento delle classi o degli istituti, e il blocco del turn-over, le cattedre sono diventate in questi ultimi anni sempre di meno, e ai precari non resta che accontentarsi di «spezzoni». In questi casi il reddito diminuisce sensibilmente, poco più o poco meno sulla soglia di povertà. Per la Commissione Ue gli stipendi vanno adeguati perché questi precari «svolgono lo stesso lavoro ma hanno un contratto diverso» rispetto a chi ha già un «ruolo». L’Italia deve rispondere entro due mesi, altrimenti la procedura sarà depositata alla Corte di giustizia europea. Una condanna della Corte costerà 10 milioni di euro, una cifra che potrà aumentare, da 22mila a 700 mila euro per ogni giorno di ritardo. «Dopo la messa in mora dell’Italia in merito alla procedura sul personale Ata della scuola, quello giunto oggi è un ulteriore segnale importante – afferma Marcello Pacifico dell’Anief e segretario organizzativo Confedir – L’equiparazione stipendiale è fondamentale anche ai fini della stipula dei contratti sui posti vacanti, sino al 31 agosto, e verso la stabilizzazione dei 137 mila supplenti nella nostra scuola». Tutti i sindacati sono ormai in trincea contro il ministero e chiedono una soluzione definitiva a questa piaga tutta italiana. Per la Flc-Cgil, che come l’Anief ha promosso un ricorso alla Corte di giustizia europea, il governo «deve mettere in campo un piano pluriennale che consenta la stabilizzazione – afferma il segretario Domenico Pantaleo – andando oltre gli stessi contenuti della legge sull’istruzione approvata in parlamento». Per Francesco Scrima della Cisl la stabilizzazione risolverebbe anche la discriminazione sul reddito dei precari. «Chi è assunto a tempo indeterminato – afferma – può far valere l’anzianità accumulata con il lavoro precario». La Uil attacca il piano triennale di immissioni in ruolo deciso dal ministro Carrozza; «è una soluzione parziale – sostiene – ci sono ancora posti in organico di diritto coperti con contratti annuali reiterati di anno in anno. La soluzione è l’organico funzionale».

Il Miur ha cercato di rivendicare la trasformazione delle graduatorie fisse in graduatorie in esaurimento («per sgonfiare le sacche di precariato»). E sostiene che le 11.542 immissioni in ruolo per il triennio 2014-2016 «contribuiranno a riportare a un livello fisiologico il ricorso ai precari». Che, nel 2016, saranno grosso modo 120 mila. Se l’Europa troverà convincenti queste argomentazioni, la procedura si arresterà. Altrimenti, lo Stato italiano inizierà a pagare.

mercoledì 20 novembre 2013

Con la Finanziaria (la "legge di stabilità") in arrivo altri 32 milioni di tagli alla spesa


Crescita, sviluppo, diritti dei precari, giovani disoccupati.. tutte chiacchiere! La realtà è questa....

 Fonte: Il Manifesto | Autore: Antonio Sciotto


La nuova Spending Review: maxi-taglio da 32 miliardi

Un maxi piano di tagli, la cosiddetta «spending review», è in arrivo nei prossimi mesi: ieri il Commissario Carlo Cottarelli – ex dell’Fmi – ha presentato il suo piano prima a Palazzo Chigi e poi alla stampa. Si punta a recuperare, «circa due punti di Pil, pari a 32 miliardi di euro, in tre anni», ha spiegato il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni: soldi che, sempre secondo il ministro, avranno come primo obiettivo «la riduzione delle imposte» e poi anche «il finanziamento degli investimenti» e la «riduzione del debito».

Non è ancora chiaro nel dettaglio dove Cottarelli con la sua squadra andrà a tagliare, ma di certo nel mirino ci sono non solo i ministeri, ma anche tutta l’amministrazione pubblica e la sanità. Eppure ieri lo stesso Enrico Letta, prima intervistato dal Financial Times e poi alla cerimonia per i 90 anni del Cnr, ha tenuto a sottolineare che l’epoca dei tagli lineari è finita: «Quando si interviene con la falce, tagliando tutto allo stesso modo, alcuni tagli rendono impossibile fare le cose ecco perché bisogna carotare – ha spiegato il premier -Dobbiamo tornare a una stagione di tagli che rendano possibili gli investimenti. Il 2013 è un anno di transizione, nel 2014 si deve cambiare verso e investire nella ricerca».

Tanto ottimismo, ma certo – come si è reso evidente più volte in passato – dietro le parole «taglio», «risparmio», «efficientamento», «spreco» può nascondersi una sforbiciata anche per i servizi. Il viceministro all’Economia Stefano Fassina, infatti, commentando il piano della spending review, ha detto che tagliare gli sprechi va bene, ma che non si deve intaccare il welfare: «La spending review deve puntare a riallocare la spesa, fare efficienza, riorganizzare le pubbliche amministrazioni, altrimenti significa ridimensionamento del welfare – ha spiegato – Credo ci sia una notevole approssimazione nella discussione sulla spesa pubblica italiana, che pro capite è tra le più basse non solo in eurozona ma in tutta Europa, ed è già prevista in riduzione di tre punti».

La road map della spending review, comunque, prevede un percorso in almeno due tappe principali: fino a febbraio c’è una fase di ricognizione, che potrebbe già portare con sé alcune misure alla sua conclusione; ma il grosso dovrebbe arrivare con il Def del prossimo anno, entro luglio, quando si stilerà un vero e proprio piano triennale, che riguarderà più massicciamente gli anni 2015-2016-2017.

Tra i provvedimenti inseriti nel documento presentato ieri, ci sono anche gli incentivi agli enti locali per tagliare i costi: «Sarà studiato un sistema di incentivi finanziari che facilitino la collaborazione dei centri di spesa nella individuazione di risparmi». Verranno stilate speciali «classifiche» per evidenziare i «centri di spesa virtuosi e quelli meno efficienti».

Il capitolo più caldo – anche sul piano delle possibili proteste che potrebbe generare – riguarda il riordino della pubblica amministrazione, visto che concerne anche la «mobilità» nel pubblico impiego, «compresa l’esplorazione di canali d’uscita e rivalutazione delle misure del turn over». Il Pd ha chiarito che «è importante favorire la mobilità per compensare le carenze di organico tra i vari settori», ma che nel contempo si deve assicurare «lo sblocco della contrattazione e del turn over». E Cottarelli ha annunciato che il tutto si farà «lavorando in stretto contatto e di frequente con le parti sociali».

Certo, siamo alla fase degli annunci, quindi è per il momento quella più fumosa: al dunque si dovrà seriamente considerare se le forbici non colpiranno servizi sanitari e più in generale pubblici. E comunque, stando alle parole di Saccomanni, l’abbattimento del debito pubblico non dovrebbe venire solo dai tagli alla spesa corrente relativa ai servizi e al welfare, ma anche da privatizzazioni e dal rientro di capitali dall’estero: «L’azione principale di contenimento del debito pubblico verrà dal programma delle privatizzazioni e dal rientro dei capitali all’estero, ma ci sarà anche un contributo che io spero venga anche dalla revisione della spesa pubblica», ha spiegato il ministro. Privatizzazioni di cui si dovrebbe sapere di più già entro la fine di questa settimana.

domenica 10 novembre 2013

sabato 9 novembre 2013

Anche la scuola pugliese in sciopero il 15 novembre


La Flc CGIL Puglia, la CISL Scuola Puglia e la UIL Scuola Puglia, comunicano l'adesione allo sciopero proclamato dalle Segreterie CGIL CISL e UIL regione Puglia per il giorno 15 Novembre 2013.

Per il Comparto del personale della scuola lo sciopero è articolato nelle modalità seguenti:

1.      l'astensione dal lavoro riguarda tutto il personale docente, educativo e ATA delle istituzioni scolastiche statali e non statali, nonché il personale che opera negli enti di formazione professionale;

2.      il personale interessato si asterrà dal lavoro nel corso della prima ora di funzionamento del servizio in ciascuna istituzione scolastica;

3.      i Dirigenti scolastici si asterranno nella prima o nell'ultima ora della propria prestazione lavorativa, come autonomamente organizzata in base all'art. 15 del CCNL dell'area V della dirigenza dell'11 aprile 2006.

       Le Organizzazioni Sindacali garantiranno il rispetto della disciplina vigente in materia di esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali, come previsto dalle norme del codice di autoregolamentazione allegato al CCNL del 1999.

venerdì 1 novembre 2013

In piazza il 30 novembre anche per la scuola


Cambiamo la Legge di Stabilità, in piazza il 30 novembre 2013

Dall’incontro dei sindacati della scuola che si è svolto il 28 ottobre 2013 al Centro Congressi Cavour a Roma, esce forte la necessità di superare le politiche sull’istruzione di questo Governo sbloccando i contratti e le progressioni economiche di anzianità. 
Per questo viene indetta una manifestazione unitaria nazionale per il prossimo 30 novembre.
Vai al documento unitario prodotto durante l’incontro.
E' inoltre in corso in questi giorni la definizione del calendario regionale dello sciopero indetto da Cgil, Cisl e Uil contro la legge di stabilità.


FLC CGIL nazionale

domenica 27 ottobre 2013

Sindacati sul piede di guerra sulle politiche scolastiche del governo


Lo Snals-Confsal ha indetto, insieme a Flc-Cgil, Cisl Scuola, Uil Scuola e Gilda, una manifestazione nazionale a Roma (28 ottobre, Centro Congressi Cavour) per esprimere netto dissenso sulla politica governativa in merito alla scuola e per avanzare le proprie richieste: sblocco del contratto, corresponsione degli scatti di anzianita' e soluzione del problema del precariato scolastico. "Dopo 8 mld di tagli, il recente decreto 104 risulta inconcludente (400 ml mal distribuiti e senza nessun investimento sul personale) e offensivo. Inoltre - spiega lo Snals in una nota - la legge di stabilita' colpisce i lavoratori della scuola in modo 'speciale'. Infatti, la loro retribuzione non solo viene immiserita dal blocco prorogato del contratto, come avviene per tutti gli altri comparti del pubblico impiego, ma viene addirittura 'decurtata' dal blocco degli scatti di anzianita' che nella scuola non sono accessori ma parte integrante della retribuzione fondamentale. La speciale attenzione alla scuola promessa dal governo ha avuto un esito - osserva il sindacato - tristemente paradossale: una doppia penalizzazione. Si tratta di un vero scippo su base legislativa.
A questo si aggiunge la manifesta volonta' del governo di non risolvere la distinzione tra organico di diritto e organico di fatto (centinaia di migliaia di precari) che penalizza la scuola italiana. Sarebbe un passo di civilta' e di correttezza che, tra l'altro, avverrebbe con invarianza di spesa, senza nessun costo aggiuntivo. Perche', questo e' il paradosso, il precariato non solo pesa sulla qualita' della scuola ma costa di piu' del personale stabilizzato!". Per il segretario generale Marco Paolo Nigi: "Ci troviamo di fronte a una sostanziale disattenzione della classe politica verso i reali problemi della scuola, dei giovani e del Paese, a una presa in giro di cui hanno responsabilita' tutti i partiti e una parte degli apparati dello Stato. A questo punto dobbiamo dire che il declino cui assistiamo e' voluto e non casuale. La mobilitazione e' dichiarata e non escludiamo lo sciopero".

sabato 19 ottobre 2013

Speranza dall'Europa per i precari della scuola che hanno maturato i requisiti



Vertenza precari: per la Commissione Europea l'Italia non rispetta il diritto comunitario
È questo il parere espresso dalla Commissione UE in previsione dell'udienza che si terrà presso la Corte di Giustizia Europea. Diventano più concrete le prospettive di stabilizzazione dei precari.



La Commissione Europea ha depositato le proprie osservazioni in previsione dell’udienza che si terrà prossimamente presso la Corte di Giustizia Europea in merito alla vertenza dei precari della scuola.

Tutte le diverse parti coinvolte nella vertenza sono state chiamate ad esprimere il proprio parere e tra queste la FLC e la CGIL che si sono costituite nel procedimento e hanno già presentato le proprie osservazioni a sostegno della causa dei precari e a favore della loro stabilizzazione.
Opposte invece le valutazioni dello Stato italiano che ha difeso il proprio operato circa la legittimità della reiterazione dei contratti a tempo determinato oltre il limite dei tre anni fissato dalle disposizioni comunitarie.

Ora anche la Commissione Europea ha depositato le proprie osservazioni dando un significativo riconoscimento alle ragioni dei precari. Per la Commissione UE, infatti, non può ritenersi obiettivamente giustificata una legislazione nazionale -come quella italiana- che consente il rinnovo senza limiti dei contratti a tempo determinato.

Questo autorevole parere della Commissione assume un’importanza molto rilevante in previsione della definizione del giudizio della Corte di Giustizia. Se la Corte dovesse accogliere le osservazioni della Commissione UE migliaia di precari finalmente otterrebbero giustizia e lo Stato italiano si vedrebbe costretto ad adempiere a quanto indicato dai giudici europei stabilizzando tutti i precari che hanno maturato i requisiti previsti.

Quanto affermato dalla Commissione Europea da ragione della battaglia avviata dalla FLC CGIL a tutela dei lavoratori precari e incoraggia a proseguire con più forza e fiducia fino al completo superamento del precariato nei settori della conoscenza.

venerdì 18 ottobre 2013

LA BEFFA AI SUPPLENTI


VERTENZA SULLA MONETIZZAZIONE DELLE FERIE


LA BEFFA AI SUPPLENTI
La vessazione a cui sono sottoposti i docenti e Ata con contratto fino al 30 giugno
è un’insensatezza.

Non migliora la funzionalità della scuola e non produce risparmi per la spesa pubblica

Non c’è nessuna differenza di lavoro tra
chi ha un contratto al 31 agosto e chi ha un contratto al 30 giugno.

Ma c’è differenza di trattamento.

A chi lavora fino al 30 giugno si nega il pagamento della ferie non godute
e lo si costringe a chiedere la disoccupazione.
Poi dal 1° settembre ricomincia il girotondo.

I contratti a termine vanno portati tutti al 31 agosto. Va posto fine a questa beffa.

Intanto le ferie non godute vanno pagate. È un diritto dei lavoratori sancito da leggi e contratti.

Negarlo è particolarmente odioso perché si tratta di un risparmio infimo per lo Stato,
ma importante per chi si trova con un reddito minimo.
Per un pugno di euro si sono scomodate la legge sulla spending review e la legge di stabilità 2013.
Mentre con grande facilità si leva l’Imu anche dalle case di lusso.

La FLC CGIL invita i lavoratori interessati ad inviare al Miur una diffida affinché
proceda al pagamento di quanto dovuto.

Presso le sedi territoriali della FLC si può trovare un modello di lettera
e la consulenza sulle azioni legali da intraprendere

LA FLC CGIL AL FIANCO DI CHI LAVORA E DEI PIÙ DEBOLI

venerdì 11 ottobre 2013

LA CRISI E' CRISI DI SISTEMA


editoriale per Lavoro Politico nr. ottobre 2013

LA CRISI E’ CRISI DI SISTEMA
La crisi del capitalismo ha conseguenze anche sul piano dell’etica e delle relazioni umane e sociali. Per una riflessione non contingente dei comunisti
---- Ferdinando Dubla -----

Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto piú spesso e piú a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me. Queste due cose io non ho bisogno di cercarle e semplicemente supporle come se fossero avvolte nell’oscurità, o fossero nel trascendente fuori del mio orizzonte; io le vedo davanti a me e le connetto immediatamente con la coscienza della mia esistenza.
I. Kant, Critica della ragion pratica, 1788, Conclusione

La crisi è una categoria non nuova per le classi sociali che ne subiscono le conseguenze: le fasi del capitalismo hanno abituato i suoi portavoce ad isolarne alcuni aspetti per nasconderne la portata strutturale, tutta interna alla natura stessa del sistema sociale proprio per celarne le evidenti contraddizioni. Per cui assistiamo alla centralità ora della speculazione finanziaria che ha in mano il debito pubblico inesigibile per i paesi più deboli della catena, ora il disordine politico che ne alimenterebbe l’incapacità di soluzioni altrimenti a portata di mano, ora la disperazione sociale di coloro che non sanno difendersi dai colpi dell’ineguaglianza. Infine, la crisi morale: lasciata nell’indeterminatezza, sullo sfondo di discorsi retorici, ha conquistato l’udienza dell’attuale Papa, collocandosi nuovamente al centro di una riflessione meno episodica e contingente (in un caso specifico, nel dialogo a distanza tra lo stesso Pontefice e il decano dei giornalisti laici, Eugenio Scalfari).
Una lettura marxista della crisi morale e dell’etica individuale e sociale che ne consegue, naturalmente non tende a settorializzare il problema: lo lega al sostrato economico dei rapporti di produzione e del ruolo degli Stati nella regolazione degli squilibri devastanti che il sistema capitalistico produce; al ruolo delle oligarchie politiche che ne garantiscono la sopravvivenza e l’alimentazione nel senso comune della impossibilità di alternative. La crisi come categoria della struttura, appunto, a cui le forme sovrastrutturali reagiscono modellandovisi dialetticamente.
Le questioni inerenti la morale, e più complessivamente la qualità dei rapporti umani e interpersonali però, hanno oggi il pregio di mostrarsi con evidenza assoluta in tutta la barbarie dovuta allo schermo della monetizzazione di tutte le relazioni sociali. Il capitalismo come sistema, ha spinto l’intersoggettività umana a concepirsi come scambio e interesse, mettendo in minoranza l’empatia emotiva di carattere psicologico che dà il senso alla vita di ognuno. Lo si avverte con nettezza non solo nel campo dei servizi sociali e alla persona (in Italia particolarmente assenti o carenti, quando presenti spesso pessimi, rispetto all’aumento della domanda), ma nell’immenso spazio delle interazioni tra gruppi, tra individui e tra individui e gruppi.
Come comunisti dovremmo cogliere la contraddizione tra “l’etica corrente e lo spirito del capitalismo” in modo più efficace e centrale nell’azione e nell’iniziativa politica, sollecitando così l’evoluzione della coscienza di classe di massa (o, gramscianamente, di un diverso e alternativo senso comune). La Chiesa attuale, pur avvicinando maggiormente il cattolicesimo allo spirito cristiano, non risolve, ma consola e sul tema dei diritti civili si riallontana dallo spirito laicale.
Spetta alla cultura di ispirazione marxista una riflessione meno casuale e contingente su questi temi, e agli stessi comunisti organizzati in partito una consequenzialità nella prassi (unità dialettica di teoria e pratica): la si può ritrovare positivamente in una discussione tra Fosco Giannini e Luigi Vinci  nell’ultima raccolta di scritti dell’attuale dirigente nazionale del PdCI, “Da una parte della barricata” (Affinità elettive 2013, pp.293-296), in un articolo del marzo 2009 in cui richiamava l’importanza delle teorizzazioni di Luckàcs al riguardo, oltre che del filosofo C.N. Coutinho e dello stesso Gramsci, naturalmente. Pur riferito principalmente al metodo interno del centralismo democratico e ai rapporti tra militanti, base e classe dirigente di un partito comunista, Giannini non si esime da una riflessione di portata globale (che egli chiama “teologica”) e di carattere universalistico: “dobbiamo cercare le strade per l’affermarsi dell’uomo nuovo”, (ivi, pag. 296), riattualizzando il concetto di egemonia di Gramsci.
Da un punto di vista più strettamente filosofico, l’umanesimo materialistico di Gramsci deve e può associarsi all’ambizione lukàcsiana della fondazione di un’etica materialistica sulla base di un’ontologia dell’essere sociale. Questo è doveroso per noi comunisti di questo secolo, comunisti che hanno potuto misurare, con le prove della storia (in negativo), i tentativi di “ricostruzione antropologica” dell’”uomo nuovo” con ideali socialisti, senza con questo liquidare tout court quelle stesse esperienze (significativamente, J.F.Lyotard, il filosofo del ‘postmoderno’, critica il marxismo non principalmente dal punto di vista delle esperienze concrete, ma come ‘grande narrazione’ del mondo e della realtà dal punto di vista dell’analisi teorica, che lo trasforma in ‘utopia rivoluzionaria’, dunque pericoloso in sé per una promessa palingenetica di una rifondazione antropologica).
Ma il presente e il futuro si costruiscono attingendo al proprio patrimonio, soprattutto intellettuale, con le armi della critica e della riflessione. [1]
Nel Lukàcs dei saggi raccolti in  Storia e coscienza di classe (1923), non solo c’è una ribadita consapevolezza che crisi e contraddizioni sono l’”essenza stessa” del sistema sociale capitalista
[“(le contraddizioni (..) appartengono piuttosto inseparabilmente all'essenza della realtà
stessa, alla essenza della società capitalistica”, Storia e coscienza di classe, Milano-1967, pag.14],
ma, puntualizzando i concetti marxiani di reificazione e del carattere di feticcio della merce, sottolinea come sia nella coscienza umana che avviene una trasformazione delle relazioni intersoggettive negativamente in rapporti tra cose
[“una relazione tra persone riceve il carattere della cosalità e quindi un' ‘oggettività spettrale’ che occulta nella sua legalità autonoma, rigorosa, apparente, conclusa e razionale, ogni traccia della propria essenza fondamentale: il rapporto tra uomini,” ivi, pag. 108]

In parole più semplici, noi comunisti, nel delineare i caratteri della nuova società, oltre la critica alla mercificazione delle umane relazioni, dobbiamo prospettare una rivoluzione politico-sociale che trasformi in profondità, senza più lo schermo del profitto e dell’interesse egoistico, la stessa natura dei rapporti sociali. Ma dobbiamo bandire ogni sorta di ‘integralismo’, cioè ogni presunzione propria dei ‘metafisici’. Aderire alla realtà per modificarla e non solo per darne un’interpretazione, significa che anche i comunisti convivono, sono parte e camminano con le imperfezioni umane. Quando queste imperfezioni sono dovute ai rapporti sociali e di produzione del sistema capitalistico, essi porranno correttamente il nesso causa-effetto: non abbiamo da ricercare un fondamento ultimo dell’essere, ma la strada migliore perché gli esseri umani si relazionino tra di loro senza la barbarie della mercificazione.
Un esempio per scendere dalle vette della teoresi alla concreta realtà di tutti i giorni: lo stillicidio di vittime femminili da parte di loro partners o ex-compagni, mariti, ecc.., ha fatto coniare ad alcuni il termine orrendo di ‘femminicidio”, cioè letteralmente la tendenza del genere ‘maschio’ ad uccidere il genere ‘femmina’.  Una tendenza dunque fondata antropologicamente: una nuova metafisica dei costumi.[2]  Ancora una volta la barbarie dell’egoismo fatto ‘sistema di relazioni’, parente stretto dell’arcaica idea del ‘possesso’ individuale anche delle persone (così come fa il padrone nei confronti dell’operaio), è ben occultato nell’orientamento di massa delle coscienze. La risposta più di sinistra a questo problema non è accentuare la repressione, ma la prevenzione. E cioè investire nella cultura, nella scuola,dove il compito educativo diventa il reciproco rispetto, questo sì assoluto e mai relativo, tra i generi. Che continuano ad aver bisogno l’uno dell’altro nel mutuo riconoscimento delle loro differenze e della loro meravigliosa contiguità.
Un ultimo esempio sempre per aderire allo spirito dei nostri tempi: tempi in cui la sinistra si fa paladina della categoria di ‘legalità’. Legalità non è l’insieme delle regole che un’organizzazione si sceglie coscientemente per strutturare i processi relazionali e decisionali (come ad es. è il caso del centralismo democratico). Ora, se è vero, come ricorda Giannini nell’articolo citato che “sono le leggi che permettono il passaggio da una società incivile a una civile”,  e, aggiungiamo, sono sempre le stesse classi dominanti che infrangono le regole della convivenza democratica con il loro ‘sovversivismo reazionario’ (vedi il caso eclatante di Berlusconi e della ‘legge Severino’), si fa fatica a non credere, da comunisti (e leninisti), che le leggi non siano altro che la codifica di rapporti di forza tra le classi. La magistratura che condanna Berlusconi ed Emilio Riva è la stessa che accusa il movimento ‘No Tav’ di terrorismo. E che domani sarà pronta a processare i movimenti di Taranto per un ambiente pulito ed un lavoro senza ricatti appena si passi ad azioni più conseguenti e ‘dure’ sul piano pratico.  Altro che ‘via giudiziaria’ al socialismo di cui straparla il massimo esponente politico italiano del capitalismo arrogante e reazionario!
Il terreno di scontro è la verifica delle categorie con cui si cerca di interpretare la realtà; spetta a noi comunisti organizzati smascherare il vero volto della crisi: crisi di sistema, che imbarbarisce ogni ambito della società, non antropologicamente, ma secondo condizioni storicamente determinate.



[1] Il giusto atteggiamento nei confronti delle esperienze storiche del socialismo è posto da Giannini in questo modo: “La stessa vasta, variegata, spesso fortemente contraddittoria gamma dei giudizi di natura politica, teorica e storica proveniente dall’intero arco delle forze comuniste e anticapitaliste mondiali, dall’intero arco delle tendenze di ispirazione marxista sul socialismo realizzato, indica l’esigenza di proseguire il dibattito – e soprattutto la ricerca scientifica – attraverso forme e modalità più strutturate e organiche, che nulla lascino all’improvvisazione, alle necessità tattiche di ciascun partito e di ciascuna tendenza, puntando invece a una lettura teorica alta e collettivamente determinata. (..)quelle esperienze (.)debbono entrare a far parte della memoria e del patrimonio dell’odierno movimento comunista e anticapitalista, al semplice ma essenziale fine non di ripeterli (gli errori, ndr), ma di arricchire positivamente la prassi rivoluzionaria.”, Giannini, “Da una parte..”, cit., pp.262-65.
[2] Questo punto è stato oggetto di discussione nel seminario femminista di Paestum dal 4 al 6 ottobre 2013. Significativamente, Stefania Cantatore, dell’UDI di Napoli ha asserito che “oggi la politica ha fatto diventare la parola femminicidio come l’uccisione della donna in quanto tale solo da parte dei mariti, o ex, per parcellizzare un fenomeno che è invece espressione non solo di un ambito domestico ma più ampio, e che ora quello che fanno le istituzioni è solo affrontare la violenza sulle donne a livello securitario.”, cfr. Luisa Betti, Femminismo, la sfida giovane, in Il Manifesto, 8/10/2013.

venerdì 4 ottobre 2013

La strada maestra è la Costituzione

 
 
Il 12 ottobre a Roma si svolgerà, finalmente, una grande manifestazione nazionale a difesa della Costituzione e per la sua applicazione. Come tradizione vuole l’appuntamento è a piazza “Esedra” alle 13 per muoversi verso piazza del Popolo dove è previsto l’inizio degli interventi alle 15.30.

I comunisti italiani ci saranno, con le cittadine e i cittadini che credono nel valore della Carta costituzionale, di ciò che essa rappresenta, consapevoli di quanto sacrificio ne sia costata la sua conquista, nel nome di coloro i quali caddero per offrirla alle nuove generazioni come strumento di diritti e di doveri, di uguaglianza, giustizia e democrazia, per il valore di quella battaglia per la libertà, prima negata.

Ciò valga da monito per la politica, perché la giustizia sociale e la solidarietà verso i deboli e gli emarginati, la legalità e l’abolizione dei privilegi, l’equità nella distribuzione dei pesi e dei sacrifici imposti dalla crisi economica, la speranza di libertà, lavoro e cultura per le giovani generazioni, la giustizia e la democrazia in Europa, la pace, sono valori costituzionalmente sanciti e inattaccabili attraverso gli strumenti del potere e manovre di basso profilo istituzionale.

Il popolo italiano ha voluto questa Costituzione, il popolo italiano sarà pronto a difenderla, non mai in nome di un pretestuoso conservatorismo ma della civiltà. Il messaggio che viene dalla Carta costituzionale non è superato dai tempi, semmai va pienamente attuato sotto i suoi più vari aspetti. E se vale quanto detto da Calamandrei, ovvero che la Costituzione va intesa come “promessa di rivoluzione”, c’è da constatare che detta promessa non è stata ancora mantenuta.

Questa Costituzione non è di ieri, perché non è vero che i diritti sono contrapposti allo sviluppo economico, e l’uguaglianza non possa essere compatibile con l’equità, e che le istituzioni rappresentino ostacoli per la democrazia, e che la partecipazione debba rispondere alle ragioni di specifici interessi di casta. La Costituzione è una cosa troppo seria per offrirsi alle valutazioni speculari di alcuni. Il popolo italiano questo lo sa bene, perciò ha chiara la consapevolezza che ci sono battaglie che vanno combattute senza alcuna reticenza, perché ci sono dei fatti della vita di ognuno che inducono a superare ogni conformismo in nome della giustezza di quella battaglia, perché cambiare la seconda parte della costituzione vuol dire mettere in discussione i principi fondanti inseriti nella prima parte di essa e che la modifica dell’art. 138 vuol dire non riconoscere la struttura rigida d’impianto che ha portato i padri costituenti a redigere in maniera così misurata la Costituzione in ogni sua parte. La strumentalità dunque non sta nel non combattere questa nostra battaglia giusta ma nel far finta che non le cose non stanno così come noi le vediamo.

Perciò i Comunisti italiani sono in prima linea, in perfetta coerenza con la loro tradizione e la storia del nostro Paese. Sarà nostro dovere impegnarci a favorire la formazione di comitati territoriali larghi ed inclusivi per promuovere la difesa della Costituzione e per la sua applicazione. Dovremo prevedere iniziative diffuse sui territori a sostegno della manifestazione.

È giusto dire che la difesa della Costituzione è dunque innanzitutto la promozione di un’idea di società, divergente da quella di coloro che hanno operato finora tacitamente per svuotarla e, ora, operano per manometterla formalmente. È un impegno, al tempo stesso culturale e politico, che richiede sia messa in chiaro la natura della posta in gioco e che si riuniscano quante più forze è possibile raggiungere e mobilitare.

A noi comunisti poi, sta particolarmente a cuore l’attualità di quell’articolo 1 della Costituzione che pone il lavoro alla base, a fondamento della democrazia, dobbiamo batterci perché così sia realmente. La Costituzione dunque è patrimonio prezioso che va compiutamente attuata, non sbeffeggiata e semmai modificata in nome di interessi di parte. E per quanto attiene all’uguaglianza, essa va vista come esigenza di giustizia e forza di coesione sociale, così come la dignità della persona deve valere da bussola nei comportamenti di ognuno, soprattutto di chi governa, perché non sia la logica del mercato a svolgere la funzione preminente.

Per questo saremo in piazza, numerosi, e ciò accadrà ogni volta che sarà necessario, al fine di difendere il senso pieno della nostra Costituzione, se non altro perché noi abbiamo ben chiara la differenza di quali siano i valori di coloro i quali hanno vinto la battaglia che ha portato ad essa e quali siano invece quelli di chi quella battaglia l’ha persa!

Vincenzo Calò, Direzione nazionale PdCI

lunedì 30 settembre 2013

PER UNA SANA E ROBUSTA COSTITUZIONE



Testo del volantino che sarà distribuito al banchetto di piazza della Vittoria, domenica 6 ottobre c.a., dalle ore 9.30 -- a cura della Federazione Provinciale del Partito dei Comunisti Italiani di Taranto



PER UNA SANA E ROBUSTA COSTITUZIONE

Di fronte alle miserie, alle ambizioni personali e alle rivalità di gruppi spacciate per affari di Stato, invitiamo i cittadini a non farsi distrarre. Li invitiamo a interrogarsi sui grandi problemi della nostra società e a riscoprire la politica e la sua bussola: la Costituzione. La dignità delle persone, la giustizia sociale e la solidarietà verso i deboli e gli emarginati, la legalità e l’abolizione dei privilegi, l’equità nella distribuzione dei pesi e dei sacrifici imposti dalla crisi economica, la speranza di libertà, lavoro e cultura per le giovani generazioni, la giustizia e la democrazia in Europa, la pace: questo sta nella Costituzione. La difesa della Costituzione non è uno stanco richiamo a un testo scritto tanti anni fa. Non è un assurdo atteggiamento conservatore, superato dai tempi. Non abbiamo forse, oggi più che mai, nella vita d’ogni giorno di tante persone, bisogno di dignità, legalità, giustizia, libertà? Non abbiamo bisogno di politica orientata alla Costituzione? Non abbiamo bisogno d’una profonda rigenerazione bonificante nel nome dei principi e della partecipazione democratica ch’essa sancisce?

Invece, si è fatta strada, non per caso e non innocentemente, l’idea che questa Costituzione sia superata; che essa impedisca l’ammodernamento del nostro Paese; che i diritti individuali e collettivi siano un freno allo sviluppo economico; che la solidarietà sia parola vuota; che i drammi e la disperazione di individui e famiglie siano un prezzo inevitabile da pagare; che la partecipazione politica e il Parlamento siano ostacoli; che il governo debba essere solo efficienza della politica economica al servizio degli investitori; che la vera costituzione sia, dunque, un’altra: sia il Diktat dei mercati al quale tutto il resto deve subordinarsi. In una parola: s’è fatta strada l’idea che la democrazia abbia fatto il suo tempo e che si sia ormai in un tempo post-democratico: il tempo della sostituzione del governo della “tecnica” economico-finanziaria al governo della “politica” democratica. Così, si spiegano le “ineludibili riforme” – come sono state definite –, ineludibili per passare da una costituzione all’altra.

La difesa della Costituzione è dunque innanzitutto la promozione di un’idea di società, divergente da quella di coloro che hanno operato finora tacitamente per svuotarla e, ora, operano per manometterla formalmente. È un impegno, al tempo stesso, culturale e politico che richiede sia messa in chiaro la natura della posta in gioco e che si riuniscano quante più forze è possibile raggiungere e mobilitare. Non è la difesa d’un passato che non può ritornare, ma un programma per un futuro da costruire.

giovedì 19 settembre 2013

GRECIA: I PROFESSORI IN SCIOPERO SCRIVONO AGLI STUDENTI



Cara nostra studentessa, caro nostro studente,

è passato ormai molto tempo da quando questi giorni di settembre erano per tutti noi un dolce ritorno a scuola, con lo scambio delle esperienze estive, con la progettazione e le decisioni sul nuovo anno scolastico, con il rinnovo della promessa che faremo tutto il possibile per vivere bene. È passato ormai molto tempo da quando i governi dei Memoranda, e tutti coloro che li servono, hanno deciso di distruggere la Scuola Pubblica, di trasformarla in un’azienda grigia e severa, che avrà spazio solo per i figli di pochi.

Qualcuno cerca di convincerci che si tratta di una cosa normale e logica. Aspettano di farci “abituare” alla distruzione. Ma tutti sappiamo che questo sarà difficile che succeda. Perché non possiamo vivere così. Ma anche perché vorrà dire che dobbiamo rinunciare, sia noi che tu, a essere delle persone. Ad un mondo migliore. Alla forza del tuo impeto giovanile e creativo, al desiderio forte di cambiare le cose intorno a te contro le abitudini ed il compiacimento dei grandi.

Dopo questo settembre, quindi, niente sarà lo stesso. Noi, i tuoi professori, abbiamo deciso di ribellarci con uno sciopero per la difesa della Scuola Pubblica, della nostra e della tua vita. Di fronte a noi abbiamo i dirigenti dei ministeri, i manager ben pagati, i telegiornali, che non hanno smesso di ripetere che la nostra lotta nuocerà alla scuola… non la loro politica barbara! Queste persone, vivendo da anni nei salotti del potere, non sono in grado di rendersi contro dei tuoi bisogni, delle tue ansie, dei tuoi sogni. Queste persone del sistema, sanno solo fare i conti e in questi conti hanno trovato che la Scuola Pubblica è di troppo.

Durante l’estate, hanno portato avanti l’opera distruttiva della fusione/abolizione di scuole. Hanno chiuso all’improvviso, in una notte, molte scuole e hanno abolito alcune specializzazioni dell’educazione tecnologica, spingendoti tra le “braccia” delle scuole private. Nel contempo, il governo cerca di completare la trasformazione della scuola in un campo di esami forzati, un centro di allenamento per gli esami, visto che invece di elaborare un programma che mirerà alla conoscenza sostanziale e versatile e che ridurrà la pressione insopportabile che stai vivendo, crea un meccanismo disumano di setaccio di persone, basato sugli esami continui, dalla Scuola Media fino al tuo ultimo giorno nel Liceo.

Vogliono spaccare la tua gioventù. Vogliono farti abituare al controllo, così domani sarai un impiegato obbediente. Vogliono cacciarti via dalla scuola, così diventerai un lavoratore non specializzato “conveniente”, se riuscirai a trovare un lavoro. Progettano una vita scolastica sgraziata e spiacevole, con più ragazzi nelle classi e nei laboratori, con meno professori che correranno trafelati, ognuno di loro in molte scuole, per assolvere il loro compito. Con lo stesso disprezzo per qualsiasi cosa viva e bella, le stesse persone secche ci impongono di essere “valutati”, cioè di trasformare quello che amiamo di più (i nostri studi e la nostra educazione, i programmi ed i lavori che facciamo insieme a te, tutte quelle ore di gite, di spettacoli teatrali, di discussioni, di prove e di concerti) in “carte” che riempiranno la nostra cartella, per salvarci dal licenziamento. Insieme a questo, hanno creato un asfissiante codice disciplinare che ci vuole persone docili, che pensino a “insegnare” e a niente altro.

Cominciamo questo anno scolastico in meno: con delle scuole chiuse nell’educazione tecnica e generale, con oltre 10.000 colleghi ai quali hanno tagliato la strada verso la scuola. È una situazione che tu conosci in prima persona: perché sono anche i tuoi genitori che subiscono lo stesso violento attacco con i tagli ai salari, i licenziamenti, la chiusura dei negozi e il disperato mostro della disoccupazione. Perché sei anche tu che tutti i giorni devi contare i pochi spicci di fronte alla mensa, avvelenare il tuo successo agli esami di ammissione con lo stress per le possibilità economiche, che ci chiedi se ha più senso studiare quello che volevi o se c’è qualche altra facoltà che ti porta ad un “salario più sicuro” per sfuggire, magari, dalla miseria. Perché sono anche i tuoi fratelli e i tuoi amici, cioè i nostri studenti di ieri, che ci dicono che qui non ce la fanno più e che cercano fortuna all’estero, sulla strada dell’emigrazione, che in passato avevano percorso i loro nonni e speravamo che non dovessimo rivivere per forza.

I nostri problemi sono comuni. Non solo per noi e per te che viviamo, creiamo, lottiamo e sogniamo nello stesso spazio, ma per l’intera società. Una società che può permettersi di subire inerte gli attacchi che si susseguono uno dopo l’altro. Ed è per questo che noi, i tuoi professori e le tue professoresse, abbiamo deciso di ribellarci in questa lotta decisiva, che romperà la putrefazione del “niente può succedere”. In questa lotta vogliamo al nostro fianco tutti i lavoratori. Vogliamo i tuoi genitori, ma abbiamo bisogno anche di te. Non per evitare gli obblighi che sono nostri. Il costo della lotta lo subiremo noi, completamente, nonostante le zozzerie che trasmettono alcuni media. Ti vogliamo al nostro fianco, come anche dentro l’aula, perché è la tua partecipazione che dà senso alla nostra lotta. Solo insieme possiamo rompere il dominio del fatalismo e della miseria, solo insieme possiamo rimanere in piedi e dimostrare che non siamo solamente “un altro mattone nel loro muro”, un altro ingranaggio nella loro macchina.

Dopo questo settembre quindi, niente sarà più uguale. Questa lotta o sarà vinta dalle politiche della Troika e del governo che la serve, che ci impongono la devastazione e la miseria, o sarà vinta da noi, aprendo la strada per la scuola del futuro, per una vita creativa e libera, per tutti. Noi, i tuoi professori e le tue professoresse, ti chiediamo di stare al nostro fianco, di aggiungere la tua determinazione alla nostra e di diventare parte dell’enorme fiume popolare che riempirà le strade del paese e vincerà!

Con affetto, i tuoi professori e le tue professoresse in lotta!

martedì 10 settembre 2013

Anief. Decreto-legge Scuola: pasticcio del Governo sui precari



Anief - Ignorata la giurisprudenza nazionale e comunitaria. Pronta una nuova stagione di ricorsi in tribunale. Per Anief-Confedir è illegittimo assumere un precario a condizione di non pagargli l’anzianità di servizio, confermare i tagli delle scuole autonome cancellati dalla Consulta, escludere dalle nuove procedure concorsuali per dirigente i docenti con servizio pre-ruolo come indicato dal Tar Lazio o esonerare dei docenti per reggere le scuole scoperte mentre non si paga l’indennità di reggenza ai vicari, ritardare la stabilizzazione dell’organico di sostegno.

Scuola: sulle assunzioni Anief-Confedir ricorrerà alla Corte di giustizia europea

Il Governo prevede la stabilizzazione dei precari a condizione che siano pagati come supplenti, senza progressione di carriera, per evitare la condanna della UE. Programma un piano triennale di immissioni in ruolo dai numeri indefiniti ma congela gli aumenti di stipendio che spettano dopo anni di servizio. Plaudono quei sindacati che hanno già bloccato gli aumenti ai 90.000 assunti negli ultimi due anni con la firma del contratto del 4 agosto 2011.

Anief-Confedir non può barattare il diritto alla parità di trattamento tra i lavoratori alla base del decreto legislativo 29/93 che ha privatizzato il rapporto di lavoro nel pubblico impiego, tanto più se su richiesta del datore di lavoro che intende aggirare il principio di non discriminazione stabilito dalla normativa comunitaria (direttiva 1999/70/CE).

Grazie all’azione dell’Anief-Confedir, oggi, un supplente dopo quattro anni di servizio su posto vacante e disponibile ricorre al tribunale del lavoro per ottenere un risarcimento danno per la mancata stabilizzazione e gli scatti biennali di anzianità; ora per evitare nuove condanne il Governo interviene per assumere quel precario ma pagandolo sempre con lo stipendio iniziale per i prossimi dieci anni. Questo è un vero e proprio imbroglio. Se i posti sono vuoti si devono fare le immissioni e l’amministrazione non può fare quello che viene vietato dai giudici ad un’azienda privata, sfruttare i lavoratori precari. Da quanto l’ultima volta, infatti, i sindacati in un contratto hanno realizzato l’invarianza finanziaria come previsto dal decreto legge, è stata congelata la ricostruzione degli ultimi dieci anni di servizio. Non è precarizzando il rapporto di lavoro dei neo-immessi in ruolo che si combatte la piega del precariato.

sabato 7 settembre 2013

STOP AI TAGLI ALLA SCUOLA, BASTA CON IL PRECARIATO: lo conferma una ricerca di Save the children


In aumento i contributi richiesti alle famiglie, che finanziano l’acquisto dei materiali per la didattica (78%), ma concorrono anche a sostenere l’insegnamento delle materie curricolari (31%) ed extra (44%)

All’avvio dell’anno scolastico, l’Organizzazione lancia un ritratto della scuola italiana: per circa il 40% dei genitori il livello della scuola italiana rimane elevato, ma 1 ragazzo su 4 lo ritiene appena accettabile. Il precariato degli insegnanti è un ostacolo per il percorso scolastico dei ragazzi per il 87% dei genitori, mentre per 84% la motivazione dei docenti influisce sul livello di insegnamento.

Quale fotografia della scuola emerge dalle considerazioni di genitori e ragazzi italiani? La visione dei genitori scattando l’istantanea sulla scuola, è un peggioramento più o meno grave (87%, 1 genitore su 4 ritiene il peggioramento molto grave, con picchi del 37% in Sardegna e 33% in Lazio), che viene imputato a carenza di fondi (35%, con picchi del 41% in Piemonte e Lombardia), depauperamento di strutture e dei servizi (27%, che tocca il 33% in Veneto e Puglia).

Questi alcuni dei dati inediti della ricerca “Il ruolo e le condizioni del sistema educativo italiano” 1 realizzata da Ipsos per Save the Children all’avvio dell’anno scolastico, che traccia un ritratto in chiaroscuro della scuola italiana.

Nonostante tutto però, il 40% dei rispondenti trova di qualità elevata la scuola italiana (51% in Sicilia e 45% in Piemonte) e l’insegnamento impartito (l’8% dei genitori è completamente d’accordo con questa affermazione, il 32% abbastanza d’accordo), mentre lo stato di inadeguatezza (se non di fatiscenza vera e propria) delle strutture ospitanti è rilevato da 9 su 10 intervistati (90%), dato che arriva alla quasi totalità del campione in Sicilia (96%) e Lazio (94%)

“I dati di questa indagine ci dimostrano che il nostro Paese si caratterizza sempre di più per le forti disuguaglianze educative. Nel percorso scolastico dei bambini hanno sempre più peso i divari di tipo economico, sociale e culturale delle famiglie e dei territori di provenienza”, dichiara Raffaela Milano Direttore Programmi italia – EU di Save the Children. “L’anno scolastico si apre in uno scenario allarmante: meno tempo scuola, scarse opportunità di formazione dei docenti, edifici insicuri, classi affollate, taglio delle attività extrascolastiche, discriminazione nei servizi di refezione, offerta insufficiente di servizi per la prima infanzia: tutto questo colpisce i minori, in particolare quelli dei contesti più svantaggiati, e compromette le loro opportunità di crescita.”

La famiglia gioca un ruolo chiave nel sostegno economico delle attività scolastiche, provvedendo molto spesso (78% di adulti) all’acquisto o al finanziamento dell’acquisto di materiali destinati alla didattica, come carta, e fotocopie (valori che salgono all’86% in Puglia e Piemonte e all’81% in Toscana e Emilia, ma anche di altre necessità di carattere più generale (tipicamente, la carta igienica – 51% tra i genitori, che arriva al 61% in Puglia e 60% in Piemonte).

I genitori concorrono anche a sostenere l’insegnamento di alcune materie, più spesso in aggiunta al corso di studi (44%, 52% in Piemonte e 48% in Lazio), ma anche materie previste dal curriculum studiorum (31%, che diventa 40% in Campania e 39% in Lazio).

Anche i ragazzi confermano questi dati: il 70% di loro dice che la famiglia contribuisce all’acquisto di materiale didattico, il 26% parla del materiale igienico-sanitario, 24% dei costi sostenuti per le materie extra curricolari e il 17% per quelle curricolari.

Secondo la stragrande maggioranza dei genitori italiani, questi costi sono nettamente aumentati nell’ultimo periodo: ben l’81% dice di aver dovuto contribuire in misura maggiore all’acquisto del materiale didattico nell’ultimo periodo (carta, fotocopie etc.), dato che arriva al 92% in Lombardia e 86% in Liguria. Per il 78%, gli aumenti hanno riguardato il contributo per l’insegnamento di materie curricolari (il dato arriva a ben il 93% in Campania), mentre il 76% dice di aver subito l’impennata dei costi del servizio mensa (con picchi dell’84% in Lombardia e 82% in Veneto) e i contributi per il materiale non didattico (che arriva all’84% in Sardegna e all’83% in Lombardia).

I genitori italiani, inoltre, riconoscono che le precarie condizioni in cui gli insegnanti si trovano a lavorare agisce da barriera in due sensi, da un lato perché di fatto essa ostacola un percorso scolastico organico e fluido per i ragazzi (87%, che arriva al 91 e 90% rispettivamente in Sicilia ed Emilia Romagna), dall’altro perché la motivazione dei docenti influisce sul livello di insegnamento (84%, che tocca il 90 e 88% rispettivamente in Sicilia e Toscana) e sul riconoscimento della figura del docente come adulto di riferimento (79%, con picchi dell’86 e 84% in Puglia e Campania).

Anche i ragazzi hanno una chiara percezione delle difficoltà finanziarie del sistema scolastico italiano (33%), e della scarsa qualità delle strutture scolastiche (21%). 1 ragazzo su 4 ritiene che la condizione della scuola sia appena accettabile, il 12% di essi la ritiene bassa, mentre 1 ragazzo su 10 la reputa molto buona.

Gli studenti intervistati concordano con gli adulti che la misura più urgente per migliorare ulteriormente la loro scuola prevede la garanzia di un corpo insegnanti stabile, al fine di garantire un corretto percorso di studi (51%), ma vada altresì garantita la formazione dei docenti (25%), gli interventi sulla struttura che ospita la scuola (16%), come la lotta alla precarietà come leva motivazionale (9%).

“Il governo ha assunto alcuni impegni importanti sul fronte scolastico, come lo stanziamento dei fondi per l’edilizia scolastica o il rilancio dei programmi di contrasto alla dispersione nelle regioni del Sud. È indispensabile rafforzare questo impegno, invertire decisamente la rotta rispetto alla stagione dei tagli degli investimenti per l’istruzione (nel periodo 2008-2011 la scuola ha subito tagli per 8,4 miliardi di euro e l’Italia spende per la scuola il 4,7% del PIL rispetto al 6,3% della media OCSE). Non possiamo lasciare solo sulle spalle degli studenti, delle famiglie e dei docenti questo enorme problema. E’ indispensabile rimettere concretamente la scuola al centro dell’attenzione delle istituzioni e della opinione pubblica”, conclude Raffaela Milano.
Per scaricare l’intera ricerca “ Il ruolo e le condizioni del sistema educativo italiano 

mercoledì 4 settembre 2013

Lettera di inizio anno alla ministra Carrozza



Fonte: Il Manifesto | Autore: Giuseppe Caliceti

Gentile ministro Carrozza, le scrivo perché un anno scolastico è finito da poco e un altro, tra poco, comincerà. Come sempre sui giornali in questo periodo c'è l'articolo di costume sulla scuola. L'inizio dell'anno scolastico è sempre un avvenimento. Comunque, nonostante i tanti tagli al personale e ai fondi per la formazione e la ricerca, anche quest'anno cominceremo e questa, di questi tempi, è già una buona notizia.

Gentile Carrozza, continua la campagna denigratoria nei confronti dei docenti italiani di ogni ordine e grado. Nonostante siano i meno pagati d'Europa. Si parla di aumentare le ore di docenza frontale sulla classe da 18 a 24 ore. E di tagliare le ferie un po' a tutti per recuperare ore da richiedere poi ai docenti per coprire le supplenze.

Perché una cosa ormai è chiara: se un docente si ammala, lo stato non è disposto più a pagare altre ore per un supplente. Restano perciò dubbi sul pagamento del diritto alle ferie del personale precario per la scuola, che l'Unione Europea continua a condannare. Perché? Ci viene ripetuta una cosa: che bisogna ulteriormente risparmiare. Sempre sulla pelle degli studenti. E sulla nostra. Ma bisogna farlo con stile. Salvaguardando la qualità. Anzi, possibilmente incrementandola. Non è possibile? Allora si faccia almeno un po' di buon marketing nei confronti dell'«utenza», dei «clienti» della «scuola-azienda»: i genitori degli studenti della scuola pubblica.

Cara Carrozza, parliamo di soldi prima di riempirci la bocca con tante altre parole come è stato fatto in questi anni. Perché senza soldi è ridicolo parlare di incremento della qualità. La vera qualità è il rapporto tra numero dei docenti e numero degli studenti, e qui le classi continuano a essere sempre più numerose. Non va bene. Sempre a proposito di soldi: quando e come verrà rinnovato il contratto collettivo nazionale del comparto scuola fermo dal 2009? Il mondo è andato avanti alla velocità della luce, ma le retribuzioni sono bloccate: le retribuzioni del personale scolastico vedono gli scatti di anzianità ancora sospesi. Si parla di riformarli: come? Si dice «secondo la produttività» del singolo lavoratore: può spiegare, per favore, cosa intende per maggior produttività di un docente? E con la sicurezza delle scuole, siamo a posto? Con quanti alunni per classe? E in caso di infortuni agli studenti, di chi è la colpa?

Come lei sa, signora Carrozza, la nostra scuola è stata trasfigurata dai processi di aziendalizzazione e razionalizzazione, che nella pratica hanno significato solo pesantissimi tagli. È veramente impensabile oggi dare più risorse alla scuola, assegnare maggiore importanza al ruolo degli insegnanti, ridurre il numero di alunni per classe ed evitare assolutamente un aumento delle ore di insegnamento? Da un'indagine realizzata dalla Swg per la Gilda degli Insegnanti, emerge che il problema ritenuto più importante riguarda le scarse risorse destinate alla scuola (78% «molto importante» e 17% «abbastanza importante»), seguito dalla scarsa importanza sociale di cui gode la categoria («molto importante» 71%, «abbastanza importante» 23%). Al terzo posto, il numero eccessivo di alunni per classe (rispettivamente 70 e 24%); subito dopo gli stipendi troppo bassi e l'inadeguatezza delle strutture e il degrado degli ambienti.

Un'ultima cosa: le prove Invalsi. Sono giudicati dal 78% dei docenti non utili per la valutazione delle scuole. E non tanto, come si dice, perché i docenti sono refrattari a essere giudicati ma perché ancora nessuno ha detto chiaramente cosa si intende per merito di un docente. Non vorremmo che, come accadde per alcune categorie lavorative - i soldati, i religiosi, i burocrati, eccetera, - un certo grado di obbedienza acritica e servilismo possa essere considerata come criterio di merito per una professione come quella del docente. Quando si afferma di voler legare le progressioni di carriera e di retribuzione anche a fattori legati al merito, riducendo la rilevanza del parametro anzianità, occorre chiarire nei particolari cosa si intende per merito o il discorso è vuoto.

lunedì 2 settembre 2013

Siria: NO alla guerra



di Fosco Giannini ( segretario regionale Marche PdCI) e Maurizio Belligoni ( segretario regionale Marche PRC) 


Sempre più insistenti si levano le voci di guerra contro la Siria. Rivolgiamo quattro domande a coloro che non si sono ancora fatti un’idea della crisi siriana, o che hanno già scelto di stare dalla parte degli USA e della NATO: primo, la Siria è così lontana che l’Italia non deve temere nulla da una guerra, dal proprio coinvolgimento nel conflitto? Secondo, il coinvolgimento italiano avrà un prezzo economico? E se lo avrà, chi lo pagherà? Terzo, come e perché si è aperta la crisi siriana? Quarto, perché gli USA vogliono attaccare? Andiamo per ordine: è del tutto evidente che la Siria è vicinissima all’Italia e se il governo Letta scegliesse di entrare in guerra il nostro territorio, le nostre popolazioni , potrebbero divenire immediatamente obiettivi di ritorsione terroristica e a colpire potrebbe essere ognuna delle schegge estremistiche che la guerra stessa ha liberato. La guerra, inoltre, favorirebbe un esodo di massa che troverebbe, innanzitutto nelle sponde italiane, il primo approdo. Avrebbe un prezzo il coinvolgimento italiano? Lo avrebbe e sarebbe un prezzo economico altissimo.
Quando gli USA decidono le loro guerre e chiedono all’Italia di intervenire ( Afghanistan, Jugoslavia, Libia e tante altre aree del mondo) le spese belliche non sono sostenute da chi la guerra la decide: paga l’Italia, paga il popolo italiano, i lavoratori, i pensionati, i giovani, i disoccupati. La crisi è già alta, ormai tante, troppe, famiglie italiane vendono l’oro di casa per sopravvivere: un nuovo impegno militare italiano significherebbe, subito, nuovi tagli alla scuola, alla sanità, ai trasporti, ai già magrissimi salari e stipendi, alle pensioni. La guerra italiana non la pagherebbero né gli USA, né la NATO, né i ricchi italiani: la pagherebbe il popolo, la povera gente. La pagherebbe quella stessa persona, quel lavoratore, cui “la guerra non interessa”, ma che deve invece sapere che con tutti i soldi che i governi italiani hanno già speso in Afghanistan, per aderire alla guerra americana, si sarebbero potute mettere in sicurezza le scuole italiane, si sarebbe potuto eliminare il ticket sulla sanità, si sarebbero potute aumentare le pensioni da fame. Ma come e perché si è aperta la crisi siriana? Si è essenzialmente aperta attraverso la stessa strada che gli USA e i paesi del vecchio e nuovo colonialismo europeo (Francia e Gran Bretagna in testa) avevano già utilizzato contro la Libia: organizzando, addestrando e pagando sempre più nutriti gruppi militari, paramilitari, terroristici interni ed esterni alla Siria, affidando loro il compito di unirsi alle forze contrarie al governo, per destabilizzare l’intera Siria. Il paradosso è che, attraverso questo disegno, gli USA hanno evocato e messo in campo, in Siria, le stesse forze islamiste radicali vicine ad al Qaeda che Obama vuole combattere a livello mondiale e che nella Siria laica di Assad sono ferocemente antigovernative. Ma perché gli USA ( con gli alleati a fianco) hanno voluto ostinatamente aprire la crisi siriana? Perché vogliono far fuori (con la guerra) il legittimo potere di Assad , rischiando di mandare al potere, a Damasco, l’islamismo estremista? Semplice: perché la Siria di Assad è vicina ai paesi del Brics ( Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa), è vicina ai paesi dell’America Latina che cercano una loro indipendenza, al Venezuela che vuol costruire il socialismo, è vicina ai nuovi , sette, grandi paesi dell’Africa che vogliono affrancarsi dagli antichi domini imperialisti e coloniali e cercano un’alleanza con i paesi del Brics; perché la Siria di Assad è vicina al popolo palestinese e non è subordinata ad Israele. Per gli USA questa politica siriana, specie in Medio Oriente, è intollerabile. Dunque, hanno sostenuto un vastissimo attacco terroristico dall’esterno che ha già distrutto la Siria e provocato un genocidio. Ma oggi, l’attacco diretto della NATO è particolarmente pericoloso, poiché proprio in virtù del fatto che la Siria ha profonde relazioni con l’intero e vasto mondo progressista, a partire dai paesi del Brics, la possibilità di un allargamento internazionale del conflitto è verosimile. Ma perché, oggi, gli USA vogliono attaccare direttamente, con i loro aerei da guerra e con le bombe della NATO? Semplicemente, perché il terrorismo portato dall’esterno non riesce a vincere; semplicemente perché la stragrande maggioranza del popolo siriano è con Assad e contro i “ribelli” sostenuti dagli USA, dalla NATO, dalla Turchia e dall’ Arabia Saudita. Ora che gli USA vogliono attaccare, serve loro la prova estrema della “ferocia” antiumana di Assad e raccontano al mondo del gas nervino che l’esercito siriano avrebbe utilizzato contro le popolazioni. Dieci anni fa Colin Powell, per motivare la decisione USA di attaccare l’Iraq, mostrò all’ONU, in una sceneggiata ormai storica, una fialetta vuota che doveva dimostrare che l’Iraq disponeva di armi chimiche. Ma quando i marines entrarono nell’Iraq distrutto dai bombardamenti USA, inutilmente, per mesi e mesi, cercarono “ la pistola fumante” irachena, le armi chimiche, atomiche. Non c’era nulla, solo la distruzione di un Paese e il massacro di un popolo, pianificati dalla Casa Bianca. Negli ultimi cinquant’anni è stata la stessa CIA, dopo le guerre (dopo quella del Vietnam, ad esempio) a rivelare al mondo i casus belli costruiti ad arte dagli USA per motivare un attacco. Oggi,di nuovo, gli USA e la NATO, dopo aver deciso di colpire direttamente la Siria, ci dicono che il 21 agosto l’esercito di Assad avrebbe fatto uso, a Ghouta, di gas nervino. Al di là del fatto che i servizi segreti USA dovrebbero aver inciampato in qualche errore, nel percorso di preparazione del casus belli, poiché la strage del 21 agosto era già raccontata , su Internet, il 20 agosto, prima che accadesse, ma il punto è: dobbiamo essere ancora così bambini da credere a tutto ciò che vogliono (cioè, la guerra) gli USA e la NATO? Oppure è il tempo di prendere coscienza, di difendere la pace, la nostra indipendenza e i nostri stessi interessi, economici e politici? Per noi comunisti non c’è dubbio: è tempo di lottare, tutti assieme, per la pace, per la democrazia, per gli interessi dei lavoratori. Lo affermiamo con forza perché le parole rassicuranti di Emma Bonino, che si dice contraria all’intervento italiano, stridono sinistramente con i rombi di guerra che si sentono a Pisa, dove i C-130 italiani sempre più spesso si levano in volo verso le basi mediterranee.

giovedì 22 agosto 2013

30,000 posti vacanti il governo vuole assumere solo 11.268 docenti. Cgil: "E' inaccettabile"


Il Ministro vuole assumere solo 11.268 docenti a fronte di più di 30.000 posti vacanti di docenti e ATA.

"Questo è quello che risulta dalle bozze di provvedimenti inviateci in previsione dell'incontro di informativa del 20 agosto. Non e' questa la strada per dare operativita' alla scuola e per rispondere alle legittime aspettative dei precari". Ad affermarlo è Domenico Pantaleo, Segretario generale Flc Cgil, prima dell'incontro al ministero dell'Istruzione dedicato all'informativa per l'immissione in ruolo dei docenti.

"Questa scelta minimalista risulta ancora piu' inaccettabile da parte di un Governo che sbandiera il superamento della precarieta' come priorita' del suo agire politico. Particolarmente grave - ha aggiunto Pantaleo - la mancata previsione delle assunzioni del personale ATA oggetto di una vera e propria discriminazione sociale, in particolare per gli assistenti amministrativi e tecnici".

"Al Governo - aggiunge - chiedo un segno tangibile della volonta' di procedere ad una reale politica di stabilizzazione degli organici e del personale, attraverso quegli interventi piu' volte annunciati e mai praticati. Come la cancellazione della norma sul passaggio forzoso dei docenti inidonei nei profili Ata che rappresenta una priorita' assoluta non piu' procastinabile o come la stabilizzazione dei posti dell'organico di fatto. Invece ad oggi l'unico messaggio chiaro arrivato da questo governo al personale della scuola e' rappresentato dalla proroga del blocco dei contratti e dei salari: non esattamente cio' che si attendeva questo personale vessato da anni di tagli. E' l'ora di passare dalle dichiarazioni di principio ai fatti. Cio' vuol dire investire nella scuola pubblica per attuare l' organico funzionale docente e ATA come primo passo per rimettere al centro la qualita' della didattica e stabilizzare quasi 100.000 precari che da anni garantiscono il funzionamento delle scuole. Il Ministro - conclude Pantaleo -non perda l'occasione del Decreto D'Alia sulla pubblica amministrazione per restituire fiducia al mondo della scuola e offrire un futuro migliore ai giovani e ridare qualita' all'offerta formativa".

sabato 10 agosto 2013

Lo Scotellaro di Iarussi (Gazzetta del Mezzogiorno)


Rocco e i suoi fratelli, ragazzi del Sud d’oggi
di OSCAR IARUSSI __ su GdM, 9 agosto 2013

«Venga il mattino per i giovani del 1953 / e sulle bocche arse rispunti il sorriso». L’anno potrebbe benissimo essere questo 2013 e i versi non perderebbero di forza, di ostinata speranza per la gioventù del Sud che continua a sognare riscatti, risvegliandosi puntualmente delusa e amareggiata. Rocco Scotellaro muore di infarto il 15 dicembre 1953, trentenne, a Portici (Napoli). A Matera nel magnifico museo di palazzo Lanfranchi lo «si ritrova» ritratto nel grande dipinto Lucania 61 di Carlo Levi, che ne restituisce il vigore e la luce, l’aspetto arcaico e una paradossale modernità postuma. «Rosso di capelli», come lo ricorda l’ex compagno di collegio potentino Giovannino Russo, oltre che di fede politica.

A Portici si era trasferito tre anni prima per collaborare con l’Osservatorio di 
economia agraria diretto da Manlio Rossi-Doria, concependo lì l’ambiziosa ricerca antropologica Contadini del Sud, che, in stadio embrionale, sarebbe apparsa nei «Libri del Tempo» di Vito Laterza nel 1954. Portici fu un «esilio» dalla politica, donde in seguito si sarebbe allontanato lo stesso Rossi-Doria, l’autore del cruciale discorso su «la polpa e l’osso» nell’agricoltura meridionale come opportunità di rinascita nazionale, riferendosi alle zone fertili costiere e a quelle interne da soccorrere. Ex comunista e poi senatore socialista, Rossi-Doria prese a definire «pidocchi» i politici del Sud.  Scotellaro, nato a Tricarico (Matera) nel 1923, votò tutte le sue energie ai contadini lucani in un momento storico decisivo: la guerra, la liberazione, le lotte per la riforma agraria, e, non da ultimo, la pubblicazione di Cristo s’è fermato a Eboli di Carlo Levi (1945). Pagine folgoranti per il giovane Rocco, figlio di un calzolaio e di una sarta-scrivana, Francesca Armento, anche lei ritratta in Lucania 61. Un secolare silenzio s’infrangeva e il Cristo del medico torinese che era stato confinato dal fascismo in Basilicata offriva voce a un mondo obliterato da tutti. Ciò avveniva, tragicamente, quando quel mondo era ormai prossimo a finire: una nuova massiccia ondata emigratoria dettata dalla fame l’avrebbe presto spopolato e talora desertificato. E l’omologazione «televisiva» ne avrebbe edulcorato i costumi in un innocuo folklore e quindi fagocitato lo spirito (ieri e oggi si celebrano in molti Comuni del Mezzogiorno le giornate dell’emigrante).

«Lungo il perire dei tempi / l’alba è nuova, è nuova». L’orizzonte crepuscolare iscrive l’opera di Scotellaro come un oscuro presagio, cui però egli si ribella. Iscritto dal 1943 al Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria, nel 1946 fu eletto sindaco di Tricarico e nel 1950 una disavventura giudiziaria gli costò quaranta giorni di carcere a Matera, prima che fosse riconosciuto estraneo all’episodio di concussione, e, anzi, vittima di «una vendetta politica» secondo l’atto di proscioglimento. Nei quattro anni da amministratore, il «sindaco discolo» o «Pelo rosso» - come lo chiamavano alla Rabata, l’ancestrale quartiere tricaricese - si spese per migliorare in concreto le condizioni di vita del paese e ispirò la sua azione a criteri che oggi verrebbero ascritti alla «cittadinanza attiva»:
«Abitudine alla collaborazione; apprendimento della vita: i nostri maestri sono i contadini; la ribellione e il perdono; la pace e il lavoro».

Colpisce l’inserimento del «perdono » nell’agenda politica locale, un tema alto della riflessione filosofica europea (Hannah Arendt) ben oltre l’amnistia togliattiana riservata a quanti s’erano compromessi col fascismo.

Contemporaneamente, Rocco Scotellaro scriveva. Poesie, racconti, interventi, memoriali, sceneggiature, l’abbozzo del romanzo autobiografico il cui titolo avrebbe eternato una metafora di generosa incompiutezza, L’uva puttanella (Laterza, 1956). La sua breve, febbrile stagione politica e letteraria è per intero compresa nell’Italia ibernata nelle certezze ideologiche della «guerra fredda». La critica marxista di Alicata e compagni lo contrastò per gli stessi motivi che in seguito avrebbero spinto lo storico delle tradizioni popolari Giovanni Battista Bronzini ad apparentare Scotellaro a Kafka: «C’è in comune l’assunzione, sul proprio non-essere, di tutto il negativo della civiltà».
Ma già a metà anni Cinquanta Eugenio Montale riconobbe in lui un originale impasto di «popolare» e «internazionale», prossimo d’idee ad Alvaro o Pavese. Invero, soprattutto a Pier Paolo Pasolini. Le prime liriche pasoliniane furono pubblicate nel 1946 sulle colonne de «La strada», la rivista di Antonio Russi che scoprì anche Scotellaro.

Sull’orlo del «Dopostoria» che l’intellettuale lucano non fece in tempo a saggiare, Pasolini non lo riconobbe tra i fratelli - «Quella dello Scotellaro è una prosetta leggera capricciosa e divertita» -, tranne poi cercare nelle terre argillose di Rocco l’empatia con il mondo di ieri di cui era orfano per girare Il vangelo secondo Matteo (1964). Pasolini fu il cantore – lucido nella nostalgia – del traumatico inurbamento di massa, laddove in Scotellaro è ricorrente l’invettiva , la resistenza a una migrazione che dal Sud s’annunciava emorragica, quattro milioni di meridionali nei vent’anni dal 1950 al ’70. Sono passati sessant’anni dalla morte e novanta dalla nascita di Rocco e 
presto sarà il cinquantenario del Vangelo pasoliniano. Matera e la Basilicata li ricorderanno sicuramente con varie iniziative e sarà bene che nulla di nostalgico o di elegiaco vi risuoni. D’altronde, è appena stata pubblicata una versione a fumetti di Uno si distrae al bivio. La crudele scalmana di Rocco Scotellaro di Giuseppe Palumbo (Lavieri ed.). I versi del giovane Rocco sono echi di una rapsodia prossima a estinguersi eppure orgogliosa della propria identità terragna. «Spiriti pellegrini della notte», essi non prendono la parola, la rubano. Ben oltre il «santino proletario» cui s’è costretta l’immagine di Scotellaro, sarebbe importante riconoscergli un tormento, un’indecisione, un’utopia nel passo doppio della sua vita fra politica e scrittura, la prima amarissima fino all’onta del carcere subito per le calunnie sulla condotta di pubblico amministratore, la seconda celebrata solamente post-mortem. Per non parlare dei dilemmi in amore, che trovano eco nelle liriche struggenti dedicategli da Amelia Rosselli. Questa lacerante «debolezza» è in realtà una forza in grado di proiettare Rocco fino a noi: polifonico nella scrittura, a caccia dei talenti, cioè delle voci del suo mondo, perché parimenti a caccia del proprio talento, di un’America interiore, di un’anelata lontananza non meno cogente dell’appartenenza meridionale. Condannato dalla fine prematura a essere fratello minore o figlio adottivo delle generazioni di Levi e Rossi-Doria, così Rocco potrebbe oggi divenire un fratello maggiore di chi va scoprendo che la polpa è l’osso, ovvero che la ricchezza sta nel riuso, in una nuova sobrietà, nelle prassi comunitarie e fantasiose contro la crisi.

«Non siamo acini maturi, ma piccoli in un grappolo di uva puttanella». La lotta per la sopravvivenza, per la salvezza, per il domani è oggi più dura che ieri per Rocco e i suoi fratelli (come il celebre film di Visconti), cioè i ragazzi del 2013: «siamo entrati in giuoco anche noi / con i panni e le scarpe e le facce che avevamo» .