Subaltern studies Italia

L’analisi e la classe - a cura di Ferdinando Dubla

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martedì 28 agosto 2018

IMMIGRAZIONE E SCHIAVISMO NELLE CAMPAGNE PUGLIESI

di Franco De Mario, segr. reg. Pugliese del PCI

l’articolo integrale è reperibile in Lavoro Politico- -Marx XXI
https://www.facebook.com/Lavoro-Politico-Marx-21-Taranto-242960732497109/

Appunti Per Una Discussione Aperta ed Una Battaglia Unitaria indispensabile
LAVORATORI PRECARI AUTOCTONI ED IMMIGRATI SCHIAVIZZATI CONTINUANO A MORIRE SUI POSTI DI FATICA E NELLE CAMPAGNE MENTRE CRESCONO INTOLLERANZA E RAZZISMO..
Nelle campagne di Puglia, terra in cui Giuseppe Di Vittorio continua ad istruire al sindacalismo rivoluzionario di classe, lavoratori agricoli immigrati relegati a vivere in promiscui rifugi, ristretti in furgoni delittuosamente condotti da ”caporali collocatori” kapò, muoiono!.
Uccisi dal sistemico sfruttamento schiavistico bracciantile, funzionale agli interessi della produzione capitalistica di merci e alimenti, commercializzati con spietatezza concorrenziale dal padronato industriale e distributivo, connesso alle lobby della finanza estorsiva nazionale e multinazionale e protetto da sodali organizzati in forze politiche ed in organismi di informazione.
Assieme ai soggetti-vittima immigrati ed autoctoni, rivolgiamo un’ attenzione critica al come i sistemi mediatici di informazione, riflesso degli interessi dominanti, trattano questa umanità con ipocrita indignazione episodica, volta a depotenziare ogni tentativo di costruzione d’una battaglia politica di classe e unitaria, per modificare lo stato delle cose esistenti.
Da mesi in Italia come in Europa “la questione delle migrazioni” è la notizia più ossessivamente ripetuta, decisiva anche ai fini della formazione del contratto di governo Lega-M5S, più volte declinata sua stampa, notiziari e format televisivi con lo stesso linguaggio stereotipato.
Una pletora di famigli politici, di comparse intellettuali e di giornalisti al soldo del sistema radio-televisivo pubblico e privato, è schierata in trasmissioni e stucchevoli show in cui con cinismo è esibita l’indifferenza alle condizioni materiali di vita dei lavoratori dell’agricoltura, dell’industria, dell’edilizia, della logistica, del commercio, del turismo, della ristorazione, dell’istruzione, della sanità, degli impieghi privati e pubblici, uomini o donne, italiani o non essi siano.
Tutto è artatamente incentrato su un mantra divisivo sulle navi ONG, sugli arrivi dalla Libia, sui porti chiusi, sulla velleitaria campagna di intervento della U.E. e per contro sull’accoglienza umanitaria, sull’intervento solidaristico/assistenziale ai migrati, sul danaro sprecato e così via dicendo. Tutto per fuorviare e polarizzare un’opinione pubblica su criminalizzazione ed impedimenti contro accoglienza ed assistenza solidale.
Al contrario è necessario profilare il carattere di filiera di una immigrazione subdolamente promossa che incentiva lo sfruttamento dei lavoratori, ricattati dai costanti tassi di disoccupazione, dal costante crollo del valore dei salari, da prezzi al consumo in permanente competitività concorrenziale (dalla bancarella rionale alla spalliera del maxi-centro), in cui sono leggibili tutte le correlazioni dei monopolisti agroalimentari dai prestigiosi marchi  pubblicizzati, delle grandi strutture di confezionamento e distribuzione che incettano ovunque, ingenti quantità di produzione agroalimentare, imponendo ex-ante prezzi di acquisto per pomodori, ortaggi, uva, legumi, frutta, olive, latte, cereali e granaglie e per conseguenza il salario schiavistico degli addetti nelle campagne.
Sono parte di queste complesse correlazioni gli iniqui e diseguali trattati commerciali internazionali, la imposizione di politiche limitative e sanzionatorie della U.E., la guerra sui dazi doganali, che unicamente difendono quegli interessi di monopolio capaci anche di mobilitare grandi apparati mediatici e se necessario anche di guerra, verso Popoli e Paesi e produttori, riottosi ai desiderata di vero e propria espropriazione.
E’ qui annidata la vera responsabilità originaria: nel complesso sistema di sfruttamento capitalistico d’ogni bene e d’ogni risorsa, ben consapevole che nessuno dei prezzi imposti remunera il costo puro di produzione, e che difende questa impostazione, come unica risposta possibile alla costante riduzione dei profitti che la permanente guerra commerciale, finanziaria e valutaria , assottiglia sempre di più.
E’ parte della stessa filiera la funzione esercitata dai privati proprietari coltivatori, di qualsivoglia dimensione ed area di produzione agricola che assumono una duplice funzione di: “obbligato coatto” ad accettare le condizioni di monopolio sui prezzi e di “sodale facilitatore” dell’accaparramento di materie prime a basso costo, mantenendo la condizione schiavistica dei lavoratori, di cui è meglio non sapere nomi, provenienze, numero certo e condizioni di quotidianità di vita, meglio se lontani ed isolati dai centri urbani e dai già carenti servizi sociali, ancor meglio se trasportati in forme anonime da soggetti terzi, altrimenti responsabili e prezzolati.
Va disvelato e combattuto con fermezza questo perverso combinato di cause ed effetti, catafratto nel cinico rimestare dei problemi posti dalla presenza e dal rispetto dovuto e negato al lavoro immigrato e autoctono.
Chiunque operi alla cancellazione della storia e dei diritti dei lavoratori oppressi e sfruttati, nei nostri come in altri Paesi, è colpevole dell’acuirsi del livello di indifferenza e di illegalità, di familismo amorale e di vera e propria mafiosità, e delittuosamente opera ad offuscare il vissuto quotidiano delle collettività, pugliesi ed italiane.



martedì 14 agosto 2018

A Samir Amin

Andrea Catone

Pechino, 5 Maggio 2018, grandissima sala gremita di giovani e anziani, cinesi e di tutto il mondo. 
Samir Amin tiene in seduta plenaria la sua conferenza per il grande convegno dedicato a Marx a 200 anni dalla nascita, organizzato dall’università cinese con oltre 330 relatori.
È l’ultima volta che lo incontro: vivace e cordiale come sempre, nulla lascia presagire che ci avrebbe lasciati entro qualche mese. Scambiamo qualche battuta sulla situazione italiana e sull’emergere di movimenti di massa reazionari, di tipo fascista, che egli osserva crescere nelle società europee come conseguenza della crisi capitalistica. Su questo egli scriveva già da alcuni anni diversi articoli e saggi, come quello pubblicato dalla Monthly Review nel 2014, “The Return of Fascism in Contemporary Capitalism”.

A Pechino e in Cina Samir era quasi di casa, partecipe più volte ai forum internazionali che in autunno il World Socialism Studies Center della Chinese Academy of Social Sciences organizza con cadenza ormai annuale, o ai convegni marxisti che diversi istituti cinesi promuovono con sempre maggiore frequenza e ampiezza. Allo straordinario sviluppo del socialismo con caratteristiche cinesi e al ruolo fondamentale che la Repubblica Popolare Cinese può svolgere e svolge nel mondo nel percorso di emancipazione dell’umanità, Samir Amin, direttore del Forum del Terzo Mondo con sede in Senegal, a Dakar, guardava con crescente interesse e vicinanza negli ultimi anni, senza risparmiare alcuni rilievi critici e note di messa in guardia in merito ai rapporti di produzione e di proprietà e al rapporto città/campagna.

Samir Amin è ben noto ai compagni, ai militanti, agli studiosi italiani sin dagli anni 1960-70, quando, da posizioni marxiste, leniniste e maoiste elabora la strategia dello “sganciamento” dei paesi economicamente dipendenti dal sistema dell’imperialismo mondiale, proponendo uno “sviluppo autocentrato”. Sin da quei primi importanti contributi emergeva una delle direttrici di fondo della sua ricerca militante, e scrivo “ricerca militante” pour cause: Samir non è stato mai un teorico fine a se stesso, ma un intellettuale marxista militante, un organizzatore politico, un promotore di iniziative, un compagno attivamente impegnato sul fronte della lotta politica, sociale, culturale. Egli ha sempre tenuta ferma la barra dell’analisi marxista, ha sempre provato a leggere e interpretare il mondo – per cambiarlo – con le lenti di Marx, di un marxismo non dogmatico e non settario, ma sempre ben saldo, acuto e vigile nei suoi presupposti e nel suo sistema teorico, anche quando ne proponeva aggiornamenti di analisi e categorie, soprattutto in relazione al sistema mondiale dell’imperialismo e alla crisi economica del sistema capitalistico mondiale dei “monopoli generalizzati”.

Per la sua personale storia e formazione Samir è stato un intellettuale marxista antimperialista in lotta per l’emancipazione dei popoli sottoposti al giogo coloniale e semicoloniale, o allo scambio ineguale imposto dall’imperialismo occidentale, e, al contempo, un intellettuale marxista che era di casa a Parigi e nei principali centri dell’Occidente. Sotto questo aspetto godeva del raro privilegio di poter avere uno sguardo sul mondo dal “Sud” e dal “Nord”, con una prospettiva complessa e complessiva, che si traduceva in indicazioni strategiche. Era un intellettuale militante che ha conservato sino all’ultimo giorno la consapevolezza della necessità, per un marxista, di una strategia di lungo termine; era un militante che non intendeva perdersi nei meandri della tattica del giorno per giorno.

Era uno studioso di economia e di teoria economica, ma ha trattato sempre questa disciplina come la trattava Marx, al quale nulla di umano era estraneo: non in termini strettamente specialistici. I suoi numerosissimi scritti erano a un tempo economia, storia, politica, filosofia.

È stato presente, attivo e vigile sulla scena del mondo da oltre 60 anni, con la sua passione comunista durevole, con la sua verve brillante e a tratti polemica, e, al tempo stesso, con una straordinaria disponibilità all’ascolto e al confronto, per meglio comprendere questo mondo in rapida trasformazione, con le sue sfide, le sue possibilità e i suoi grandi rischi.

Ha scritto moltissimo, direttamente nelle lingue che dominava, dall’arabo al francese all’inglese. Avremo modo nei prossimi giorni di dar conto ai nostri lettori della sua sterminata produzione. Collaborava con molte riviste in tutto il mondo. L’ernesto e poi MarxVentuno rivista, nonché il sito marx21.it hanno ospitato numerosi testi che egli ci inviava di norma in francese, talora in inglese, e ci proponeva di tradurre e pubblicare. Nel settembre scorso è uscito per le Edizioni MarxVentuno il suo libro (apparso contemporaneamente in diverse altre lingue nel mondo) dedicato ad una riflessione sulla rivoluzione bolscevica e alle prospettive future del movimento operaio e di emancipazione dei popoli sottoposti al giogo imperialistico: Ottobre 17: ieri e domani. In omaggio a Samir, lo rendiamo disponibile nel sito, iniziando con il primo capitolo.

Andrea Catone
Bari, 13 agosto 2018

venerdì 3 agosto 2018

PER UN NUOVO MERIDIONALISMO


un’ interessante analisi di Piero Sansonetti su “Il dubbio” (3 agosto 2018) che potrebbe rendersi funzionale alla necessaria ripresa del pensiero meridionalista, nel solco del marxismo e dell’elaborazione gramsciana. (fe.d.) 

[parziale]
Negli ultimi diciotto anni, ci dice la Svimez, quasi due milioni di giovani meridionali hanno abbandonato il nostro paese. Qualcuno è andato al Nord, moltissimi all’estero.
Due milioni vuol dire un po’ più di una intera Regione, come la Calabria o come la Sardegna. Capite? una intera Regione che scompare. E vuol dire quasi il 10 per cento della popolazione meridionale. Siccome però questi migranti sono quasi tutti giovani tra i 18 e 30 anni, la percentuale è molto, molto superiore: quasi la metà dei giovani meridionali è in fuga.
Se andate in vacanza al Sud, provate a fare una gita nei paesini di montagna, della Sicilia, della Calabria, dell’Abruzzo. Sono bellissimi. Bellissimi ma vuoti.
Sono ancora “vivi” perché fino a trent’anni fa, nonostante l’emigrazione, ci abitavano moltissime persone. Ora sono quasi deserti, silenziosi. Poche decine di residenti, tutti vecchi, un ufficio postale, i locali del comune, un droghiere, un bar che vende le sigarette e forse una trattoria quasi sempre senza clienti.
Il rapporto della Svimez, uscito l’altro giorno, mette i brividi. Il Sud, da quando è iniziata la crisi, è su una china che non sembra avere fine. La crescita del Pil, nonostante una ripresa tra il 2015 e il 2017, è a meno 10 per cento, mentre al Nord è al meno 4 per cento. Il che vuol dire che in questi pochi anni il divario tra Nord e Sud è ancora aumentato. E per il 2019 si prevede un’ulteriore frenata dello sviluppo al Mezzogiorno, compensata da un aumento al Nord. Investimenti pubblici per il Sud zero, i privati ci hanno messo qualche soldo tra il 2015 e il 2017 poi si sono ritirati.
Voi capite che considerare la questione meridionale quasi come una questione minore è una follia. Stando ai numeri nudi e crudi scopriamo che il fenomeno dell’emigrazione è quantitativamente quasi uguale al fenomeno dell’immigrazione. Eppure di immigrazione si parla moltissimo, si discute di come fermarla, viene posta al centro di tutte le discussioni politiche, presentata come l’emergenza delle emergenze. Sebbene i dati ci dicono che l’aumento degli immigrati non ha prodotto grandi danni, anzi ci ha salvati, in questi anni, dal crollo demografico, e ha portato risorse indispensabili alle casse dello Stato. E quando si propongono alla discussione questi numeri, in molti rispondono che il problema è quello di sostituire l’immigrazione con l’aumento delle nascite, mettendo a punto delle forti strategie di sostegno alla famiglia.
Sarà anche vero. E non voglio qui addentrarmi nella discussione ( che considero un po’ surreale) sulla sostituzione etnica, che è lo spauracchio dei sovranisti. Voglio solo far osservare che aumentare le nascite, per esempio al Sud, potrebbe non servire niente se poi la metà o più di quelli che nascono, a sedici anni se ne scappa via.

Il danno irreversibile che l’emigrazione ha procurato al Sud è incalcolabile. La perdita di forza lavoro giovane, di intelligenze, di sapere, ha ridotto molti paesi e città e province e in una condizione di povertà e di disperazione. Non solo mancano i soldi, manca lo Stato, mancano le strutture, mancano le scuole, le università, i musei, ma mancano le intelligenze e le braccia. Cioè manca l’umanità: tutto. Intelligenze e braccia sono andate a lavorare per il Nord, o per gli stranieri, e il prezzo sociale ed economico pagato dal Sud è mostruoso. Una cosa è pagare una tassa, una casa è regalare i propri figli. Naturalmente se vogliamo parlare di colpe dobbiamo chiamare in causa tutti. I partiti di sinistra e di destra, i giornali, le Tv, tutta l’informazione, gli imprenditori ( quelli del Sud, apatici, quelli del Nord, rapaci ed egoisti, che sono scesi al Mezzogiorno solo per raccattar sussidi e poi sono spariti), i sindacati, la magistratura, i prefetti. In questi decenni c’è stata come una specie di grande alleanza tra tutti questi soggetti che ha avuto come risultato l’impoverimento del Sud e la perdita di prospettive. I partiti hanno tagliato i fondi ( specie da quando la Lega Nord ha assunto un peso molto grande nella politica italiana, cioè dalla fine degli anni ottanta), e hanno rinunciato a sviluppare ricerca sociale e strategia. Il meridionalismo, che era stato uno dei punti forti dell’elaborazione teorica dei grandi partiti negli anni sessanta, è scomparso. Messo al bando. Voi sapete chi è Pasquale Saraceno? Forse si, ma se facciamo un sondaggio tra gli italiani credo che almeno il 90 per cento confesserà di non averlo mai sentito nominare. 
L’informazione non ha mosso un dito per raccontare il Sud e rappresentarne le ragioni. Del resto c’è un dato che colpisce: le direzioni e i centri produttivi di tutte le Tv, tutte le radio, tutti i quotidiani e tutti i settimanali nazionali, risiedono al Nord. Tutte. Sotto Roma, zero. E’ immaginabile che un paese dove esiste un Meridione che non è in grado di produrre nemmeno un grammo di informazione, possa essere un paese equilibrato dal punto di vista territoriale? Tutti noi conosciamo le idee del Nord sul Sud. Nessuno conosce quelle del Sud sul Nord. E in questo modo il nordismo diventa senso comune, il sudismo diventa spazzatura. E alla fine la questione meridionale si riduce alla questione criminale, alla lotta alla mafia. E’ giustissimo combattere la mafia, ma pensare che la lotta alla mafia possa sostituire un “piano”, una “strategia” per il Sud, è come pensare che per governare bene una azienda, prendiamo la Fiat, bisogna mettere i metal detector all’uscita. la lotta alla mafia è stata una specia di scusa, per la politica. Una scusa per ignorare il Sud. e spesso ha prodotto danni, invece che sollievo, ha bloccato lo sviluppo, ha creato nuove ingiustizie.




http://ildubbio.news/ildubbio/2018/08/03/sud-mandato-alla-deriva/