mercoledì 29 gennaio 2014
La scuola precaria, il servizio sociale precario, la civiltà precaria
Se la scuola e' precaria, i servizi sociali sempre più dequalificati e privatizzati, la civiltà capitalista e' al suo completo fallimento. (fe.d.)
LE VOSTRE ESPERIENZE
Eugenio, educatore a scuola «Faccio miracoli ma non mi assumono»
di VALENTINO SGARAMELLA, Bari
Eugenio ha 48 anni. Laurea in Scienze dell'educazione, nel 2000, e un'esperienza nelle scuole materne ed elementari. Nel 2011 comincia a lavorare per la Provincia di Bari. Affianca i docenti di sostegno che assistono alunni con problemi di disabilità psichica in particolare. Si tratta di fare il miracolo. Ma la Provincia paga pochissimo e in ritardo. «Non ce la faccio a sopravvivere», denuncia.Tre anni fa, un bando di gara ad evidenza pubblica per titoli e colloquio. Eugenio lo supera. «Ho un caso nella mia scuola di un ragazzo con un ritardo mentale ed un'iperattività. Il giorno che l'ho preso in carico non stava fermo un minuto», racconta Eugenio. «Riusciva a stare fermo dinanzi ad un computer per 5 minuti, poi tornava a correre nei corridoi, negli uffici». Cosa pensa di fare l'educatore? «L'ho osservato con attenzione. Ho cercato di capire quali fossero i suoi interessi e di ridurre la sua iperattività. Mi sono inventato un progetto scolastico di giardinaggio». La scuola ha al suo interno una piccola aiuola in totale stato di abbandono. Al ragazzo piace molto. Eugenio presenta un progetto finalizzato a rendere decorosa l'aiuola. «Il ragazzo si impegna a tagliare l'erba, poi innesta le piantine. Aumenta la sua autostima».La Provincia gli affida un monte ore di lavoro. Rispetto alla patologia, si ritiene di utilizzare la sua professionalità da 9 a 12 ore a settimana. L'obiettivo finale è farlo stare in classe per acquisire qualche elemento didattico. Se resta in classe socializza con i coetanei. La Provincia svolge questo servizio da una decina d'anni. «Ma non si è mai preoccupata di stabilizzare questi educatori. Chiedo un contratto dignitoso».Da tre anni, lavorano con la partita Iva. La retribuzione è di 17 euro lorde all'ora per 9 ore settimanali. Sono a 600 euro al mese lordi. «Avere la partita Iva significa pagare l'Iva . Non ho diritto al Tfr. Non ho diritto alla malattia. Non ho diritto alle ferie. Abbiamo paura di protestare perché perderemmo il lavoro». Devono fatturare per ottenere la retribuzione. «Quest'anno - dice l'educatore - la retribuzione è divenuta bimestrale. Ma dal momento in cui presento la fattura trascorrono altri 60 giorni. Quindi, siamo pagati ogni 4 mesi». Un appello alla Provincia: «Se avessero a cuore il problema lo avrebbero risolto. La Provincia di Bari ha molti immobili di sua proprietà. Hanno un costo per la manutenzione. Perché non vende gli immobili e con quei soldi non stabilizza noi precari?». Wed , 29 Jan 14 16:08:00
sabato 25 gennaio 2014
Alexis Tsipras: la lista per le europee non deve escludere nessuno
IL TESTO DELLA LETTERA DI ALEXIS TSIPRAS (SYRIZA--GRECIA) AI COMPAGNI ITALIANI
Care compagne e compagni,
Volevo prima di tutto ringraziarvi per la vostra fiducia e l’onore che avere dimostrato per me, SYRIZA e il Partito della Sinistra Europea proponendo di mettermi in primo piano in una lista in Italia.
Una proposta che rappresenta un riconoscimento morale per le nostre lotte da ll’inizio della crisi in Grecia e il nostro tentativo di internazionalizzare il problema nell’Europa del Sud.
Una proposta che completa quella del Partito della Sinistra Europea per la mia candidatura per la presidenza della Commissione Europea.
In Grecia, in Italia e nell’Europa del Sud in genere siamo testimoni di una crisi senza precedenti, che è stata imposta attraverso una dura austerità che ha fatto esplodere a livelli storici la disoccupazione, ha dissolto lo stato sociale e annullato i diritti politici, economici, sociali e sindacali conquistati. Questa crisi distrugge ogni cosa che tocca: la società, l’economia, l’ambiente, gli uomini.
“L’Europa è stata il regno della fantasia e della creatività. Il regno dell’arte”, ci ha insegnato Andrea Camilleri, per finire in “un colpo di stato di banchieri e governi”, come ha aggiunto Luciano Gallino.
Questa Europa siamo chiamati a rovesciare partendo dalle urne il 25 di maggio nelle elezioni per il Parlamento Europeo. Scommettendo sulla ricostruzione di una Europa democratica, sociale e solidale.
La vostra proposta per l’unità, aperta e senza esclusioni, della sinistra sociale e politica anche in Italia rappresenta uno prezioso strumento per cambiare gli equilibri nell’Europa del Sud e in modo più generale in Europa.
SYRIZA ed io personalmente sosteniamo che l’unità della sinistra con i movimenti ed i cittadini che colpisce la crisi rappresenta il migliore lievito per il rovesciamento. È la condizione necessaria per cambiare le cose.
La vostra proposta per la creazione di una lista aperta, democratica e partecipativa della sinistra italiana, dei movimenti e della società civile in Italia per le elezioni europarlamentari di maggio, con l’obiettivo di appoggiare la mia candidatura per la Presidenza della Commissione Europea, può rappresentare con queste condizioni un tentativo di aprire una nuova speranza con successo.
La prima condizione è che questa lista si costituisca dal basso, con l’iniziativa dei movimenti, degli intellettuali, della società civile.
La seconda condizione è di non escludere nessuno. Si deve chiamare a parteciparvi e a sostenerla prima di tutto i semplici cittadini, ma anche tutte le associazioni e le forze organizzate che lo vogliono.
La terza condizione è di avere come speciale e unico scopo quello di rafforzare i nostri sforzi in queste elezioni europee per cambiare gli equilibri in Europa a favore delle forze del lavoro contro le forze del capitale e dei mercati. Di difendere l’Europa dei popoli, di mettere freno all’austerità che distrugge la coesione sociale. Di rivendicare di nuovo la democrazia.
L’esperienza di Syriza in Grecia ci ha insegnato che in tempi di crisi e di catastrofe sociale, come oggi, è di sinistra, radicale, progressista ogni cosa che unisce e non divide.
Solo se facciamo tutti insieme un passo indietro, per fare tutti insieme molti passi in avanti, potremmo cambiare la vita degli uomini.
In un quadro del genere anche il mio contributo potrà essere utile a tutti noi, ma prima di tutto ai popoli d’Italia e d’Europa.
Fraterni saluti,
Alexis Tsipras, Presidente di Syriza e Vicepresidente del Partito della Sinistra europea
venerdì 17 gennaio 2014
Le elezioni politiche europee si avvicinano, Cosa fa la sinistra, cosa faranno i comunisti?
Eppure, a dispetto di questi fallimenti la sinistra esiste. Le idee, come ha detto Gilioli , non mancano. Non mancano neppure le personalità, da Rodotà a Landini. C’è pure un popolo, seppure apolide, quello che ha riempito tante piazze, a cominciare da quelle romane, durante le manifestazioni del 12 e del 19 Ottobre. Non si riesce però a trasformare questa base sociale in prassi politica quotidiana. Anzi, sembra proprio che si remi in direzione opposta. Ci si domanda ora, in Gennaio, come passare lo sbarramento delle elezioni europee. Il motivo è alto ma i modi sembrano opportunistici: ci ricordiamo solo ora, con 4 mesi a disposizione, che ci sono le elezioni? Vogliamo dare voce ad una Europa nuova, vero, ma lo si fa solo quando si va a votare? Ed in questo anno cosa abbiamo fatto? Quasi nulla, ad esser sinceri. E dire che le occasioni non sono mancate: il risultato elettorale, il caos del Quirinale, il governo tecnico. Tutti a guardare, inorriditi, ma completamente immobili.
Sembra di rivivere il 2012: governo tecnico, PD con PDL, austerity, riforma Fornero, e la sinistra che fa? Nulla. SEL col PD, a prescindere, gli altri che 2 mesi prima delle elezioni provano a mettersi insieme, a tempo abbondantemente scaduto, con una lista elettorale, non politica. Un disastro, che sembra vogliamo ripetere. Cerchiamo di sopperire alle nostre mancanze con una scorciatoia dell’ultimo minuto. Una lista per Tsipras, chiede Barbara Spinelli . Una lista di sinistra ma senza partiti. Anzi no, una lista che non deve neanche essere di sinistra, per Flores , vittima forse inconsapevole della sindrome post-Bolognina: vergogniamoci di quel che siamo e cancelliamo i nostri nomi, cioè cancelliamo anche la nostra storia. E poi, di nuovo, società civile contro partiti e partitini, una dicotomia fuorviante: come se i veri partiti non fossero anche fatti, soprattutto, di società civile, come se la società civile non avesse bisogno dei partiti per organizzarsi politicamente. Questo, in fondo, è quello che dice la nostra Costituzione che tanto difendiamo ma forse troppo spesso non capiamo.
Cosa facciamo? Una volta sognavamo la scalata al cielo, oggi certifichiamo l’ovvio, formazioni politiche rinchiuse in se stesse e una società civile che – al netto di una manifestazione di oltre 10 anni fa – non ha avuto il benché minimo effetto sulle fasi politiche che abbiamo attraversato. Da una parte e dall’altra siamo bloccati da atteggiamenti e tattiche sbagliate, accettando la logica della post-democrazia, per dirla con Colin Crouch. Partitini che sembrano gruppuscoli post-68ini, e una parte consistente, direi maggioritaria della sinistra che non sembra credere nelle forme organizzative della democrazia novecentesca, nei partiti per essere chiari. E che dunque rinuncia anche alla battaglia politica elettorale, se non in forme disordinate, tipo appunto liste dell’ultimo momento. E’ una sinistra che è capace di mobilitarsi su singole battaglie, dal NO TAV alla guerra, al lavoro (perdendo sempre per altro, anche se gloriosamente) ma che sembra volersi estraniare da un progetto di società più complesso e articolato, lasciando dunque le leve del potere ad altri, ai governi tecnici, all’Europa, ai mercati. Una sinistra che vuole essere gruppo di pressione, non avendo capito, forse, che le lobby si fanno con i soldi, i partiti con le idee e con i voti. Un atteggiamento che si riflette poi nell’atteggiamento anche di una classe dirigente che si ostina a voler continuare il proprio lavoro di sempre, sindacalisti, docenti, magistrati, giornalisti, convinta di poter innervare un cambiamento da quei luoghi, da quelle casematte del potere. Non rendendosi conto che la guerra di trincea di Gramsci la si può fare certo anche e soprattutto in quei luoghi, ma solo con la forza di una organizzazione politica radicata. Altrimenti diventa un lavoro di testimonianza, non di cambiamento. Insomma, quel che manca è il contenitore, il partito. Che forse non potrà più essere quello del vecchio PCI ma di cui non si può fare a meno. Si continua a dire no ad altri partitini, salvo poi rimpiazzarli con liste estemporanee. Nessuno vuole un altro partitino, ci mancherebbe, ma con uno sforzo di fantasia, sacrificio e abnegazione da parte di tutti, partiti(ni) e società civile insieme, si dovrebbe forse cominciare a pensare, invece, ad un partitone. Di sinistra.
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Partito dei Comunisti Italiani
Il Segretario
ad:
Angelo Bonelli, Verdi
Paolo Ferrero, Prc
Antonio Ingroia, Azione Civile
Gianpaolo Patta, Partito del Lavoro
Cesare Salvi, Partito dl Lavoro
Nichi Vendola, Sel
Cari compagni ed amici,
siamo di fronte ad una crisi economica, politica, sociale ed istituzionale senza
precedenti. A questa crisi il governo Letta contrappone scelte politiche liberiste, in
piena sintonia con la sciagurata politica economica della Ue, che precipitano
ulteriormente il Paese a livelli drammatici di immiserimento, di disoccupazione e di
crisi industriale e produttiva.
In questa situazione si manifestano fenomeni di decadenza democratica, con
forti pulsioni corporative e di destra che potrebbero assumere forme fuori da ogni
controllo.
La voce della sinistra è in questo contesto drammaticamente assente. Eppure
essa è la sola in grado di orientare positivamente, verso politiche alternative, la
sfiducia di vastissime aree della popolazione.
Sono queste ragioni, è la consapevolezza del dissesto e del degrado, che mi
spingono a chiedervi un incontro, da tenersi in tempi brevi, per valutare assieme la
situazione ed analizzare ogni iniziativa che ridia visibilità alla sinistra ed alle sue
proposte, comprese eventuali forme di mobilitazione e di lotta.
Fiducioso in una vostra celere e positiva risposta, vi inviò i miei più cordiali
saluti.
Cesare Procaccini
Ci sarà la celere risposta? (fe.d.)
mercoledì 8 gennaio 2014
Bisogna fermare l'attacco agli insegnanti e alla scuola pubblica
Continua il feroce attacco anche di questo governo, agli insegnanti e alla scuola pubblica: dopo l'estorsione del non pagamento delle ferie non godute, ecco il rimborso degli scatti con meccanismo retroattivo. Bisogna fermarli con tutti i mezzi. Ecco la riflessione di Aragno sul 'Il Manifesto' di oggi.
Fonte: Il Manifesto | Autore: Giuseppe Aragno
Insegnare il mondo senza capirlo
E’un tiro al piccione e non è questione di colore politico. Come si parla di scuola e di insegnanti, tutti hanno un colpo da sparare, anche chi a scuola ci vive. Persino in una riflessione sensata ti puoi imbattere in un attacco generico e superficiale. La scuola, sostiene Giuseppe Montesano, scrittore e docente, «deve dire […]chi è Platone, non può non dirlo, e non solo perché sta scritto nel misero programma ministeriale, ma perché è il suo unico compito, la sua unica chance, deve spiegare la geografia astronomica, i terremoti, i pianeti, le cose elementari e importanti della cultura. Però si tratta di un punto di partenza, quando invece è considerato il punto di arrivo, diventando così una stupida gabbia, e non un grimaldello per aprire la gabbia. Questo non succede solo perché molti insegnanti sono pigri, ripetitivi, figli di questa società e quindi uguali agli alunni, ma anche perché gli alunni adolescenti hanno sì una grande potenzialità, che gli insegnanti, adulti, in genere non hanno più, ma questa energia spesso non sanno nemmeno di averla e non sanno che possono usarla per sapere e capire il mondo: tutto gli insegna, dalla scuola alla famiglia alla società, che il mondo devono solo accettarlo senza capirlo».
Gli insegnanti sono figli di questa società, scrive Montesano. E’ proprio così o si tratta di una banale generalizzazione? Si insegna per quaranta anni; in servizio ci sono, quindi, docenti nati negli anni Cinquanta, che si sono formati quando la repubblica era giovanissima: anni Sessanta-Settanta. C’è chi è nato invece quando altri docenti completavano gli studi o iniziavano la carriera e ha cominciato a insegnare negli anni Novanta. L’Italia era profondamente cambiata. E c’è anche una terza generazione, i più giovani, quelli entrati da pochissimi anni. Anche qui le differenze sono enormi e non sono figli di società uguali tra loro. Se poi società sta per epoca della storia e indica in senso lato un mondo, un «tempo» con le sue caratteristiche generali e la sua cultura, beh, questo è accaduto e accadrà sempre e nessuno potrà evitarlo, ma le differenza esistono ugualmente.
Gli storici del Novecento non hanno interpretato i fatti della storia tutti allo stesso modo e nessuno si azzarderebbe a sostenere che gli artisti, diventati «adulti», perdono la creatività. Non si capisce perché, invece, i docenti peggiorano con gli anni e lavorano tutti allo stesso modo. Si tratta di un’affermazione che non è solo generica e superficiale, ma decisamente deformante, perché induce a riflettere su uno stereotipo di docente, un insegnante che non esiste, non sui docenti in carne ed ossa. Stesso discorso per la scuola, che, secondo Montesano, insegnerebbe ad accettare il mondo senza capirlo. E’ un’affermazione molto parzialmente vera e somiglia maledettamente a un luogo comune. Che la scuola sia figlia di un «tempo della storia» è vero. Vero è anche, però, che in una società chiusa e repressiva come quella russa della seconda metà dell’Ottocento, quando una riforma di carattere democratico aprì le porte della formazione a tutti, anche ai figli dei contadini, i docenti «progressisti» tirarono su la generazione di rivoluzionari che scardinò l’impero.
Nel Sud borbonico, dopo il 1848, le scuole private libere, come quella di De Sanctis, furono tutte chiuse: erano una minaccia per l’ordine costituito e la formazione fu affidata al clero. Per non dire dell’Italia risorgimentale, che non fu mai larga di maniche con la scuola — troppo alfabeto fa male alla salute — ma si ritrovò coi maestri socialisti che facevano guerra all’analfabetismo nonostante gli stipendi da fame.
Non c’è dubbio, la scuola è figlia di un tempo storico, ma davvero è pensabile che quotidianamente tutti gli insegnanti si mettano all’opera per convincere gli studenti che il mondo migliore è quello che hanno e devono accettarlo? E’ credibile che essi vadano a scuola per fare dei nostri ragazzi degli utili idioti, rassegnati, imbottiti di nozioni e incapaci di capire? Tutti gli insegnanti, in tutte le nostre scuole? Le cose non stanno così. Ogni scuola, in realtà, è una sorta di repubblica a sé, una collettività con caratteri distinti, con insegnanti pigri, insegnanti attivi, lavoratori solerti, menti aperte e gente chiusa e ottusa. All’interno di ognuna delle nostre istituzioni scolastiche ci sono manipoli di docenti che hanno un’idea emancipatrice della formazione. Bisogna stare attenti alle semplificazioni. Esse hanno una valenza divulgativa, un impatto molto condizionante e spesso sono dannose. Generalizzare vuol dire cogliere i caratteri generali e perdere quelli particolari. I dettagli, però, non sempre sono dati secondari e spesso sono decisivi per disegnare un profilo. Quando si dice totalitarismo, per esempio, si riesce a mettere agevolmente assieme fascismo, nazismo e bolscevismo. Chiunque si metta a guardar bene, però, si accorge che è un imbroglio. Tre dittature, certo, ma l’Italia fascista non è la Germania nazista e soprattutto nazismo, fascismo e bolscevismo sono tre pianeti lontani e profondamente diversi tra loro.
E’ vero, un insegnante deve dire chi era Platone, ma è vero anche che non può farlo senza passare per Socrate, senza indurre cioè a rifiutare un mondo che non si è capito.
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