Subaltern studies Italia

L’analisi e la classe - a cura di Ferdinando Dubla

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venerdì 28 maggio 2021

Ernesto de Martino, La civiltà dello spirito, Avanti!, 18 agosto 1948

 

su Academia.edu

 https://www.academia.edu/49060519/Ernesto_de_Martino_La_civilt%C3%A0_dello_spirito_Avanti_18_agosto_1948

abstract.: 

LO SGUARDO DEL BRACCIANTE di MINERVINO in Ernesto de Martino

La civiltà dello spirito era la civiltà dell’Italia democristiana del 1948, quella in cui nel luglio si era consumato l’attentato a Togliatti, in cui una mobilitazione popolare senza precedenti aveva comunque affermato il protagonismo della vituperata civiltà del materialismo, quella aborrita dal clericalismo politico uscito vincitore dalle elezioni del 18 aprile. La civiltà dello spirito era il manto ideologico con cui la parte conservatrice, quando non apertamente reazionaria, della società italiana, rivestiva l’esercizio di un dominio che voleva svilupparsi in egemonia tramite i “valori” superiori in quanto trascendenti l’umano e suoi bisogni. Il 1948 è anche l’anno che consacra definitivamente l’etnologo e filosofo de Martino come interlocutore internazionale della cultura antropologica, con la pubblicazione, in gennaio, introdotta da Cesare Cases, de Il mondo magico: l’analisi del fenomeno della magia ricollocava anche il rapporto tra storia, natura, cultura ed esseri umani.

E’ in questo contesto che de Martino, nell’estate di quell’anno, consegna all’Avanti! una riflessione antropologico-filosofica che cerca di svelare l’arcano del ritrovato fervore spirituale della cultura dominante, e lo fa con uno sguardo semplice, quello del bracciante di Minervino, nelle Murge pugliesi.

Ernesto de Martino, La civiltà dello spirito, Avanti!, 18 agosto 1948, in Id. Scritti minori su religione, marxismo e psicoanalisi, a cura di R. Altamura e P. Ferretti, NER, Roma, 1993, pp.115/117.



a cura di Ferdinando Dubla



mercoledì 26 maggio 2021

Presentazione pagina FB Subaltern studies Italia

 

Subaltern studies Italia - una nuova narrazione dei subalterni nella forma del collettivo di ricerca

metteremo la nostra ricerca al servizio dei subalterni se funzioneremo da intellettuale collettivo


SUBALTERN STUDIES COLLECTIVE ITALIA

 Una pagina di Gramsci sullo studio dei gruppi subalterni

Quaderno 25 (XXIII), 1934, Ai margini della storia (Storia dei gruppi sociali subalterni)

1. Subaltern Studies

"La storia dei gruppi sociali subalterni è necessariamente disgregata ed episodica. E' indubbio che nell'attività storica di questi gruppi c'è la tendenza all'unificazione sia pure su piani provvisori, ma questa tendenza è continuamente spezzata dall'iniziativa dei gruppi dominanti, e pertanto può essere dimostrata solo a ciclo storico compiuto, se esso si conchiude con un successo. I gruppi subalterni subiscono sempre l'iniziativa dei gruppi dominanti, anche quando si ribellano e insorgono: solo la vittoria "permanente" spezza , e non immediatamente, la subordinazione. (..) Ogni traccia di iniziativa autonoma da parte dei gruppi subalterni  dovrebbe perciò essere di valore inestimabile per lo storico integrale.", pag.2283/2284. (Ed. Gerratana - Einaudi, 1975)

I Subaltern Studies si configurano come svelamento di "tracce" in antitesi ai meccanismi di costruzione della storia come modalità egemone di relazione con il passato (e sono "tracce" culturali in assenza o disgregazione dell'autonomia politica), un tentativo dunque di esplorazione anche delle differenti modalità di relazione tra scrittura e passato.

“Il mondo popolare subalterno costituisce, per la società borghese, un mondo di cose più che di persone”.

E. de Martino, “ Intorno a una storia del mondo popolare subalterno”, su Società nr.3/1949

 

Il termine subalterno entra nel lessico antropologico in relazione con il mondo storico popolare con Ernesto de Martino, che nel 1949 ne configura il profilo di ricerca e i suoi criteri, con l‘inchiesta di gruppo sul campo e la verifica empirica dell’analisi etnologica.

Un collettivo di studio sui subalterni deve dunque muoversi intorno alle problematiche gramsciane nella ricezione, diretta e indiretta, esplicita ed implicita, dell’antropologia filosofica di de Martino.

 

"proveremo a pensare la storia del mondo come l'impensabile che è racchiuso all'interno dei suoi confini"

Ranajit Guha, La storia ai limiti della storia del mondo, Sansoni, 2003, pag.23

pagina FB Subaltern Studies Italia 

https://www.facebook.com/Subaltern-studies-Italia-102006355428935





sabato 22 maggio 2021

LO SGUARDO DEL BRACCIANTE di MINERVINO in Ernesto de Martino


La civiltà dello spirito era la civiltà dell’Italia democristiana del 1948, quella in cui nel luglio si era consumato l’attentato a Togliatti, in cui una mobilitazione popolare senza precedenti aveva comunque affermato il protagonismo della vituperata civiltà del materialismo, quella aborrita dal clericalismo politico uscito vincitore dalle elezioni del 18 aprile. La civiltà dello spirito era il manto ideologico con cui la parte conservatrice, quando non apertamente reazionaria, della società italiana, rivestiva l’esercizio di un dominio che voleva svilupparsi in egemonia tramite i “valori” superiori in quanto trascendenti l’umano e suoi bisogni. Il 1948 è anche l’anno che consacra definitivamente l’etnologo e filosofo de Martino come interlocutore internazionale della cultura antropologica, con la pubblicazione, in gennaio (1.), introdotta da Cesare Cases, de Il mondo magico: l’analisi del fenomeno della magia ricollocava anche il rapporto tra storia, natura, cultura ed esseri umani.

E’ in questo contesto che de Martino, nell’estate di quell’anno, consegna all’Avanti! una riflessione antropologico-filosofica che cerca di svelare l’arcano del ritrovato fervore spirituale della cultura dominante, e lo fa con uno sguardo semplice, quello del bracciante di Minervino, nelle Murge pugliesi.

Ernesto de Martino, La civiltà dello spirito, Avanti!, 18 agosto 1948, in Id. Scritti minori su religione, marxismo e psicoanalisi, a cura di R. Altamura e P. Ferretti, NER, Roma, 1993, pp.115/117.

Un giorno un bracciante di Minervino mi tenne presso a poco questo discorso: “Compagno, ho cinquant’anni, sono vecchio, ho lavorato tutta la vita, ora le forze mi vengono meno. Forse ancora per un anno sarò capace di portare a casa il frutto del mio lavoro. Poi, quando non potrò più lavorare, diventerò un ingombro anche per i miei figli: perché da noi il padre è padre finché porta da mangiare. E poi? E poi l’ospizio nel quale mi costringeranno ad entrare in attesa della morte”. E sul volto del vecchio che così mi parlava parve distendersi tutta l’angoscia secolare che travaglia sordamente l’umanità desolata delle Murge. Più volte, in seguito, ho riflettuto su questo incontro e sul significato delle parole che avevo udito. Se l’oscuro bracciante di Minervino fosse stato capace di farsi ideologo conseguente della propria condizione umana, quale immagine avrebbe potuto formarsi della vita e del mondo se non quella di una greve dipendenza dalla “materia”, dalla zolla, dal cibo e dal sudore, dalla fatica senza orizzonte che gli aveva oramai incurvato la schiena? E quale idea si sarebbe egli potuto formare dello “spirito”, dei valori culturali della dignità della persona umana se non quella di un privilegio concesso a un’altra umanità? L’accusa fondamentale lanciata dalla cultura tradizionale contro il materialismo storico, l’accusa di “ricaduta nella barbarie della materia”, di negazione dell’indipendenza dei valori culturali e di spregio della libertà e della dignità della persona umana sta ora davanti a noi in tutta la sua immensa ipocrisia: il materialismo storico non è affatto una spiritosa invenzione metafisica escogitata dal cervello di alcuni ideologi isolati, ma è semplicemente il riconoscimento storico che nella società borghese vige la barbarie della materia, la dipendenza dei valori culturali dalla struttura sociale, la limitazione della libertà e della dignità della persona umana, a una cerchia ristretta di uomini. (..)

occorre però che il marxismo si liberi dal materialismo volgare, dalle contaminazioni positivistiche, dalla metafisica, dalla ricerca della “vera causa” della storia in generale, per diventare essenzialmente, nel suo aspetto più propriamente culturale, l’analisi concreta, particolareggiata, in continuo sviluppo, delle “apparenze” dello Spirito nella società borghese, la denunzia sistematica di queste apparenze, e la liberazione reale, rivoluzionaria, dell’uomo dal momento servile, di inevitabile dipendenza materialistica, che vulnera la cultura tradizionale. Noi dobbiamo metterci dal punto di vista del bracciante di Minervino, per il quale il mondo storico nel quale viviamo “dipende” di fatto dalla zolla, dal cibo e dal sudore: ma col bracciante di Minervino dobbiamo avvertire tutta l’angoscia connessa alla precarietà di una vita così poco umanamente vissuta. E’ questa coscienza analitica della situazione di fatto, è questa angoscia maturantesi in ribellione, che fa noi marxisti, più liberi e più umani di coloro che usano dell’idea di libertà ma solo per ribadire spietatamente la condizione umana che lega il bracciante di Minervino alla zolla al cibo e al sudore.”

Quello sguardo rimarrà nella mente e nella penna di Ernesto de Martino permanentemente come sguardo non mediato dei subalterni sul mondo della storia, che si erge come potenza estranea alla propria condizione esistenziale e trascende i singoli destini. Lo “spirito” come privilegio di un’umanita’ non dolente cela il volgare e barbaro materialismo delle cose e degli oggetti, e degli uomini come cose nella società di classe, in cui i dominanti riducono i valori spirituali a simulacri metafisici con la cancellazione della narrazione subalterna e della sua soggettività storica.

Rientrare nella storia, allora, sarà la possibilità di autodeterminare il proprio destino con l’escatòn, frutto stesso, “per entro” la cultura, dell’ethos del trascendimento. L’angoscia della precarietà dell’esistenza non rende irreversibile “questo” essere nel mondo, perché è l’essere stesso che determina la coscienza.

“si trattava di liberarsi, attraverso la scienza dell’ethnos, dai cosiddetti «etnocentrismi occidentali» e dalle loro inconsapevoli proiezioni sia nelle civiltà dell’ethnos sia nella «natura umana in generale»; si trattava di analizzare le condizioni storiche in cui, nelle civiltà primitive, erano maturate esperienze e risposte culturali diverse dalle nostre, e di chiarire come quelle esperienze e quelle risposte, lasciate rigerminare nelle condizioni della civiltà moderna, perdevano la loro autenticità e maturavano in conflitti e in contraddizioni che, in ultima istanza, avrebbero condotto la civiltà moderna alla catastrofe. Ma soprattutto si trattava di una presa di coscienza culturale che, nel momento stesso in cui si apriva alla comprensione delle civiltà cosiddette primitive, poneva in causa la stessa determinazione borghese della civiltà occidentale, la sottoponeva a verifica, ne misurava i limiti interni di origine e di sviluppo.”

da E.de Martino, Furore, simbolo, valore, Il Saggiatore, 2013, pp. 78/79. Si tratta del saggio Promesse e minacce dell’etnologia, i cui spunti erano già presenti in Etnologia e cultura nazionale negli ultimi dieci anni, in Società, IX, 1953, nr.3

Secondo R.Altamura, il programma di ricerca demartiniano è di un integrale umanesimo “improntato al perseguimento ed all’espansione di una lotta, di portata potenzialmente collettiva, per la ‘liberazione umana’ da ogni specie di ‘servitù’, sia economica che esistenziale, (.) per la lotta ad ogni aspetto delle umane alienazioni.”, op.cit., pag.11.

- Quale “superamento” del marxismo, dunque, se con esso ne viene allargato lo sguardo? (2.)

Con esso, non senza di esso, perché, a restringere l’ispirazione marxista gramsciana dell’etnologo partenopeo all’inchiesta sul campo e le interpretazioni conseguenti della “trilogia meridionalista”, lo si divide e riduce a pensatore isolato che, per universalizzare la sua ermeneutica antropologica, decontestualizza la sua ricerca. Si tratta cioè di consegnare la sua opera all’acribia filologica degli accademici o fargli respirare la contemporaneita’ e le sue contraddizioni, i drammi e le speranze del presente, specifiche dell’epoca o universali perché storiche, culturali e, per l’appunto, antropologiche.

La ricezione di un’opera diventa la storia di un impatto tra ricerca e “senso comune” intellettuale. E’ Il mondo magico (1948) l’opera in cui de Martino già teorizza la fondamentale categoria di “crisi della presenza”, (3.) la cui pregnanza ermeneutica, in particolare in rapporto alla soggettività storica, è argomento di confronto attuale tra chi considera l’etnologo partenopeo un filosofo esistenzialista che incidentalmente si occupa delle classi subalterne sulla traccia di Gramsci oppure un appassionato ricercatore di Subaltern studies che può essere attualizzato oggi per uno sguardo antropologico-filosofico sugli stessi.
L’impegno politico diretto attraversa la biografia di de Martino per tutti gli anni ‘40 e ‘50 e non può essere espunto certo come parentesi incidentale, semmai è indicativo del suo stesso programma di ricerca ed esistenziale.
Lo sguardo demartiniano non è senza orizzonte. “E’ come si perde l’orizzonte / ai contadini nella sera”, cantava Scotellaro (R. Scotellaro, Capostorno, in E’ fatto giorno, a cura di Franco Vitelli, 1982, pp.70-71).

note

1. cfr. V. Salvatore Severino, Cronaca della prima ricezione de Il mondo magico, Italia 1948/1955, "Quaderni di storia, antropologia e scienze del linguaggio" e "Territori e culture", 

2. “la componente marxista è solo un dato marginale della riflessione demartiniana (..) semplice riferimento interlocutorio. (..) ha luogo una successione di fasi distinte (..)”, cfr. P.Cerchi-M.Cerchi, Ernesto De Martino: dalla crisi della presenza alla comunità umana, Liguori ed.,1987, pag.312 e il giudizio di Roberto Altamura ne riprende l’impostazione: “un marxismo strutturalmente incapace (..) [in] tutta la debolezza riduttivistica e l’incompletezza astrattizzante dei costrutti teorici che lo sostanziano.”, Id., op.cit., pag.19. Dalle “fasi distinte” dello spezzatino della ricerca demartiniana, si confonde la critica specifica e motivata ad una certa lettura marxista o pseudo tale, imbevuta di positivismo, ‘volgare’ perché determinista, addirittura”metafisica”, perché per de Martino non ‘onnilaterale’, alla liquidazione dell’officina marxiana e dunque gramsciana che ha forgiato gli strumenti per la ricerca dell’etnologo napoletano e corroborato la sua volontà militante nella dimensione politica. Il “superamento” è l’andare oltre, scrutare le multidimensionalità umane in atto e in prospettiva, anche nella riflessioni “fur ewig“ de La fine del mondo (vedi anche Interpretazioni dell'apocalisse: le tre edizioni de La fine del mondo di Ernesto de Martino,


3.Il magico mondo di de Martino e la genesi della labilità della presenza.
Riferito al particolare stato psichico chiamato latah dai Malesi, olon dai Tungusi, irkunii dagli Yukagiri, caratterizzato dalla perdita dell’io e frantumazione dell’identità personale come dissoluzione della coscienza che dunque viene potenzialmente agita da altri, l’etnologo partenopeo scrive:
“Il fatto negativo della fragilità della presenza, del suo smarrirsi e abdicare, è incompatibile per definizione, con qualsiasi creazione culturale, che implica sempre un modo positivo di contrapporsi della presenza al mondo, e quindi una esperienza, un dramma, un problema, uno svolgimento, un risultato. Ma l’olonismo presenta anche un aspetto che contiene un orientamento suscettibile di sviluppo culturale. Soprattutto in dati casi, l’olonizzato oppone una resistenza visibile. Non accetta la propria labilità, non si concede ad essa passivamente, ma reagisce. Un’angoscia caratteristica lo travaglia: e quest’angoscia esprime la volontà di esserci come presenza davanti al rischio di non esserci. La labilità diventa così un problema e sollecita la difesa e il riscatto: la persona cerca di reintegrare la propria presenza insidiata.”

E. de Martino, Il mondo magico, cap. II Il dramma storico del mondo magico, ed. Boringhieri 1973, pp.94/95.





sabato 15 maggio 2021

Subaltern studies Italia: il Crocco di Proto

 

Tantissime le edizioni del memoriale di Carmine Donatelli, il brigante Crocco, da Rionero in Vulture, accurata quella introdotta da Mario Proto, + (che si riconnette a quella a cura di Tommaso Pedio del 1964) per Lacaita nel 1995.

CARMINE CROCCO
Come divenni brigante
Autobiografia - a cura di Mario Proto -

1) MELFI E LE METAMORFOSI DELLA CONDIZIONE MERIDIONALE

2) L'AUTOBIOGRAFIA DI C. CROCCO

3) IL BRIGANTAGGIO MERIDIONALE

4) IL BRIGANTAGGIO. ANALISI ED INTERPRETAZIONI

5) BANDITI, RIBELLI, RIVOLUZIONARI

6) NORD E SUD: IL CASO ITALIA

7) PER UNA STORIA DEL FEDERALISMO MERIDIONALE

NOTA BIBLIOGRAFICA

https://www.dragonetti.pz.it/contenuti/storia/brigantaggio/Carmine-Crocco-Autobiografia.pdf

vedi anche:

http://www.brigantaggio.net/Brigantaggio/Briganti/Crocco.pdf


+ Mario Proto ha insegnato all'Università di Lecce Storia delle dottrine politiche e Sociologia generale presso i Corsi di laurea in Lettere moderne, Filosofia, Scienze politiche e delle relazioni internazionali e Scienze della Comunicazione. È stato direttore della collana Ideologia e Scienze sociali (Piero Lacaita editore), nonché collaboratore di vari centri studi italiani e stranieri. Autore di numerosi volumi di interesse storico-politico su Mezzogiorno, federalismo e accentramento, democrazia, informazione, statalismo e globalizzazione, guerra e politica, ha inoltre curato l'edizione di testi classici del pensiero politico meridionale e nazionale. E’ morto a Lecce il 29 ottobre 2009.+

"Chi può dire quante lacrime spargemmo noi cinque creature, il più grande ottenne, il più piccolo di due anni! Chi pensava più a noi? Chi ci puliva, pettinava, rassettava i panni? Chi ci accarezzava? Oh quante volte ho sospirato gli amorosi scappellotti della mamma! Mio padre non poteva lasciare il lavoro, che saremmo morti di fame. Una zia ladra e ghiottona ebbe l'incarico della casa; essa rubava tutto ciò che le capitava sottomano, divorava quello che trovava di buono, lasciando per noi la roba fradicia e puzzolente. Addio scuole, addio zio Martino, parenti, compagni, amici, addio tutti!
Disperazione e miseria sono con noi. La morte ed il carcere è serbata ai miseri!"

Ogni fenomeno di massa ha cause sociali, la storia presenta nessi causali, si documenta e se ne interpreta il racconto. E’ il caso del brigantaggio del Mezzogiorno d’Italia, all’interno di politiche coloniali e postcoloniali piuttosto che unitarie, all’interno della subordinazione azionista risorgimentale alle classi dominanti e al moderatismo politico (Gramsci).

Subaltern studies Italia - una nuova narrazione dei subalterni e non per i subalterni

· ripartire dunque da Crocco o Passanante, Scotellaro e Corrado Alvaro et alii.

Annales e studi post coloniali, i testi centrali sono La quistione meridionale (1926) e il Quaderno XXV (1934) di Antonio Gramsci e Intorno a una storia del mondo popolare subalterno (1949) con lo sguardo del bracciante di Minervino (1948) di Ernesto de Martino.

+ M. Proto:

Ripubblicata nel 1964 dall'Editore Lacaita, nella collana “Briganti e Galantuomini”, a cura di T. Pedio, l'autobiografia di C. Crocco si presentava ai lettori quale testimonianza di una lotta sociale perduta contro padroni vecchi e nuovi, pronti a riciclarsi come dirigenti della futura classe politica nazionale.(..) A seguire Crocco sono in maggior numero braccianti agricoli, sellai, pastori, contadini a giornata, pronti ad essere assunti nella banda per la durata del bel tempo e poi rientrare nella fatica quotidiana con il sopraggiungere della cattiva stagione. Nel circondario di Melfi la natura sembra essere rimasta intatta, allo stato selvaggio, da secoli. Assai poche le vie di comunicazione con il resto della regione, incidentate e pericolose, da sempre facile nascondiglio, soprattutto al limitare dei boschi, per masnadieri e malfattori pronti a saltare addosso al malcapitato viaggiatore. L'agricoltura estranea ai principi ed alle tecniche di una conduzione moderna, sul tipo di quella sviluppatasi nelle regioni dell'Italia centrale. Ancora in uso pratiche medievali di uso degli attrezzi agricoli, mentre la vita quotidiana del contadino si consumava in angusti tuguri, umidi ed affumicati, in compagnia delle bestie.

 

“io voglio con ciò conchiudere che i Governi, generalmente parlando, non guardano mai dove nascono i figli della miseria, né come essi fanno a vivere, né si occupano in un modo qualunque onde alleviare in qualche maniera la miseria e toglierli dall’ignoranza. Invece li cercano quando son fatti uomini capaci di vivere da sé e porgere qualche sollievo ai vecchi genitori; allora ecco il signor governatore, senza dimenticarne uno solo, se li prende come sua proprietà e ne fa quello che gli pare e piace.

Il pretesto è bello, la Patria, la Legge, la prima è una puttana, la seconda peggio ancora.

E Patria e Legge hanno diritti e non doveri e vogliono il sangue dei figli della miseria. Ma vi è forse una legge eguale per tutti?”

dall’autobiografia di Carmine Donatelli Crocco, dal bagno penale di Santo Stefano (LT), dal 27 marzo 1889, trascrizione (e interpolazione) a cura di Eugenio Massa, capitano del Regio esercito.


l'autobiografia illustrata curata per l'ed.Siris - 2017 

l'edizione curata da Mario Proto nel 1995

Ferdinando Dubla, Mario Proto - Università di Lecce, febbraio 1999

 

venerdì 14 maggio 2021

In croce e nel cuore: KAMI BERSAMA PALESTINA- VITTIME E CARNEFICI - Hanan Ashrawi

 


PADRE, perchè hai abbandonato la Palestina? 

Il neosegretario PD Letta immortalato insieme a Salvini alla manifestazione in favore di Israele seguito da una pletora di servizi giornalistici a senso unico, non svela nulla, semmai conferma che la patina di conformismo del “politicamente corretto” è il farisaico deteriore senso comune che il potere imperialista cerca di affermare con la forza militare e la violenza e che i diritti umani, così come quelli politici e sociali, così come l’autodeterminazione dei popoli, non abitano più, neanche formalisticamente, sulle sponde d’Occidente. ~ fe.d.

KAMI BERSAMA PALESTINA 🇵🇸

VITTIME E CARNEFICI - Hanan Ashrawi

È stata il volto e l’immagine internazionale della delegazione palestinese che avviò i negoziati di Oslo-Washington. La prima donna ad essere nominata portavoce della Lega Araba. Più volte ministra dell’Autorità nazionale palestinese, parlamentare, paladina dei diritti umani nei Territori palestinesi, tra i numerosi riconoscimenti ricevuti, ricordiamo il Mahatma Gandhi International Award for Peace and Reconciliation e Sydney Peace Prize.
extract. dall’intervista su Il Riformista, 15 maggio 2021

Cosa c’entra il diritto di difesa con le punizioni collettive che da quindici anni Israele infligge a due milioni di palestinesi assediati, isolati dal resto del mondo? Le punizioni collettive sono contrarie al diritto internazionale, a quello umanitario, alla stessa Convenzione di Ginevra sulla guerra. E cosa c’entra il diritto di difesa con la pulizia etnica in atto a Gerusalemme Est, con l’espulsione di decine di famiglie palestinesi dalle loro case a Sheikh Jarrah (un quartiere arabo a Gerusalemme Est, ndr)? E cosa c’entra il diritto di difesa con l’ampliamento degli insediamenti israeliani in Cisgiordania, con le terre palestinesi confiscate, con le risorse idriche negate dalle forze occupanti?
L’asimmetria delle forze in campo è sotto gli occhi di tutti. E a testimoniarlo è anche il bilancio delle vittime. (..)
Bombe, razzi, morti, feriti. La storia si ripete.
La storia non si ripete. Ciò che si reitera è l’occupazione israeliana, che nel corso degli anni si è fatta sempre più sistematica, asfissiante. Oltre trent’anni fa esplose una rivolta popolare contro l’occupazione, oggi dobbiamo fare i conti con qualcosa di più strutturato di un’occupazione: dobbiamo lottare contro un regime di apartheid instaurato nei Territori, contro la pulizia etnica portata avanti a Gerusalemme Est nei riguardi di centinaia di migliaia di palestinesi. Trentaquattro anni fa quella rivolta portò al centro dell’attenzione internazionale la causa palestinese, oggi, sbagliando, le priorità in Medio Oriente sembrano essere altre. Resta la rabbia, e la difficoltà a trasformare quella rabbia, diffusa, radicata, in un progetto politico e di lotta.(..)
Prima di sedersi a un tavolo c’è bisogno di far tacere le armi. C’è bisogno di una tregua.
Una tregua, certo, e poi? La tragedia della gente di Gaza è nella quotidianità, quando le armi tacciono ma la fame resta. E quello che cresce è la disperazione, è il sentirsi condannati a vivere in una prigione a cielo aperto. La situazione nella Striscia è sempre più tragica: il 38% della popolazione vive in povertà assoluta; il 54% soffre per insufficienza alimentare; il 39% dei giovani sono senza lavoro; oltre il 90% dell’acqua non è potabile. Tregua certo, ma come primo passo per un “nuovo inizio”. Per un vero negoziato di pace.
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sabato 8 maggio 2021

Il "doppio sguardo" sui subalterni: per una ricerca comparata tra marxismo e antropologia filosofica in Gramsci e de Martino


In Academia.edu
comunicazione di Ferdinando Dubla al seminario La scoperta di Gramsci , 30 aprile 2021, Università di Macerata, Dipartimento di Scienze della formazione - Dipartimento Studi umanistici - 
paragrafi e temi trattati: Lo sguardo doppio - Per un collettivo di ricerca Subaltern Studies Italia - SUBALTERN STUDIES COLLETTIVE - I margini della storia, Gramsci e i Subaltern Studies - Subaltern Studies e ragione postcoloniale decostruzionista (G.C.Spivak) - IL SUD dei SUBALTERNI - RIPLASMAZIONE, REINTEGRAZIONE e RISCATTO: Marx e Gramsci ne "La fine del mondo" di Ernesto de Martino - Il robusto filo che riconnette Marx, Gramsci e de Martino - Interpretazioni dell'apocalisse: le tre edizioni de LA FINE DEL MONDO di Ernesto de Martino - extract da Fabiana Gambardella in Scienza & Filosofia nr.8/2012.
 Doppio sguardo è quello di ANTONIO GRAMSCI ed ERNESTO DE MARTINO, necessario per il riscatto delle classi subalterne, l’uno attraverso la scienza politica e la filosofia della prassi, l’altro attraverso la ricerca sul campo e l’antropologia filosofica, l’uno e l’altro impegnati in uno sforzo di interpretazione, sviluppano categorie ermeneutiche che attraversano l’essere-umano in tutte le sue dimensioni, implicitamente alla ricerca di quell’”uomo onnilaterale” di Marx, in cui convivono razionalità e irrazionalità, sentimento e ragione, e si intrecciano natura, storia e cultura.







I video della diretta del giovedì del Dipartimento Scuola, Università e ricerca del PCI

 

https://www.facebook.com/watch/990716880989794/136287968018999


Segnalo per approfondimenti storia, pedagogia e didattica
- L’alternativa pedagogica di Gramsci
"L’alternativa pedagogica" è il titolo di un'antologia di scritti sui principi educativi del filosofo e dirigente comunista Antonio #Gramsci curata da Mario Alighiero Manacorda, storico della pedagogia e intellettuale marxista, 1 ottobre 2020
- Riforma della Scuola: una rivista del PCI al servizio di una grande battaglia!
Pedagogia e #politica scolastica erano strettamente connesse negli indirizzi programmatici del #PCI, tanto che dal 1955 si diede vita ad una rivista (le riviste erano strumenti di #formazione militante e nello stesso tempo di #divulgazione di massa) in cui le due tematiche erano intrecciate: si chiamava «Riforma della scuola»., 19 novembre 2020
- Pedagogia rivoluzionaria. Introduzione a Makarenko, 28 gennaio 2021
- Makarenko, genere e pedagogia della prassi, 11 marzo 2021
con Luca Cangemi, Ferdinando Dubla , Emanuela Lomartire

- Il secolo di Gianni Rodari, con Vanessa Roghi e Claudio Maulini, 5 novembre 2020

giovedì 6 maggio 2021

DITADURA NUNCA MAIS -La scuola-azienda, la scuola-Recovery e la sua povertà educativa

 


-ditadura nunca mais-
la scuola-azienda pone in discussione il diritto universale all’istruzione e la libertà di insegnamento

La scuola-azienda del Recovery Scholar insulso modello di addestramento neoliberista
- solo lotta e mobilitazione può fermarla -

Solo la lotta e le mobilitazioni possono invertire la tendenza e affermare un nuovo modello di scuola, partecipato, cooperativo, interamente pubblico e qualitativo


LA SCUOLA-AZIENDA e la RETORICA di regime

- Qualcosa stanno facendo per le scuole: aggravare il peso burocratico del lavoro e valorizzare l’extracurricolarita’. La scuola-azienda così può andare avanti, anche in DAD oppure in DID, oppure al 50% 60% 70% in presenza, o tutte e tre le modalita’, come in Puglia, dove gli insegnanti sono uno e trino e al servizio delle famiglie.

- E’ proprio il modello aziendale invece che non ha retto all’urto della pandemia, la rinuncia a un piano d’investimenti e di intervento politico effettivi in materia di edilizia scolastica, assunzioni, riduzione del numero di alunni per classe, tracciamento e contenimento dell’epidemia.

E’ il frutto di una scelta deliberata di classe: l’indiscriminato taglio alle risorse economiche della scuola pubblica, il taglio degli organici, presuppongono che l’istruzione pubblica sia un costo sociale che deve essere decurtato allo Stato e consegnato a processi di privatizzazione e aziendalizzazione. Dalla scuola bene primario e inalienabile alla scuola nei fatti del censo e della funzionalizzazione alle logiche del mercato capitalista, il tutto decorato dal formalismo, dal feticcio tecnocratico, dal burocratismo per il controllo dall’alto.

L’allievo è cliente di un’”offerta” formativa, non soggetto attivo del processo di insegnamento/apprendimento; l’insegnante è un “conformatore”, un tutor di processi di abilità misurabili e standardizzati, valutatore di competenze flessibili, in cui le conoscenze culturali si trasformano in variabili dipendenti. L’omogeneizzazione dei saperi scaturisce direttamente dal controllo tecnico di quantità “performative” e dalla loro verifica di risultato.

<Paradigma di governance di New Public Management>, blaterano gli insulsi.

Ma la retorica di regime stenta a diventare senso comune.

 

PIANO NAZIONALE di RIPRESA e RESILIENZA (PNRR):

COME PRIMA, PEGGIO DI PRIMA

 

La scuola-azienda rifunzionalizzata al mercato mette in discussione il diritto universale all’istruzione e la libertà di insegnamento. La campagna “ditadura nunca mais“ degli intellettuali, del mondo scolastico e dei lavoratori dell’educazione e dell’istruzione in Brasile, assurge a simbolo di come questi valori debbano essere continuamente alimentati e vissuti nella partecipazione democratica e nella cooperazione educativa. ~ fe.d.

 - (..) Sulla questione della digitalizzazione, a cui il governo assegna una centralità ideologica oltre che una prevalenza di finanziamenti, peserà la scelta-a scuola come dovunque- di affidarsi integralmente al mercato. Con la conseguenza di devolvere gran parte dei fondi in graziosi regali alle imprese ma anche di consentire la definitiva colonizzazione degli apparati formativi pubblici da parte di potentati economici, basti pensare alla gigantesca speculazione sui dati. (..)

Molto pesanti anche le idee che si affermano nel PNRR su chi a scuola lavora. Si parte dal presupposto che il problema della scuola sia la professionalità degli insegnanti, non le condizioni in cui lavorano. E quindi l’enfasi è messa su reclutamento, formazione (obbligatoria), controllo. Invece di valorizzare cooperazione e carattere unitario della funzione docente si delinea una figura di insegnante immerso in una dimensione sempre più aziendalista. ~ Luca Cangemi, resp.naz. Dipartimento Scuola, Università del PCI

 O CI SI MOBILITA o PASSERA’ IL DISEGNO AZIENDALE DELLA SCUOLA-RECOVERY

- Nel contratto nazionale della scuola per allungare il tempo scuola come dice il ministro, inserire la preparazione delle lezioni, la correzione delle verifiche, l’aggiornamento disciplinare, mense e servizi, diritto alla disconnessione. Altrimenti la scuola-azienda per il servizio a domanda non ha bisogno di docenti ma di tutor con contratto a ore, come sognano i tecnocrati, gli stessi che hanno suggerito l’acquisto delle sedie con le rotelle, dei tablet senza fibra, e ora di corsi di formazione obbligatoria senza compenso per remunerare enti privati esperti nell’aria già fritta di esausti vuoti formalismi burocratici camuffati con un insopportabile linguaggio anglofono e di subalternità culturale alle fallite esperienze di scuola-azienda, in cui trovano posto le misurazioni quantitative delle competenze, l’addestramento al lavoro servile e la potestà manageriale dei dirigenti scolastici.

Comunicato USB – L’Unione Sindacale di Base, Cobas Sardegna, Unicobas, Cub e Osa : contro il Recovery fund della digitalizzazione e delle competenze voluto dal governo Draghi.

- Partendo dal tema dell’Invalsi e dalla scuola dei quiz, abbiamo costruito una giornata di mobilitazione intorno alle questioni del PNRR, degli organici, dell’assunzione dei precari, dell’edilizia scolastica, della ripartenza in sicurezza e del rifiuto della scuola-parcheggio estiva del ministro Bianchi, respingendo la sterile contrapposizione scuole aperte-scuole chiuse.

 

- La povertà educativa passa anche dalla funzione docente separata da funzioni burocratiche formalistiche quantitative. Sono i test da batteria che rendono tutte le classi pollaio.

 

 

MAI PIU’ DITTATURA, nel paese di Paulo Freire

Riscrivere la storia, ripristinare la memoria, la campagna assurta a simbolo della libertà di insegnamento e del diritto universale all’istruzione proprio in virtù di quella libertà.

- La Confederazione Nazionale dei Lavoratori dell'Istruzione, con l'obiettivo di celebrare la resistenza della società brasiliana contro lo stato di eccezione determinato dai militari più di 50 anni fa, organizza una campagna permanente in memoria dei lavoratori dell'istruzione che hanno combattuto contro la dittatura e sono stati vittime del colpo di stato del 1964. (In Brasile, il primo aprile di 57 anni fa, un golpe militare mise fine al governo di João Goulart, detto “Jango”, instaurando una dittatura durata 21 anni, meno conosciuta di quella cilena o argentina ma altrettanto traumatica per la storia del paese).

Il sito web ditaduranuncamais.cnte.org.br

è collaborativo ed è stato creato per evidenziare la battuta d'arresto nell'istruzione brasiliana da parte di un regime che revocava i diritti individuali, collettivi e politici, abusava dell'integrità fisica e psicologica di migliaia di persone, imponeva ideologie conservatrici alla società, cittadini perseguitati, arrestati, torturati, esiliati e uccisi, i cui crimini (molti dei quali) necessitano ancora di delucidazione e / o riconoscimento da parte dello Stato.









lunedì 3 maggio 2021

Illegittimi guadagni

 

Le corporazioni multinazionali delle aziende farmaceutiche agiscono solo motivate dai profitti 

Guillermo Alvarado | radiohc.cu

Traduzione a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare di Torino 

Tra le grandi aziende note per la loro abitudine di trarre profitto dalle disgrazie del mondo, i produttori di armi sono in cima alla lista, ma la situazione vissuta negli ultimi mesi a causa del Covid-19 aggiunge a questa lista le aziende farmaceutiche che fanno succulenti profitti.
Questo è stato confermato da un'analisi fatta dal quotidiano messicano La Jornada, che mostra che le sette più grandi aziende in questo campo in tutto il mondo sono riuscite ad aumentare il loro valore di ben 152 miliardi di dollari nel pieno della crisi sanitaria.
Mentre l'economia mondiale crollava, specialmente nei settori del commercio, del turismo e dei servizi, queste potenti aziende hanno visto il loro capitale crescere nei mercati finanziari e continuano a farlo.
Johnson & Johnson, la più grande del suo genere, aveva un valore di borsa di 384,272 miliardi di dollari all'inizio della pandemia, ma ad aprile 2021 il suo valore era salito a 422 miliardi di dollari.
AstraZeneca, che è stata messa sotto accusa per le scarse prestazioni del suo vaccino contro il nuovo coronavirus, anche se non ha aumentato il suo patrimonio, è ancora quotata in borsa in quanto mantiene lo stesso capitale che aveva un anno prima.
La Access to Medicines Foundation, un'organizzazione non-profit, ha rilevato che l'industria farmaceutica ha reagito al Covid-19 solo quando è stato chiaro che la malattia stava colpendo anche i paesi ricchi.
Se il Covid-19 avesse colpito solo il mondo povero, la corsa al vaccino che abbiamo visto non sarebbe mai avvenuta.
Si tratta di soldi, di portafogli o di conti bancari per essere più precisi. Le corporazioni multinazionali agiscono solo motivate dai profitti ed è per questo che dal 2018 la ricerca farmaceutica si concentra sulle "malattie redditizie", come il cancro, che è estremamente costoso da trattare.
Le malattie infettive trasmissibili, come la dengue, la rabbia, il tracoma e altre non sono più praticamente prese in carico dalle compagnie farmaceutiche, sono state messe in disparte perché colpiscono poco il mondo sviluppato.
Il vaccino contro SARS-CoV-2 è un'altra cosa, perché grazie all'astuzia che caratterizza questi commercianti, hanno capito che per loro si presentava una grande opportunità ed hanno ottenuto i fondi governativi sufficienti per sostenere la ricerca.
Attualmente, molti paesi, tra cui diversi dell'America Latina, non sono riusciti a concludere un solo contratto per l'acquisto di vaccini prodotti da questi laboratori. Sarà difficile per loro farlo perché la solidarietà non è comune in questo tipo di affari.


I DANNATI della TERRA, I DANNATI senza TERRA


I nuovi dannati della terra ci sono, i dannati del tempo a consegna, gli afro chini sui pomodori in Capitanata, gli operai delle siviere di Taranto, gli ultimi delle periferie metropolitane, i nativi custodi dell’Amazzonia. Non è la “moltitudine”, sono i subalterni.- fe.d. 

L'introduzione di Leonardo Pegoraro al suo “I dannati senza terra - i genocidi dei popoli indigeni in Nord America e in Australasia”, con prefazione di Franco Cardini, Meltemi ed. 2019

“Raphael Lemkin, il coniatore della parola “genocidio”, è considerato a buon diritto il padre fondatore dei genocide studies: una nuova branca del sapere affermatasi soprattutto nei paesi anglofoni (in questo campo le scienze sociali registrano in Italia un sensibile ritardo) e sviluppatasi a cominciare dagli anni Settanta, sotto l’urto dei massacri in Biafra e in Pakistan orientale (l’odierno Bangladesh). A dare nuovo impulso alla ricerca sono intervenute, nei primi anni Novanta, le guerre in ex Jugoslavia e la catastrofe ruandese. I genocide studies vantano oggi decine e decine di studiosi appartenenti ad aree disciplinari fra loro diverse (giurisprudenza, sociologia, politologia, storia, filosofia, antropologia, psicologia); corsi universitari e programmi di ricerca ad hoc, tra cui il Genocide Studies Program presso la Yale University; associazioni internazionali quali l’International Association of Genocide Scholars; riviste specializzate come il “Journal of Genocide Research”, il “Genocide Studies and Prevention” e l’Holocaust and Genocide Studies; numerose monografie e studi collettanei tra i quali, per menzionarne soltanto uno, The Oxford Handbook of Genocide Studies. Cercando di misurarsi con questo filone di studi e adottando un approccio di carattere interdisciplinare, la prima parte del libro ha a oggetto l’analisi – a tratti filologica – degli scritti lemkiani, nonché del vasto dibattitto interpretativo sul significato da attribuire al lemma in questione. Attraverso un serrato confronto critico con le letture dominanti sviluppate su questo tema e la problematizzazione di alcuni luoghi comuni troppo sbrigativamente dati per assodati, si tenta di fornire una risposta a diverse domande come: il genocidio costituisce un fenomeno unicamente novecentesco? Tale categoria è stata coniata e va utilizzata solamente in relazione alla Shoah? Si può parlare di “genocidio di classe”? Quali differenze sussistono tra il concetto di pulizia etnica e quello di genocidio? Che rapporto c’è tra il genocidio e il colonialismo? In che senso Hitler e Mussolini hanno a modello gli Stati Uniti allorché si apprestano a colonizzare, rispettivamente, l’Europa orientale e l’Etiopia? In che modo la tradizione di pensiero liberale rimuove il “male” da essa provocato? Che cos’è una “democrazia genocidaria” e perché l’avvento dell’ideologia e della pratica liberaldemocratiche ha comportato i genocidi più efferati contro i popoli indigeni? Al di fuori di un’ottica eurocentrica e in alternativa alla teoria del totalitarismo – ideologicamente impegnata, per un verso, ad accusare di genocidio il comunismo e il nazismo e, per l’altro, a tutelare la presunta immacolatezza dell’Occidente liberale – la seconda parte del libro consiste, senza alcuna presunzione di completezza, in uno sforzo volto a indagare una storia plurisecolare spesso negata, minimizzata o del tutto ignorata. È la storia del multiverso di genocidi indigeni perpetrati dagli Stati Uniti (probabilmente lo Stato “mega-genocidario” per eccellenza), dal Canada, dall’Australia e dalla Nuova Zelanda, ovvero da paesi riconosciuti dal credo liberale come suoi figli legittimi e da esso reputati liberi e democratici. La tragedia inflitta ai popoli indigeni dal colonialismo anglosassone – una tragedia i cui effetti distruttivi sulle vittime perdurano ancora oggi – rappresenta una delle pagine più buie della storia dell’umanità e con la quale, forse proprio per questa ragione, il mondo liberale non sembra intenzionato a fare pienamente i conti.”, 

Leonardo Pegoraro