Subaltern studies Italia

L’analisi e la classe - a cura di Ferdinando Dubla

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venerdì 27 giugno 2014

Enrico Berlinguer: contro le abiure. Ricordate anche questo


Chi ci chiede di emettere condanne o di compiere abiure – afferma – [...] chiede una cosa [...] impossibile e sciocca. [...] I passi avanti nell’adeguamento e aggiornamento della nostra linea [...] li abbiamo compiuti non rompendo con il nostro peculiare passato [...] non recidendo le nostre radici [...] bensì sviluppando il grande, irrinunciabile patrimonio teorico e ideale accumulato in centotrent’anni di lotte dei movimenti rivoluzionari nati col Manifesto del Partito comunista

ENRICO BERLINGUER,  intervista a Eugenio Scalfari, 2 agosto 1978

domenica 15 giugno 2014

Athena Orchard e l'Io riflesso


Un bellissimo articolo di Sarantis Thanopoulos su Il Manifesto del 14 giugno c.a., lega la vicenda della piccola Athena ad una riflessione congruente alle teorie di G.H.Mead e C.H.Cooley

Athena Orchard, una tre­di­cenne inglese, è morta di tumore qual­che mese fa. Recen­te­mente i geni­tori hanno sco­perto una sua let­tera d’addio scritta sul retro del suo spec­chio. La let­tera resa pub­blica ha avuto una grande riso­nanza. All’inizio della let­tera Athena invita a vivere ogni giorno come se fosse spe­ciale per­ché «domat­tina potrebbe capi­tarvi una malat­tia mor­tale, come è acca­duto a me». Il suo testo a «memo­ria futura» è inge­nuo ma la sua inten­sità lo rende com­mo­vente e alcune anno­ta­zioni sulla feli­cità sono sor­pren­den­te­mente acute. La feli­cità, scrive Athena echeg­giando incon­sa­pe­vol­mente Kava­fis, «forse non è il lieto fine, forse è la sto­ria». E in un altro punto riba­di­sce: «la feli­cità è una dire­zione, non una desti­na­zione». Non è facile scri­vere que­ste parole quando il tri­ste fine è alle porte, inter­rom­pendo anzi­tempo la sto­ria, e la dire­zione porta dritto alla morte come sua unica desti­na­zione. Tut­ta­via si può com­pren­dere meglio la fidu­cia nella vita di que­sta fan­ciulla desti­nata a non fio­rire se si assume che una sto­ria è nella sua essenza sem­pre incom­piuta, senza fine, aperta alla buona e alla cat­tiva sorte. E la dire­zione non ha mai desti­na­zione, la elude. Per Athena la feli­cità è l’intenso vivere, non esat­ta­mente quello dell’«attimo fug­gente» ma l’eternità del sem­plice gesto spon­ta­neo che crea il nostro legame con il mondo senza altra aspi­ra­zione che il fluire della nostra espe­rienza. Que­sto gesto che ignora la morte e non ha una meta defi­nita, è la mate­ria prima da cui prende forma il senso della vita.

Essere psi­chi­ca­mente vivi quando moriamo è la migliore sorte che ci può capi­tare ma ciò che la osta­cola non è l’incombente morte fisica bensì la morte che ci abita inte­rior­mente fin dal momento che il nostro legame con lo spec­chio (reale o meta­fo­rico) ci inse­dia nelle con­di­zioni ogget­tive della nostra esi­stenza. L’esistenza spon­ta­nea, libera di un ordine pre­de­fi­nito, del bam­bino che costi­tui­sce il nucleo ori­gi­na­rio della nostra sog­get­ti­vità, si strut­tura riflet­ten­dosi in un ordine sociale (sim­bo­lico) che le pre­e­si­ste, in maniera meno orto­pe­dica di quanto sup­po­neva Lacan (che è stato il primo a intuire que­sto dramma ini­ziale della vita) ma comun­que trau­ma­tica, (auto)alienante. La strut­tu­ra­zione se ci pre­di­spone alla socia­lità, limita, al tempo stesso, la nostra libertà di vivere un disor­dine crea­tivo e di goderne. La nostra nascita sociale fa «morire» una parte della nostra spon­ta­neità, una parte della capa­cità di godi­mento puro, privo di altre fina­lità, che deter­mina l’intima sen­sa­zione di essere vivi. Que­sta per­dita (la radice più pro­fonda della dimen­sione melan­co­nica della vita) è ripa­rata con l’investimento nar­ci­si­stico della nostra imma­gine riflessa: il Nar­ciso che alberga in noi si aggrappa al suo spec­chio per non spro­fon­dare nella fasci­na­zione della pro­pria imma­gine che lo cat­tura dall’esterno. In «Attra­verso lo spec­chio» di Lewis Car­roll, Alice sco­pre in un dia­rio un poe­metto (Jab­ber­wocky) fatto di parole senza senso e leg­gi­bile solo se riflesso nello spec­chio. Ogni notte è neces­sa­rio attra­ver­sare lo spec­chio con Alice per entrare nel mondo del sogno, risco­prire un nostro per­so­nale disor­dine e ritro­vare l’incomprensibile (nel mondo ordi­nato in senso logico) poema del nostro idioma sog­get­tivo libero da una sua let­tura allo spec­chio che lo rad­drizza pre­giu­di­cando il suo dispie­ga­mento crea­tivo. In vici­nanza della morte lo spec­chio può riat­ti­vare l’interruzione del flusso spon­ta­neo della vita che si oppone allo sgo­mento. Scri­vendo sul retro del suo spec­chio Athena lo ha attra­ver­sato meta­fo­ri­ca­mente. Ha guar­dato la vita dal lato del sogno.

Bellissimo, vero e commovente (fe.d.)

mercoledì 4 giugno 2014

COMUNISMO ZEN

 
Comunista, ma zen
 
Andrea Guermandi
 (Forlì)
 
 

In quattro parole racconta il suo presente, ripescando la fotografia istantanea di un suo caro amico antico, giovane come un ragazzo che sente la primavera.
Comunista ma zen. E lo dice con una sorta di orgoglio, frutto di un lungo percorso verso una serenità “politica”, partito dalla ribellione e dal radicalismo naif che appartiene a tutti quelli che hanno un sogno rivoluzionario.
L’antico amico è Tonino Guerra che, al traguardo dei novant’anni e di tanti ancora da mettere a frutto, se ne è uscito con il suo “Sono un comunista zen” alla vigilia del conferimento del titolo di “tutore” del paesaggio e della bellezza. Un riconoscimento per la sua propensione a dare suggerimenti ai fini del bene comune, una vera rarità in questo medioevo umanoide.
Un suono prima che un’idea che gli è piaciuta moltissimo per raccontarsi, una specie di “pin” da applicare sulla propria giacca. Come a dire: “Mi sento come Tonino e come lui sono consapevole e felice di essere arrivato a questa visione dell’altro mondo”.
Certo, in questo, di mondo, non ci sarebbe tanto spazio per la ricerca, per la stupefazione, per l’attitudine fanciullesca di considerare una esistenza, anche la propria, per quello che è: un’occasione. Un’occasione per ascoltare, prima di tutto chi non la pensa come te, cercando di convincere senza strumentalità e offrendo punti di possibile incontro. Senza volgarità.
Un’occasione per meravigliarsi dell’altrui intelligenza. Un’occasione per mettersi a disposizione di un pensiero lungo che possa porre le basi per una famiglia, un quartiere, un paese ed un intorno migliori, costruendo giorno per giorno mattoni di tolleranza, inclusione, apertura ad altre storie.
Comunismo zen, appunto. Che significa rispettare le regole di base e le grandi aspirazioni, garantendo l’accesso al sapere e il bene comune, sostenendo chi ha poco o niente, praticando le desuete aspirazioni alla libertà ed alla laicità. Aggiungendo ad esse quel colore così caldo che ha l’utopia.
Il comunismo zen si costruisce giorno per giorno. In casa, nei luoghi di lavoro, alle riunioni, col senso civico, con l’amore per i propri simili, con le idee. Senza aver troppa fretta di vedere i risultati. Utòpia ha tempi lunghi, gambe un po’ traballanti come quelle dei vecchi che, però, non rinunciano ad uscire di casa a sfolgorar saggezza.
Il comunismo zen si costruisce soprattutto con i pensieri, mutuando i vissuti speciali, la storia, la propria provenienza specifica, la tradizione individuale, il contesto personale. Ammorbidendo la rabbia, quando si riesce. Analizzando le critiche. Ripercorrendo gli errori, rimodulando gli obiettivi e cercando quell’isola che c’è e che si è solamente spostata un po’ più in là, verso Occidente.
Ed è l’esatto opposto della rassegnazione. Della stagnazione e dell’assuefazione.
Anch’io vorrei godere di questo status invidiabile che genera saggezza e prepara la dialettica.
E che è sempre speranza, nonostante la forza del buio.

http://www.andreaguermandi.com/news/comunista-ma-zen/