Subaltern studies Italia

L’analisi e la classe - a cura di Ferdinando Dubla

Powered By Blogger

martedì 26 marzo 2024

PER UNA CRITICA DELLA TEORIA CRITICA - Wendy Brown ed Agnes Heller

 


Critica-critica alla teoria critica: Brown (1) Heller (2)

La cosiddetta “critica-critica”  che Marx ed Engels, con molta punta di ironia, mossero a Bruno Bauer e agli intellettuali politici (o che avevano influenza politica) della sinistra hegeliana (premessa di un’altra forte critica, quella a Feuerbach) nell’opera scritta nel 1844 titolata appunto ironicamente “La Sacra famiglia”, pone anche a noi il compito, sulla loro scia, di fare i conti con le teorie critiche del tempo nostro. Teorie critiche di che? Delle conseguenze del sistema capitalistico occidentale e della catena imperialistica. Vanno quindi riguardate con rispetto e confrontate con serietà, per diversi motivi, tra i quali 1. sono più lette e hanno più influenza di quelle non debitrici (come loro) ma espicitamente marxiste; 2. costringono a fare i conti con le modalità nuove con cui si presenta l’assetto sociale e le modalità concrete e specifiche e che mettono a prova effettuale i princìpi e i criteri del marxismo storico, i suoi strumenti ermeneutici, la sua teoretica e prassi politica.

Ecco perchè è interessante, ad es., confrontarsi con Wendy Brown e la Heller degli anni ‘70, per i meriti delle loro analisi (in sede critica del sistema) e i limiti dell’illusione democraticistica liberal-radical, il ‘soggettivismo’ che le sottende; sempre in senso costruttivo, però, per l’utopia concreta, per una progettazione democratica integrale collettiva. Perchè anche il marxismo, o è creativo o non è. Ha fatto più danni il dogmatismo integralista o la teoria critica democratica? Ritorniamo allo spirito della ‘critica-critica’ marx-engelsiana, dunque, sebbene con le cautele interpretative suggerite da Greg Godels, cfr. “Due marxismi? (o delle “sacre famiglie” degli intellettuali)”.  fe.d.

 

http://ferdinandodubla.blogspot.com/2019/06/due-marxismi-o-delle-sacre-famiglie.html


- WENDY BROWN: il KRATOS si rende autonomo dal DEMOS 




La Wendy Brown, scrittrice prolifica sempre generosa di opere anche nella forma del pamphlet ha scritto: “è l’ordine del mercato a determinare il regime politico più funzionale alla sua logica, che sia o meno democratico. (..) il neoliberalismo è arrivato a disfarsi della democrazia liberale pur di conservare la sua egemonia, ma agisce ancora più profondamente: il suo krátos porta a disfacimento lo stesso démos.“, in “Il disfacimento del démos - la rivoluzione silenziosa del neoliberismo”, ed.or.2015 - Luiss, e.book 2023. [nb.: Un sottotitolo proprio sbagliato: quella del neoliberismo non è una rivoluzione, è una “controrivoluzione preventiva” dei potentati economici oligarchici e delle loro espressioni politiche; e poi non è affatto silenziosa, per chi la vuol sentire].

- La filosofa statunitense di ‘Occupy Wall Street’ sembra credere a un presupposto, a nostro modo errato, e cioè che possa esistere una democrazia liberale “pura”, in cui principi sbandierati e pratica politica coincidano. Sbagliato. La sua riflessione, pur essendo debitrice del marxismo, a volte dichiarato a volte no, trova il suo limite in se stessa: perchè democrazia e capitalismo sono incompatibili, inconciliabili. Quale democrazia, poi: quella della Comune di Parigi e dell’attuale confederalismo democratico nel Kurdistan è la sperimentazione di una democrazia sostanziale, in cui la sovranità è autodeterminazione popolare; la democrazia formale borghese invece può avere il “peso” di diritti civili i più ampi cancellando le tutele sociali del Welfare di tradizione socialdemocratica, svuotando dunque le prerogative costituzionali.

Dario Gentili nella prefazione ha scritto: “Nonostante dopo <Walled States> – come Brown stessa dichiara – fosse impegnata a scrivere un libro su Marx, l’emergere nelle forme della democrazia di alterazioni che ne rivelano lo stato d’emergenza l’ha condotta ad approfondire in modo dettagliato il neoliberalismo e la sua razionalità peculiare”. Auspichiamo che la filosofa dell'Università di Berkeley riprenda il suo lavoro direttamente sui testi del rivoluzionario di Treviri e possa contribuire ad una feconda intersezione con l’altra sua passione di studio, Michel Foucault. Infatti possiamo grandemente convenire con lo stesso Gentili quando mette in evidenza che “le politiche securitarie e identitarie non rappresentano una reazione alla globalizzazione neoliberale dei mercati e all’incertezza e alla precarietà che il mercato produce, sono piuttosto complementari e addirittura funzionali all’ordine neoliberale.”

È necessaria quindi non un’ennesima generica “teoria critica” ma una critica rivoluzionaria alla teoria, al modo dei giovani Marx ed Engels de “La sacra famiglia” (1944) e della ‘critica-critica’ a Bruno Bauer e la sinistra hegeliana.

[le notazioni dal testo sono dall’e.book cit.]

SOGGETTIVISMO E TEORIE DEI BISOGNI



Il concetto di benessere collettivo non è la somma del soddisfacimento dei bisogni individuali (quali poi? quelli considerati primari, quelli solo definiti secondari, la misura di entrambi, quelli indotti dal capitalismo? cfr. Agnes Heller, La teoria dei bisogni in Marx, Feltrinelli, 1974) + ma è il contesto di sistema entro il quale si maturano e sviluppano le inclinazioni e vocazioni naturali degli esseri umani ‘onnilaterali’ liberati, innanzitutto dall’alienazione a cui conduce il capitale. Fuori da questo, una concezione filosofica, pur originata dalla lettura di Marx, cade inevitabilmente nel soggettivismo, cioè, in questo caso, la centralità del soggetto individuale e non del soggetto collettivo.

 - Il sé si costituisce individualmente in quanto auto-valorizzazione e non più in quanto appartenente a un démos; le stesse istituzioni tradizionalmente rivolte al démos come la formazione, l’istruzione, l’amministrazione della giustizia – che Brown analizza a partire dalla realtà degli Stati Uniti ma che trovano puntuali conferme anche in Italia e altrove – rispondono ormai alla logica del mercato, che le configura in quanto ambienti per estrarre valore dall’investimento che ognuno e ognuna fa sul proprio capitale umano. (Dario Gentili, prefazione a  Wendy Brown 2023, cit.)

“il neoliberismo trasforma ogni ambito e sforzo umano, e gli esseri umani stessi, secondo un’immagine specifica di quello economico. Ogni condotta è una condotta economica; (..) l’homo oeconomicus di oggi è un pezzo di capitale umano profondamente costruito e governato, incaricato di migliorare e influenzare il proprio posizionamento competitivo aumentando il valore di portafoglio (monetario e non) in tutte le sue imprese e sedi.

(W.Brown, cit. da e.book, § corrispondenti)

+ Nota - Agnes Heller in Italia 

I “bisogni radicali”, che sono il centro dell’intero discorso critico con cui Heller interpreta Marx, sono anche la chiave che ci serve per comprendere la condizione che stiamo tuttora vivendo. (..) la soggettività è ridotta ogni giorno di più alla dimensione del consumatore (P.A.Rovatti, e.book, cit. § 63/500) con implicito riferimento alla “società liquida” di Zygmunt Bauman


(cfr.  OMOLOGAZIONE E ALIENAZIONE, http://ferdinandodubla.blogspot.com/2017/03/omologazione-e-alienazione.html

 

 + Pier Aldo Rovatti, studioso della Heller e prefatore delle varie edizioni negli anni della sua opera (1974, 1977, 2021)

 + Enzo Paci ospita negli stessi anni nella sua rivista Aut Aut i contributi della Heller, “il tema dei bisogni era già da tempo all’ordine del giorno nell’ambito di quell’incontro tra fenomenologia e marxismo che Paci aveva proposto all’inizio degli anni Sessanta e poi fatto crescere con libri, saggi e seminari (nel contesto del suo insegnamento di Filosofia teoretica all’Università Statale di Milano)”, P.A.Rovatti, cit. L’Aut Aut della rivista fondata da Paci nel 1951 in questo caso dall’opera di Kierkegaard che origina la teoresi storica dell’ esistenzialismo, diventa l’aut aut helleriano (superato) tra bisogni e desideri. + Le categorie utilizzate dalla filosofa per definire il concetto di bisogno sono ben sintetizzate al centro dell’articolo La teoria, la prassi e i bisogni umani pubblicato dalla rivista nel nr.135 del 1973.




“Seguendo l’impostazione di Marx, Heller inserisce un tipo particolare di bisogno qualitativo, chiamato bisogno radicale, che sorge nel contesto della società capitalistica ma, impossibilitato a esprimersi pienamente in tale tipo di società, punta al superamento della stessa [Heller A., op. cit., pp. 63; 81-104]. La Heller si allontana tuttavia da Marx: d’accordo con lui che i bisogni radicali siano prodotti dall’estraneazione del capitalismo stesso, ritiene tuttavia che con il sorgere della consapevolezza di tali bisogni irrompa nella storia l’elemento indeterminabile per eccellenza, la soggettività, la cui capacità di scegliere fra alternative esistenziali costituisce una condizione di imprescindibile libertà, più forte di qualunque necessità storicistica”, cfr. Michele Bortolini, “Agnes Heller e la teoria dei bisogni umani”, 

in Academia edu https://www.academia.edu/40607124/AGNES_HELLER_E_LA_TEORIA_DEI_BISOGNI_UMANI

 

Capitolo primo

Osservazioni preliminari: il concetto marxiano di bisogno

Riassumendo le proprie scoperte economiche, rispetto all’economia politica classica, Marx elenca i seguenti punti:

 1. Elaborazione della teoria secondo la quale il lavoratore vende al capitalista non il suo lavoro, ma la sua forza-lavoro.                       

 2. 2. Elaborazione della categoria generale del plusvalore e sua dimostrazione (profitto, salario e rendita fondiaria sono soltanto forme fenomeniche del plusvalore).

 3. 3. Scoperta del significato del valore d’uso (Marx scrive che le categorie valore e valore di scambio non sono nuove, ma sono riprese dall’economia politica classica). Se si analizzano le tre scoperte che Marx si attribuisce, non è difficile dimostrare che in qualche modo sono costruite tutte sul concetto di bisogno. [..]

anche la produzione di plusvalore soddisfa un bisogno (il “bisogno” di valorizzazione del capitale). Con i bisogni però Marx definisce anche la possibilità di produzione del plusvalore.

Attraverso l’intera opera di Marx riaffiora costantemente il pensiero che la possibilità di produrre plusvalore si realizza quando una determinata società è capace di produrre più di quanto basta per la soddisfazione dei suoi “bisogni vitali”. Marx non afferma certamente che la produzione di plusvalore avvenga in ogni caso del genere, ma solo che non è possibile senza questo surplus.

Agnes Heller, La teoria dei bisogni in Marx, con prefazione di Pier Aldo Rovatti, Mimesis, 2023, e-book,  § corrispondenti

#ferdinandodubla 

pregi e limiti #teoriacritica 

martedì 12 marzo 2024

LO “SPIRITO DI SCISSIONE” IN GRAMSCI E I SUBALTERNI

 



“il progressivo acquisto della coscienza della propria personalità storica”

- non è il frainteso “scissionismo”, ma l’autonomia del soggetto rivoluzionario, è l’indipendenza di classe, politicamente pone la questione del partito dei subalterni e le alleanze all’interno dell’esercizio egemonico tra le stesse forze che si richiamano alla centralità della lotta delle classi e più complessivamente del sistema entro il quale quella lotta si costruisce. / #subalternstudiesitalia #AntonioGramsci #spiritodiscissione #autonomiadiclasse

 

“Cosa si può contrapporre, da parte di una classe innovatrice, a questo complesso formidabile di trincee e fortificazioni della classe dominante?

Lo spirito di scissione, cioè il progressivo acquisto della coscienza della propria personalità storica, spirito di scissione che deve tendere ad allargarsi dalla classe protagonista alle classi alleate potenziali: tutto ciò domanda un complesso lavoro ideologico, la prima condizione del quale è l’esatta conoscenza del campo da svuotare del suo elemento di massa umana.

Quaderno 3 (XX) 1930: (miscellanea) § 49. Argomenti di cultura. Materiale ideologico.

- anche la storia dei partiti dei gruppi subalterni è molto complessa, in quanto deve includere tutte le ripercussioni delle attività di partito, per tutta l’area dei gruppi subalterni nel loro complesso, e sugli atteggiamenti dei gruppi dominanti e deve includere le ripercussioni delle attività ben più efficaci, perché sorrette dallo Stato, dei gruppi dominanti su quelli subalterni e sui loro partiti. Tra i gruppi subalterni uno eserciterà o tenderà ad esercitare una certa egemonia attraverso un partito e ciò occorre fissare studiando gli sviluppi anche di tutti gli altri partiti subalterni che subiscono tale egemonia.

Quaderno 25 (XXIII) § (5)



segui la nostra pagina FB: Subaltern studies Italia

 





lunedì 11 marzo 2024

SAVASTA E IL GIUDICE - GLI INTERROGATORI - IL COLLETTIVO (7.1)

 



Teche RAI - Savasta condotto in udienza - aprile 1982


  • Il bagaglio
  • Proiettando verso le masse, in termini di coscienza
  • DIALETTIZZARSI


 -Senato della Repubblica - Camera dei deputati VIII legislatura - Commissione parlamentare d’inchiesta sulla strage di via Fani sul sequestro e l’assassinio di Aldo Moro e sul terrorismo in Italia - Atti giudiziari - Interrogatori resi da Antonio Savasta a varie autorità giudiziarie, Roma, 1993-

Interrogatorio del 29 aprile 1982-

Sintesi pp. 55-57 


 Il bagaglio

PRESIDENTE. (P.): qual era il suo bagaglio culturale? Come si arricchì? se si arricchì..

SAVASTA. (S.): Approfondendo meglio il punto più importante, anche per il tipo di bagaglio culturale e politico che avevo alle spalle…

(P.): Qual era questo bagaglio ?

(S.): Quello di una grande esperienza collettiva, in cui la discussione (per esempio, anche all’interno delle scuole) avveniva tramite un processo di crescita collettiva. I problemi che si analizzavano non erano semplicemente quelli scolastici. Ad esempio, dibattito intenso vi fu sull’internazionalismo, sullo strapotere dei blocchi imperialisti, l’analisi dell’Italia come anello subordinato di questi blocchi. La cultura si arricchiva progressivamente al dibattito politico collettivo, anche attraverso studi, libri, i classici del marxismo e del leninismo. 

(P.) Che cosa ha letto?

(S.) Un pò tutti, Lenin, Mao, Marx.

(P.) Li aveva letti tutti?

(S.) Tutti no, però abbastanza. È un tipo di studio che si rinverdisce presto, proprio perchè lì si trovano spunti, momenti di riflessione politica che offrono un quadro generale per le verifiche particolari delle situazioni reali.

(P.) Qual era il suo livello culturale?

(S.) Sto cercando di spiegarlo, ma partiamo da due parametri completamente diversi. Il mio livello culturale, come s’intende ‘normalmente’, è il livello culturale di persone che studiano. Una persona oggettivamente si pone degli obiettivi all’interno dello studio e li persegue (laurea o altro). Questi parametri non valgono per la costruzione di coscienza o di strumenti teorici; per quanto riguarda il movimento, è impossibile un tipo di studio del genere: sarebbe uno studio completamente avulso dalla realtà. È invece il costante arricchimento del dibattito collettivo che fa sì che quello studio diventi strumento reale per la crescita di coscienza politica.

(P.) Lasci stare le parole. Andiamo al sodo. Abbiamo anche noi i nostri studi alle spalle. Saranno più modesti dei suoi, ma qualcosa l’abbiamo letta. Quello che desidero sapere è terra-terra: si era accostato a determinati testi, li aveva approfonditi? Non voglio sapere i giudizi che Lei diede di questi testi, ma di cosa si era alimentata la sua cultura. 


 (7.2) Sintesi pp. 57-59


Proiettando verso le masse, in termini di coscienza

 

(S.) Ho fatto semplicemente studi per il diploma (liceo classico, ndr). Il tipo di cultura è quello alimentato dalla scuola.

 

(P.) Aveva dunque una cultura liceale. Poi, se ho ben capito, ha detto che la sua cultura (non nel senso di padronanza del mondo) si arricchiva, sul terreno pratico, attraverso gli incontri con altre persone, attraverso le esperienze che venivano maturando. Quando ha avuto la discussione politica con Morucci, su che cosa verteva?

 

(S.) Verteva sull’analisi dello Stato, dell’economia, del partito, del movimento, elementi costitutivi di un’analisi politica: ogni partito la fa, le BR la fanno in una certa maniera.

 

(P.) E in quale maniera?

 

(S.) Partendo dall’analisi della crisi: da che cosa è determinata, quali sono gli strumenti con cui il capitale tenta di risolvere una crisi irreversibile; il problema dello Stato imperialista delle multinazionali (il fatto che l’Italia fosse all’interno di una catena imperialista, imperialista essa stessa perchè, nel modo di produzione del capitalismo italiano era la scelta delle multinazionali imperialiste, ossia la sottomissione di altre forze-lavoro o di altri popoli alla costruzione di un capitale nazionale). Da questa analisi deriva l’analisi dei partiti che si legano più o meno a questa linea economica: cioè la struttura (quella economica) e la sovrastruttura (quella politica). Dopo, c’è l’analisi della risposta proletaria (l’antagonismo) a questa scelta economica e politica: perciò, l’analisi delle lotte dal ‘68 in poi hanno contribuito a creare questo antagonismo; la scelta della lotta armata, come l’organizzazione delle Brigate Rosse si ponesse come nucleo per la costruzione del partito, ma avendo già al proprio interno, e proiettando verso le masse, un’azione di partito.

 

(P.) Vediamo che cos’era questa costruzione del partito in questo programma.

 

(S.) Costruzione del partito significa avere come obiettivo non semplicemente un’organizzazione che vive su se stessa, ma un’organizzazione che si propone programmi politici per aggregare interi settori di classe e dirigere in questo processo la classe stessa.

 

(P.) Ma rispetto alle BR, che cos’era questo partito, in termini concreti, strutturali, istituzionali?

 

(S.) In termini concreti è la costruzione del quadro professionale, prima di tutto. Tutta la sua struttura poggia sulle spalle del famoso guerrigliero di professione, che ormai ha lasciato qualsiasi vincolo con la società esterna e sceglie di professione il lavoro dentro l’organizzazione; costruisce, in termini di coscienza e di preparazione politica, se stesso.

 

(P.) Non è questo che le chiedo, non la proiezione individuale dell’immagine di partito, non le condizioni di vita del cosiddetto guerrigliero, ma molto più semplicemente e in concreto che significava questa costruzione di questo partito.

 

(S.) Significava lanciare dei programmi politici e strutturarsi in maniera tale - all’interno dell’organizzazione - con quel tipo di struttura, con quello strumento, costruendo programmi politici come qualsiasi partito (programmi politici la cui finalità è il comunismo); attraverso programmi in termini politici (nei volantini e nelle ‘campagne’), per costruire una parte di questo partito, ma, come fine ultimo, il comunismo. 




Sintesi pp. 59- 61

 

DIALETTIZZARSI

 

Presidente (P.) Abbiamo questa organizzazione, le BR, che non ci interessa ora definire in termini giuridici. Cosa abbiamo poi per costruire questo partito?

 

Savasta (S.) Assolutamente niente altro.

 

(P.) Si parla sempre di “costruire il partito”, “il partito è già costruito”, “il partito è già nato”. Ci spieghi qual è la linea di demarcazione tra l’organizzazione BR e il partito.

 

(S.) Non c’è una linea di demarcazione. Meglio di me è spiegato nei documenti dell’organizzazione, nella ‘risoluzione strategica nr.2’. Le BR sono nate come nucleo centrale per la costruzione del partito. Il fatto che oggi si parli nei volantini di Partito-Guerriglia, Partito Comunista Combattente e così via, è dovuto non a differenze nella struttura interna nè ad uno stravolgimento dei programmi politici, ma ad un’analisi diversa dell’attuale situazione. Nella prima fase, fino a Moro, l’organizzazione BR si chiamava “organizzazione comunista combattente” perchè aveva come obiettivo, all’interno di quella congiuntura politica, in quello spazio politico di tempo (dalla costituzione fino a Moro) il semplice compito di propaganda della lotta armata, far sapere che era possibile ribellarsi a questo sistema anche se dentro il sistema imperialista, seppur all’interno dello schieramento strategico. Quell’organizzazione aveva il compito di aggregare intorno a sè soltanto delle avanguardie, cioè gente disposta ad entrare nelle BR per costruire, come tappa intermedia, il partito. Perciò era ancora un obiettivo da raggiungere, che non è all’interno dell’organizzazione, ma nel rapporto tra organizzazione e masse. Si è cominciato a parlare, nell’organizzazione, e dopo Moro, e soprattutto dopo la campagna D’Urso, del rapporto tra organizzazione e organismi di massa rivoluzionari (cioè del rapporto tra partito e strutture d’avanguardia organizzate clandestinamente in dialettica con il programma rivoluzionario).

 

(P.) Che cos’erano queste strutture di avanguardia organizzate?

 

(S.) Sono quelle che, durante il periodo Moro, ebbero come prima denominazione quella di M.P.R.O. (“Movimento Proletario di Resistenza Offensiva”). Per esso, tuttavia, allora vi era ancora un’ambiguità: in termini politici (e questo è stato anche frutto di discussione interna all’organizzazione) M.P.R.O. è l’insieme dei comportamenti antagonisti della classe, che va dal sabotaggio all’interno della fabbrica allo sciopero a “gatto selvaggio”, ai cortei nelle piazze, agli scontri, all’occupazione delle case: quelli che in realtà, ordinamento alla mano, sono fuorilegge, ma imposti dai rapporti di forza all’interno del Paese, tra Stato e movimenti di classe. Questa terminologia politica indicava l’insieme di tutte queste cose, più i primi nuclei d’avanguardia, cioè compagni che, non entrando nelle BR, portavano all’interno dello scontro di classe l’iniziativa armata, dialettizzandosi soprattutto con alcuni punti dei programmi, lanciati dalle organizzazioni comuniste combattenti.

 

(P.) Che vuol dire “dialettizzarsi”? Dal punto di vista filosofico, il termine ha un certo significato. Lei ne ha fatto un certo abuso.

 

(S.) Durante la campagna Moro vi è stata tutta una serie di attentati contro la democrazia cristiana (sedi, macchine, personaggi) e contro macchine di agenti di polizia e carabinieri: moltissimi attentati in tutta Italia. Le BR non avevano rapporto organizzativo con i singoli nuclei che portavano avanti queste iniziative, ma erano riuscite a piegare, attraverso l’iniziativa stessa della campagna di primavera, e a indirizzare politicamente questi nuclei.

 

Senato della Repubblica - Camera dei deputati VIII legislatura - Commissione parlamentare d’inchiesta sulla strage di via Fani sul sequestro e l’assassinio di Aldo Moro e sul terrorismo in Italia - Atti giudiziari - Interrogatori resi da Antonio Savasta a varie autorità giudiziarie, Roma, 1993

Interrogatorio del 29 aprile 1982

[(7.1) continua]

trascrizione e titoli: Ferdinando Dubla, #irriducibilepentito capitolo 7 paragrafo 1









mercoledì 6 marzo 2024

IL MAGAZZINO DI GRAMSCI E TASCA

 



“Cultura non è possedere un magazzino ben fornito di notizie, ma è la capacità che la nostra mente ha di comprendere la vita, il posto che vi teniamo, i nostri rapporti con gli altri uomini.”

Vedo citata spesse volte questa frase, contro il nozionismo e la falsa erudizione e la sua attribuzione a Gramsci. Secondo lo studioso David Bidussa, l’articolo da cui è tratta, non firmato, sull’Ordine Nuovo nr. 8 del 1919, sotto il titolo ”Cultura e socialismo”,  è attribuibile ad Angelo Tasca, cfr. NON È UN'UTOPIA – LE RIVISTE DEL NOVECENTO COME LABORATORIO DI FUTURO. “L'ORDINE NUOVO” (1919-1920), Fondazione G.G.Feltrinelli, 2019, p.1., in rete



https://fondazionefeltrinelli.it/app/uploads/2019/04/Non-e-un-utopia-David-Bidussa.pdf

da alcune note biografiche e lo  stile.

Evidentemente, se così fosse, la frase, e tutto l’articolo, a Gramsci piaceva, come piace a noi, i suoi dissapori con Tasca sono successivi e comunque non gli facevano velo. Se andate però su Google e digitate la frase, vi esce solo Gramsci. Compresa la Treccani, che, come la maggior parte, indica clamorosamente i “Quaderni dal carcere” (senza altra specificazione). Un copia e incolla collettivo senza controllare le fonti, che indicano un’attribuzione, poichè senza firma, quantomeno incerta. La rete, infatti, sarà pure un magazzino fornito, ma non è la capacità che la nostra mente ha di comprendere.

- Se volete leggere l’articolo completo (bellissimo e attuale) andate qui



https://archive.org/details/OrdineNuovoP1/page/n53/mode/2up

“Ha cultura chi acquista coscienza di sè e del tutto, chi sente la relazione immanente con tutti gli altri esseri, ciò che da essi lo diversifica e ciò che ad essi lo unisce. Cultura è una stessa cosa che filosofia.

Ciascuno di noi è un poco filosofo: lo è tanto più, quanto più è uomo. Cultura, filosofia, umanità sono termini che si riducono l'uno all'altro. Nel linguaggio comune si suol dire che un tale è un “uomo” quando ha un “carattere”, quando cerca di rendersi conto di quel  che fa, riflette sui motivi delle proprie azioni, osserva attorno a sè, confronta, medita e sceglie il proprio cammino, e lo continua finché non sorgono ragioni serie per mutarlo. Cosicché essere “colto” essere “filosofo”, lo può chiunque lo voglia. (..)

Quando la coscienza di classe non è frase da comizio, non è solo nel pagamento della tessera e delle quote, ma diventa vera “coscienza”, cioè dei rapporti per cui la vita di ognuno s'inserisce per l'organismo vivente della classe nella storia del mondo, in cui opera e che va trasformando, essa è veramente la più grande opera di cultura che la storia ricordi.”

- Continuiamo a credere che l’editoriale sia di Antonio Gramsci, ma bisogna citarlo correttamente:

edit. “Cultura e socialismo”, Ordine Nuovo,  28 giugno - 5  luglio 1919, anno I, nr.8 - segr. di redazione Antonio Gramsci


(a cura di Ferdinando Dubla)


sabato 2 marzo 2024

SAVASTA OGGI, ma ERA IERI

 



L'articolo che il periodico OGGI  dedicò ad Antonio Savasta nel numero del 24 marzo 1982, anno XXXVIII, Nr.12

Al netto di quello che oggi viene definito 'gossip', al limite del pettegolezzo de relato, delle imprecisioni e inesattezze che abbiamo sottolineato in nota, questo articolo che il settimanale OGGI dedicò ad Antonio Savasta, dopo la sua cattura del 28 gennaio 1982 ad opera dei NOCS che riuscirono a liberare il sequestrato generale della NATO in Italia James Lee Dozier, le torture inflittegli e il pentimento, dimostra il livello di notorietà che aveva raggiunto il brigatista romano divenuto il 'capo' della colonna veneta delle BR. In effetti, le sue rivelazioni coincisero, di fatto, con la fine dell'esperienza storica dell'insorgenza politico-militare organizzata, che era nata e si era sviluppata per tutti gli anni '70 del Novecento in Italia. La sua personalità, prima di irriducibile militante della direzione di colonna romana con Morucci e Faranda, poi, in seguito alla fuoriuscita di questi agli inizi del 1979 per i dissidi dopo il sequestro e l'assassinio di Aldo Moro, dell'area 'ortodossa' di Mario Moretti e Barbara Balzerani che aveva dato vita alle BR-per il PCC (Partito Comunista Combattente); poi pentito 'eccellente' tra torture, ripensamenti e confessioni, è da analizzare attentamente non attraverso la sola lente della ‘verità giudiziaria', ma per un articolato giudizio documentale più ampio e di carattere storico-politico.  / Ferdinando Dubla, Subaltern studies Italia - #inchiestasociale #alidipiomboinoccidente #AntonioSavasta #irriducibilepentito

titolo: Diventò un killer feroce per non morire d'amore

autore: Fabio Galiani

L'ultimo domicilio conosciuto di Antonio Savasta, quando lo chiamavano "Toto" e per tutti era "l'angelo delle borgate", è (omissis) nel quartiere Prenestino, a Roma. Lì sono andato a trovare, prima tappa del "viaggio attraverso chi lo conosceva bene", sua mamma e suo papà. E' stato un incontro drammatico, molto breve ma struggente per le lacrime irrefrenabili di mamma Savasta. Lo si poteva ben immaginare. Il suo ragazzo, che ora è il grande pentito, è stato il più spietato assassino delle Brigate Rosse.

"Come può chiedermi di parlare, cosa crede che possa sapere io?", mi dice, con la voce che trema, la signora Savasta. Minuta, popolana, casalinga, i suoi occhi sono diventati subito umidi al solo nome del figlio. Ma poi continua: "Lo vede come stiamo? Mio marito è appena uscito dal quarto infarto. Noi stiamo morendo, ecco, stiamo morendo per disperazione".

Il marito, Pasquale Savasta, ex maresciallo di polizia ora in pensione, è un passo dietro di lei, nel corridoio, in piedi, silenzioso, immobile, come di marmo. Sto ancora pensando se, cosa e come chiedere, quando lei riprende a parlare. Le sue guance sono già bagnate di lacrime. La voce le si spezza in brevi singhiozzi.

"Non posso credere, non posso capire", mi dice. "Non riesco a pensare a mio figlio se non come al bravo ragazzo che era. Perchè era bravo, era bravissimo. Quante volte ci siamo detti che era la nostra consolazione. Lei può andare, può chiedere, può fare quello che vuole. Qui non sentirà nessuno parlare male di mio figlio. Lui era uno che si dava da fare, che aiutava tutti ed era rispettoso. Finchè è stato con noi è stato un figlio modello. Anche se sapevamo che non era delle stesse idee di mio marito, però, ha sempre portato molto rispetto a suo padre. Poi che cosa è successo? Che cosa è successo quando è andato via? Mi sembra impossibile di non aver capito che stava cambiando. Io lo conoscevo, lui mi parlava, gli volevo bene. Ma perchè, perchè?".

E poi, piangendo forte, la signora Savasta mi allontana. Le ultime parole che sento, mentre chiude la porta, sono: "Basta, basta, noi stiamo morendo".

Forse questa non è una testimonianza attendibile su Antonio Savasta. Ma nello sfogo pieno di disperazione della madre si coglie già la duplicità che caratterizza la sua personalità. Antonio Savasta è sempre stato buonissimo quando era con i buoni e cattivissimo quando era con i cattivi. era il più duro dei brigatisti, ora è il più morbido dei pentiti. La voglia di essere sempre il primo è forse il lato più saliente di questo personaggio: insieme però all'incertezza che ha costantemente caratterizzato i suoi continui cambiamenti nelle scelte di vita. Tutti repentini e inaspettati, fino all'ultimo, clamoroso, che in 90 secondi lo ha trasformato da "giustiere" del generale Dozier a "giustiziere" delle Brigate Rosse.

Nelle pagine di questo stesso servizio diamo, a parte, l'elenco delle confessioni di Antonio Savasta. Non è dunque necessario che ve le ricordi qui. Riprendiamo subito il nostro "viaggio attraverso chi lo conosceva bene".

Siamo ancora al Prenestino, sotto casa sua. Parla il meccanico che ha l'officina nella porta accanto:"Io non lo vedo più da tanti anni, ma quello che mi ricordo è che era bravo. Mica per modo di dire, sa, è che era proprio un ragazzo di cuore. Mi ricordo che qui tutti lo cercavano perchè lui, che faceva il liceo e era bravo, dava ripetizioni gratis ai ragazzini. Dove lo trovi uno così? Poi, mi pare nel '72 o '73, insomma quando c'è stata l'occupazione delle case alla borgata San Basilio, lui era sempre laggiù che radunava i ragazzini e li badava e li faceva scuola. Sempre gatis, naturale. Tanto che noi, un pò per scherzo ma pure sul serio, lo chiamavamo "l'angelo delle borgate". Era uno così, lui, quand'era ragazzo".



su questo blog,


"UN TIPO SVEGLIO"

A quell'epoca, Antonio Savasta, "Toto" per gli amici, stava finendo il liceo. Aveva 17 anni. Ma "l'angelo delle borgate" aveva già una doppia vita e, alle spalle, già due svolte decisive.

Racconta un suo compagno, vicino di casa, che lo frequentava spesso anche perchè, d'abitudine, lo accompagnava in giro con il proprio motorino: "Io me lo ricordo cattolico, nel '70. Era nel gruppo del 'raggio' ed era un militante deciso. A scuola andava bene, però era sempre in prima fila quando c'era da fare contestazione. Noi lo consideravamo molto sveglio ed è sempre stato uno che aveva carisma. Le sue idee di cattolico le portava avanti fino in fondo. Si dichiarava massimalista, sempre. Poi, un bel giorno, all'improvviso, con i cattolici ha smesso. Siccome suonava la chitarra, aveva deciso che la sua vita era la musica. Ha piantato la politica e gli amici ed è diventato un freakettone. S'è messo a frequentare gli ambienti freak di piazza Navona e di Campo de' Fiori. Mi pare che suonava pure in un complessino. Praticamente io l'ho perso di vista per quasi un anno, anche se lo vedevo sempre lo stesso, perchè abitavamo vicini. Poi è tornato, ma s'è messo a frequentare il comitato comunista Centocelle e, a scuola, faceva le battaglie estremiste, Per me, era già mezzo autonomo".

A Campo de' Fiori non ho trovato nessuno che lo ricordasse. A piazza Navona, invece, c'è ancora una ragazza che è lì da quei tempi. Dice: "A me  non mi mettete in mezzo ma sono sicura di aver spinellato tante volte con lui. Sono sicura che era proprio questo Savasta qui. Per me, era strano. Fumava la roba ma chissà che effetto gli faceva. Io lo vedevo perchè lui litgava coi suoi compagni. Aveva delle idee strane. Voleva fare il capo, voleva cambiare le cose a modo suo, ma era diverso, diverso di mentalità, per forza che litigava. Io l'avevo capito che non era uno adatto. Per me, era un mezzo borghese, sai, uno di quelli che ci provano, ma poi a una certa ora, c'è la famiglia e allora basta".

"UN MEGALOMANE"

Al comitato Centocelle, Antonio Savasta incontra Emilia Libéra. E' la svolta sentimentale della sua vita. Forse di più, secondo alcuni. Emilia, detta Milly, è la ragazza di Bruno Seghetti, ma presto diventerà la ragazza di Antonio. Forse, per Milly, c'è stato uno screzio tra i due giovani. Ma subito appianato. Tutti e tre militano nelle file di Autonomia. Insieme a Seghetti, Antonio diventa il collaboratore di Valerio Morucci, ma non è ancora un brigatista.



Emilia Libéra e Antonio Savasta  


Sulla sua militanza nell'Autonomia e sui suoi rapporti con Milly ho una testimonianza, raccolta telefonicamente , per interposta persona. Ecco il sunto della telefonata; così come me lo ha fatto l'intermediario: "Lui sostiene che quello che si deve dire, di Savasta, è che si tratta di un megalomane che non ha mai saputo quello che voleva veramente. Faceva l'autonomo per fare il bello con Milly, che è la prima e l'unica ragazza che ha avuto. Seghetti s'era arrabbiato, per la storia di Milly, e l'avrebbe spezzato in due se non gli avesse fatto pena, così mingherlino com'è. Adesso vanno dicendo che era un trascinatore , un leader che magnetizzava la folla nei comizi. Sono balle, montature. Tutto perchè a scuola faceva il leader di quattro ragazzini. Lui dice che lo conosceva bene. Sa che è un gran figlio di buona donna e l'ha dimostrato. E' intelligente, è furbo, a modo suo, ma la statura del vero capo non ce l'ha mai avuta. Uno che si vantava di aver fatto 17 omicidi vuol dire che è un terrorista che va bene per i fumetti. Ci si è trovato dentro per Milly. Dice che quello se la faceva addosso se Milly lo lasciava. Anche se lui il killer lo ha fatto davvero rimane uno con la mentalità dei fumetti. Dice che prima, all'università, faceva il mazziere della sinistra, figurarsi, con quel fisico che aveva. E' che Savasta, secondo lui, fa le cose perchè è complessato. Ha sempre avuto il complesso del padre che gli faceva delle scenate tremende. Aveva il complesso delle donne, che non lo filavano. Aveva sempre il complesso di fare il primo a tutti i costi. Adesso vuol fare il primo tra i pentiti. Ma tutto per mettersi in mostra. lui dice che se lo ricorda bene, nel '77, quando dicono che è entrato nelle Br con Peci e Moretti. All'improvviso s'è messo a vestirsi in giacca e cravatta e a non salutare più nessuno. Lui dice che se uno non vuole destare sospetti si comporta normalmente, come sempre, mica cambia improvvisamente. Ma Savasta no, faveva lo strano, il misterioso, perchè gli amici lo notassero, e si chiedessero : ma che gli è successo?".

E questo è tutto. Nell'agosto del 1979 Antonio Savasta scompare di casa. Emilia Libéra è sempre al suo fianco. Ora si sa che il suo battesimo del fuoco lo aveva avuto nel febbraio del 1978 quando dalle parti di piazza Bologna, a Roma, uccise il magistrato Riccardo Palma. (+) Il resto, fino all'epilogo nel covo-prigione di via Pindemonte a Padova, è nella tragica, allucinante sequenza delle sue confessioni.

nota (+) In realtà non fu Savasta ad uccidere l'allora direttore dell'Ufficio VIII della Direzione Generale degli Istituti di Prevenzione e Pena; egli entrò nella colonna romana delle BR come 'regolare' dopo il sequestro e l'assassinio di Aldo Moro. Come è stato accertato, a compiere materialmente l'attentato era inizialmente previsto l'allora ventunenne brigatista Raimondo Etro, la cui identità fu celata per molti anni sotto il nome di "Carletto". Fu appurato che in realtà a uccidere Palma fu Prospero Gallinari, sostituitosi a Etro all'ultimo momento. Parteciparono all'attentato anche  Alessio Casimirri e Rita Algranati, cfr. Commissione Parlamentare d’Inchiesta L. 30/05/2014 n. 82 pg. 180 

Anche i 17 presunti omicidi sono "leggenda metropolitana". In realtà, dalle risultanze processuali il Savasta si è reso autore direttamente di due omicidi, quello del colonello Varisco e del dirigente Montedison Taliercio, cfr. Vedi alla voce Antonio Savasta, su questo blog http://ferdinandodubla.blogspot.com/2023/12/vedi-alla-voce-antonio-savasta.html (ndr)

 

e.book libro progress in

Ferdinando Dubla (a cura di), Irriducibile pentito - Savasta e le Brigate Rosse