Subaltern studies Italia

L’analisi e la classe - a cura di Ferdinando Dubla

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lunedì 29 gennaio 2024

FENDO I CIELI E ALL'INFINITO M'ERGO - Giordano Bruno nella terra del 'rimosso'

 



“Fendo i cieli e all’infinito m’ergo”.

Tra le tante date istituite dai poteri costituiti, alcune, come quella della memoria della Shoa, davvero meritorie, contro l’orrore di cui sono stati capaci i nazifascisti e i loro complici, altre un pò meno meritorie, ne manca una importante. Il 17 febbraio. In questa data nel 1600 viene arso al rogo in Campo dei Fiori a Roma Giordano Bruno, condannato alle fiamme, concrete ed anche eterne da quella fabbrica mortuaria che era il Tribunale dell’Inquisizione, santissimo e benedetto, si capisce. Latitante nella sua travagliata vita di irregolare, il Nolano era un filosofo visionario, un cantore in versi dell’infinito, con cui si congiungeva nei plurimi mondi attraverso un furore chiamato ‘eroico’. Il frate domenicano sfratellato  aveva trasformato “l’indiazione” dei mistici tardo antichi e alto medievali (la congiunzione con il dio) con la congiunzione con gli infiniti mondi che nell’universo costituivano paradossalmente il principio e la fine, cioè l’Uno, in una vertigine che la mente umana può solo intuire, non capire. Come in una matematica cosmica, l’Uno e l’infinito alfine coincidono e solo la magica filosofia può cogliere questa unione.

Fra i tanti giorni dedicati a x o y, questo al libero pensiero non è mai stato istituito. Ma lo istituiremo noi, insieme ai liberi pensatori e irregolari di tutto il mondo. In scrittura creativa collettiva è la piéce teatrante di strada “Fendo i cieli e all’infinito m’ergo”, che si conclude con una danza intorno al fuoco come da spirito demartiniano magico (Bruno era considerato anche tale e fu consegnato ai sacri Uffizi della Chiesa da un infame delatore deluso dai suoi poteri magici), una tarantinata altosalentina di furore eroico, che ricorda un ‘sabba’(o akelarre in basco) cioè un convegno di streghe in presenza del demonio (un capro espiatorio già fauno nei boschi, una trasformazione del dio Pan) che, insieme ai culti dionisiaci, durante il quale venivano compiute pratiche magiche, orge diaboliche e riti blasfemi, sono la base del rito delle tarantate studiato da Ernesto de Martino ne ‘La terra del rimorso’. Ma noi siamo anche la terra del ‘rimosso’, irregolari per antonomasia, i quali, si sa, una volta unitisi, volgono la loro anima al diavolo, in crateri oscuri ove rilucono solo le fiamme dell’infinito di Giordano Bruno.

 

UN PENSIERO MAGICO in una SCRITTURA IN VERSI

In Bruno, ‘lirismo’ e filosofia sono uniti in modo olistico da quello che lui chiama ”l’eroico furore”. Per entrare nel suo mondo, anzi, nei mondi del Nolano, bisogna farsi trasportare da questo furore. Il suo è effettivamente un pensiero magico. In che senso? Non solo nel senso tipicamente rinascimentale, che è il suo tempo storico, ma nel senso stupefacente dell’intuizione irriducibile alla ratio comune dell’intelletto. Non c’è dunque una ‘spiegazione’ da cercare a da trovare nell’universo, ma è la pluralità degli universi che rende la ‘spiegazione’ del principio unica, cioè l’infinito, la stessa infinità dei mondi. Non c’è più contraddizione tra l’Uno e la molteplicità. La vertigine del sentire al proprio interno la ricomposizione del cosmo, è possibile solo con la poesia e la filosofia unite dai concetti che esprimono l’inesprimibile. /

Impegnati in una scrittura rappresentativa per il rogo di Giordano Bruno da ricordare ogni 17 febbraio, è necessario inserire una tarantinata altosalentina di furore eroico, danza terapeutica base del rito delle tarantate.

TUTTO è INFINITO, la natura è infinito, e nel pensiero dell'anima, il furore eroico, l’uomo è l’infinito che assurge all’infinità del mondo (fe.d.)

 

LA PRIGIONE È LA TUA MENTE

 

“Verrà un giorno che l’uomo si sveglierà dall’oblio e finalmente comprenderà chi è veramente e a chi ha ceduto le redini della sua esistenza, a una mente fallace, menzognera, che lo rende e lo tiene schiavo”.

Giordano Bruno, De l’infinito, universo e mondi, Dialogo terzo

 

E chi mi impenna, e chi mi scalda il core? | Chi non mi fa temer fortuna o morte? | Chi le catene ruppe e quelle porte, | Onde rari son sciolti ed escon fore? | L'etadi, gli anni, i mesi, i giorni e l'ore | Figlie ed armi del tempo, e quella corte | A cui né ferro, né diamante è forte, | Assicurato m'han dal suo furore. | Quindi l'ali sicure a l'aria porgo; | Né temo intoppo di cristallo o vetro, | Ma fendo i cieli e a l'infinito m'ergo. | E mentre dal mio globo a gli altri sorgo, | E per l'eterio campo oltre penetro: | Quel ch'altri lungi vede, lascio al tergo. (dall'epistola, De infinito, universo e mondi

- - -

Chi mi fa sognare, e chi mi scalda il cuore? / Chi non mi fa temere né il destino né la morte? / chi riuscì a rompere le catene e aprir le porte/ da cui pure assai rari son liberati o escon fuori? / Le epoche, anni giorni ed ore, le figlie e le armi del tempo, questo mi ha assicurato dal furor di quella corte/ a cui non resiste né ferro né diamante/ Quindi io porgo all’aria ali sicure/ né temo intoppi di cristallo o vetro, / Ma fendo i cieli e mi ergo nell’ infinito./ E mentre dal mio mondo altri ne vedo sorgere,/ per l’etereo spazio penetro oltre: / e lascio dietro di me / chi mi vede da lontano / 

G.Bruno, De l'infinito, universo e mondi

[traslitterazione ferdinando dubla]

 - Così si esprime Giordano Bruno in uno dei tre sonetti premessi al dialogo italiano De infinito, universo e mondi del 1584.

 

Tu mi fai sognare, tu mi scaldi il cuore. Permetti alla tua mente di volare, non tarpare le ali alla tua mente, così poi si aprirà anche il tuo cuore. Lasciamo dietro di noi chi ci vede, ma da troppo lontano. Fendi i cieli, vola nell’infinito. L’eroico furore io lo conosco, penso per amare, amo per volare. Solo chi non conosce l’animo tuo, può non volare. (fe.d.)

 

“Mentre mi sollevo da questo mondo verso altri lucenti e percorro da ogni parte l'etereo spazio, lascio dietro le spalle, lontano, lo stupore degli attoniti.”, De immenso, 1591

 

In preparazione della serata “Fendo i cieli e all’infinito m’ergo” dedicata a Giordano Bruno il 17 febbraio prossimo ogni 17 febbraio.

a cura di Ferdinando Dubla





lunedì 22 gennaio 2024

La carezza di Savasta (poesie didascaliche)

 


«La fase storica che ha caratterizzato il movimento degli anni ’60 e ’70 era impregnata di una forte connotazione ideologica. L’aspirazione collettiva era, pur se con metodologie diverse, cementata dalla comune adesione ai principi marxisti. L’esempio che ci proveniva dal Vietnam dalla Cina da Cuba era il punto di riferimento generazionale, pur essendo oggetto di una analisi che ne sopravvalutava il ruolo. La mancanza di un pensare collettivo, di una visione della vita basata sulla solidarietà fra persone dello stesso paese e non solo, sono ormai assenti da molto tempo, a prescindere dai contenuti ideologici di allora, nella cultura occidentale. I movimenti che attraversano questa fase, oltre ad essere privi di una visione ideologica e politica omogenea, fanno i conti con una società in cui trionfa l’individualismo e la passività culturale. L’interpretazione utopistica che del marxismo ha avuto il movimento degli anni ’60 ’70 ha prodotto si dei danni gravissimi, ma l’assenza dei valori di riferimento e la confusione ideologica potrebbero comunque produrne di ulteriori».
Mara Nanni, 22 gennaio 2007,

Le ragioni politiche del mio pentimento: in primis lo scollamento con i movimenti di massa e il ritenere la lotta armata l’unico perno della conflittualità antagonista, diventando così autoreferenziale.
(pp. 15,16) 28 aprile 1982, Interrogatori Antonio Savasta




Lì tra le sbarre di grida antiche

fermo sta ad aspettare il tempo

 

ti vedo complice di un assetto nuovo

 

la vedo dolce la dolorosa scelta e poso lo sguardo

dove gli altri non vede. Ma ciò che non si vede è. 

 

La mia carezza ti avvolge languida prostrata al tuo sorriso. 

 

Vengo da te, ma il tempo è andato via, il tempo non ci aspetta. 

 





RAGAZZI DEGLI ANNI 70

Vorrei vedere con i tuoi occhi, anche solo per un momento, vorrei quindi andare lontano, dove gli altri non vedono, portare con me quello sguardo. Le mie stelle, di notte, sono proprio gli occhi tuoi.

“poso lo sguardo

dove gli altri non vede. Ma ciò che non si vede è.“





RAGAZZI DEGLI ANNI 70 / 2.

Sento il coro degli antichi, quando il domani era come ieri. “Lì tra le sbarre di grida antiche/ fermo sta ad aspettare il tempo”.

Vedo le sbarre e i limiti del mondo, poi con voi mi metterò a volare, fuori di qui e nel niente che son loro. Se il sorriso non  vi basta, prendete le mie idee, lanciatele lontano, si poseranno nella bella città, quella del sole.


RAGAZZI DEGLI ANNI 70 / 3.

1.In corteo davanti ai cancelli di Mirafiori. Torino, 1973

2. Zurigo, 1974. Emigrante italiano

Fotografie originali Tano D’Amico

[Prendo ancora da voi la forza del pensiero, un ideale grande che l’amore cerca

e se tu lo troverai domani, non dirmi chi sono, dimmi chi siamo

quel giorno che il tempo si ferma, ci saremo anche noi]

fe.d., poesia didascalica







Sandalini o piedi nudi

gridate al mondo che volete andare a scuola

che non ci andate oggi perchè la scuola non c’è più

si son difesi da voi, distruggendola, perchè domani, con sapere coscienza e conoscenza

potreste far saper a quel mondo che le grida dei bambini

 non si sentono più.

 

opera di Domenico Campagna, gennaio 2024






Ferdinando Dubla, gennaio 2024








venerdì 19 gennaio 2024

L'irriducibile pentito: Savasta e le Brigate Rosse (5.) - La lettera dal carcere alla vedova Taliercio

 




Nel febbraio del 1985, dal carcere dove era finito dopo l’arresto avvenuto nel 1982 in seguito al quale divenne collaboratore di giustizia, Antonio Savasta scrisse una lettera a Gabriella, la vedova di Taliercio, nella quale si diceva: 

“Suo marito, in quei giorni, è stato come lei lo descrive: pacato, pieno di fede, incapace di odiarci, e con una dignità altissima. È vissuto serenamente, anche se i suoi pensieri e le sue preoccupazioni andavano a voi. Era lui che tentava di spiegarci il senso della vita e io, in particolare, non capivo dove prendesse la forza per sentirsi sereno, quasi staccato dalla situazione drammatica che viveva. Ha lottato per affermare anche a noi, che parlavamo un linguaggio di morte, il diritto alla vita, suo e di tutti. Lo so, signora, che questo non le restituirà molto. Ma sappia che dentro di me ha vinto la parola che portava suo marito. (..) È stata un seme così potente che nemmeno io, che lottavo contro, sono riuscito ad estinguere in me. È stata un fiore che voglio coltivare per poter essere io, a mia volta, a donarlo. Se non ci foste stati voi, io sarei ancora perduto nel deserto.”

tratto da Pierluigi Vito, I prigionieri, Augh! edizioni, 2021, pag. 253-254

Il racconto di Vito è una scrittura romanzata del sequestro e dell’omicidio di Giuseppe Taliercio, direttore del Petrolchimico di Porto Marghera (notte tra il 5 e 6 luglio 1981) ad opera delle Brigate Rosse. Cerca di dare voce ai protagonisti, ma attraverso testimonianze dirette dei brigatisti e ricostruzioni documentarie e atti processuali, comprese le confessioni di “Emilio”, Antonio Savasta, che sparò materialmente al dirigente industriale. La memoria è contenuta nei suoi interrogatori. - 

Cfr. Senato della Repubblica - Camera dei deputati VIII legislatura - Commissione parlamentare d’inchiesta sulla strage di via Fani sul sequestro e l’assassinio di Aldo Moro e sul terrorismo in Italia - Atti giudiziari - Interrogatori resi da Antonio Savasta a varie autorità giudiziarie, Roma, 1993, 

https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/DF/284588.pdf 

 

Contributo per Wikipedia - sequestro e omicidio Taliercio - voce: Antonio Savasta

redatto da: Ferdinando Dubla




Il sequestro di un dirigente di fabbrica in Veneto era stato ideato dalle BR agli inizi del 1981. Il Comitato esecutivo aveva fondato il Fronte fabbriche, di cui Savasta era parte dirigente, per individuare gli obiettivi da colpire, con la logica politica della centralità operaia nella lotta di classe armata, per un’organizzazione che era fortemente scossa dalle lacerazioni interne che avevano provocato la scissione della colonna milanese della “Walter Alasia” e l’autonomizzazione sempre più spinta del Partito-Guerriglia  di Giovanni Senzani , appoggiato dal Fronte carceri.[1]

Fu scelto l’ingegnere Giuseppe Taliercio, 53 anni, direttore dello stabilimento del Petrolchimico della Montedison di Porto Marghera, che era al centro di un’aspra vertenza sindacale e che il 29 gennaio dell’anno precedente aveva già visto l’omicidio di Sergio Gori, il vice direttore.[2]

Il 20 maggio 1981, alle 13,00, un commando di quattro brigatisti mascherati da finanzieri riuscirono ad inserirsi nella sua abitazione di corso Milano, imbavagliarono la moglie e due giovani figli, lo rinchiusero in un baule e fuggirono. Due di loro, dalle ricostruzioni processuali e le confessioni di Savasta, rimasero ancora un’ora nell’abitazione per sorvegliare i familiari imbavagliati e si cucinarono un piatto di pasta. Erano lo stesso “Emilio” e Pietro Vanzi.  Gli altri due erano Gianni Francescutti e Francesco Lo Bianco, che portarono il rapito in un casolare di Tarcento (UD) per sottoporlo a processo da parte di un ‘tribunale del popolo’. Dopo 47 giorni di prigionia, l’ingegnere venne assassinato con 20 colpi con due diverse pistole sparati contro il baule in cui era stato costretto a entrare.  Fu Savasta a esplodere i colpi, come da sue confessioni.[3]

Alle due di notte circa del 6 luglio una Fiat 128 venne ritrovata a pochi passi da uno dei cancelli del Petrolchimico di Marghera con il cadavere di Taliercio nel bagagliaio.

1) Cfr. Nicola Rao, Colpo al cuore - Dai pentiti ai “metodi speciali”: come lo Stato uccise le BR. La storia mai raccontata, Sperling & Kupfer, 2011, cit. da eBook, pos. 241

2)  https://www.vittimeterrorismo.it/vittime/sergio-gori/

3) di PABLO DELL'OSA, 20 maggio, su Il Centro, 19 maggio 2023.


Video Antenna Tre 








giovedì 11 gennaio 2024

Sull'operaismo, gli operaisti e Potere Operaio

 



 “Alberto Magnaghi, Stefano Lepri, Valerio Morucci, Franco Berardi, Oreste Scalzone, Francesco Bellosi, Lanfranco Pace, Letizia Paolozzi, solo per citare alcuni nomi. Finalmente, a distanza di quasi trent'anni,”, - dalla scheda di presentazione - “chi tentò più o meno direttamente di combattere i poteri dello Stato ha deciso di parlare. Questo volume restituisce, al di fuori di ogni cautela, le testimonianze inedite dei protagonisti di Potere operaio. scheda di Aldo Grandi, <Insurrezione armata>, [Bur, Rizzoli, 2013].

- Per Derive e Approdi, Gigi Roggero ha pubblicato nel 2019 un’introduzione 'didattica' allo studio dell’operaismo politico italiano, “Genealogia, storia, metodo”, di cui consigliamo la lettura e lo studio. Gli studi subalternisti, che ricercano sulla soggettività antagonista della classe, si collegano al metodo dell’inchiesta sociale, sia nelle forme dei “Quaderni Rossi” di Panzieri, sia in quelle più direttamente legate alla prassi politica.

 

cfr. RIBELLARSI QUANDO E' GIUSTO: l'inchiesta sociale nei 'Quaderni Rossi' di Panzieri e in Mao-Tse-Tung, http://ferdinandodubla.blogspot.com/2023/03/linchiesta-sociale-nei-quaderni-rossi.html



             Raniero Panzeri (1921-1964)

PER UNA CRITICA DELL’OPERAISMO

 

 “Lotta continua e Potop avevano molto in comune, ambedue erano gruppi antideologici, antimaoisti, che avevano come riferimento la classe operaia (oggi, ripensandoci, credo che la classe operaia a cui facevamo riferimento era altrettanto astratta delle massime di Mao, ma, allora, ci sembrava, invece, concretissima).” Andrea Barzini, testimonianza in Aldo Grandi, Insurrezione armata, Rizzoli, 2005, cit. da e.book, pos.190.

- Lotta Continua, più che antideologica, era un’organizzazione ’di movimento’ con diversi tipi di idealità politiche al suo interno, dal marxismo all’anarchismo, dando forma, contenuti e metodi di lotta al ribellismo del marginale metropolitano. Non si poneva obiettivi generali strategici se non quelli che scaturivano dalla stessa battaglia politica di resistenza o ‘resistenza offensiva’.

- Potere operaio fu invece l’organizzazione che fece proprie le tesi operaiste. Ma quali? Del secondo ‘operaismo’, nelle versioni di Antonio Negri in particolare, che infatti nutrirono anche l’Autonomia operaia che si sviluppò dopo la dissoluzione di POTOP al convegno di Rosolina nel giugno 1973.

#LavoroPolitico per la storia dei movimenti antagonisti              

 

 

Sul ‘primo’ e ‘secondo’ operaismo, sull’”operaio-massa” e l’”operaio sociale”

 

- Si erano formati sui «Quaderni rossi» e su «Classe operaia», sugli scritti estetizzanti, ma terribilmente coinvolgenti di Mario Tronti. Leggevano libri difficili: “Operai e capitale” innanzitutto, e testi di Marx dimenticati e riscoperti da poco, indicati con un titolo quasi confidenziale, come il «Frammento sulle macchine» nei Grundrisse, da poco tradotti da uno studioso amico di Tronti, Enzo Grillo. (..)

Per loro il comunismo doveva essere qualcosa del tutto nuovo, da reinventare in Occidente, al punto più alto dello sviluppo, dove non era il capitale a essere più debole, ma la classe operaia a essere più forte. (..)

“Per noi gli operai non erano quelli che organizzavano un ordine nuovo, che costituivano l’alleanza con gli intellettuali organici, ma erano forza distruttiva il cui compito era far saltare il “piano” del capitale, questa enorme capacità del capitalismo moderno di proseguire lo sfruttamento al di fuori della fabbrica”. (Lanfranco Pace, dicembre 2001)

in Aldo Grandi, La generazione degli anni perduti - Storia di Potere Operaio, Chiarelettere ed., 1.ed. digitale 2003, pag.12 e 15.

 

- Sembra estranea la riflessione di Gramsci sugli intellettuali, ma, per il ‘primo’ operaismo di Raniero Panzieri il ruolo dell’intellettuale si riposiziona e da specialista, diventa ”specialista+politico” (Gramsci), cioè ’organico’ alla classe. Come tale, assume la conricerca, il collettivo, il gruppo di studio, la collaborazione, come strumento di lavoro. Diventa ’intelletto collettivo’.

Per il ‘secondo’ operaismo la critica alla funzione borghese dell’intellettuale specialista diventa critica alla stessa forma accademica di costruzione dei saperi e alla loro espropriazione ad opera del potere delle classi dominanti.

Essendo il movimento formato prevalentemente da intellettuali metropolitani separati dalla classe di cui dovevano descriverne la composizione per renderla centrale nel processo rivoluzionario, il ‘secondo’ operaismo è particolarmente efficace nel conio di nuove categorie, come ‘operaio massa’ e ‘operaio sociale’: il primo anticipa il secondo, è prevalentemente l’immigrato meridionale sradicato che in fabbrica prende coscienza e raddoppia la rabbia, deprofessionalizzato con mansioni parcellizzate e ripetitive; il secondo, nella seconda metà degli anni ‘70, sarà prevalentemente la teorizzazione di Negri sull’estensione della marginalità dalla fabbrica alla società e costituirà un substrato teorico del movimento del ‘77 egemonizzato dall’Autonomia.

 

Il convegno di Rosolina [RO] (maggio-giugno 1973): addio a Potere Operaio

 

Nei giorni 31 maggio, 1, 2 e 3 giugno 1973 si svolse a Rosolina, una località che avrebbe dovuto rimanere e sarebbe rimasta segreta, la quarta conferenza di organizzazione di Potere operaio, un convegno per delegati che fu, senza ombra di dubbio, il canto del cigno del gruppo. Quest’ultimo arrivò al congresso già profondamente diviso e l’atmosfera che si respirò in quei giorni di tarda primavera non fu certo delle più felici, ma, anzi, triste e malinconica. Non c’erano soltanto le differenze e le divergenze sulla linea politica adottata e da adottare. (..)

«La scelta di Rosolina, una località così fuori mano e fuori stagione, fu opera mia» racconta Novak «e fu del tutto casuale anche se dettata dall’esigenza di poterci ritrovare in un luogo che consentisse di riflettere con calma sulla situazione di quella nostra esperienza e delle nostre vite. Certo, eravamo nell’occhio del ciclone, e un po’ di cautela non bastava mai. Dopo aver prenotato l’albergo, quando arrivammo io non feci altro che consegnare il documento di una nostra compagna, si chiamava Tullia, che era quella dal look più rispettabile, e stilare un elenco di nomi presi di petto dalla guida telefonica. Nell’albergo non ci chiesero altro; d’altronde pagai tutto fino all’ultima lira e i gestori ne furono ben lieti. Rosolina fu un convegno drammatico e sancì la definitiva spaccatura tra Franco e Toni e la fine di Potere operaio anche se restò in vita ancora qualche mese, e segnò una lacerazione fortissima delle coscienze di molti. Qualcuno si abbandonò al pianto, alcuni scontri furono durissimi.»

Testimonianza di Jaroslav Novak in Aldo Grandi, La generazione degli anni perduti - Storia di Potere Operaio, Chiarelettere ed., 1.ed. digitale 2003, cit. da e-book, pag.357 e 359. Franco è Franco Piperno, Toni è Toni Negri.

 

 Le derive dei tardi epigoni “operaisti”. E sul ‘primo’ e ‘secondo’ operaismo



Un militante è sempre un individuo collettivo, e quando cessa di esserlo, tornando a pensare e a pensarsi come un io, cessa di essere un militante.

Gigi Roggero, L’operaismo politico italiano - Genealogia, storia, metodo, DeriveApprodi ed., 2019, pag.7

 

- “Con “Quaderni Rossi” inizia invece a porsi il problema di una messa in discussione dell’uso borghese della sociologia, con l’obiettivo di riformulare l’inchiesta operaia. (..), cit. pag. 26.

“L’operaismo in senso stretto comincia con <Classe operaia>. Coerentemente a questa interpretazione, Steve Wright definisce correttamente ‘Quaderni Rossi’ come il periodo di incubazione dell’operaismo. Panzieri porta a estrema tensione il rapporto tra autonomia di classe e istituzioni del Movimento operaio, però lì si ferma, all’interno cioè di una speranza che si rivelerà illusoria di poter trasformare le seconde al servizio della prima. [..] Panzieri (sosteneva) che per ripensare l’azione politica bisognasse partire dalla distanza che si è creata tra le istituzioni del Movimento operaio (partito e sindacato) e il movimento reale di classe; ora possiamo aggiungere che quella distanza, per Panzieri e il suo gruppo, va colmata, mentre per gli altri va approfondita,”, cit. pag.40.

 

L’operaismo in senso stretto, se ha avuto nei “Quaderni rossi” il suo periodo di incubazione e tra “Gatto selvaggio” e “Classe operaia” il suo pieno sviluppo, si può dire che finisca nel 1967. È la tesi di Tronti: “Quaderni rossi” e “Classe operaia” punto, poi comincia un’altra storia. (…) Non diversa, seppur con una prospettiva opposta, è la valutazione di Negri, espressa con chiarezza nell’introduzione alla ristampa di “Classe operaia” uscita nel 1979 per Macchina libri; nello stesso anno l’argomento viene sviluppato, articolato e approfondito nella sua intervista sull’operaismo curata da Paolo Pozzi e Roberta Tommasini, “Dall’operaio massa all’operaio sociale”. Non la pensa in modo differente Alquati, che negli anni successivi alla fine dell’esperienza collettiva non segue nè Tronti “dentro e contro” il PCI, nè i veneti e gli altri nel percorso che avrebbe condotto alla formazione di Potere operaio.

Gigi Roggero, L’operaismo politico italiano - Genealogia, storia, metodo, DeriveApprodi ed., 2019, cit. pag. 59.

                             

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- Nel 1998 Franco Berardi, detto “Bifo”, dette alle stampe, per Castelvecchi, un agile libretto, “La nefasta utopia di Potere operaio”, in cui, inebriato di nuovismo cibernetico infotelematico, forse un avo dell’attuale ’intelligenza artificiale’, misurava la distanza siderale ormai tra il cosiddetto “metodo di scomposizione-ricomposizione del reale”, la categoria di “high-tech proletariat“, propugnati come cogenti stati di fatto della realtà in trasformazione incessante e i presupposti teorici e politici che avevano invece mosso la formazione di Piperno e Scalzone scioltasi nel giugno 1973 nel celeberrimo convegno di Rosolina. POTOP aveva ripreso le seconde tesi operaiste di Tronti e Toni Negri di “Classe Operaia” (ma con strade politiche differenti, il primo ‘entrista’ delle storiche organizzazioni del movimento operaio, in particolare il PCI, il secondo percorrendo e sviluppando l’”autonomia operaia”) distanziandosi a loro volta dall’impostazione del primo operaismo di Raniero Panzieri e lasciando in eredità la categoria di centralità della classe operaia per un processo rivoluzionario di lunga durata.

 

- L’allora direttore de Il Partito-Linea Rossa on line (poi #lavoropolitico_webserie) Angiolo Gracci,

https://it.wikipedia.org/wiki/Angiolo_Gracci

il partigiano fiorentino ‘Gracco’, fondatore nel 1966 del PCd’I - ‘linea rossa’, ci invitò a scrivere una recensione, quella che vi riproponiamo. Gracci era persuaso che il ‘primo‘ operaismo dei “Quaderni Rossi” di Panzieri si distanziasse di molto dal ‘secondo‘ operaismo. Panzieri proponeva un metodo di lavoro empirico diretto per l’inchiesta sociale della configurazione di classe, senza presupporre la centralità operaia, che era questione politica, ma per la verifica del fondamento teoretico della soggettività antagonista della classe. Il ‘secondo‘ operaismo presupponeva invece assiomaticamente la centralità operaia come motore della trasformazione rivoluzionaria, per cui l’inchiesta diventava, sul campo, la capacità politica della classe di rendersi egemone rispetto a tutti gli altri gruppi subalterni. ‘Bifo’, figura di spicco del movimento riconosciuto ala creativa del movimento del ‘77, con il suo testo superava le distinzioni, le cestinava e proponeva la scomparsa della classe (o, meglio, la sua aleatorietà eterea) come motore di una nuova storia. Quella del capitale, però, e l’omologazione ad essa, seppure nelle forme del ‘cognitivismo’. Nel frattempo, nel 2023, è stata ristampata la pubblicazione del giornalista Aldo Grandi sulla storia di POTOP, “La generazione degli anni perduti. Storia di Potere Operaio“, per Castelvecchi, ma originariamente edita nel 2003 da Einaudi, che però, storia nella storia, non ne volle mai una seconda edizione, nonostante il testo fosse andato esaurito. Aldo Grandi è l’autore anche di una meritoria antologia documentale delle fonti dirette, “Insurrezione armata”, per Rizzoli nel 2005, una ricerca storico-politica potremmo dire con il metodo di Panzieri, e anche ‘maoista’ a sua insaputa, dell’inchiesta sociale.

Lì c’è anche Franco Berardi, che ribadisce, rafforzandole, le tesi della sua “nefasta utopia“.

Ecco la nostra recensione in tempo reale di allora, 1998:

 

La nefasta utopia
di 'Bifo'


-- Ferdinando Dubla --

Il titolo dell'ultimo libro di 'Bifo' (Franco Berardi), già teorico del movimento degli 'indiani metropolitani' del '77, è mutuato dall'articolo che Giorgio Bocca scrisse agli inizi del 1979 per le colonne di 'Repubblica' e che imputava alle concezioni operaiste di essere state la matrice ideologica degli anni di piombo. Ma francamente, non sappiamo che idea un giovane si possa fare leggendo quell'articolo e questo saggio dallo stesso titolo, La nefasta utopia di Potere Operaio, sull'esperienza del Potop, come sinteticamente veniva indicata quell'organizzazione negli anni '68/'69. Entrambi, a nostro modesto avviso, fanno torto a quell'esperienza e alle passioni, alla militanza che suscitò nell'area della sinistra comunista e più generalmente antagonista. Bifo, infatuato delle teoretiche sulla comunicazione infotelematica e approdato tramite le teorie dei 'nuovi filosofi' francesi Deleuze e Guattari, all'astratta categoria dell' high-tech proletariat (il Levy di Cyberculture e N.Witheford) trasforma l'operaismo e la sua articolazione teorico-pratica nel padre del cosiddetto metodo composizionista, una metodologia eclettica di composizione-scomposizione del reale, a metà strada tra i funambolismi fenomenologici alla Husserl del mondo-della-vita (Lebenswelt) e le concezioni di rifiuto del lavoro di Antonio Negri.

Insomma, una miscellanea che nel libro si propone e pretende di interpretare in modo efficace le mutazioni sociali e tecnologiche, cancellando politica ed economia, consegnando la prima all'archeologia del XX secolo e la seconda, più prosaicamente, alla globalizzazione capitalista.
Conviene dunque partire dagli approdi del discorso: "La novità implicita nella digitalizzazione del processo produttivo sta qui: il ciclo capitalistico si è, per la prima volta nella storia del capitale, scollegato dal conflitto sociale. La società reale non può bloccare il circuito di connessione produttiva." [pag.233], che tradotto significa che la lotta di classe è morta. Ma non c'è solo questo, c'è di più e ben altro: "La verità è che la sinistra, realista o vittimista, liberista o statalista, è morta, e sopravvive come rappresentazione di un ceto residuale e di identità prive di futuro." [pag.234]; fine della sinistra, dunque. Allora, solo macerie? Si salva unicamente il 'principio femminile', ma attenzione, non l'esperienza, pur contraddittoria, del movimento femminista, ma il principio come sottrazione: "socialità senza competizione, irriducibilità del corpo al disciplinamento economico, primato del dono rispetto allo scambio salariato, ecc.." [pag.236].
Come è possibile questo 'guazzabuglio' di teorie e prestiti culturali che si vedono incollati al modo di un mosaico inguardabile? Se non fosse perché, nel trentennale del '68, questo libro di F.Berardi potrebbe arrivare a dei giovani in cerca di documentazione storica, non varrebbe sinceramente la pena di interessarsene. Il metodo composizionista, la digitalizzazione del flusso vitale intercomunicativo, l'esaltazione della disoccupazione come tempo di vita liberato et similia, poco c'entrano con Potere Operaio. Organizzazione che può avere avuto delle colpe e delle responsabilità storiche anche pesanti nel non essere riuscita a dare esito e sbocco compiuto alla lotta di classe e al movimento del '68/'69, ma che sono ben altre rispetto ai torti imputatigli da 'Bifo'. Il quale data al primo convegno nazionale del gennaio 1970 lo sviluppo della degenerazione leninista, un Lenin-salma che nulla poteva dire per le contraddizioni nelle metropoli (l'unico a capirlo, in quegli anni, oltre a Berardi naturalmente, fu il povero H.J.Krahl, ridotto a un antileninista antelitteram) contraddizioni che pure Potop intuisce essere centrali nell'interpretazione delle fasi capitalistiche e del conflitto capitale/non-lavoro e dei cicli della valorizzazione.
"Ma che senso può mai avere il leninismo nelle metropoli?" - si chiede (retoricamente) 'Bifo' -, "che senso può mai avere l'idea del partito di quadri quando il lavoro mentale diviene un continuum superindividuale che connette e globalizza innumerevoli cervelli? Il leninismo non poteva vedere altro che la rottura politica. Il lavoro mentale vede distintamente che il problema non è quello della forma politica ma quello del paradigma." [pag.69]
Ed è per la netta visione di questo paradigma (che rivendica l'azzeramento della contraddizione dialettica in favore dell' asimettria paradigmatica, alla Francois Lyotard) che l'antileninismo porta a conclusioni ovviamente anticomuniste e financo grottesche? Quelle, ad es., che liquidano le esperienze socialiste del XX secolo come 'criminali', in quanto "il comunismo è stato una forma di violenza antiproletaria e antiumana, un mostro di oppressione autoritaria, di conformismo culturale, di ipocrisia ripugnante, di dominio delle burocrazie feudali e militari più feroci, più ignoranti, più fasciste.", [pag.144] e anche oggi, pensate, Cina e Russia "sono (..) due potenze capitaliste a direzione nazi-comunista", [pag.235], affermazioni tipiche di una deriva, oltre che 'futurologica', reazionaria e becera, oggettivamente di destra, che infatti conclude con la vecchia, stravecchissima eternità del capitale: " Il capitale è probabilmente eterno, insuperabile. Questa è un'altra acquisizione filosofica dell'antistoricismo." [pag.145] Bifo e la sua 'nefasta utopia' arrivano dunque allo stesso punto di Ricardo e A.Smith, queste 'novità teoriche' di un secolo e mezzo fa. Dove si dimostra che l'antileninismo non può che approdare al liberismo premarxista, camuffandosi solo goffamente con teorie nuoviste e iperuraniche!
Per cui un merito il libro ce l'ha: dimostra l'impossibilità di connettere una concezione leninista con gli esiti estremi dell'operaismo. Una vera lezione, di metodo e di contenuto.

Franco Berardi (Bifo):
LA NEFASTA UTOPIA DI POTERE OPERAIO
Lavoro tecnica movimento nel laboratorio politico del Sessantotto italiano
Castelvecchi 1998


scritto nell'ottobre 1998 da
Ferdinando Dubla






mercoledì 10 gennaio 2024

Il Gramsci della centralità del soggetto rivoluzionario (Ferdinando Dubla, Marilia G. Machado)

 



 

- Marília Gabriella Machado -

DUBLA, Ferdinando. Gramsci e la fabbrica: produzione, tecnica e organizzazione del lavoro nel pensiero gramsciano (1913-1934). Manduria: Lacaita, 1986

da §Gramsci e a Fábrica: americanismo e fordismo de tipo operário (1919-1920)

 

Quando encarcerado, além de combater o fascismo, Gramsci reflete sobre os acontecimentos de sua juventude e também sobre categorias que começou a desenvolver e que ganharam, anos depois, uma finalização forçada devido sua morte precoce. Um dos textos de Gramsci que ficou muito conhecido foi o Americanismo e Fordismo, escrito em 1934. Nesse texto, assim como em Alguns temas da Questão Meridional, o comunista não deixa de lado a experiência do Biennio Rosso e entende que os operários de Turim forjaram um americanismo e fordismo de novo tipo com os princípios da autoeducação e da autogestão do trabalho. Dessa forma, o esforço de Gramsci era o de compreender as transformações de Turim e de dar forma política ao antagonismo espontâneo das massas, de maneira que a iniciativa subjetiva pudesse se objetivar na ação política de acordo com a produção e com o movimento da sociedade. (DUBLA, 1986, p.41).

tr.: Durante la prigionia, oltre a combattere il fascismo, Gramsci rifletté sugli avvenimenti della sua giovinezza e anche su categorie che aveva cominciato a elaborare e che, anni dopo, furono costrette a porre fine a causa della sua morte prematura. Uno dei testi di Gramsci che divenne molto noto fu Americanismo e fordismo, scritto nel 1934. In questo testo, come in Alcuni temi della questione meridionale, il comunista non lascia da parte l'esperienza del Biennio Rosso e comprende che il i lavoratori forgiarono un nuovo tipo di americanismo e fordismo con i principi di autoeducazione e autogestione del lavoro. In questo modo lo sforzo di Gramsci fu quello di comprendere le trasformazioni torinesi e di dare forma politica all'antagonismo spontaneo delle masse, affinché l'iniziativa soggettiva potesse oggettivarsi nell'azione politica in accordo con la produzione e il movimento della società. (DUBLA, 1986, p.41).

- A produção organizada pelos Conselhos de Fábrica estabelecia o necessário para o desenvolvimento da consciência de classes no processo produtivo com a racionalização da classe operária, a organização científica do trabalho e com o desenvolvimento técnico da transformação do trabalho e do trabalhador. É nesse sentido que a consciência crítica e revolucionária precisa, para Gramsci, romper o nexo produção/ técnica, libertando o modo de produção dos vínculos capitalistas e formando os homens do Novo Estado. (DUBLA, 1986, p.50).

tr.: La produzione organizzata dai Consigli di fabbrica stabilì ciò che era necessario per lo sviluppo della coscienza di classe nel processo produttivo con la razionalizzazione della classe operaia, l'organizzazione scientifica del lavoro e lo sviluppo tecnico della trasformazione del lavoro e dell'operaio. È in questo senso che la coscienza critica e rivoluzionaria ha bisogno, per Gramsci, di rompere il nesso produzione/tecnica, liberando il modo di produzione dai vincoli capitalistici e formando gli uomini del Nuovo Stato. (DUBLA, 1986, p.50)

 

- Segundo Dubla, “o que mais uma vez é analisado é o modo de formação da classe trabalhadora em classe dominante e, portanto, o tema da conquista do Estado” (DUBLA, 1986, p.173), que nos coloca com contato com a análise de transformação da classe subalterna em classe dominante para a conquista/substituição do Estado. Esse é um dos pontos mais importantes da obra gramsciana, pois é na organização do trabalho autônomo que o proletariado demonstra a capacidade de pensar e de refletir por si próprio – mesmo enquanto trabalha – já que a fábrica é controlada pela classe trabalhadora.

tr.: Secondo Dubla, “ciò che viene ancora una volta analizzato è il modo in cui la classe operaia si è formata in classe dominante e, quindi, il tema della conquista dello Stato” (DUBLA, 1986, p.173), che ci pone a contatto con l'analisi della trasformazione delle classi subalterne in classe dominante per la conquista/sostituzione dello Stato. Questo è uno dei punti più importanti dell’opera di Gramsci, poiché è nell’organizzazione del lavoro autonomo che il proletariato dimostra la capacità di pensare e riflettere per se stesso – anche mentre lavora – poiché la fabbrica è controllata dalla classe operaia.

- Marília Gabriella Machado,  Professor Bolsista · UNESP - Universidade Estadual Paulista "Júlio de Mesquita Filho", cit. da Conselhos de Fabrica e Partido no jovem Gramsci Conselhos de Fabrica e Partido no jovem Gramsci, Novas Edicoes Academicas, 2018



Operai, società e capitale - Gramsci, la classe e i gruppi subalterni

CLASSICO SUBALTERNO - la centralità della fabbrica in Gramsci

- Dall'Ordine Nuovo ad Americanismo e fordismo (il Q.22), il Gramsci della centralità della fabbrica è il Gramsci della soggettività antagonista della classe nella 'formazione economico-sociale' capitalista (Cesare Luporini). Il passaggio alla trasformazione rivoluzionaria ha la sua forza motrice, ma in un quadro politico che deve rimodularsi sul terreno dell'egemonia tra gruppi dominanti e gruppi subalterni e, nella critica alla teoresi astratta, fondare la prassi politica e la riforma intellettuale-morale, per una nuova società autoregolata dai produttori.

- Ferdinando Dubla, Gramsci e la fabbrica - Lacaita, 1986. Prefazione di Carmelo D'Amato (Storia della filosofia moderna e contemporanea - Università di Firenze)




La centralità della fabbrica dovrebbe essere la centralità della classe operaia nella sfera del politico. Ma non è una questione quantitativa o dimensionale. La centralità di un soggetto sociale è politica. Spetta al partito della classe porre questa centralità. La centralità politica trasforma la classe operaia in soggettività motrice della trasformazione rivoluzionaria, ma è la lotta sociale e il conflitto di classe a verificarne la trasformazione. È il passaggio cruciale, leninista, dalla coscienza critica alla coscienza di classe. È questa a muovere la storia. Tutti i gruppi subalterni sono alleati della classe operaia, ma decisivo diventa il loro ruolo produttivo, perchè conforma i rapporti di produzione e dunque le relazioni sociali. Ognuno di essi, infatti, può prendere la direzione egemonica della lotta sociale di sistema, in base alla qualità dell’organizzazione del conflitto. Esiste, cioè, una battaglia per l’egemonia sia di sistema, sia all’interno dei gruppi subalterni per la soggettività rivoluzionaria. Ciò che è importante in Gramsci è il considerare la centralità trasformatrice non un apriori ‘ideologico’, ma, soprattutto, la capacità del partito-intellettuale collettivo di leggere la composizione di classe e rendersi egemone nell’organizzazione del conflitto di ‘sistema’. E' rileggere unitariamente il Gramsci consiliarista, il Quaderno 22 e il Quaderno 25. / fe.d.


cfr. anche

- Dubla F., Il Quaderno 22 di Gramsci: americanismo e fordismo, in «Marxismo oggi», 3-4, 1989.

- I margini della storia, Gramsci e i Subaltern Studies. Una pagina di Gramsci sullo studio dei gruppi subalterni

http://ferdinandodubla.blogspot.com/2021/04/i-margini-della-storia-gramsci-e-i.html




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a cura di Subaltern studies Italia