Subaltern studies Italia

L’analisi e la classe - a cura di Ferdinando Dubla

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lunedì 28 novembre 2016

Cultura e istruzione: la rivoluzione culturale cubana di Fidel

 
da Archivio Storico Benedetto Petrone e redazione di Pugliantagonista.it

La Cultura  arma vincente della Rivoluzione:
La seconda lezione va trovata tra le parole dei discorsi di Castro ai giovani cileni, in quel viaggio memorabile e riguardano l’importanza della Cultura e della difesa della propria identità e delle proprie tradizioni che deve essere non da meno di quella della Resistenza, anche armata, della libertà, della democrazia, della indipendenza da imperialisti, sfruttatori, golpisti, una difesa fatta con sacrificio senza cercare posti privilegiati:
"quando la Rivoluzione vinse, nel nostro paese, vi erano 10.000 maestri senza aule dove insegnare, mentre 700 o 800.000 bambini non avevano insegnanti. Purtroppo moltissimi, quasi la maggioranza dei bambini vivevano in posti sperduti e disagiati e nonostante che i maestri fossero senza lavoro non volevano spostarsi dalle città..per questo nacquero i maestri volontari, ed organizzammo le scuole dei maestri sulle montagne , in un vecchio accampamento che era stato scuola di guerriglia. Fummo estremisti ed idealisti ma a partire da questa esperienza portammo la voglia di mobilitarsi a 100.000 giovani che autonomamente incominciarono a insegnare ed alfabetizzare bambini, ma anche adulti di 80 e 90 anni…proprio durante la campagna di alfabetizzazione avvenne l’invasione della baia di Giron (la cosiddetta Baia dei Porci, in cui controrivoluzionari armati e sostenuti dagli USA provarono senza risultato a sbarcare, NdR) e a noi tutti dispiaceva interrompere la campagna. Sarebbe stata peggio della sconfitta militare se avessimo sospeso l’alfabetizzazione del nostro popolo. Lasciammo così tutti i giovani impegnati nell’insegnamento a farlo , nonostante lo stato di guerra e che avessimo bisogno di ogni uomo utile….Contro questa campagna si mobilitarono i controrivoluzionari rapendo ed uccidendo giovani e contadini impegnati nell’afabetizzazione come il giovane Manuel Ascunce, rapito, torturato ed ucciso perché alfabetizzatore. Ma il popolo si mobilitò con manifestazioni di centinaia di migliaia di persone…in seguito altri son stati i problemi quando abbiamo corso il rischio che i giovani figli di operai, grazie allo Stato che garantiva loro anche l’Università correvano il rischio di replicare la nascita di una nuova gioventù borghese…stavamo correndo il pericolo di perdere le migliori attitudini e qualità operaie…
Cosa significa educare?
Significa preparare l’uomo, da quando incomincia a prendere coscienza, a compiere i suoi più elementari doveri sociali, a produrre beni materiali e spirituali che servono alla società, in modo che tutti partecipino egualmente alla produzione. Credete che una università possa essere un centro di educazione migliore di una fabbrica? In altri termini l’educazione deve essere una combinazione delle studio tra scuola e lavoro facendo in modo che gli operai diventino studenti e gli studenti operai…questi sono i primi passi della rivoluzione dell’istruzione….se credete che con lo sviluppo della rivoluzione avremo un paese con mezzo milione di automobili e sia il nostro obbiettivo, vi sbagliate!...noi possiamo dare l’istruzione a tutti ma non un’automobile a tutti! Se invece vogliamo assicurare mezzi collettivi di trasporto per i luoghi di lavoro, di svago, e ricreazione, questo SI!
 
Sul consumismo:
Noi non incoraggiamo il nostro popolo alla corsa al consumo… la società capitalistica incoraggia all’egoismo, l’individualismo, i vizi…tutti conosciamo le origini dell’uomo e come sia facile svegliare in lui i peggiori istinti…L’uomo deve essere educato, il vizio è spontaneo, le virtù devono essere coltivate..La differenza oggi tra socialismo e capitalismo è che il socialismo (per costruirsi, NdR) parla di sacrifici, austerità, educazione, controllo, mentre l’imperialismo stimola l’uomo alle più smisurate ambizioni personali, corrompendolo. Che offre Cuba oggi alla nostra gioventù? Lavoro, studio, sacrificio, sforzo, obbiettivi qualitativamente superiori, sociali, rivoluzionari. Che offre l’imperialismo: l’illusione del piacere e del divertimento, corrompendo corpi ed anime….
 

        

domenica 27 novembre 2016

SIEMPRE


Ma allora, Castrum, sei andato via? - chiesi
No se preocupe - rispose - un vero rivoluzionario non va mai via, 
hasta la victoria, despue de la victoria, siempre
COLLOQUI CON IL PATRIARCA IN AUTUNNO
[(El otoño del patriarca) di Gabriel García Márquez è un romanzo pubblicato nel 1975]
- dunque dalla tua esperienza, Castrum, dov'è l'attualità del socialismo? - domandai
- metti insieme sempre Stato di diritto e Stato sociale, quello è il futuro che viene dal passato. Il socialismo è quando il libero si rende uguale, il comunismo è quando tutti gli eguali saranno liberi.
[Dublicius]

                          

giovedì 17 novembre 2016

DEMOCRAZIA ATEA: BOCCHE ALL'AMO


La Costituzione nei suoi aspetti teoretici e nelle sue indicazioni programmatiche è purtroppo estranea, in buona parte, ad una fascia d’età compresa tra i 18 e i 30 anni.
Il 47% degli italiani vive una preoccupante condizione di analfabetismo funzionale, in difficoltà nel compilare una modulistica o nella comprensione di un testo in prosa.
La “casalinga di Voghera” sa perfettamente che voterà SÌ perché il messaggio renziano le sarà stato veicolato, in modo più o meno subliminale, dalla trasmissione di intrattenimento di cucina, oppure perché un attore famoso, che aveva letto in TV la Costituzione, si è schierato per il SÌ in ossequio alle posizioni governative, rendendole credibili.
Il messaggio referendario dunque dovrà essere veicolato, decodificandolo dal linguaggio tecnico e giuridico, ancorandolo a ciò che potrà essere comprensibile per coloro che, nella indecisione, sono già astensionisti.

Bisognerà dire che opporsi alla modifica costituzionale significherà dire NO ad una sanità per i ricchi e una sanità per i poveri; significherà dire NO ad una scuola differenziata per fasce socialmente elevate e fasce disagiate; significherà dire NO ad un precariato mortificante per tutti, significherà dire NO alla guerra.
Le attuali storture della società, pur con la Costituzione non ancora modificata, in effetti sono la conseguenza di una classe politica che ha deflagrato la rappresentanza con il porcellum, e tuttavia la modifica costituzionale renziana renderà permanente, per i prossimi decenni, ciò che la legge elettorale ha già anticipato, ovvero un modello di società nel quale l’ascensore sociale è bloccato e la povertà economica di molti è diventata la diretta conseguenza della ricchezza di pochi.
Con il referendum possiamo riprenderci la nostra democrazia partecipativa, rispedire al mittente le intromissioni antidemocratiche del mondo finanziario di cui il progetto renziano è spudorata espressione, e dimostrare a noi stessi che non siamo bocche all’amo.

La Segreteria Nazionale di Democrazia Atea
www.democrazia-atea.it


martedì 8 novembre 2016

La sinistra oggi e… Gramsci rivisitato da Stuart Hall


partire dai territori per avere una visione critica globale. L'attualità della lettura di Gramsci in Stuart Hall (fe.d.)

di Giancarlo Girardi - Lavoro Politico- MARX XXI Taranto

La crisi attuale in Italia è da considerarsi la crisi di un’egemonia così come affermatasi negli ultimi trenta anni in Italia con le sue peculiarità e nel mondo nel segno di un mercato come unico solutore dei problemi locali e globali. Il populismo dilagante è l’espressione più in generale di un connubio autoritario con un mercato senza regole (potrebbero esserci?) che ha fatto infine esplodere le sue contraddizioni con la crisi attuale che vede nella sua globalità forme di ritorno indietro a fascismi o nazismi. Siamo certamente giunti, è opinione largamente diffusa, alla fine di quel modello di consenso sociale ed economico nato con la signora Thatcher in Inghilterra e Reagan in America nei primi anni ottanta e presi come riferimento in Italia in chi ha sinora governato. Il metodo ancora in uso è rappresentarsi come l'immagine di un sentire comune con la presenza di tanti di noi lì al supermercato dei prodotti televisivi ed a quello più in generale in cui occorreva spendere ciò che si aveva ed ancora di più per alimentare il meccanismo di un consumo, fondamentale per tutte le produzioni. Oggi, invece, cosa sia possibile comprare è divenuto il problema di tutti i giorni, le soluzioni appaiono sempre più difficili, è in crisi quella visione dell’economia in cui c’è per tutti la possibilità di approvvigionarsi però percepita come un comune senso di libertà, di poter consumare anche di più del necessario come in un sogno. Oggi la dura realtà quotidiana appare differente, la crisi e lo scoppio di antiche e recenti contraddizioni ha rimesso in gioco tutto e tutti. Torna ancora l’idea vecchia ed autoritaria dello Stato, un attacco al sistema democratico ed alla società civile con l’uso del linguaggio della forza per risolvere a vantaggio ancora delle classi dominanti antiche questioni, far ripartire un nuovo ciclo economico per opera di chi ne porta, invece, tutte le responsabilità del presente. E’questa la sostanza del referendum di dicembre che vorrebbe affrontare la crisi di quel modello di globalizzazione che si immaginava essere il solutore di tutti i problemi dell’umanità. In Italia occorre che riprenda il rigore del metodo della lettura dei processi economici per ripartire, questa volta, dai territori avendo un’apertura ed una visione globale degli sviluppi per poterli prevenire e guidare. Condizionare, per poi governarli, i “processi produttivi” nei luoghi strategici delle decisioni, rappresentare e riunificare politicamente il mondo del lavoro di oggi, in Italia e nel mondo, recuperare il giusto ruolo alla politica rispetto al potere economico, questa la vera sfida per una sinistra unita e plurale oggi all’altezza del suo compito storico. Quando sarà lungo questo processo? La costruzione di una "egemonia alternativa" a quella di oggi, però, dipenderà da una sinistra rifondata, unita e plurale, che per prima cosa consideri se siamo in una fase di mutamento o di assestamento all’interno della stessa congiuntura. Questa domanda è sempre la premessa fondamentale, dal punto di vista gramsciano. Servirebbe una vera “ricognizione” dello stato attuale della società e dell’economia, ricominciare con una nuova fase resistente e costituente, ripartire da dove si formano i rapporti di forza: le “fabbriche vere”, non quelle del semplice consenso perché oggi il potere economico è enorme ed ha asservito completamente quello politico. Bisognerebbe, inoltre, indagare l’orientamento popolare attuale rispetto ai cambiamenti economici che stiamo vivendo, non basta “sentire” o “vedere” una ribellione. Berlusconi in passato è stato abile nella sua fondamentale ambiguità dicendo: «tutto il popolo pensa…», in realtà voleva dire: «io penso così e voglio che gli altri dicano quello che penso io... voglio raggiungere una legittimazione del consenso popolare»,( Stuart Hall). Oggi Renzi nelle sue argomentazioni usa sempre il “NOI” dimostrando di mettere in gioco il futuro della nazione ma è, in verità il suo “IO”che gli preme. E’ entrata in crisi una egemonia legata ad una concezione secondo cui tutto è possibile divenga merce e quindi consumo. Oggi occorre recuperare una visione critica, culturale e politica, una profonda “riforma intellettuale e morale” della società, avrebbe detto Gramsci. “La globalizzazione mette tutto in connessione, le multinazionali connettono i poveri che guadagnano un dollaro al giorno nel terzo mondo con i grattacieli di Manhattan”. Si è aperto un territorio nuovo e diverso. “Non dico che Gramsci non abbia niente da dire a tale proposito, ma poiché i suoi concetti sono stati elaborati all'interno dello schema nazionale, mi chiedo come possiamo noi trasferirli nel nostro contesto più globale”. “I populismi autoritari di oggi non sono più in grado di dare risposte a queste domande”, affermazione con cui chiude le sue osservazioni Stuart Hall.
                                                                                                   Giancarlo Girardi, 8 novembre 2016


lunedì 7 novembre 2016

La caduta dell'URSS e le sfide della transizione socialista


a 99 anni dalla rivoluzione dell'ottobre sovietico, una riflessione marxista sulle cause della dissoluzione dell'URSS. Secondo Catone, direttore della rivista MARX XXI, bisogna rilanciare una lotta ideale che riproponga i temi della trasformazione sociale che, nel solco dei classici e soprattutto di Gramsci, sappia analizzare la "transizione" al socialismo e opporsi al falso universalismo dell'ideologia capitalista. (fe.d.)

bandiera rossa corsa

di Andrea Catone

Intervento al Forum “La Via Cinese e il contesto internazionale”, Roma. 15 ottobre 2016

Uno dei temi del VII Forum del socialismo mondiale, organizzato a Pechino dalla CASS, riguarda – anche in vista del prossimo centenario della rivoluzione d’Ottobre – è l’analisi delle cause della dissoluzione dell’Urss.

Da alcuni anni questa questione è studiata in Cina con particolare attenzione alle lezioni che si possono trarre per il ruolo dirigente del partito comunista cinese. L’amara esperienza sovietica dimostra che il potere socialista conquistato con la rivoluzione può essere rovesciato anche dopo molti decenni, e anche quando le vecchie classi sfruttatrici sono state eliminate. Per di più, non è stato rovesciato dall’intervento militare diretto delle potenze imperialiste, ma è caduto dall’interno. Un generale russo disse: abbiamo perso la guerra fredda senza sparare un colpo.

Nel 2011, a 20 anni dalla fine dell’Urss, organizzati dalla CASS, si sono tenuti importanti convegni su questo tema di studiosi cinesi e russi, i cui atti sono stati pubblicati anche in russo (e che come edizioni MarxVentuno pubblicheremo nel 2017).


Tra le diverse e articolate analisi, la tesi che appare prevalente si può riassumere così:

La fine dell’Urss è dovuta al concatenarsi e confluire di molteplici fattori:

- accentuata pressione dell’imperialismo Usa-Nato, che costringe l’Urss a investire grandi risorse nella corsa agli armamenti;
- azione sovversiva del soft power dell’Occidente;
- rallentamento nella crescita economica e nell’applicazione di nuove tecnologie;
- strozzature nella distribuzione dei beni di consumo e nel meccanismo della pianificazione;
- acuirsi del separatismo nazionalistico antisovietico e antirusso.

Ma il fattore politico-ideologico è stato determinante. Come prova a contrario, a Cuba, che ha certo una base economica più debole di quella sovietica e subisce la fortissima pressione dell’imperialismo USA, il partito comunista si mantiene al potere.

Si pone però la questione: È corretto sostenere dal punto di vista dell’analisi marxista che nella controrivoluzione in Urss e nei paesi socialisti europei il fattore principale è stato politico-ideologico? Non si attribuisce così un peso eccessivo alla sovrastruttura invece che alla struttura?

Bisogna qui fare una precisazione sulla rivoluzione socialista.

Il socialismo non si instaura per decreto nello spazio di una notte, ma richiede un lungo e complesso processo di transizione, che può impegnare diverse generazioni, in cui lottano vecchio e nuovo e si costruisce la nuova società. Ciò richiede anche la formazione di una nuova cultura e una nuova civiltà, la formazione di un nuovo tipo umano, istruito ed educato alla gestione collettiva dei mezzi di produzione e alla direzione dello stato (Lenin diceva: nel socialismo anche la cuoca deve poter dirigere lo stato). In Europa occorsero diversi secoli perché si passasse dalla società feudale alla società borghese. Non si può pensare che la transizione dalla società borghese alla società socialista possa realizzarsi in un breve lasso di tempo, all’indomani della conquista del potere politico.

Quando analizziamo i processi interni ad una società di transizione dal capitalismo al socialismo, non possiamo trasporre meccanicamente nell’analisi la stessa impostazione del rapporto struttura/sovrastruttura che vediamo operare nella transizione dal feudalesimo al capitalismo. Vi sono alcune differenze fondamentali tra le due transizioni:

La classe borghese europea nasce nella società feudale e si afferma nel corso di un lungo processo come classe economicamente dirigente, dinamica, aggressiva. La rivoluzione borghese “classica” (Inghilterra 1640, Francia 1789) deve adeguare la sovrastruttura politica – che era lo stato assolutistico – ai nuovi rapporti di produzione borghesi.

Il proletariato, invece, non è assolutamente e non potrà mai essere nella società borghese la classe economicamente egemone, tantomeno nei paesi capitalisticamente arretrati o semicoloniali come erano la Russia e la Cina dei primi anni del ventesimo secolo. Solo con la conquista del potere politico il proletariato avvia la lunga transizione al socialismo. La conquista del potere politico è una premessa, un presupposto perché si avvii la trasformazione socialista, è l’inizio e non la conclusione del percorso.

La proprietà sociale richiede un governo e una regolamentazione politica della stessa, richiede istituti politici che la governino e la rendano effettivamente sociale nella direzione e gestione collettiva. Lo stesso vale per la pianificazione, che sottrae la produzione all’anarchia e spontaneità e la regolamenta in funzione della soddisfazione dei bisogni crescenti della società.

Se la transizione al socialismo può realizzarsi solo attraverso il controllo e la direzione dello stato da parte del proletariato (diversamente dalla transizione borghese, che maturò economicamente all’interno dello stato feudale-assolutistico), ciò implica che la direzione e l’organizzazione politica, la sua qualità, correttezza, accortezza, sapienza, assumono un ruolo fondamentale nella transizione dal capitalismo al socialismo. Dalla direzione politica dipende il destino della transizione al socialismo, del suo progredire e consolidarsi, oppure arrestarsi o rovesciarsi in una società dominata da rapporti capitalistici.

L’amara esperienza delle controrivoluzioni del 1989-91 dimostra che la vittoria della rivoluzione non è irreversibile e che anche un potere che sembra stabile e consolidato può essere facilmente rovesciato.

Le rivoluzioni proletarie del XX secolo si sono svolte in un contesto mondiale in cui l’imperialismo è rimasto dominante e continua ad essere aggressivo ed estremamente pericoloso. Nelle società di transizione al socialismo si svolge la lotta di classe, che coinvolge forze interne e internazionali. Le classi sfruttatrici scacciate dal potere e rovesciate, anche se numericamente ridotte o addirittura eliminate all’interno del paese dove la rivoluzione ha vinto, hanno il sostegno dell’imperialismo internazionale. Ciò non va mai dimenticato. (Del resto, anche la classica rivoluzione francese del 1789 conobbe chiaramente questo fenomeno: l’aristocrazia assolutistica di tutta Europa intervenne apertamente contro la rivoluzione).

La lotta di classe internazionale e interna si svolge su diversi terreni: mentre l’intervento militare esterno è immediatamente riconoscibile (negli anni ’50 o ’60 contro la Corea o il Vietnam, ad esempio) il ricorso al soft power lo è meno, è mascherato ed è più insidioso. Si vedano le rivoluzioni colorate.

Poiché la lotta per il socialismo non è un percorso spontaneo, naturale, ma richiede un’organizzazione cosciente, la lotta di classe sul terreno ideologico assume un’importanza fondamentale. Per questo i grandi maestri marxisti, da Marx ed Engels a Lenin, da Gramsci a Mao, hanno condotto una lotta incessante contro il revisionismo, contro la deviazione empiristica, contro il dogmatismo. Per questo Gramsci dedicò enormi energie alla battaglia sul terreno delle ideologie e della cultura e si pose con chiarezza l’obiettivo di dotare il proletariato di una propria visione del mondo autonoma dall’ideologia borghese.

Ed è qui la responsabilità storica dei dirigenti comunisti.

Stalin diceva che, una volta individuata la linea, i quadri decidono tutto. Il partito comunista non può basarsi su quadri che siano solo esecutori di direttive dall’alto. La disciplina è necessaria, come in ogni esercito in guerra, ma è necessaria al contempo piena consapevolezza e capacità di elaborazione autonoma, di comprendere correttamente il movimento della società, soprattutto perché la transizione implica una continua trasformazione sociale.

La vitalità o la sclerosi di un partito comunista – soprattutto quando è al potere – dipendono dalla partecipazione attiva e consapevole dei suoi quadri e di tutti i militanti. Il che significa che occorre dedicare energie e lavoro alla formazione culturale e ideologica. I comunisti non possono permettersi l’ignoranza. Nella lotta epocale intrapresa contro l’imperialismo e per creare l’ordine nuovo socialista hanno bisogno di tutta l’intelligenza, responsabilità, coraggio, spirito del collettivo.

Nella transizione al socialismo, soprattutto se essa si attua in paesi come Russia e Cina, che devono compiere contemporaneamente il passaggio dall’arretratezza alla modernità e sviluppare le forze produttive, la direzione culturale e ideologica è essenziale. Se, per sviluppare le forze produttive e uscire dall’arretratezza, è necessario importare sistemi e metodi industriali dell’Occidente capitalistico, bisogna evitare, però, di importare o scimmiottare acriticamente i modelli culturali occidentali: qui la lotta ideologica, il ricorso alle armi critiche del marxismo è fondamentale. È necessario che i lavoratori, le masse popolari si dotino di una propria autonoma visione del mondo innestando i valori socialisti sulla propria storia e cultura nazionale. Ciò è particolarmente importante per la formazione delle nuove generazioni, che non hanno vissuto i tempi eroici della lotta rivoluzionaria o quelli della prima fase di costruzione di un’economia socialista.

Costruire insomma un’autonoma cultura e civiltà per la transizione al socialismo, capace di innestare la critica marxista nella storia peculiare del proprio paese, rigettando il falso universalismo dell’ideologia neoliberista, è una delle sfide più importanti per la leadership cinese.

domenica 6 novembre 2016

Divieto di giustizia: i processi a Sabrina Misseri e Cosima Serrano si sono mostrati una contro-logica giudiziaria


Vincenzo Postiglione e Massimo Prati hanno scritto un articolo in cui smontano, tassello dopo tassello, la grottesca tesi accusatoria che ha fatto condannare due innocenti, Sabrina Misseri e Cosima Serrano, all’ergastolo. 
Si sono basati sugli atti, non sulle chiacchiere.
È la dimostrazione scientifica, oltre che dell'innocenza di Sabrina Misseri e Cosima Serrano, del fatto che la "giustizia" si fa guidare dal pregiudizio e dai teoremi inquisitori indimostrati, non pagando mai il fio della trasformazione della democrazia dei diritti in oligarchia castale. Sabrina e Cosima non sono Galileo e Giordano Bruno, ma quei giudici impuniti e "assassini" della vita delle persone assomigliano agli inquisitori e tagliagole del Medioevo. Rileggersi "I Diavoli di Loudun" di A. Huxley, e farne lettura obbligatoria per i concorsi moderni per diventare inquisitori.

Le motivazioni del giudice Susanna De Felice sono un cane che morde la sua stessa coda e rafforzano la certezza dell'innocenza di Sabrina Misseri e Cosima Serrano...


Quando sono uscite le motivazioni della sentenza d’Appello per l’omicidio di Sarah Scazzi ho lasciato cadere coltello e forchetta sul piatto e con occhi sgranati ho fissato lo schermo del televisore che proiettava l’immagine della giornalista del TG1 intenta ad annunciare la notizia. Finalmente, dopo più di 365 giorni – tempo irragionevole e indegno di una nazione civile come l’Italia, considerata la culla del Diritto – il giudice Susanna De Felice aveva consegnato le motivazioni delle condanne in cancelleria.

Leggendole mi sono definito un masochista, perché se si conoscono bene le carte non si può non rimanere angustiati e frustrati per le narrazioni fantasiose racchiuse in un faldone di 1200 e passa pagine, degne di chi è accusato di più stragi di mafia, atte a dimostrare qualcosa che alla luce di quanto emerso in dibattimento non c’è mai stato.

Cerchiamo di capirci qualcosa analizzando i vari punti.

COSIMA SERRANO ANDÒ AL LAVORO 
Vi ricordate la spada di Damocle messa sul capo di Cosima per più di cinque anni? Lei aveva dichiarato di essersi alzata attorno alle tre del mattino per recarsi al lavoro e di essere tornata alle 13:30. Ma i magistrati e i giudici di primo grado non le hanno creduto. Anzi, hanno fatto di questo dato il punto di forza dell’accusa perché dimostrava che Cosima era una bugiarda e quindi tutto quello che dichiarava corrispondeva al falso. Peccato, però, che la De Felice abbia contraddetto l’asseverazione del giudice Trunfio scrivendo, testuali parole: “Questa Corte, pur condividendo la valutazione di falsità che dell’alibi di Cosima Serrano è stata effettuata nella sentenza impugnata, ritiene di dover dar credito all'imputata con riferimento alla circostanza inerente lo svolgimento di attività lavorativa la mattina del 26 agosto 2010”.

Quindi Cosima non mentì quando disse che andò a lavorare e ai procuratori raccontò la pura verità. Perché contraddirla dandole della bugiarda? Ah, già…non possiamo dimenticare la testimonianza “de relato” di Anna Pisanò, la “supertestimone” della procura, la quale avrebbe appreso dalla collega di lavoro di Cosima dell’assenza in campagna della donna in quanto quel giorno i camion adibiti al trasporto del raccolto non sarebbero stati scaricati. Raccontò il fatto mesi dopo, quando collegò la confidenza al ricordo di non aver visto l’Opel Astra di Cosima parcheggiata davanti al cancello di via Deledda. La procura le credette sulla parola senza verificare né interrogare la collega di lavoro. Eppure il giudice De Felice ha almeno avuto il buonsenso di affidarsi, in questo caso, ai fatti: alla testimonianza del datore di lavoro della donna, nonché a colui che l’accompagnò a casa. Chi più di lui poteva sapere se fosse andata al lavoro? Visto che Cosima ha detto la verità, dovremmo ora supporre che a mentire sia stata la Pisanò...

IL MOVENTE
La De Felice si è tenuta fedele al mosaico dei moventi precedenti, anche se ne ha aggiunto uno alludendo ad un presunto segreto che, si badi bene, non è mai emerso. Enfatizzare la storiella della gelosia e le pagine di diario di un’adolescente, in cui si dice insicura del fatto che un uomo le piaccia o gli voglia bene come amico e che "odia" Sabrina perché non la fa più uscire con lei quando c’è lui, non è sufficiente, così come è irrilevante che abbia raccontato al fratello del rapporto sessuale interrotto fra la cugina e Ivano (a cui Sabrina stessa non diede peso, come dimostrato dalla serata del 21 agosto quando discutendone attribuì la colpa a Claudio e non alla cuginetta con cui andò poi al karaoke). Per condannare all'ergastolo bisogna dare una valida giustificazione a un litigio violento che per l'accusa sarebbe poi sfociato in efferato omicidio. Il giudice è ben consapevole che il litigio sarebbe potuto scaturire quella mattina, quando le cugine erano in casa sole e ci sarebbero stati più motivi per litigare, anziché nel pomeriggio quando con molta probabilità sarebbero state al mare con Mariangela. E sa benissimo che per coinvolgere e condannare Cosima per aver partecipato al delitto serve un movente valido. Allora si butta sulla psicologia spicciola e senza aver fatto fare alcuna perizia scrive che la donna sarebbe stata talmente inviperita dai problemi coniugali e dai controversi rapporti con la figlia, che Sarah avrebbe aggiunto due gocce... quelle giuste giuste per far traboccare il vaso. La prima goccia scaturirebbe dalle dichiarazioni di Concetta Serrano, in particolare nel fatto che Sarah stesse mostrando una certa autorità, autorità che avrebbe mandato in bestia la zia avvezza a sgridarla senza aspettarsi alcuna replica. La seconda si troverebbe in un presunto segreto che Sarah avrebbe minacciato di rivelare. Qual è il segreto? Secondo lo stesso giudice che ne scrive, non si sa e non importa di saperlo!

GLI ORARI E LA RICOSTRUZIONE DEL DELITTO
Quando Sarah Scazzi scomparve, l’unica informazione certa fu quella dell’orario in cui uscì da casa. I carabinieri e i procuratori avevano bisogno di sapere quando la ragazzina uscì per strada e per questo convocarono i testimoni principali, ossia coloro che quel giorno erano in casa Scazzi. Si parla di Concetta Spagnolo Serrano, la madre, Giacomo Scazzi, il padre, e Maria Pantir, la badante rumena che assisteva il nonno. Questi testi sentiti nell'immediato collocarono l’uscita di Sarah all'incirca alle 14:30. Più preciso fu il papà, che riuscì a fornire un lasso temporale circoscritto in circa 20-25 minuti, ovverosia dal momento in cui Sarah comunicò alla madre di aver ricevuto il messaggio della cugina Sabrina Misseri al momento in cui quest’ultima, arrivata a casa Scazzi, gli chiese se Sarah fosse ancora lì. Lui rimase costernato e subito le rispose: «Ma come non è arrivata? Se è uscita poco fa!». A dare conferma dell’orario furono i tabulati telefonici e le testimonianze di Sabrina Misseri e Mariangela Spagnoletti. Le dichiarazioni di ambedue, in particolare di Mariangela, sono dirimenti ai fini di stabilire gli orari.

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