Subaltern studies Italia

L’analisi e la classe - a cura di Ferdinando Dubla

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lunedì 29 maggio 2023

IL PADRE DI BARBARA

 

Barbara Balzerani, Lettera a mio padre, Derive e Approdi, 2020 - con prefazione di Vincenzo Morvillo /


 

IN NOMINE PATRIS

 

Ai livelli apicali dell’organizzazione BR degli anni 70 e 80 del Novecento italiano, oggi la Balzerani non scrive solo memorie o memorie traslitterate, ma si cimenta con la scrittura per l’interpretazione della realtà sociale e la sua trasformazione strutturale e perciò rivoluzionaria. Il suo ultimo lavoro tratta del lavoro. Schiavistico di oggi, nel neoliberismo dell’arcano della forma di merce in cui il rapporto umano è mediato-tediato dal denaro e rende gli esseri umani alienati. Per far questo, interloquisce con la figura trasfigurata nel ricordo del padre, il suo. Ma interloquisce anche con il suo padre ideologico -Karl Marx- e lo fa attraverso le Tesi di filosofia della storia di Walter Benjamin, un padre che però, appunto, non amava l’ortodossìa, ma l’azione politica che aggiornava la teoria perchè irrompeva nella storia.

Tra i limiti di una passata appartenenza ortodossa anche quello di non aver compreso che la teoria critica marxista non può avere ortodossia, pena lo scollegamento con la realtà sociale che si dice di voler trasformare in senso rivoluzionario. È quanto può leggersi implicitamente in filigrana in questo ultimo libro della Balzerani. / fe.d.

 

/scheda/

 

"Lettera a mio padre" parla di lavoro, così cambiato dall’epoca delle mitiche tute blu, di quel lavoro operaio e delle mani che oggi sembra scomparso. Con la progressiva diminuzione del lavoro artigiano ciò che è andato perduto è, infatti, un immenso patrimonio di conoscenze e di pratiche, di gesti e di attività via via incorporati nelle macchine. Il racconto di Barbara Balzerani – autrice conosciuta, certo, per le vicende legate alla sua militanza politica, ma amata anche per la sua poetica capace di tradurre in forma letteraria temi complessi – è un dialogo immaginario tra una figlia e un padre, alla ricerca di una via di uscita dal nichilismo dell’astrazione delle merci che sovrasta le relazioni sociali contemporanee. Una rilettura dei cambiamenti che il capitalismo ha indotto nel mondo del lavoro e, in contraltare, di quelle forze vive che continuano a contrapporsi.

 

Una scelta che il padre non ha mai potuto comprendere

 

- Barbara, come Benjamin, ci dice di spezzare la linearità fisica del Tempo. Di sparare agli orologi. Di interrompere l’accumulo progressivo di futuro tramutatosi in accumulo sviluppista di produzione al presente. Altro che sviluppo delle forze produttive! Siamo ormai giunti nel regno dell’ombra di Mordor. Dominato da un bifronte Sauron-Rolex, Signore degli orologi. Il cui volto vorace assomiglia a quello di un Amministratore Delegato. Una Mordor neoliberista, dove macchine/orchi di odierni Talo hanno divorato la creatività umana del lavoro, trasformando gli stessi individui in alienati profili avatar, deprivati di spazio vitale. Macerie di corpi su macerie di corpi, nel segno dell’ideologia tempestosa del progresso. Solo nuovi angeli o nuovi barbari rivoluzionari potranno redimere il passato e riscattare le generazioni oppresse della Storia, è Marx stesso a dircelo, dopotutto. E ancora, Tesi 11: (+) Il programma di Gotha reca già tracce di questa confusione. Esso definisce il lavoro come «la fonte di ogni ricchezza e di ogni cultura». Allarmato, Marx ribatte «che l’uomo non possiede altra proprietà» che la sua forza-lavoro, «non può non essere lo schiavo degli altri uomini che si sono resi... proprietari». Ciononostante la confusione continua a diffondersi, e poco dopo Josef Dietzgen proclama: «Il lavoro è il messia del tempo nuovo. Nel... miglioramento... del lavoro... consiste la ricchezza, che potrà fare ciò che nessun redentore ha compiuto». Questo concetto della natura del lavoro, proprio del marxismo volgare, non si ferma troppo sulla questione dell’effetto che il prodotto del lavoro ha sui lavoratori finché essi non possono disporne. Esso non vuol vedere che i progressi del dominio della natura, e non i regressi della società; e mostra già i tratti tecnocratici che appariranno più tardi nel Fascismo. Fra cui c’è anche un concetto di natura che si allontana funestamente da quello delle utopie socialiste anteriori al ’48. Il lavoro, come è ormai concepito, si risolve nello sfruttamento della natura, che viene opposto – con ingenuo compiacimento – a quello del proletariato. A suo padre, che dei padroni e della fabbrica ha voluto fare a meno per tutta la vita, credendosi e sentendosi libero del suo tempo, Barbara rimprovera l’ingenua illusione di una fede nel progresso e nel lavoro che, malgrado tutto, avrebbe dovuto riscattare una povertà dignitosa ma fredda. Vincenzo Morvillo / fine estratto

 

(+) Walter Benjamin, le cui Tesi di Filosofia della Storia intridono tutto il libro di Barbara.

 

Nel post del blog abbiamo riunificato i post della pagina e aggiunto stralci dal libro

 

Stralci dal libro

 

Marx dice che le rivoluzioni sono la locomotiva della storia universale. Ma forse le cose stanno in modo del tutto diverso. Forse le rivoluzioni sono il ricorso al freno d’emergenza da parte del genere umano in viaggio su questo treno. Walter Benjamin

 In linea di principio un facchino differisce da un filosofo meno che un mastino da un levriero. È la divisione del lavoro che ha creato un abisso tra l’uno e l’altro. Karl Marx

 

 

Faglie potenti si sono aperte tra avanzate e ritirate. Dal Rojava al Chiapas, dal confederalismo democratico allo zapatismo, lingue e tradizioni diverse si sono mescolate e rafforzate su un’idea di società basata sull’autogoverno. L’eco delle rivendicazioni risuonano tra i continenti, arricchendosi di esperienze diverse, rimbalzando dagli indios e dalle città del sud America ai valligiani di Susa, ai combattenti curdi del partito dei lavoratori. Alla resistenza di baschi e catalani di cui si può leggere la storia seguendone le tracce nei luoghi della memoria delle città, ascoltandone nella lingua d’origine il filo dei racconti che tengono viva una lunga tradizione antifascista, di lotta per la giustizia sociale, per la libertà dei prigionieri politici.

 

Chi sono? Sono quelli che non si arrendono perché debbono raccontare la storia dei vinti, mai sconfitti. Sono l’insurrezione che ritorna dalle profondità della terra, dalla periferia della modernità.

 

 

Che ne dici? Anch’io ho creduto che questi automi ci avrebbero liberato dalla fatica come se le tecnologie fossero neutrali e buone di per sè. C’è voluto il deragliamento delle locomotive rivoluzionarie del ‘900 per ricominciare a ripensare altri modi di vita collettiva, soprattutto grazie al protagonismo delle periferie dei tanti sud. Quelle che più hanno pagato i costi di un progresso che ha viaggiato alla velocità necessaria a infettare il mondo con la pandemia del «lavora, consuma, crepa».

 

La divisione del lavoro è stata necessaria per rendere più redditizia la produzione, assicurandosi lavoratori manuali impossibilitati di governarne il processo, costretti alla ripetitività di un’unica mansione. È uno strumento di potere e la tecnica c’entra poco e niente. Questo tu lo sai bene ma hai preferito pensare di non essere stato sotto il suo dominio. Hai preferito pensarti libero raccontando di esserti sottratto alla sua maledizione, solo perché non hai mai creduto fosse possibile combatterla e uscirne vivo. Altri hanno osato, hanno vinto, hanno perso ma sempre secondo il principio rivoluzionario che l’abolizione della divisione del lavoro sia un cacciavite tra i più efficaci per sabotare il comando e lo sfruttamento.

 

È la storia della lotta di classe quando si esauriscono le possibili mediazioni e si intravede una strada di ritorno a un riscatto di dignità. Narrata senza risparmio di paradossi nella descrizione di personaggi, che sono sempre altro perché è il padrone a decidere anche del sesso di chi è costretto a cercarsi un lavoro e di impatto con lo strozzinaggio sulla loro miseria esercitato da banche e finanza.

 

 

#BarbaraBalzerani #letteramiopadre 

 

a cura di #SubalternStudiesItalia

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sabato 27 maggio 2023

DALLA PROSA del MONDO alla PROSA DELLA STORIA TO BACK. RANAJIT GUHA TRIBUTE - রণজিৎ গুহের প্রতি শ্রদ্ধা Raṇajiṯ Guha prati śrad'dhā

 

[Secondo Hegel] “I gradi descrivono la trasformazione della prosa del mondo nella prosa della storia come progresso dello spirito verso la libertà e l’autocoscienza”. +

- Il tentativo dello storico Ranajit Guha di portare le storie delle classi subalterne all'interno della corrente principale degli studi storici, si confronta con il pensiero di Hegel e le sue categorie di ‘prosa del mondo’ e ‘prosa della storia’. Compulsando il filosofo tedesco sulla filosofia della ‘storia del mondo’, (Guha prende in esame in particolare Estetica, II, Einaudi, 1997, pp.1088-1106 e le Lezioni sulla filosofia della storia, La Nuova Italia, 1941, pag.167 e passim, le edizioni più vicine a quelle cui lo storico indiano si avvale, Lectures on the Philosophy of World History, a cura di H.B. Nisbet, Cambridge University Press, 1975-1982) se non c’è storia senza costruzione dello Stato, tappa cruciale del cammino dello spirito verso l’autocoscienza, i popoli subalterni, coloniali, dominati dagli Imperi, sono fuori della ‘prosa della storia’, sono popoli senza storia, costituiscono la ‘prosa del mondo’, esseri ‘alienati’ e ‘frammentati’. La ‘spiritualizzazione’ della storia, identificata con lo stesso progresso lineare, pur carico di tensioni e conflitti, è completa. Ma la contraddizione hegeliana, secondo Guha, esclude il processo di riconoscimento: “La prosa del mondo in cui gli esseri umani si rendono intellegibili gli uni agli altri nel corso della loro lotta quotidiana per il riconoscimento reciproco si impregna quindi di storicità”. (cfr.  Guha, La storia, cit. pag.38).

 

- Una nuova narrazione dei subalterni, nella forma del collettivo di ricerca, che va oltre lo "statalismo" fino all'essere-nel-mondo quotidiano, alle fonti di un narrare dominante che lascia ‘tracce subalterne’ per chi le sa seguire, (+1) (+2) alla riappropriazione della propria ‘presenza’ storica e la conquista della coscienza di classe con l’insorgenza.

Viene chiamata infatti ‘prosa della controinsurrezione’ - controinsurgencia - la narrazione delle classi dominanti contro l’insorgenza delle classi subalterne, che si manifesta in diverse forme e modi riferiti alle specifiche connotazioni politico-culturali con cui si struttura il dominio senza egemonia.

 

 + Guha, Ranajit Guha, La storia ai limiti della storia del mondo - con un testo di Rabindranath Tagore e Introduzione di Massimiliano Guareschi, Sansoni, 2003, pag.49.

 

+1. “un grande acume nell’interpretazione delle fonti quanto mai necessario per chi si arrischia nel difficile compito di scrivere la storia dei Subalterni sulla base degli archivi prodotti dai dominatori. I subalterni infatti, per definizione, non producono le proprie fonti; di esse parlano le fonti di chi cerca di mantenerli in uno stato di soggezione. Eppure Guha è riuscito a riconoscere la soggettività dei subalterni negli archivi e nei racconti dei dominatori. Queste tracce sono state lasciate dai subalterni proprio nel momento in cui hanno scelto di rovesciare l’ordine che li condannava alla miseria e alla sottomissione.”, Paolo Capuzzo, da Gramsci, le culture e il mondo, Viella 2009, ed. e.book, pos.384 di 3249.

+2. Nel delineare una metodologia di analisi delle fonti, Guha si affida ai risultati della linguistica così da poter decrittare l’intero corpus degli scritti storiografici per andare oltre l’aura ingannevole di «perfetta neutralità». La critica ha origine nell’«esame delle componenti del discorso, veicolo di ogni ideologia», e quindi dall’individuazione dei segmenti, classificati secondo la loro finalità in funzioni– ruolo indicativo – e indizi– ruolo interpretativo. Successivamente, attraverso un’operazione metalinguistica, si assegna un nome ai diversi segmenti; emerge in questo modo la struttura narrativa del discorso storico e l’intreccio tra il carattere metonimico – il racconto dei fatti – e quello metaforico di elaborazione. La decostruzione e l’analisi sequenziale consentono così di individuare tra le «fessure del tessuto narrativo» il codice della controinsurrezione e la conseguente distorsione della storiografia. - Anna Cerchi, Ranajit Guha e i Subaltern Studies: fonti e metodi della storiografia subalterna, su Academia.edu

Il narratore della storia subalterna si appropria del proprio oggetto storico attraverso un processo di inversione e di presa di coscienza negativa: l’essere subalterno si manifesta nello spazio di antagonismo delineato dalla coscienza ufficiale e colonialista, e ciò che ne emerge è una “immagine catturata in uno specchio deformante”, precisamente «image caught in a distorting miror»,

Ranajit Guha, Elementary Aspects of Peasant Insurgency in Colonial India, Delhi, 1983, Oxford University Press, pag.333

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martedì 23 maggio 2023

SUBALTERN STUDIES ITALIA SALUTA RANAJIT GUHA

 

23 maggio. Omaggio ad un maestro.



LO STORICO INDIANO RANAJIT GUHA fondatore dei Subaltern studies (1982) + è morto in Austria il 28 aprile scorso. Oggi avrebbe compiuto 100 anni.

- Alle classi subalterne non spetta un posto nella storia, sono la storia. Il dominio “senza egemonia” è prosa della storia, il disegno hegeliano di ‘astuzia della ragione’, dominio occidentale nella storia, coloniale e razzista, quelle delle élites dirigenti e della loro controinsurrezione. L’insorgenza dei subalterni è la prosa del mondo dei popoli senza storia, che si riappropriano della storia del mondo. Cioè della loro storia. Nelle società postcoloniali senza mediazione politico culturale delle classi dominanti, si sviluppa il processo rivoluzionario contro il sistema imperialista del colonialismo capitalista. È la battaglia per l’egemonia per sconfiggere il dominio senza egemonia (Dominance Without Hegemony) di Gramsci, il filosofo marxista che con il Quaderno 25, scritto a Formia dal 1934, sviluppa le fondamenta della teoretica rivoluzionaria e pone il tema dei subalterni. /

 

Le premesse. La voce dell’insurrezione è la voce delle classi contadine.

 

Le nostre simpatie andavano al movimento contadino che si ispirava alla rivoluzione cinese e alle idee di Mao Tse-tung. Noto come movimento Naxal (da Naxalbari, il distretto rurale dove si era formato), esso fu schiacciato dagli sforzi congiunti del Congresso e dei due partiti comunisti in una serie di feroci operazioni repressive tra il 1968 e il 1971.

Ranajit Guha, Omaggio ad un maestro, da: Gramsci le culture e il mondo, a cura di Giancarlo Schirru, Viella, 2009, in collaborazione con Fondazione Istituto Gramsci onlus e International Gramsci society Italia, cit. da 1ed. e.book 2011 /

- Oltre che nei passaggi in cui vengono riportate le dichiarazioni dei ribelli, la mentalità che si cela dietro all’insurrezione emerge anche in maniera più sottile e recondita: la subalternità è un concetto topologico, una posizione fisica che affiora dai confini escludenti della presenza, e quindi della scrittura, dominanti. Nei documenti si profila una sorta di dipendenza e complementarietà dialettica tra le due parti in causa (cfr. Ranajit Guha, Elementary Aspects of Peasant Insurgency in Colonial India, Delhi, 1983, Oxford University Press, pag.15). /

 

L’anno di nascita dei Subaltern studies può essere considerato il 1982 con la pubblicazione di Ranajit Guha “Writings on South Asian History and Society” (1.) - Scritti sulla storia e la società dell'Asia meridionale, Delhi: Oxford University Press. L’opera Elementary Aspects of Peasants Insurgency in Colonial India (1983) è il risultato dell’applicazione dei presupposti teorici del primo periodo del collettivo (1982-89). La forma del collettivo di ricerca è metodo e sostanza di studio e  lavoro collaborativi, resa funzionale alla nuova narrazione dei gruppi sociali subalterni. / fe.d., in memoria di Ranajit Guha, 23.05.2023

La pagina dedicata a Ranajit Guha nella sezione Subaltern studies Italia di Lavoro Politico - web http://lavoropolitico.it/subaltern_studies_storia.htm

Tag.: #RanajitGuha #SubalternStudies #SubalternStudiesItalia

In questo blog trovi anche:

I ‘POPOLI SENZA STORIA’: PROSA DEL MONDO O PROSA DELLA STORIA

 

IL DOMINIO SENZA EGEMONIA. GRAMSCI e GUHA

 


RANAJIT GUHA E I SUBALTERN STUDIES

 


Ranajit Guha: l”adattamento” di Gramsci nei Subaltern studies

 


Alle origini dei Subaltern Studies: come nacquero dai margini di Gramsci










martedì 16 maggio 2023

IL CONVEGNO DI MATERA DEL 6 FEBBRAIO 1955: ROCCO SCOTELLARO, INTELLETTUALE DEL MEZZOGIORNO

 

IL RAPPORTO TRA PANZIERI E SCOTELLARO


Non abbiamo aspettato gli anniversari: per noi studio e ricerca su Rocco Scotellaro, intellettuale meridionale ’organico’ alle classi subalterne, di tipo e impostazione gramsciani, è un impegno permanente. Ma anche quello su Raniero Panzieri, nel metodo e nel merito. Nel metodo dell’inchiesta sociale e la ricerca collettiva, la ‘conricerca’, con i soggetti stessi dell’indagine autori della propria storia fuori la mediazione delle classi dominanti e l’indispensabile aggiornamento sulla composizione di classe per la soggettività rivoluzionaria. Nel merito di una concezione di democrazia sociale integrale, diretta e rappresentativa insieme, a partire dai luoghi di lavoro, connettendosi al Gramsci consiliarista dell’Ordine Nuovo e oggi di estrema attualità come contrapposizione ai modelli imperialistici e nazionalisti. Dunque continueremo a offrirvi materiali storici crediamo indispensabili per continuare l’analisi subalternista. / fe.d.

 

- In qualità di responsabile della sezione stampa e propaganda del PSI, tra il settembre del 1954 e il febbraio del 1955, Raniero Panzieri organizza tre convegni: “Sulla difesa del cinema italiano” (Venezia), “Per la libertà della cultura” (Bologna) - entrambi nel settembre 1954 - “Rocco Scotellaro intellettuale del Mezzogiorno (Matera, 6 febbraio 1955), introdotto dalle relazioni di Carlo Levi, Franco Fortini, e concluso dallo stesso Panzieri che poi ne scrisse su ‘Mondo operaio’ in collaborazione con Pietro Nenni.

 

IL CONVEGNO DI MATERA DEL 6 FEBBRAIO 1955: ROCCO SCOTELLARO, INTELLETTUALE DEL MEZZOGIORNO

Promosso dal Partito Socialista Italiano in occasione del primo anniversario della morte.

A introduzione della discussione vi furono le relazioni di Vincenzo Milillo, “Vita di militante di Rocco Scotellaro”; Carlo Levi, “Cultura e contadini in Rocco Scotellaro”; Franco Fortini, La poesia di Rocco Scotellaro”, poi pubblicata nel volumetto dallo stesso titolo, Basilicata Editrice, Roma, 1974. Il programma prevedeva anche una relazione di Raniero Panzieri (“Scotellaro, gli intellettuali e la rinascita del Mezzogiorno”) che però rinunziò a svolgerla, ricomprendendola nelle sue conclusioni al Convegno. Alla presidenza era Tommaso Fiore. Come risulta dallo scritto di Giovanni Pirelli (“Il dibattito sull’opera di Rocco” in “Mondo operaio” nr.4 del 19 febbraio 1955, pp.4-6), nel corso della discussione presero la parola Luigi Anderlini, Carlo Muscetta, Vincenzo Tarricone, Muzio Mazzocchi Alemanni, Mario Alicata, i contadini Andrea Di Grazia (democristiano e protagonista di una delle biografie raccolte da Scotellaro) e Zazo (segretario della sezione socialista di Tricarico), A.M.Cirese. In occasione del Convegno venne organizzata a Matera una mostra di opere di Carlo Levi e Renato Guttuso, dedicate al Mezzogiorno; vennero proiettati anche il film “La terra trema” di Luchino Visconti, il documentario di Giulio Petroni sulla pittura di Guttuso e Levi, e quello di Carlo Lizzani, “Qualcosa è cambiato nel Mezzogiorno”.

Del Convegno non vennero pubblicati gli Atti; gli fu invece dedicato quasi per intero (pp.1-12 e 17-20) un fascicolo del quindicinale del PSI, “Mondo operaio” (VIII, nuova serie, nr.4, ivi). Il fascicolo contiene un lungo editoriale ( “Il meridionalismo di Scotellaro", pp.1-3) firmato M.O. ma scritto da Raniero Panzieri e comparso poi con la sua firma sull’”Avanti!” del 20 febbraio 1955.

 

- Il Convegno di Matera ebbe una certa risonanza sulla stampa nazionale e locale, di sinistra e di destra. Una lista delle cronache e dei commenti (non priva però di qualche lacuna) può ricavarsi dalla meritoria bibliografia scotellariana di Franco Vitelli, più avanti citata. Particolare segnalazione tra gli altri commenti merita quello di M. Alicata, Da Bologna a Matera: Lotte e idee nelle campagne ( prima in ‘Il Contemporaneo’, II, nr.8, 19 febbraio 1955, e poi nel volume dello stesso Alicata, La battaglia delle idee, Editori Riuniti, Roma 1968, pp.83-86), in cui si giudica che, in ragione del preciso collegamento tra ‘politica’ e ‘cultura’, il dibattito di Matera abbia fatto avanzare “d’un bel passo” l’indagine critica sull’opera di Scotellaro come poeta e come rilevatore di biografie contadine. 

Il dibattito di Matera si intreccia naturalmente con le più ampie discussioni allora in corso sul tema (e l’ideologia) della ‘civiltà contadina’, così strettamente collegato con “Cristo si è fermato ad Eboli” (e gli altri lavori di Carlo Levi), e con “Contadini del Sud” o più in generale con l’opera poetica di Scotellaro. 

·         Alcuni degli scritti più sopra menzionati sono stati ristampati (con criteri di scelta e di ordinamento non sempre chiarissimi) nel volume Omaggio a Scotellaro (Lacaita editore, Manduria, 1974) a cura di Leonardo Mancino; alle pp. 797-815 il volume contiene un’ampia bibliografia cronologica curata da Franco Vitelli. 

·          

 - estratto redazionale #SubalternStudiesItalia da Alberto Mario Cirese, Intellettuali, folklore, istinto di classe - Note su Verga, Deledda, Scotellaro, Gramsci, Einaudi, 1976, pp. 139-141

 

Cfr. anche Alberto Mario Cirese, Per Rocco Scotellaro: letizia, malinconia e indignazione retrospettiva, scritto per gli “Annali di San Michele”, nr. 18, 2005, pp. 201-233

http://www.etesta.it/materiali/2018_2019_amc_SCOTELLARO2005.pdf

In questo scritto, in cui Cirese intreccia molti ricordi personali, sono esplicitati numerosi particolari sulle 'stroncature' del critico letterario del PCI Carlo Muscetta (il più critico, insieme al posteriore Alberto Asor Rosa, dell'opera del poeta e intellettuale di Tricarico, con stile alquanto altezzoso, molto più dello stesso Alicata, che a Matera ebbe modo di chiarire la sua posizione politico-culturale con toni di profondo rispetto) e sul controverso rapporto con Ernesto de Martino, sebbene nel suo scritto documentato, minuzie (o che appaiono tali) diventano troppo giganti e 'dietrologiche'. Sicchè bisognerebbe rendere contestuale il rapporto fra lo stesso Cirese e l'etnologo napoletano.  

 

Panzieri-Scotellaro, ‘Mondo Operaio’ nr. 4 del 19 febbraio 1955 sul convegno di Matera del 6 febbraio estratto - - -

 


CONTADINI come SOGGETTO CULTURALE e POLITICO / l’autonomia e la “rabbia appassionata” tit. #SubalternStudiesItalia

 

- Nello sforzo di avvicinare ed esprimere il momento drammatico della rottura con il passato ed il risveglio alla storia nazionale e alla lotta del mondo contadino, gli intellettuali recano un contributo decisivo alla formazione della cultura nazionale. In questa consapevole tendenza, attraverso e al di là delle inevitabili incertezze, è la lezione esemplare dell’opera di Rocco Scotellaro.

Nel moto di rinascita mutano dunque profondamente i rapporti tradizionali tra contadini e intellettuali.

Dietro la «rabbia appassionata» dei contadini oppressi del Sud nei confronti degli intellettuali di cui parlava Gramsci, in particolare nei confronti della piccola borghesia intellettuale del Mezzogiorno c’era il «mistero» della cultura come strumento indispensabile ed inaccettabile di vita e di oppressione insieme. Ma sempre in. questa «rabbia appassionata » c’è stata l’aspirazione alla conquista della cultura, della autonomia. Questa conquista diviene possibile nel momento in cui presso le masse contadine si forma la coscienza precisa dei loro problemi e delle loro rivendicazioni, in cui cioè questi problemi vengono da esse riconosciuti nel loro valore obiettivo e collettivo e nel nesso con le altre questioni del Paese.

Questo riconoscimento positivo, questo inserimento della vita e delle esigenze del mondo contadino nella società nazionale, è per le masse rurali conquista, certo faticosa, di una propria nuova autonomia e con essa trasformazione della «rabbia appassionata» verso la cultura in rivendicazione e amore positivo di cultura. (..)

I contadini del Sud — è stato detto a Matera ed è stato dimostrato dalla profonda serietà dell’incontro tra contadini e intellettuali — sono forza matura e capace ormai di far propria e di sostenere questa lotta, con lo slancio e il disinteresse insieme che essa richiede. Le masse meridionali sanno ormai che l’affermazione della loro autonomia può e deve anche realizzarsi in forme precise e sempre più mature nella difesa e nello sviluppo della cultura, sostanza ed arma della loro richiesta di libertà.

Raniero Panzieri (e Pietro Nenni)

 

fonte: https://salvatoreloleggio.blogspot.com/2019/07/il-meridionalismo-di-scotellaro-pietro.html?fbclid=IwAR0OxD3TV55LPvwLGKbA8tuVUlm5SKz44iRTkgKPS0ex4kJd9EwEf2E90Xo

 




Tag.: #RoccoScotellaro #RanieroPanzieri

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sabato 6 maggio 2023

IL CIELO IN UNA GABBIA: il volo della Faranda

 

le stelle sono lacrime che piangono la mia rabbia - pagherete caro pagherete tutto.

                Poi un lungo canto indiano che parlava di appartenenza alla terra, di diritti inviolabili, di libertà.

                Zoraima si assopì leggermente, come sul bordo del mare, lambita dalle onde gelide dell'inquietudine. In quel luogo di transizione, di non appartenenza, tra un passato d'acqua ed un futuro di sabbia, ritrovò il silenzio.

 

 


Un silenzio di limbo, evanescente e compatto come la nebbia. Zoraima se ne lasciò avvolgere, e galleggiò nel tempo. A distanza, dalle brume della memoria, emergevano come fantasmi sottili altri silenzi dell'anima, altre sospensioni di vita. Momenti accecanti ed interminabili dove la forza della volontà aveva prevaricato i dubbi, azzerato la potenza dei sentimenti per poter irrompere violentemente nell'esistenza di altri. Nel nome della guerra. Quando era necessario indossare uno sguardo privo di emozioni, rendere imperscrutabili i gesti, convivere con la paura. Temere il silenzio.

                C'è un confine non ben definito tra la paura e il silenzio.

 

 Nel corridoio deserto cominciavano ad inclinarsi i raggi della sera. Una macchia sul muro aveva la forma di un ulivo. Ne rivide l'argento, appena scapigliato dalla brezza lieve del mare. Ne riascoltò il mormorio di saggezza, la solitudine austera fra le pietre. Riconobbe il flusso lento della nostalgia, il desiderio struggente di ritrovare i profumi delle erbe selvatiche nell'alito ancora caldo della terra. Rimase immobile, il suo respiro leggero segnava piccole orme sul percorso del tempo. Una tenue malinconia si sparse e galleggiò nell'aria, posando le mani sulle cose.


 Una farfalla senza colore passò nello spettro della finestra, come nella penombra della sera passa, incerto, un ricordo. Senza meta. Senza confusione di orizzonti. Errabonda, scolorita e lontana.

                In quello smarrimento di valori e di affetti, provò il bisogno di librarsi nellaria e di volare via, e il suo rifugio tornò ad essere il sogno.

 

 Scesero in cortile allultimo quarto dora, in un nitore gelido di venti. Zoraima indagò il cielo, che splendeva di un azzurro intenso, solcato a tratti dai gabbiani. Le sembrò di vedere la propria anima che svolazzava. Come una farfalla. Tirò un respiro profondo, chiuse gli occhi e si inondò di luce.

 

“La prerogativa dei morti è di poter essere immaginati, pensò. Niente più rincorse affannose con la vita, niente più passaggi obbligati alle forche caudine della realtà. La morte può soddisfare il desiderio di infinito, può ibernare i sogni e può consegnarli al privilegio dell’eternità.”



“E tu, perché non ci hai avvertiti, Calcante, della potenza che si sprigiona dall’uomo disarmato? Avremmo potuto affilare il pensiero, e non le spade. Saremmo stati più forti. Perché la guerra sottrae. Sottrae all’ingegno l’arte della vita. E nella guerra era finita per sempre.”


“Ma quella zona d’anni, nella penombra ventosa della sua anima, sarebbe rimasta per sempre. Perché la terra insieme alla quale hai avuto freddo, quella, non potrai mai più fare a meno d’amarla.

E forse, dietro di lei, silenziose farfalle si levavano ancora verso il cielo. Dal buio delle finestre e dai cortili invisibili, silenziose e leggere. In cerca di sguardi… Forse.”

 

Passi di

Il volo della farfalla

Adriana Faranda

https://itunes.apple.com/WebObjects/MZStore.woa/wa/viewBook?id=0

 

Adriana Faranda, Il volo della farfalla, Rizzoli, 2006 


Il libro è la narrazione degli anni che l'autrice ha trascorso in carcere dopo la tragica stagione del terrorismo. Adriana Faranda parla delle durezze, molte, e delle accensioni di umanità, poche, della vita di prigione, racchiuse in racconti unici e forti, carichi di orgoglio, passione e dolore. Protagoniste sono alcune carcerate: in primo luogo Zoraima che, forte e attaccata alla vita, non si sottrae alle sue responsabilità e osserva dalla cella il flusso del tempo assumere la forma delle storie strozzate di altre donne, come Helianta e la sua rabbia resa muta dalle sbarre, oppure Godezia la zingara, strappata al suo paese e destinata a non trovare più una patria. Hanno nomi di fiori, per evocarne profumi e veleni.

 

 



citazioni da e.book formato Apple iPad per Blurb

 https://it.blurb.com/b/7363450-il-volo-della-farfalla

 

Adriana Faranda l’ho incontrata per la prima volta in carcere, nel gennaio del 1985. In precedenza avevo seguito per il mio giornale i processi per la strage di via Fani. E in aula l’avevo ascoltata rispondere alle domande e ammettere le sue responsabilità con dolore e dignità. Quando le parlai nella sala colloqui di Rebibbia, mi colpì subito per la sua fierezza e per la sua ironia. E per la sua capacità di riconoscere di aver sbagliato, già in quegli anni non ancora percorsi dallo spirito della riconciliazione. Mi intrigò per quel che le riconoscevo: lei che aveva avuto gli stessi ideali di giustizia della mia generazione, che aveva sognato di cambiare il mondo come migliaia di giovani suoi e miei coetanei, era invece entrata a far parte della lotta armata. E aveva accettato di praticare la violenza. Contro le persone, ridotte a ruoli, a categorie da colpire, e non più esseri umani con i loro affetti, i loro desideri e le loro speranze. Aveva sparato e fatto parte delle Brigate rosse, ma aveva ormai compreso che l’ideologia cieca e assoluta non era servita a niente. Mentre aveva ottenuto l’effetto opposto. Aveva distrutto “la vita”: quella degli altri e la sua.

dalla prefazione di Silvana Mazzocchi a Nell’anno della tigre - Storia di Adriana Faranda, Feltrinelli, 2015, cit. da e.book

 

Ogni giorno io riattraverso la mia vita, volente o nolente, e ciò che sono stata preme come un aculeo doloroso dentro di me. Emergono nuovi frammenti di senso e la memoria riprende anima e corpo, di nuovo viva, in un processo che non conosce fine.

Adriana Faranda, 2015 cit., ivi, pos 38 di 3517



René Magritte, La condizione umana I e II (1933-1935)



martedì 2 maggio 2023

STUDI SUBALTERNI IN AMERICA LATINA - Latin American subaltern studies group

 

Studi subalterni latino-americani è stato un gruppo fondato nel 1992 da John Beverley e Ileana Rodríguez. Ispirato al gruppo Subaltern Studies asiatico del Sud, il suo obiettivo era quello di applicare una prospettiva simile agli studi latinoamericani. Si è trattato di uno dei più importanti sviluppi recenti all'interno degli studi culturali latinoamericani, anche se alla fine il gruppo si è disciolto  a causa di differenze interne, sia scientifiche che politiche.

 

 

dall’introduzione e scheda redazionale di The Latin American Subaltern Studies Reader - edited by Ileana Rodríguez - Duke University Press, Durham and London 2001

traduzione a cura di #SubalternStudiesItalia

 

-Altri: Lingue, Imperi, Nazioni è una serie critica. Essa mira ad esplorare l’emergere e le conseguenze dei concetti utilizzati per definire l’America Latina, esplorando allo stesso tempo l’ampio spettro di pratiche politiche, economiche e culturali che hanno plasmato i mondi latinoamericani. L’America Latina, al crocevia di progetti imperiali concorrenti e risposte locali, è stata interpretata come entità geopolitica fin dal XIX secolo. Questa serie fornisce un punto di partenza per ridefinire l’America Latina come configurazione di intersezioni politiche, linguistiche, culturali ed economiche che richiedono una continua rivalutazione del ruolo delle Americhe nella storia, e del processo in corso di globalizzazione e del trasferimento di persone e culture che hanno caratterizzato l’esperienza dell’America Latina. Altri: Lingue, Imperi, Nazioni è un forum che si confronta con costruzioni geoculturali stabilite, che ripensa studi di area e confini disciplinari, che valuta le convinzioni dell'accademia e dell'ordine pubblico, e che, corrispondentemente, richiede che le pratiche attraverso le quali produciamo conoscenza e comprensione su e dall'America Latina siano sottoposte a rigoroso controllo critico. Il lettore di “studi subalterni latinoamericani”, curato da Ileana Rodríguez, raccoglie diversi documenti significativi emersi da quasi dieci anni di lavoro e dibattiti generati dal gruppo di studi subalterni latinoamericani. Questo volume porta una nuova prospettiva al lavoro intellettuale e politico che ridefinisce indirettamente gli studi di area e i paradigmi degli studi culturali. Introduce inoltre nuovi problemi all'interno dell'agenda modellata negli ultimi trentacinque anni dall'Associazione Studi Latinoamericani.

- Nella nostra serie, “The Latin American Subaltern Studies Reader” introduce una dimensione teorica che speriamo di poter sviluppare. Proprio nel momento in cui la riorganizzazione globale sta costringendo il riordinamento regionale (nafta, mercour), e che trentatrè milioni di “ispanici” vivono negli Stati Uniti, la necessità di immaginare e teorizzare l’’Altra’ America Latina è più che un imperativo scientifico. È principalmente una necessità intellettuale, etica e politica.

 


Ileana Rodríguez (ed.), The Latin American Subaltern Studies Reader (Durham, North Carolina: Duke University Press, 2001). /Scheda/

Condividendo una simpatia postrivoluzionaria per le lotte dei poveri, i contributori a questa prima raccolta completa di scritti sulla subalternità in America Latina lavorano per collegare attivamente politica, cultura e letteratura. Emergendo da un decennio di lavoro e dibattiti generati da un collettivo noto come Latin American Studies Group, il volume privilegia la categoria del subalterno rispetto a quella della classe, in quanto i contributi si concentrano sulle possibilità di indagare la storia dal basso.

Oltre a una panoramica di Ranajit Guha, gli argomenti del saggio includono l'igiene del diciannovesimo secolo nei paesi dell'America Latina, Rigoberta Menchù dopo il Nobel, i commenti sulle questioni haitiane e argentine, il rapporto tra genere e razza in Bolivia, l'ingovernabilità e la tragedia in Perù. Fornendo una critica radicale della cultura d'élite e delle epistemologie e dei progetti liberali, borghesi e moderni, i saggi qui inclusi dimostrano che gli studi subalterni latinoamericani sono molto più della semplice traduzione di studi subalterni dall'Asia meridionale all'America Latina.

 

Contributori. Marcelo Bergman, John Beverley, Robert Carr, Sara Castro-Klarón, Michael Clark, Beatriz González Stephan, Ranajit Guha, María Milagros Lépez, Walter Mignolo, Alberto Moreiras, Abdul-Karim Mustapha, Josè Rabasa, Ileana Rodrìguez, Josefina Saldaúa-Portillo, Javier Sanjinás, C. Patricia Seed, Doris Sommer, Marcia Stephenson, Ménica Szurmuk, Gareth Williams, Marc Zimmerman.

 

Ileana Rodrìguez (1939 in Chinandega, Nicaragua), docente emerita in Culture e Letterature latino-americane presso l’Università dell’Ohio e all'Instituto de Historia de Nicaragua y Centroamérica (IHNCA), è la ricercatrice più nota del collettivo Latin American Subaltern Studies.


Importanti le sue pubblicazioni: Latin American Subaltern Studies Reader. (Editor). Durham: Duke University Press, 2001; Marxism and New Left Ideology. (Editor, with William L. Rowe). Studies in Marxism. Minneapolis: Marxist Educational Press, 1977; Convergencia de tiempos: Estudios Subalternos/Contextos Latinoamericanos—Estado, Cultura, Subalternidad. (Editor). Amsterdam, Rodopi, 2001; e, recentemente, La Prosa de la Contrainsurgencia. Naturaleza de ‘lo político’: ‘Lo Político’ durante la Restauración Neo-Liberal en Nicaragua. (North Carolina, Contracorriente, 2019). Nessuna traduzione in italiano. Foto sottostante (2017)



Ileana Rodrìguez


 

LA PROSA DE LA CONTRA-INSURGENCIA

 

Ileana Rodrìguez, La prosa de la contra-insurgencia: 'Lo político' durante la restauración neoliberal en Nicaragua (Literatura y Cultura) - Editorial A Contracorriente (2019) / scheda

 

Traduzione #SubalternStudiesItalia

La prosa della controinsurrezione (espressione di Ranajit Guha, fondatore dei Subaltern studies) riconfigura il problema del politico e presta attenzione agli assiomi emergenti sul sociale come insieme di articolazioni complesse e frammentarie, costituite attorno ad asimmetrie fondamentali e una crescente proliferazione di differenze. La scena è il Nicaragua; la riflessione affronta le diverse sfaccettature della rivoluzione sandinista esaminate a posteriori. Un resoconto che attraversa la continuità del sandinismo; la memoria storica che lo rappresenta; e il dibattito se la ‘revolucion’ era socialista o no. Per questo tocca punti nevralgici legati alla riforma agraria, al tasso di inflazione del decennio, al tipo di partecipazione cittadina. I testi scritti dopo la rivoluzione espongono la situazione critica della partecipazione delle donne, dei giovani combattenti alla guerra, e della transizione al neoliberismo. L'opera scarta l'idea di una totalità strutturale suturata e la sostituisce con il concetto di articolazione e identità soggettive sociali in costante mutamento.

 

Dall’ INTRODUCCIÓN - LA DISIDENCIA COMO ACTO REVOLUCIONARIO.

NI DE IZQUIERDA NI DE DERECHA SINO TODO LO CONTRARIO

 

Traduzione #SubalternStudiesItalia

 

Inoltre, nella loro pratica quotidiana, molti dei membri delle organizzazioni insorgenti registravano un atto che poco o nulla aveva a che fare con "[l]'idea comunista (...) che costituisce il divenire politico del singolo Soggetto anche come e nello stesso tempo della sua proiezione nella Storia» (Badiou, 4). O sì, ma al contrario. Pochi erano consapevoli o critici di una soggettività che disattendeva il loro desiderio di cambiare il mondo e, quindi, la dolcezza della trasformazione e il sentimento etico sono attribuiti ai morti. Quelli erano diversi. Il potere impazzisce e alcuni leader hanno mostrato comportamenti inappropriati all'ideologia del cambiamento rivoluzionario. Così facendo stavano già scrivendo la prosa della contro-insurrezione. /estratto

 

Ileana Rodrìguez si riferisce agli attuali negativi sviluppi del regime politico di Daniel Ortega rientrato in carica nel 2007. Con rivoluzione sandinista si intende la serie di eventi che, in Nicaragua ha determinato la fine della dittatura di Anastasio Somoza Debayle nel 1979 e la presa del potere da parte del Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale che ha governato il paese fino al 1990.

 

a cura di Subaltern studies Italia

 

logo composto da #SubalternStudiesItalia  



 

 

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