Il termine ecopsicologia nasce nel 1989, con l’obiettivo di unificare con un unico termine diversi filoni di lavoro già esistenti, ognuno con diverso nome: psicologia verde, ecologia transpersonale, ecoterapia, ecc.. Un gruppo di accademici di Berkeley – Elan Shapiro, Alan Kanner, Mary Gomes e Robert Greenway – creano un gruppo di studio per discutere del contributo che la psicologia può dare a una diversa gestione della contemporanea crisi ecologica. La pratica dell’ecopsicologia non è legata a tecniche specifiche, ma alla capacità di creare percorsi che permettano di far sperimentare, a individui e gruppi, un più profondo senso di connessione con la dimensione naturale e di integrità personale. Ma l’ecopsicologia può considerarsi terapia dell’anima solo se nasconde a se stessa la radice causale dei sintomi, radice di classe.
Quale rapporto esiste tra Roszak e l’ecopsicologia con la vicenda dell’Ilva di Taranto? Forse nessuno, se non fosse che per i cittadini e i lavoratori della città jonica anche le ripercussioni psicologiche sono devastanti e nessun decreto calato dall’alto potrà cancellarne le conseguenze.
Sul piano del lavoro: la minaccia della perdita del proprio vitale sostentamento si coniuga con una coscienza di classe dimezzata; il proprio lavoro, già in pericolose situazioni di sicurezza, uccide.
Sul piano della salute: ognuno ha il timore delle forme patologiche che la devastazione ambientale può produrre, iniziando un calvario senza speranza.
Sul piano dell’ambiente: vedere trasformato il proprio luogo, il territorio in cui si è radicati, in un sito inquinato in cui si perde identità e senso di appartenenza.
E’ un furto irreparabile: il profitto di pochi rompe l’integrità psicofisica non di un singolo individuo, ma dell’intera collettività. Anche i limiti dell’ecopsicologia annegano nel mare di Taranto.
Nessun commento:
Posta un commento