Subaltern studies Italia

L’analisi e la classe - a cura di Ferdinando Dubla

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sabato 3 gennaio 2015

Contro gli stereotipi di genere, di qualunque genere


Posted on 2 gennaio 2015 by  (scrive su Il Garantista)

Interessante: contro il falso 'femminismo' ultraborghese veicolato dai mass-media alla ricerca solo di capri espiatori in una società oppressiva e violenta, che investe sulla repressione e non sull'educazione, sulla vendetta e non sulla giustizia, che si nutre di stereotipi e pregiudizi, di genere ma di qualunque genere: una strada che ci porta al Medioevo e ai roghi mediatici, oppure ad accettare i volti sorridenti della Boschi e della Madia che compongono l'attuale guardia pretoriana del 'capo' così come erano quelle della Santanchè e della Carfagna per il Caimano, o della Fornero del criminogeno governo Monti. Donne e uomini vanno giudicati dai comportamenti e dalle idee che veicolano, non dal genere.  (fe.d.)

Si, anche le donne sanno essere violente

 
Avete sicuramente letto della notizia di cronaca a proposito di una ragazza, studentessa alla Bocconi di Milano, che tempo fa avrebbe tentato di evirare un suo ex e appena un paio di giorni fa ha aggredito un ragazzo lanciandogli dell’acido in faccia. La ragazza aveva un complice, cui era delegata la funzione di malmenare il ragazzo, e viene difficile immaginare che tipo di fine avevano intenzione di fargli fare. Qualunque sia la lettura che voi date di questo fatto di sicuro bisogna riconoscere che non può essere liquidato come un caso “particolare”.
Sono tre i casi in cui donne hanno lanciato dell’acido in faccia ad altrettanti uomini nel corso dell’ultimo anno. In un caso la vittima era la nuova compagna dell’ex della acidificatrice. Agli occhi delle femministe della differenza, purtroppo, questa brutta vicenda sarebbe archiviabile come qualcosa che è bene non mettere troppo in rilievo. Chissà perché a parlare della violenza delle donne viene un’allergia immediata a certune che le porta a negare e rimuovere il fenomeno. Inutile dire che la ragione per cui queste donne compiono atti violenti sembra la stessa che muove a volte le azioni di alcuni uomini. Possesso, incapacità di vedere l’altra persona come qualcosa di diverso, altro da sé. Incapacità di accettare la volontà dell’altro/a e di guardare alla persona alla quale vuoi fare del male distinguendo un soggetto, autonomo, autodeterminato, avente diritto ad esercitare una propria volontà.
Tali femministe, mi pare, attribuiscano la violenza agli uomini in quanto tali, come fossero cattivi e violenti per natura. Le donne non ne sarebbero capaci e quando vengono beccate a compiere azioni crudeli e devastanti contro alcuni individui vengono immediatamente giustificate poiché si ritiene che avrebbero introiettato la violenza dell’uomo. Le donne, dunque, andrebbero liberate, esorcizzate, dalla presenza malefica che le possiede e riportate alla loro “naturale” e pacifica natura. Più volte a tali femministe è stato detto che considerare il mondo diviso per dicotomie rigide, riconoscendo la “natura” delle persone prima della cultura che le forma e le educa, non è la strada giusta per trovare soluzioni per prevenire la violenza. L’atto preventivo non può essere quello di “educare il maschio” con il metodo Ludovico, affinché si liberi della parte violenta di sé.
C’è una cultura contro cui combattere, e se storicamente gli uomini hanno dominato e sono stati responsabili di molti delitti ai danni delle donne non si può comunque ignorare che la violenza va combattuta in quanto tale a prescindere da chi la compie. Non si può ignorare il caso di quella donna che solo pochi giorni fa ha accoltellato per ben tredici volte il figlio per non lasciarlo in affido al padre. Non si può rimuovere dalla lettura delle vicende relazionali il fatto che c’è una gerarchia tra i soggetti violenti. Gli uomini picchiano le donne, le donne fanno violenza sui bambini, talvolta incaricano qualcuno per compiere vendette sui propri ex ovvero si avviano loro stesse a compiere gesti che sono terribili per l’intenzione che si portano dietro.
Negare ad un uomo la possibilità di esistere ancora, di rifarsi una vita, dopo una relazione, immaginare il volto di quell’uomo mutilata dall’acido, cosa può essere se non la medesima volontà ossessiva di annientamento che possiamo leggere in certe azioni violente realizzate dagli uomini? Dunque è il sesso maschile che pratica violenza? La violenza di genere si chiama così per il genere che compie la violenza o perché si riferisce all’imposizione di ruoli di genere precisi? Se una donna mi impedisce di abortire è o non è violenza di genere? E a chi dovrei attribuirla se non alla persona che decide di ledere il mio diritto alla libertà di scelta? Le donne sono responsabili per le loro azioni o sono tutte assolvibili perché avrebbero un credito storico da riscuotere?
È necessario avere la mente aperta, smettere di rifugiarsi in un comodo dogma che dovrebbe aiutarci a sconfiggere un presunto nemico e smettere di dividere il mondo in “bene” e “male”. Di qua le donne, il “bene” per antonomasia e di là gli uomini che, manco a dirlo, rappresenterebbero il “male”. Non si può continuare a perseverare sulla divisione tra uomini cattivi e uomini buoni, patriarchi cattivi e patriarchi buoni. I primi a dominarci e i secondi a “salvarci” e dunque a controllarci e a imporci una visione morale per il nostro bene. Non si può immaginare di lasciare vacante lo spazio che va dedicato ad una indagine approfondita sulla violenza che compiono le donne. Non deve farci paura parlarne e non dobbiamo temere di vedere negata la specificità che è propria della violenza di genere. Perché se si continua ad andare avanti di rimozione in rimozione quello che capiterà è che saremo noi ad essere giudicate per quel che mostreremo di essere: negazioniste. Chi vuole, dunque, aprire questo capitolo della storia delle relazioni tra umani?

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