Subaltern studies Italia

L’analisi e la classe - a cura di Ferdinando Dubla

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sabato 9 aprile 2016

Il marxismo del razionalismo critico


di Graziella Scuderi

La ragione, secondo Banfi, è essenzialmente ragione pratica perché trae origine dal concreto e la vitalità del marxismo sta proprio nella teoria critica del razionale

“Il razionalismo critico - sottolineava Banfi-  rimarrebbe un semplice schema di libertà della ragione e della dialetticità del reale” e “la praticità del sapere una mera esigenza, se una realtà nuova, non affiorasse (...) nel processo della storia. Essa consiste nell'assunzione da parte della classe operaia della funzione di universalità umana progressiva cui la borghesia ha rinunciato di fatto, della responsabilità di costruzione del mondo umano e dell'uomo libero e solidale. In questa nuova energia costruttiva, che rappresenta al grado più alto la potenza dell' ''uomo copernicano'', sta la forza risolutrice della crisi, immanente alla crisi stessa come sua positiva validità storica. Il marxismo, che è la coscienza che accompagna la classe operaia nella sua lotta per l'affermazione della sua universale funzione umana, mentre combatte tutte le forme ideologiche d'evasione, si estende, come attualità concreta della ragione, in cui si garantisce e si illumina la libertà del lavoro umano, a divenir coscienza dell'umanità, che spezzando i suoi vincoli costruisce il proprio regno, e della realtà in cui quest'opera si realizza, che, anzi, si realizza in quest'opera”. [1]
E ancora: “Il marxismo ci appare come il compimento della coscienza dell'uomo copernicano, quale lo concepì Galileo, in eredità di tutto il movimento di umanismo libero e attivo che si svolge dal XIII secolo. L’uomo non è più situato al centro di un mondo che è la sua Patria metafisica (...) ma è gettato nell'Universo infinito di natura ove egli deve crearsi una Patria, con le sole forze che egli possiede: la ragione, come coscienza dei rapporti del reale, la tecnica, come lavoro che in tale coscienza si illumina. Non l'intuizione importa, ma la ricerca, non la contemplazione, ma il lavoro (...). E poiché sapere e lavoro non sono possibili che per opera collettiva, la collettività umana concreta e svolgentesi si sostituisce all'astratta universalità dell'uomo ideale e del suo mondo metafisico (...). E finalmente, se l'uomo si realizza e realizza il suo mondo nel lavoro colletivo, la storia non è mera accidentalità, è il farsi della umanità concreta e del suo mondo.”[2]
 La storia infatti, nell'interpretazione banfiana, è il costituirsi, l'obbiettivarsi, il normalizzarsi del piano dell'esperienza, la storificazione del mondo, la determinazione di un'obiettività che costituisce la continuità organizzata dalla prassi, unità di soggetto e oggetto ma come unità dialettica in cui la soggettività, come umanità, risolve da un punto di vista pratico l'oggettività per la propria relazione pragmatica e risolve l'oggettività, come limite ideale dal punto di vista teoretico, secondo piani razionalizzati e concreti di obiettività, in un rapporto continuo e mai univocamente determinabile tra prassi e teoresi. Questo piano può essere definito, in generale, come l'autocoscienza teoretica del marxismo che altro non è se non lo sviluppo metodologico del tipo di cultura che la classe operaia ha implicita nella sua stessa posizione storica e della cui universalità, nel presente storico, la classe operaia costituisce, come forza in lotta, la concretezza determinata.[3]
 Razionalismo critico e storicismo marxista sono dunque due aspetti, organicamente connessi, della stessa autocoscienza storica.[4] L'adesione al marxismo non rappresenta nel pensiero di Banfi né un momento di conversione ad una dottrina estranea all'ispirazione originaria della sua filosofia, né il risultato di una estrinseca conciliazione tra le esigenze teoretiche del filosofo e le esigenze politiche del militante di partito. [5]Il marxismo di Banfi lo vide e interpretò come garanzia di azione concreta e rivoluzionaria nel mondo, come forza reale esprimente la direzione della storia in movimento e in ascesa, non come una filosofia tra tante altre, alla quale dare una semplice adesione teorica: Banfi - come ha sottolineato Remo Cantoni - fu marxista nel senso che l'esperienza ideologica, politica e umana del marxismo agì fortemente su di lui, innervò in modo positivo e fecondo il suo pensiero e la sua vita, ma egli non si lasciò trascinare in nessuna forma di ''scolastica'' marxista.[6] L'incontro con il marxismo non gli lascia rinnegare nulla del suo razionalismo critico. La ragione è difatti nelle sue direzioni (teoretica, vitale, storica) ragione pratica: essa trae origine dall'azione concreta dell'uomo, caratterizza la propria ''natura'' in un processo dinamico di liberazione dalle forme che tendono ad arrestare, irrigidire, deformare lo slancio creatore della vita, ha la sua ''direzione'' in un infinito arricchirsi dell'esperienza nel senso di un mondo sempre più degno dell'uomo. [7] Perciò l'ortodossia del marxismo come viene intesa dal pensiero più maturo di Banfi è nella forma teoretica della sua autocoscienza storica e nella teoria critica del razionale che essa comporta e, contemporaneamente, nella sua vitalità come universale compito storico e politico, come cultura che è e che diviene il complesso piano ideale in cui si riconosce una civiltà progressiva, che per l'azione pratica del proletariato, fa scaturire da se stessa le ragioni della propria crisi e le prospettive per il suo superamento. [8] Nell'itinerario banfiano, si distingue un tracciato che va dalla libertà della ragione alla realtà etica dell'azione. Ma l'una e l'altra non sono che i termini estremi - come lo stesso Banfi sottolinea - del diametro di un unico infinito orizzonte, l'orizzonte della coscienza di un'umanità libera e progressiva.[9] Il marxismo si configura quindi non solo come strumento conoscitivo per comprendere la realtà (come, in fondo, era il razionalismo critico), ma anche come risolutore di una autentica crisi di civiltà di cui tale orientamento progetta un'alternativa più razionale e umana. In questo senso - sostengono L. Geymonat e M. Quaranta - interviene l'originalità del marxismo “come coscienza della radicalità rivoluzionaria della crisi storica, in cui intimamente si libera e si afferma il senso stesso della storia e della sua dialettica, riconoscimento perciò del momento positivo di quella, il marxismo si inserisce nella storia come leva di azione in una visione unitaria rinnovata del mondo”.[10]
Il marxismo oggi è investito da due eventi: la crisi teorica e il crollo politico, due eventi che indicano che siamo entrati in una fase di post-marxismo, nella quale si possono assumere atteggiamenti diversi: accettare l'oblio, tentare la ricostruzione come rifondazione, sondare l'eredità storica e teorica,[11] prospettiva quest'ultima che lascia concludere a proposito di Banfi con il giudizio di Paci - che pur era stato nel '45 un critico severo della svolta copernicano-marxista del suo maestro:
“La tensione del pensiero di Banfi è tutta nella drammatica relazione tra la vita, che può vivere solo trascendendosi, e quindi nell'infinità della ragione, e l'infinità della ragione che deve incarnarsi, determinarsi, entrare nella storia e nel tempo, e quindi nella negazione della propria infinità. L'istante è il momento della pienezza, negativa (perché la ragione è infinita) e positiva (perché la ragione si attua con l'azione e trasforma, in quel dato tempo, il mondo) della ragione che vive dialetticamente nella realtà storica”.[12]
E ancora: “ La Praxis esige che la dialettica tra finito e infinito si ponga sul concreto piano storico, che ogni momento della storia sia l'incontro tra l'eterno e il tempo, l'incarnarsi della ragione non solo in una forma metodologica ma in una situazione storica. La situazione storica in cui la ragione si è incarnata appare tuttavia, in un secondo momento, come un limite, come una forma chiusa che deve essere spezzata. (...) Qualsiasi forma sociale - dunque - se deve essere determinata, tende pur sempre a fissarsi in una forma chiusa: la dialettica è inesauribile e se contro la libertà infinita della dialettica vale la concretezza della determinazione, contro la determinazione chiusa vale la dialettica”. [13]Una prospettiva teoretica, quella di Banfi, tesa a rilevare la struttura problematica dell'esperienza e volta a indicare vie di superamento delle forme concrete e ''parziali'' di essa in direzione di ragione, ragione - si è visto - non come principio metafisicamente definito, ma come idea regolativa, la cui funzione è di ''apertura'' alla processualità dell'esperienza e di denuncia per ogni tipo di generalizzazione dogmatica. [14]
E tuttavia, un concetto di ragione, nella teoria banfiana, approfondito ampiamente nei suoi fondamenti teoretici, ma non altrettanto nelle sue “relazioni con l'esperienza personale e con la situazione esistenziale”. Da tale mancato riferimento deriverebbe - a dirla con il Bertin – “l'unilaterale valutazione della situazione di crisi, condotta da una ottica fondamentalmente ottimista, coerente sì alla tradizione galileano-marxista (che rappresenta uno dei filoni principali della matrice culturale banfiana), ma non all'evidenza del ''disordine esistenziale'' quale risulta dalla storia antropologica, civile e politica della specie umana, protagonista del perenne e tragico conflitto tra l'stanza della ragione e il prepotere dell'hybiris; e non corrispondente alle ansie sempre più diffuse nell'umanità per tema di un futuro orientato alla sua involuzione e degradazione”.[15]

dal libro di Graziella Scuderi, Il razionalismo critico come problema pedagogico, Pellegrini ed., 2005, pp.30/35



[1] A.Banfi, La mia prospettiva filosofica, in La ricerca della realtà ,vol.II, Sansoni, 1959, pag.734
[2] A.Banfi, Umanesimo marxista, in L’uomo copernicano, Mondadori, 1950, pag.406
[3] F.Papi, Il pensiero di Antonio Banfi, Firenze-Parenti, 1961, pag.442
[4]  ivi
[5] G.M.Bertin, L'idea pedagogica e il principio di ragione in A.Banfi, Armando, 1961, p.55
[6] A.Banfi, Filosofi contemporanei, a cura di R.Cantoni, Firenze-Parenti, 1961,p.XVI
[7] G.M.Bertin, L'idea pedagogica, cit., p.50
[8] F.Papi, Il pensiero, cit., p.453
[9] A.Banfi, La mia prospettiva filosofica, cit., p.735
[10] L.Geymonat, Storia del pensiero filosofico e scientifico, vol.VI, Garzanti, 1976,p.748
[11] F.Cambi, Libertà da...L'eredità del marxismo pedagogico, La Nuova Italia, 1994, pp.6-7
[12] E.Paci, Vita e ragione in Antonio Banfi, in "Aut Aut", nr.43-44, genn.febbr. 1958, p.60
[13] Ibidem, pp.64-65
[14] G.M.Bertin-M.Contini, Costruire l'esistenza. Il riscatto della ragione educativa, Armando, 1983, pp.29-30
[15] G.M.Bertin, Progresso sociale o trasformazione esistenziale. Alternativa pedagogica, Liguori, 1982, pp.30-31

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