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L’analisi e la classe - a cura di Ferdinando Dubla

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giovedì 25 agosto 2016

Nessuno si è accorto che Milosevic è stato assolto


da Il dubbio, 25 agosto 2016

La giustizia si amministra nei Tribunali, nel confronto ineludibile tra accusa e difesa, a meno che nei Tribunali non si pretenda di scrivere la storia. In tali casi, non solo non si scrive la storia, ma non si fa giustizia.
Se poi i Tribunali sono quelli istituiti dalla comunità internazionale, dove i vincitori si ergono anche a giudici, come nei casi dei tribunali costituti su impulso della comunità internazionale, per la cui costituzione e composizione prevalgono le contingenze politiche, si può ben star certi che la giustizia è destinata a diventare un'utopia.
La decisione del Tribunale penale internazionale dell'Aja, che da un canto ha affermato la responsabilità di Karadzic e dall' altro ha negato quella di Milosevic, entrambi accusati di crimini conto l'umanità, sentenza passata quasi sotto silenzio, impone tuttavia alcune riflessioni.
Milosevic è stato presidente della Serbia e della Repubblica Federale di Jugoslavia come leader del Partito Socialista di Serbia; fu tra i protagonisti politici delle guerre nella ex-Jugoslavia che dal 1991 al 1995 hanno insanguinato i balcani, dove tutti hanno combattuto contro tutti. Era stato accusato di aver aver condotto una sorta di pulizia etnica contro i musulmani in Croazia, Bosnia ed Erzegovina e Kosovo tant'è che sulla base di tale accusa fu arrestato e sottoposto nel 2001 a giudizio davanti al Tpi, ma il processo si estinse nel 2006 per sopraggiunta morte del reo prima che venisse emessa la sentenza.
Nel 2016 lo stesso Tribunale internazionale ha condannato Radovan Karadic a 40 anni di carcere. Nella motivazione della sentenza viene ricostruito il rapporto del condannato col presidente serbo, mettendo in evidenza l'appoggio politico e militare che la Serbia e Miloevic avevano offerto allo stesso Karadic. Tuttavia nella sentenza viene messo in rilievo come con il passare del tempo tra i due fossero emerse forti conflittualità e come l'appoggio di Miloevic fosse venuto gradualmente a scemare. Per questo motivo la Corte ha affermato che non vi erano sufficienti prove per dimostrare l'unità d'intenti tra i due leader per quanto riguarda i crimini perpetrati in Bosnia e nella Repubblica Serba di Bosnia nei confronti delle minoranze etniche.
In definitiva una sentenza di proscioglimento per insufficienza di prova.
Se questi sono i fatti, come giudizialmente accertati, con tutte le riserve sulla composizione del collegio giudicante, la cui natura politica anche questa volta, come per tutti i processi tenuti dalla corti internazionali appare fuori discussione, dove ritenersi che Milosevic fu ingiustamente imprigionato, tenuto in vincoli per ben cinque anni e fatto morire in carcere.
Infatti Milosevic è stato trovato morto nel letto della sua cella nel centro di detenzione delle Nazioni Unite; Al prigioniero era stata negata la possibilità di farsi curare fuori dalla struttura carceraria, nonostante avesse chiesto di essere trasferito in una clinica moscovita, per poter fruire delle necessarie cure che la struttura carceraria in cui era ristretto, non poteva mettere a disposizione.
Secondo il Tpi non sussistevano però le necessarie garanzie che l'ex dittatore rientrasse in Olanda. Il procuratore Geoffrey Nice, in una richiesta avanzata ai giudici della Corte, aveva espresso il timore che i medici russi potessero dichiarare l'ex dittatore non in grado di sostenere i dibattimenti e trattenerlo in vista della ripresa del processo.
In definitiva le esigenze custodiali vennero anteposte al diritto dell'uomo alla salute.
A seguito della morte fu emessa sentenza di non luogo a procedere nei confronti di Milosevic, per morte del reo, ma il processo che lo vedeva coimputato con Karasic e altri gerarchi serbi è proseguito fino al 2016 e si è concluso con la condanna di molti (non tutti gli imputati) e con il proscioglimento implicito di Milosevic, atto quest'ultimo privo di specifica rilevanza per il caso deciso (obiter dictum).
In definitiva a 10 anni dalla morte e 15 anni dall'arresto, è emerso che gli elementi proposti dall'accusa a sostegno della colpevolezza di Milosevic non erano risultati probanti per affermarne la responsabilità, perché nella ex Jugoslavia si era consumata una guerra, quella di tutti contro tutti e non un genocidio; La guerra fa morti, soprattutto tra le fazioni più deboli e meno armate. Il genocidio è la negazione del diritto alla vita di gruppi umani, gruppi razziali, religiosi, politici o altri.
Nella guerra, perché di guerra si trattava, come stabilito dalla sentenza del Tpi, è intervenuta la Nato, spendendosi in favore di una delle parti in contesa, scegliendo accuratamente quella che doveva vincere per favorire gli interessi di un occidente la cui miopia strategica ha ancora una volta causato guasti, che potrebbero minare alla radice, finanche la civiltà di cui tanto meniamo vanto.
L'Italia - eravamo all'epoca del governo D'Alema - per ben 78 giorni ha partecipato direttamente ai bombardamenti con i propri Tornado e indirettamente con la messa disposizione delle basi: la Serbia e il Kossovo ebbero a trasformarsi in un cimitero, dove accanto ai cattivi e agli obiettivi militari furono distrutti anche obiettivi civili. Insieme alle basi e alle caserme crollarono le case, le scuole, gli ospedali, gli edifici pubblici e i centri culturali. Dramma nel dramma: le conseguenze dell'utilizzo dell'uranio impoverito i cui residui sono ancora rinvenibili sia in Serbi, a che in Kosovo e che hanno colpito tanti inconsapevoli militari italiani morti, o ammalati, dopo il rientro dalle missioni, anche perché i nostri soldati, al contrario di quelli delle altre nazioni partecipanti, venivano fatti operare senza l'utilizzo di schermi protettivi.
A questo punto c'è solo da capire il senso dei 78 giorni di bombardamento adesso che è stato giudizialmente accertato da un Tribunale, creato dagli stessi bombardatori, che Milosevic non era il cattivone, il novello Hitler, come dipinto da certa stampa.
Non solo, ma c'è da capire il senso di una prigionia preventiva, che se non ha finito per provocare la morte del prigioniero, certamente ne ha favorito l'exitus.
La risposta alle domande la si può trovare nell'assordante silenzio, non solo delle cancellerie occidentali, ma di tutta la stampa occidentale, che ha fatto seguito alla sentenza del Tpi.

Antonio De Michele




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