Subaltern studies Italia

L’analisi e la classe - a cura di Ferdinando Dubla

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venerdì 11 maggio 2018

INTERNAZIONALISMO e/o SOVRANISMO


Sovranismo, globalismo, mondialismo, atlantismo, sono termini in uso alla cultura di destra e rischiano di mistificare i contenuti che ne dovrebbero sviluppare senso e significato. La sinistra di classe ha l'internazionalismo e l'imperialismo come valori fondanti non solo dell'identità politico-culturale, ma della sua prassi militante. Questo però non significa che gli interessi popolari delle singole nazionalità non siano preminenti, in particolar modo la salvaguardia dei livelli raggiunti dalle forze produttive di ogni singolo paese, che dunque deve conservare le proprie prerogative appunto di sovranità, contro l'offensiva delle frazioni dominanti del capitale economico-finanziario. Può esistere, dunque, un "sovranismo" di sinistra? In tempi di governo di unione tra eclettico qualunquismo e demagogia securitaria in nome di un inconseguente sovranismo, appunto di destra, è utile rileggere questa analisi di Francesco Maringiò per l'"Antidiplomatico". (fe.d.)

Costruire un “sovranismo di sinistra”. Primo passo: contribuire ad eliminare il pareggio di bilancio in Costituzione

L’editoriale di Sergio Fabbrini [Italia e Ue, il momento delle scelte strategiche, il Sole24Ore, p.1, 11/03/2018] sul giornale confindustriale è molto interessante. A partire dall’analisi del voto che individua chi ha vinto le elezioni (e per quale ragione principale): «domenica scorsa, più della metà dell’elettorato italiano, [ha] dato il voto a due partiti (5 Stelle e Lega) che avevano un programma (dichiaratamente) sovranista. 

Quelle elezioni, forse per la prima volta, ci hanno consegnato un’Italia politicamente unificata intorno a uno stato d’animo sovranista, rappresentato al nord dal centro-destra a guida leghista e al sud dai 5 Stelle. (…) Si tratta di un voto che esprime la richiesta (da parte di elettorati diversi) di recuperare il controllo su cruciali politiche nazionali, come quella di bilancio e quella migratoria. (…) Il 4 marzo ha portato alla superficie politica una diffusa insicurezza economica (negli elettori del sud) e una altrettanto diffusa insicurezza territoriale (negli elettori del nord). Il sud ha pagato più di altre aree la crisi economica e si è sentito escluso dalla ripresa successiva. Il nord ha subìto più di altre aree l’immigrazione e l’ha percepita come una minaccia identitaria alla propria coesione sociale. 


Il fatto è che entrambe le insicurezze sono state generate da politiche (quella economica e quella migratoria) su cui l’Italia ha competenze e risorse limitate. Si tratta di politiche che vengono decise nel sistema europeo dell’interdipendenza (l’Eurozona nel primo caso, l’Unione europea o Ue nel secondo caso) e non nel sistema nazionale dell’indipendenza».

Finalmente, vengono messi i piedi nel piatto della questione che, per la sinistra di questo paese è spesso un tabù: il tema della difesa degli interessi nazionali. Ovviamente, questo, non è un tema di classe tout court, ma attraversa l’arco destra-sinistra: si può difendere la sovranità nazionale per rafforzare la borghesia nazionale di un paese, oppure per difenderne le forze produttive, il cui sviluppo è imprescindibile per un processo di transizione socialista.


E l’approfondimento della crisi ha maturato nella testa del popolo (meno in quello dei gruppi dirigenti della sinistra politica) l’esigenza di una salvaguardia degli interessi nazionali in tutta Europa: «le forze sovraniste hanno conquistato il 13% degli elettori in Germania (nelle elezioni del 24 settembre scorso) mentre hanno ottenuto più del 50% in Italia (nelle elezioni del 4 marzo scorso)».


L’editorialista del Sole vede una discontinuità tra l’orientamento europeista ed il voto: «secondo un recente policy brief di Eupinions, ben il 66% degli italiani continua a essere favorevole a una maggiore integrazione economica e politica.

Ciò che occorre spiegare è perché quel 66% era superiore di ben 10 punti solamente due anni fa», spiegabile con il sistema intergovernativo. «Il sistema intergovernativo – continua l’editoriale - creato per gestire collegialmente quelle politiche ha finito per generare effetti non previsti (…) [ed] ha finito per creare gerarchie di potere tra i governi nazionali oppure per generare stalli decisionali. Così, nella politica finanziaria, le decisioni prese (stabilità invece che crescita) sono risultate congruenti con gli interessi dei Paesi predominanti oppure, nella politica migratoria, le decisioni che non sono state prese (controllo sovranazionale delle frontiere e dei flussi) hanno favorito i Paesi meno esposti ai processi migratori. In tutti i Paesi europei c’è stata una reazione sovranista per gli effetti della crisi finanziaria e dell’immigrazione». E si aggiunge «l’interdipendenza europea (nelle politiche fiscali o migratorie) non ha portato a un ridimensionamento uniforme delle sovranità nazionali. Infatti, alcuni stati membri (come la Germania) hanno potuto combinare il sostegno alla sovranità europea con la preservazione della propria sovranità nazionale, mentre altri stati membri (come l’Italia) hanno dovuto rinunciare alla seconda per poter fare parte della prima».


Quello che, a mio modesto parere, non viene messo in evidenza è che questo non è un tema che attiene alla “tecnica”, ma alla politica a tutto tondo: l’Unione Europea ed il meccanismo dell’Eurozona non hanno smarrito “l’ispirazione originale”, ma rappresentano proprio l’attuazione del processo di integrazione, basato sul disequilibrio tra aree economiche ed una competizione inter-imperialistica tra i paesi di Kerneuropa (il nocciolo duro attorno all’area del marco tedesco) ed i paesi del sud Europa.
Quello che è colpevolmente mancato in questa campagna elettorale è stata una posizione chiara di sovranismo “di sinistra”, capace di indicare una prospettiva alternativa al paese e di rispondere alle esigenze di insicurezza economica e di insicurezza territoriale.


L’elusione di questo punto è gravida di conseguenze: dall’incapacità di interlocuzione con i vasti settori popolari che oggi hanno appoggiato il M5S e, soprattutto, impedire alcuna connessione sentimentale con le masse popolari che oggi soffrono la crisi.


Per cui, in conclusione, due sono le necessità che vedo di fronte: costruire ed avanzare una linea politica di “sovranismo di sinistra” e partecipare al referendum per l’abrogazione della modifica costituzione che ha introdotto il pareggio di bilancio in costituzione: primo mattone da sfilare per riguadagnare sovranità ed indipendenza nazionale.


(Francesco Maringiò)




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