domenica 27 aprile 2014
Antonio Gramsci è morto
Il
27 aprile 1947 è una data significativa per i comunisti italiani: in quel
giorno, infatti, dieci anni prima, moriva, a causa delle malattie contratte
nelle galere fasciste, Antonio Gramsci, assurto poi a simbolo dell’intera
vicenda politica del PCI. Al centro della prima pagina di Unità Proletaria,settimanale delle federazioni del PCI e del PSI di Taranto che uscì nel dopoguerra, un fondo non firmato
(opera di Nino D’Ippolito, spentosi il 25 ottobre del 2013) dal titolo
NEL
DECIMO ANNIVERSARIO DELLA MORTE DI GRAMSCI. Lo riportiamo integralmente:
-
Antonio Gramsci è morto.
La
voce si diffuse con la velocità delle notizie di sventura; penetrò nelle
carceri di tutta Italia, giunse nelle “isole”, traversò i confini verso i paesi
liberi, venne mormorata tra gli operai, ricordò tempi che sembravano remoti ai
contadini sardi, si presentò come una terrificante voce d’oltre tomba nelle
sale della fortezza di palazzo Venezia.
-
Antonio Gramsci è morto.
Quanti
anni erano passati dal 1928 quando il deputato comunista, coperto dalle
immunità garantite dalla Costituzione era stato trascinato, contro ogni diritto
avanti ad un tribunale di sicari che dichiarava: “Per venti anni dobbiamo
impedire a questo cervello di funzionare”. – Era un’eternità entro la quale
scorreva il sangue degli operai uccisi, le lacrime del popolo italiano, entro
la quale si sentiva il triste rumore delle catene che i comunisti trascinavano
nei penitenziari e il grido di un’Italia schiava portata a combattere contro la
civiltà ovunque vi fosse una guerra da combattere.
27
aprile 1937: in Spagna si combatte e sui due fronti sono ancora le stesse forze
di una volta, il popolo e la reazione; il fascismo è in prima linea per
sopprimere la libertà, i comunisti di ogni paese muoiono affratellati. L’Italia
“marcia verso gli alti destini” sospinta da una banda di avventurieri: il
baratro è vicino. In quel giorno, Antonio Gramsci si spegneva tra sofferenze
atroci.
Lo
ricordano i vecchi compagni, nelle quattro stanze de “L’Ordine Nuovo” e più
tardi nella misera redazione del giornale che gridava la parola d’ordine della
lotta contro il fascismo: Unità!
-
E più ancora lo ricordano
tra gli operai, tra i lavoratori piemontesi, tra i contadini sardi, tra i soldati
della Brigata Sassari trasferita a Torino per soffocare i movimenti operai. Con
voce suasiva, con argomenti adatti, con logica stringente egli avvinceva
l’uditorio, sia che fosse una massa, sia che fosse un semplice operaio
incontrato per strada. Difficilmente Gramsci perdeva l’occasione di parlare, di
discutere, di convincere. Egli considerava la sua vita come un dono da usare
per il partito, per i lavoratori del popolo italiano. Non mollò un istante, non
ebbe attimi di riposo, non si adagiò su vane speranze, e combattè la sua
battaglia contro tutti i nemici della classe operaia.
La
sentenza fascista di rinvio al tribunale Speciale dice già tutto: “.. E’
Gramsci che dirige con mano sicura il Partito nel 1926, dopo di avere travolto
l’opposizione impersonata dall’ing. Bordiga nelle Assise del Congresso di Lione
del 1926. E’ il Gramsci l’anima di tutto il movimento ed è lui che segna e
mostra la via da seguire a tutto il Partito. I precedenti politici del Gramsci
lo additano come uno dei più sentiti tra le folle; infatti la sua figura
predominò al tempo dell’occupazione delle fabbriche in Piemonte. La sua azione
è di vero capo del partito…” Questa l’accusa che è un vero riconoscimento! E le
sue parole pronunziate avanti al tribunale: “Verrà giorno in cui voi porterete
l’Italia alla catastrofe ed allora toccherà a noi comunisti salvare il nostro
paese”, sono per noi oggi qualcosa di più che una avverata previsione: sono un
incitamento al lavoro.
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