E parliamo naturalmente di quell’ideale e pratica della giustizia sociale che noi comunisti ricerchiamo incessantemente come punto di riferimento e obiettivo nell’organizzazione delle mobilitazioni sociali che si oppongono ai poteri dominanti e nelle tante forme della lotta delle classi. Oggi una di queste forme deve essere quella di rompere il ‘sovversivismo dall’alto’ alimentato dal nesso “antipolitica-antipartito” sostenuto da una palese operazione di orientamento del senso comune da parte degli apparati egemonici, che spalanca le porte alla, per noi, più pericolosa e odiosa delle discriminazioni: quella anticomunista.
domenica 13 aprile 2014
Un'odiosa discriminazione
L’ondata
antipolitica è di per sé anticostituzionale: quella antipartitica è eversiva,
e, per tutti coloro che lottano contro le feroci ingiustizie sociali causate
dal sistema economico capitalista, qui in Europa così come in ogni parte del
mondo, è la strada migliore per le classi dirigenti per la più odiosa delle
discriminazioni: quella anticomunista. Qui in Italia ciò sta accadendo, per
così dire, sia dall’alto che dal basso. “Eversione delle classi dirigenti” è la
efficace espressione di Gramsci per indicare come, per fronteggiare la spinta
delle rivendicazioni popolari e del mondo del lavoro e delle crisi sociali
proprie e interne al sistema delle relazioni del capitale, il ceto dirigente
politico espressione dei poteri economici e finanziari dominanti, tenti due
carte tra loro parallele: l’una finalizzata a sovvertire le regole
formali-istituzionali definite originariamente dallo stesso blocco storico
egemone; l’altra a nutrire e alimentare costantemente un senso comune
favorevole all’auspicato sovvertimento delle regole. Il piano politico definito
dall’attuale esecutivo Renzi (preceduto da tentativi andati solo parzialmente
in porto dal quasi ventennale regime berlusconiano), che considera essenziale
approvare “controriforme” che ridiano centralità al decisionismo oligarchico e
in definitiva ad un accentuato accentramento dei poteri senza reale
rappresentanza, ha bisogno di ‘cavalcare’ il sentimento maggioritario,
sostenuto quotidianamente dagli organi di intossicazione informativa, degli
esagerati ‘costi’ della politica: in questa direzione vanno le strutturali
rifunzionalizzazioni del Senato, delle Province, ma, soprattutto, l’approvazione
di una legge elettorale che consenta ad una casta minoritaria di espellere il
conflitto sociale dalla rappresentanza istituzionale e governare in nome di una
maggioranza inesistente nel paese reale, ma espressione dei poteri forti in nomen populi. Proprio questo era il
senso dato ancora una volta da Gramsci al populismo e ai fenomeni cosiddetti di
cesarismo, premesse di ogni
“rivoluzione passiva”.
La
discriminazione subita dal Partito dei Comunisti italiani nella composizione
della lista Tsipras per le prossime elezioni europee di maggio, risponde
stupidamente all’offensiva dei poteri capitalistici dal versante del senso
comune deteriore ‘antipartitico’. Se si accetta però questa pericolosa
inclinazione, quale mai sarà la forza vera per opporsi al disegno eversivo
delle classi dirigenti nel loro complesso? Le solo apparenti sofisticate
analisi degli accademici (come ad es. Marco Revelli, a suo tempo molto seguito
dall’autotididatta Bertinotti) che hanno unilateralmente deliberato
regole-capestro per la lista, ammantandole con cascami propri del senso comune
deteriore, dimostra una paurosa subalternità politico-culturale alla parte che
si dichiara di voler combattere. A tutte le anime ‘belle’ manca il coraggio
della sfida al populismo cesarista e a tutti i corifei che ne supportano
l’azione. Il sale della più profonda e attualizzata elaborazione marxista per
affrontare l’avversa corrente dell’egemonia dei poteri oligarchici è quasi del
tutto assente nell’”impari lotta”. Per questo ci sentiamo di chiedere ai
compagni del Partito della Rifondazione Comunista di affiancarci in questo
compito importante, abbandonando definitivamente il campanilismo, il negativo
“spirito di fazione”.
Anche
nelle mobilitazioni dal ‘basso’ si respira un’aria discriminatoria pesante. Dall’osservatorio
di Taranto, divenuta, oltre che la città dell’acciaio-Ilva, anche la sede di un
significativo movimento ambientalista e civico, si deve registrare la pratica
impossibilità per i partiti, ciò riguarda ovviamente i partiti della sinistra
di classe, da anni impegnati sia sul versante della salute e dell’ambiente, sia
dei diritti del lavoro e del protagonismo operaio, di partecipare attivamente
al movimento con le loro parole d’ordine, con i loro simboli, con le loro
bandiere, con le loro analisi e le ipotesi risolutive. E ciò ha aperto la
strada alla rimozione delle responsabilità storiche della destra sia nella
versione ultrareazionaria e demagogica che in doppiopetto, di una debole
sinistra moderata subalterna, e della gerarchia ecclesiastica locale, che
maschera responsabilità pregresse tentando oggi un’operazione egemonica in nome
della conciliazione ‘caritatevole’ degli interessi in gioco. Il tutto si
aggiunge, altresì, alla delega eccessiva offerta ad un altro potere forte come
la magistratura che, come dimostra abbondantemente la vicenda dei No-Tav (ma sarebbe
sufficiente l’intera storia del Novecento letta dalla parte delle classi
subalterne) non può coniugare legalità e giustizia. E parliamo naturalmente di quell’ideale e pratica della giustizia sociale che noi comunisti ricerchiamo incessantemente come punto di riferimento e obiettivo nell’organizzazione delle mobilitazioni sociali che si oppongono ai poteri dominanti e nelle tante forme della lotta delle classi. Oggi una di queste forme deve essere quella di rompere il ‘sovversivismo dall’alto’ alimentato dal nesso “antipolitica-antipartito” sostenuto da una palese operazione di orientamento del senso comune da parte degli apparati egemonici, che spalanca le porte alla, per noi, più pericolosa e odiosa delle discriminazioni: quella anticomunista.
(fe.d.), aprile 2014, editoriale di Lavoro Politico , nr. aprile 2014
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