[estratto]
La vecchia Scuola fa acqua da tutte le parti. E’ lontana dal mondo dell’impresa, ha gli insegnanti più vecchi d’Europa, è fondata su saperi teorici e astratti, è sostanzialmente “analogica e cartacea”. Per fortuna, le competenze, il digitale e l’innovazione la salveranno. Attorno alle competenze e alla necessità di innovare si è costruito un vero e proprio racconto. Bisogna garantire un set di “saperi utili per la vita” (competenze di cittadinanza), che assicurino flessibilità ed employability. Ciò che conta è imparare ad imparare, saper apprendere sempre, per risultare vincitori nello struggle for life. Cosa e come si insegnerà nella scuola del XXI secolo? Le distinzioni disciplinari perderanno significato. Basterà fornire i saperi essenziali e sviluppare le giuste skills per ricercare e selezionare informazioni in rete. Eppure, problem solving and finding, Inquiry based learning, sono maquillages anglofili su pratiche che risalgono all’Accademia di Atene e che qualsiasi insegnante consapevole utilizza con gli obiettivi e i linguaggi specifici della propria disciplina. La pedagogia “del successo” è quella che crea ambienti, attività, metodi di apprendimento focalizzati su competenze utili per la vita. Da questa visione fluida e protesa al futuro scompare l’orizzonte di senso. Perché, a quale scopo tutto questo, qual è la nostra destinazione. L’educazione è innanzitutto una pratica morale e politica. E come tale necessita di una definizione delle sue finalità, prima che della sua efficacia. Efficace per cosa?
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- Scuola trasmissiva vs scuola significativa
E’ una semplificazione, una parodia, quella che contrappone sapere inerte (=vecchio modello di insegnamento) a sapere vivo (=approccio per competenze). Il modello di insegnamento/apprendimento “attivo” dei recenti
“compiti autentici” e delle rubriche di competenza, così come spesso vengono adoperati da chi corre ad innovare, si traduce in una caricatura della pedagogia attiva di lungo corso. Esattamente come è caricaturale la descrizione della “classica” lezione frontale -con l’insegnante che “trasmette” ad una certa frequenza e gli allievi sintonizzati altrove – rispetto a ciò che realmente è già oggi un’ora di lezione “tradizionale”. Sono anni che l’insegnamento è riflessione sulla costruzione della conoscenza, sulla sua attualizzazione nel vissuto, coinvolgimento critico dell’allievo e contaminazione tra discipline e con il reale. Problem solving and finding, Inquiry based learning, sono maquillages anglofili su pratiche che risalgono all’Accademia di Atene e che qualsiasi insegnante consapevole utilizza con gli obiettivi e i linguaggi specifici della propria disciplina, declinati a seconda della propria indole, del contesto e dei tempi ritenuti adatti. Le pratiche di rendicontazione e capitalizzazione dell’attività svolta rappresentano l’unico vero dato di novità introdotto dalla logica riformatrice.
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Cosa significa educare oggi?
Oggi l’idea comune è che la formazione più efficace sia rapida, innovativa e flessibile. Il miglior insegnante è quello che muove i suoi allievi verso pochi e utili obiettivi, verso quell’identità (duttile) del life long learner. La pedagogia “del successo” è quella che crea ambienti, attività, metodi di apprendimento focalizzati su competenze utili per la vita. Da questa visione fluida e protesa al futuro scompare l’orizzonte di senso. Perché, a quale scopo tutto questo, qual è la nostra destinazione. L’educazione è innanzitutto una pratica morale e politica. E come tale necessita di una definizione delle sue finalità, prima che della sua efficacia. Efficace per cosa? L’apparente ineluttabilità della learning society dipinta dall’attuale agenda politica ed economica – che, dunque, serve ad un particolare segmento dominante della società – descrive l’apprendimento come un atto di adattamento alla complessità. Adattamento che deve avvenire senza nemmeno decidere se e perché ci si debba adattare. L’idea che la Scuola debba connettersi con il mondo esterno, non essere un luogo “altro” e appartato, può essere condivisa nella misura in cui la Scuola non si limiti ad assumere la struttura del mondo, ma a metterla in discussione. Gli studenti, ancorché “apprendisti” devono essere “attrezzati” ad agire in base alle proprie idee, a contestare responsabilmente lo stato di cose, a saper intervenire sulla società per cambiarla, non per riprodurne logiche e dinamiche. L’educazione non è una questione individuale. La conoscenza nasce dalla “perturbazione” provocata dall’Altro (l’adulto, il Maestro) in un contesto collettivo (la classe) e sociale (il territorio). Non si apprende solo per lavorare. Si impara a diventare qualcos’altro. Per questo gli insegnanti pubblici devono resistere e continuare ad affermare il diritto dei giovani di sognare.
Rossella Latempa, da
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