martedì 7 settembre 2021
Gramsci, la coscienza di classe e i collettivi di studi subalterni. L'intervista a Cumpanis (1)
Cumpanis intervista il direttore di Lavoro Politico web serie e promotore dei Subaltern studies Italia, Ferdinando Dubla, all’interno di un progetto, culturale e politico insieme, che si propone l’unificazione dei comunisti italiani in un unico partito. I punti di analisi affrontati dall’intervista - a cura di Alessandro Testa - riguardano Gramsci e la filosofia della prassi, la figura di Pietro Secchia nella storia del movimento operaio, il lavoro sui subalterni di Ernesto de Martino e la formazione di collettivi di ricerca ’subalternist’ per cogliere la nuova composizione di classe, la prospettiva dell’organizzazione marxista comunista in Italia.
L’intera intervista richiede 10’ di lettura (al link). Qui un extract. riguardante Gramsci, la coscienza di classe e i collettivi di studi subalterni.
C. -Un punto assai importante, quello del socialismo come “nuovo umanesimo”, cui si contrappone la visione liberal capitalista che vorrebbe l’uomo come monade chiusa in se stessa, contemporaneamente metro e misura di ogni cosa ma incapace di organizzarsi in struttura sociale gestaltica…-
F.D. - Il potere di classe vuole monadi isolate: ma l’atomizzazione è propria della omogeneizzazione culturale dei rapporti sociali di produzione capitalisti, dell’uomo-massa senza coscienza di classe. Gramsci indaga su come può, molecolarmente, generarsi questa coscienza. Riflettere oggi su senso comune e folklore, sull’eterodirezione dei subalterni da parte degli apparati egemonici delle classi dominanti, non è esercitazione accademica né trastullo dell’“acribia filologica” sterile, ma impegno costante per quello che anche l’antropologo de Martino chiamava éschaton (riscatto) dei senza storia, perché senza autocoscienza e senza narrazione.
Per questi motivi, la centralità del quaderno 25, che colloca Gramsci tra i classici dei Subaltern studies, un collettivo di ricerca indiano guidato da Ranajit Guha (nato negli anni ’80) che, in connessione con la critica postcoloniale, ha legato la filosofia degli ‘oppressi’ ad una narrazione storica nuova, dando voce, per parafrasare la Gayatri Chakravorty Spivak (“can the subaltern speak?”) a chi non può parlare, in quanto muto e ai margini.
C’è sicuramente anche il problema della traduzione, traducibilità e interpretazione degli scritti di Gramsci [maggiormente prima dell’ottimo lavoro di Joseph Buttigieg (Columbia University Press, 1992-2007)] e non riguarda solo i Subaltern studies, ma anche la critica postcoloniale e gli studi culturali (Stuart Hall). Ma, a nostro avviso, appunto, è l’ottica degli studi a prevalere: i ‘subalternist’ vanno oltre “l’acribia filologica” per impostare una diversa narrazione e interpretazione, aprendo orizzonti conoscitivi non più ’mediati’ dall’egemonia delle classi dominanti. / fine extract.
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