Subaltern studies Italia

L’analisi e la classe - a cura di Ferdinando Dubla

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lunedì 6 dicembre 2021

STUDI SUBALTERNI IN ITALIA


 Inserire l'opera di Ernesto de Martino, accanto alla riflessione di Gramsci, negli studi subalterni internazionali, è compito attuale di un collettivo di ricerca Subaltern studies Italia

 

stralci dall'intervista di Alessandro Testa, per Cumpanis, a Ferdinando Dubla, promotore dei Subaltern studies Italia

 

·         Al di là dello stereotipo che vede De Martino come il classico intellettuale meridionalista che per un tratto ha condiviso il percorso del PCI, cosa puoi dirci della reale profondità del suo pensiero?

 

Ernesto de Martino è stato uno degli intellettuali più importanti del XX secolo e la sua conoscenza si svilupperà ancor più nel tempo, credo e spero. E' stato certamente l'etnologo che ha posto le basi di un umanesimo antropologico di derivazione storicista, ma in interlocuzione permanente con gli studi culturali in ambito internazionale, per cui ha una statura filosofica che supera di gran lunga i vari stereotipi che hanno attraversato la ricezione dei suoi lavori: storicista crociano, ma per niente ortodosso e critico dialettico dell'idealismo storicistico; meridionalista e autore di una "trilogia" e impegnato politicamente prima nel PSI, per la frequentazione del gruppo socialista di Villa Laterza a Bari, e poi nel Partito Comunista, influenzato dagli scritti di Gramsci; infine, dopo le sue ricerche sul campo, in Basilicata e nel Salento, scrittore "fur ewig" di appunti che "superano" l'impostazione marxista che si sarebbero concretizzati nell'opera postuma, curata da Angelo Brelich e Clara Gallini, "La fine del mondo - Contributo all'analisi delle apocalissi culturali", pubblicata nella prima edizione con Einaudi nel 1977. E purtroppo, gli studi accademici tendono oggi per lo più a sottolineare la "discontinuità" delle varie fasi della biografia demartiniana, piuttosto che a sottolineare gli aspetti unitari di fondo della sua intera riflessione vivificata dall'inchiesta sul campo.


In realtà, io credo che de Martino abbia un aspetto prevalente e un filo unitario che lo attraversa in tutte le varie fasi del suo lavoro, che può essere connotato complessivamente come di antropologia filosofica: l'analisi dei gruppi subalterni e della loro cultura, l'irruzione, come egli la chiama, nella storia, dei ceti popolari, con le loro tradizioni, il modo di concepire la propria esistenza e quella degli altri, l'angoscia esistenziale e le materiali condizioni di vita, la ricerca dell'atavico e dell'ancestrale nel 'primitivo magico' dell'essere umano, sfruttato e alienato, dominato e reso muto ma capace di riscatto e di un percorso di liberazione di sè in quanto appartenente ad un collettivo in cui si rispecchia per il tramite della ritualità e in genere dei codici simbolici.

Per cui quelli di Gramsci e de Martino risultano essere sguardi 'complementari', un doppio sguardo che si unifica olisticamente e necessariamente per la pluridimensionalità dell'essere umano: necessario per il riscatto delle classi subalterne, l’uno attraverso la scienza politica e la filosofia della prassi, l’altro attraverso la ricerca sul campo e l’antropologia filosofica, l’uno e l’altro impegnati in uno sforzo di interpretazione, hanno sviluppato categorie ermeneutiche che attraversano l’essere umano in tutte le sue dimensioni, implicitamente alla ricerca di quell’”uomo onnilaterale” di Marx, in cui convivono razionalità e irrazionalità, sentimento e ragione, e si intrecciano natura, storia e cultura.

Non si tratta, a nostro avviso, di "accostare" le categorie di egemonia, senso comune o folklore con la crisi della presenza e l'ethos del trascendimento o la destorificazione del negativo, ma di leggerle in senso olistico, come "doppio sguardo" dell'unitarietà umanistica, storica ed esistenziale, che abbraccia la ricca molteplicità e la pluridimensionalità dell'essere, nella sfera materiale, relazionale, "spirituale", senza residui "misterici", se non l'occultamento tramite l'apparenza fenomenologica, segno dialettico strutturale e sovrastrutturale insieme della società alienata e mercificata de sistema capitalistico, inserito però in un più complessivo "paradigma di civiltà", segnatamente quello produttivistico e industrialista, che ha provocato una vera e propria 'mutazione antropologica' (categoria pasoliniana) in quanto sempre più distante dalle civiltà 'della terra'.

E' così che il "doppio sguardo" può cogliere quello del bracciante di Minervino (citato da de Martino) e, insieme, l'utopia millenaristica di Davide Lazzaretti (citato da Gramsci), cioè il sudore della zolla e il misticismo comunitario.

Il raffronto è diretto (esplicito) quando de Martino studia Gramsci sulle edizioni degli scritti del 1947, 1948 e del 1951, ma è indiretto (implicito) quando l'etnologo partenopeo riflette sui temi dell'antropologia legata alla sua ricerca sul campo e sull'antropologia filosofica che, in particolare negli ultimi anni, si rivolge più analiticamente alla cultura filosofica europea e internazionale.

Dunque, se il senso di appartenenza a un mondo storico è il tratto culturale dell’identità antropologica di un popolo, lo straniamento è alla radice dell’alienazione; per cui diventa centrale il rapporto, che è atavico e ancestrale insieme, con la terra e il proprio territorio. In chiave di attualizzazione, la relazione umana che presiede alla propria configurazione, passa da individuale a collettiva: e, per mezzo di essa, diventa possibile la trasformazione rivoluzionaria.

E', molecolarmente, la fase della genesi della coscienza di classe in Gramsci: qui però, la presa di coscienza avviene “per entro” l’altro sguardo possibile, quello che può anche produrre i fantasmi magici del senso comune veicolato dall'egemonia delle classi dominanti e i fenomeni di alienazione diventano tutti “spossesamento “ e altro-da-se’, proprio come accade oggi nei processi di omogeneizzazione culturale della società consumistica di massa.

L’ethos del trascendimento, che è sempre immanente in questi processi, vera chiave della filosofia demartiniana, diventa così la base dell’escatòn, del possibile riscatto. La ricerca dell’autodeterminazione sociale, politica, economica, etica della società "autoregolata" che Gramsci indica come fine strategico dell'ideale comunista, passa attraverso la ricerca della totale liberazione degli esseri umani, sottraendo l’angoscia alla dimensione psicopatologica e la disperazione alla condizione dei subalterni.

“Il mondo popolare subalterno costituisce, per la società borghese, un mondo di cose più che di persone”.

E. de Martino, “ Intorno a una storia del mondo popolare subalterno”, su Società nr.3/1949

Questo saggio è un vero e proprio manifesto per gli studi subalterni in Italia. In una delle nostre conversazioni con Cesare Luporini, nell'anno stesso della sua messa in quiescenza (1979), ebbe a dirci che la nota redazionale preposta all'articolo sulla rivista, che sottolineava la non identificazione con la "linea" della redazione, in realtà rivelava il timore che gli stessi temi analizzati dall'etnologo napoletano fossero confinati nell'irrazionalismo e dunque risultassero ostici per una loro immediata ricezione politica per il Partito Comunista.

In sintesi: l'ethos del trascendimento e la destorificazione del negativo nell’antropologia filosofica di de Martino, la formazione “molecolare” della coscienza di classe nella filosofia della prassi di Gramsci, entrambi accomunati da una concezione dialettica della storia, la mutazione antropologica di Pasolini per la critica a un paradigma di civiltà, quello del capitalismo come sistema di valori: è da qui che può partire un collettivo di ricerca per gli studi subalterni in Italia che, sulla scia dei Subaltern studies indiani di Ranajit Guha, con alcune suggestioni, criticabili ma di ricerca aperta, della critica postcoloniale (Spivak e Chakrabarty) e degli studi culturali (Stuart Hall), narrino la storia senza 'mediazione' dei gruppi subalterni per ogni Sud del mondo: se il meridionalismo è ancora latitudinario,
da Sud geografico il Sud postcoloniale è Sud politico, è Sud culturale, è il Sud ai margini della storia, è il Sud dei subalterni senza narrazione.

Inserire Gramsci e de Martino filologicamente negli studi subalterni internazionali, è compito attuale di un collettivo di ricerca Subaltern studies Italia, insieme alla riproposizione di straordinari strumenti analitici delle forme della modernità, come l'intellettuale collettivo gramsciano e il 'general intellect' di Marx.



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