Tale relazione è verosimile ed anche storicamente constatabile. Ma il punto è: come si fa ad evitare il ritorno dei processi degenerativi (derive istituzionaliste, carrierismo, leaderismo) già conosciuti? Potrebbero aiutarci le riflessioni che su questo punto sviluppano oggi intellettuali marxisti latino americani, come Carlos Nelson Couthino, che riattualizza, nella temperie del suo continente il pensiero di Gramsci.
Mutuando la riflessione di Lenin e di Gramsci, Couthino pone il problema di un partito comunista che superi la tendenza tradunionistica della classe e si offra come intellettuale collettivo per la classe: «ll partito appare così come un'oggettivazione fondamentale di quello che Gramsci chiamava momento catartico… E' in questo senso che devono essere lette le osservazioni di Gramsci su spontaneità e direzione cosciente. In esse, Gramsci prende posizione contro il feticismo della spontaneità». Il partito, dunque, non è pura emanazione della "coscienza dall'esterno". Tra il suo ruolo e la soggettività sociale deve instaurarsi un rapporto dialettico: «Gramsci non crede che la volontà collettiva possa essere suscitata solo "dall'alto", senza tenere conto dei sentimenti spontanei delle masse». Per il Gramsci ordinovista, «l'elemento di "spontaneità" non fu trascurato e tanto meno disprezzato; fu educato, fu indirizzato, fu purificato…».
Ma quale partito comunista - si chiede il marxista brasiliano - è in grado di essere, dialetticamente, sia il "moderno Principe" che la cassa di risonanza della soggettività sociale? Couthino ne rilancia i tre punti essenziali: a) il partito comunista ha bisogno di una vasta base di militanti, perché «senza di essi il partito non esisterebbe, ma è anche vero che il partito non esisterebbe solo con essi»; b) esso «ha bisogno dell'elemento coesivo principale, che centralizza nel campo nazionale, dotato di forza altamente coesiva e disciplinatrice… i capitani». I quali da soli, non formano il Partito, ma senza i quali non c'è nessun partito comunista. Infine, c) vi è, come elemento innovativo la mediazione positiva e costante tra la base militante e "i capitani": è la democrazia interna attiva, senza la quale il "centralismo democratico" degenera in burocratico. Ma vi è qualcosa in più: il flusso democratico interno è anche funzionale alla costruzione della necessaria etica comunista.
E siamo ad un punto centrale: si può supporre una democrazia interna, un'etica comunista che si costituiscano solo dal flusso democratico interno?
Crediamo che per determinare un cambiamento generale dei costumi politici (costituire un tabù del carrierismo ecc.) occorra rifarsi (se non ad una delle categorie centrali della teologia: «è la Legge che crea la Morale») quantomeno all' essenza del Diritto («sono le Leggi che permettono il passaggio da una società incivile ad una civile»).
E' il problema delle regole interne, quelle che permettono che la linea si formi attraverso il più ampio dibattito politico e teorico; che il dissenso non sia demonizzato; che il consenso non sia premiato come valore in sé, anche nell'obiettivo che la necessaria dialettica non si cristallizzi nelle correnti e nelle frazioni organizzate.
Al dunque, parliamo del "terzo elemento" gramsciano rimesso in luce da Couthino: il nesso democratico interno ad un partito comunista, sostenuto però da regole forti, innovazioni senza le quali vengono meno il ruolo del "moderno Principe", quello dei "capitani" e la volontà di lotta dei militanti.
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