editoriale per Lavoro Politico nr. ottobre 2013
venerdì 11 ottobre 2013
LA CRISI E' CRISI DI SISTEMA
editoriale per Lavoro Politico nr. ottobre 2013
LA CRISI E’ CRISI DI SISTEMA
La crisi del capitalismo ha conseguenze anche sul piano dell’etica e
delle relazioni umane e sociali. Per una riflessione non contingente dei
comunisti
---- Ferdinando Dubla
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Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e
crescente, quanto piú spesso e piú a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me, e la legge
morale in me. Queste due cose io non ho bisogno di cercarle e
semplicemente supporle come se fossero avvolte nell’oscurità, o fossero nel
trascendente fuori del mio orizzonte; io le vedo davanti a me e le connetto
immediatamente con la coscienza della mia esistenza.
I. Kant, Critica della ragion
pratica, 1788, Conclusione
La crisi è una categoria non
nuova per le classi sociali che ne subiscono le conseguenze: le fasi del
capitalismo hanno abituato i suoi portavoce ad isolarne alcuni aspetti per
nasconderne la portata strutturale, tutta interna alla natura stessa del
sistema sociale proprio per celarne le evidenti contraddizioni. Per cui
assistiamo alla centralità ora della speculazione
finanziaria che ha in mano il debito pubblico inesigibile per i paesi più
deboli della catena, ora il disordine
politico che ne alimenterebbe l’incapacità di soluzioni altrimenti a portata
di mano, ora la disperazione sociale
di coloro che non sanno difendersi dai colpi dell’ineguaglianza. Infine, la crisi morale: lasciata
nell’indeterminatezza, sullo sfondo di discorsi retorici, ha conquistato
l’udienza dell’attuale Papa, collocandosi nuovamente al centro di una
riflessione meno episodica e contingente (in un caso specifico, nel dialogo a
distanza tra lo stesso Pontefice e il decano dei giornalisti laici, Eugenio Scalfari).
Una lettura marxista della crisi
morale e dell’etica individuale e sociale che ne consegue, naturalmente non tende
a settorializzare il problema: lo lega al sostrato economico dei rapporti di
produzione e del ruolo degli Stati nella regolazione degli squilibri devastanti
che il sistema capitalistico produce; al ruolo delle oligarchie politiche che
ne garantiscono la sopravvivenza e l’alimentazione nel senso comune della
impossibilità di alternative. La crisi come categoria della struttura, appunto,
a cui le forme sovrastrutturali reagiscono modellandovisi dialetticamente.
Le questioni inerenti la morale,
e più complessivamente la qualità dei rapporti umani e interpersonali però,
hanno oggi il pregio di mostrarsi con evidenza assoluta in tutta la barbarie
dovuta allo schermo della monetizzazione di tutte le relazioni sociali. Il
capitalismo come sistema, ha spinto l’intersoggettività umana a concepirsi come
scambio e interesse, mettendo in minoranza l’empatia emotiva di carattere
psicologico che dà il senso alla vita di ognuno. Lo si avverte con nettezza non
solo nel campo dei servizi sociali e alla persona (in Italia particolarmente
assenti o carenti, quando presenti spesso pessimi, rispetto all’aumento della domanda),
ma nell’immenso spazio delle interazioni tra gruppi, tra individui e tra
individui e gruppi.
Come comunisti dovremmo cogliere
la contraddizione tra “l’etica corrente e lo spirito del capitalismo” in modo
più efficace e centrale nell’azione e nell’iniziativa politica, sollecitando
così l’evoluzione della coscienza di classe di massa (o, gramscianamente, di un
diverso e alternativo senso comune). La Chiesa attuale, pur avvicinando
maggiormente il cattolicesimo allo spirito cristiano, non risolve, ma consola e
sul tema dei diritti civili si riallontana dallo spirito laicale.
Spetta alla cultura di ispirazione
marxista una riflessione meno casuale e contingente su questi temi, e agli
stessi comunisti organizzati in partito una consequenzialità nella prassi
(unità dialettica di teoria e pratica): la si può ritrovare positivamente in
una discussione tra Fosco Giannini e Luigi Vinci nell’ultima raccolta di scritti dell’attuale
dirigente nazionale del PdCI, “Da una parte della barricata” (Affinità elettive
2013, pp.293-296), in un articolo del marzo 2009 in cui richiamava l’importanza
delle teorizzazioni di Luckàcs al riguardo, oltre che del filosofo C.N.
Coutinho e dello stesso Gramsci, naturalmente. Pur riferito principalmente al
metodo interno del centralismo democratico e ai rapporti tra militanti, base e
classe dirigente di un partito comunista, Giannini non si esime da una
riflessione di portata globale (che egli chiama “teologica”) e di carattere
universalistico: “dobbiamo cercare le
strade per l’affermarsi dell’uomo nuovo”, (ivi, pag. 296), riattualizzando il concetto di egemonia di Gramsci.
Da un
punto di vista più strettamente filosofico, l’umanesimo materialistico di
Gramsci deve e può associarsi all’ambizione lukàcsiana della fondazione di
un’etica materialistica sulla base di un’ontologia dell’essere sociale. Questo
è doveroso per noi comunisti di questo secolo, comunisti che hanno potuto
misurare, con le prove della storia (in negativo), i tentativi di
“ricostruzione antropologica” dell’”uomo nuovo” con ideali socialisti, senza
con questo liquidare tout court quelle stesse esperienze (significativamente,
J.F.Lyotard, il filosofo del ‘postmoderno’, critica il marxismo non
principalmente dal punto di vista delle esperienze concrete, ma come ‘grande
narrazione’ del mondo e della realtà dal punto di vista dell’analisi teorica,
che lo trasforma in ‘utopia rivoluzionaria’, dunque pericoloso in sé per una
promessa palingenetica di una rifondazione antropologica).
Ma il
presente e il futuro si costruiscono attingendo al proprio patrimonio,
soprattutto intellettuale, con le armi della critica e della riflessione. [1]
Nel
Lukàcs dei saggi raccolti in Storia e coscienza di classe (1923), non solo c’è una ribadita
consapevolezza che crisi e contraddizioni sono l’”essenza stessa” del sistema
sociale capitalista
[“(le
contraddizioni (..) appartengono piuttosto
inseparabilmente all'essenza della realtà
stessa,
alla essenza della società capitalistica”, Storia e coscienza di classe, Milano-1967, pag.14],
ma,
puntualizzando i concetti marxiani di reificazione e del carattere di feticcio
della merce, sottolinea come sia nella coscienza umana che avviene una
trasformazione delle relazioni intersoggettive negativamente in rapporti tra
cose
[“una
relazione tra persone riceve il carattere della cosalità e quindi un'
‘oggettività spettrale’ che occulta nella sua legalità autonoma, rigorosa,
apparente, conclusa e razionale, ogni traccia della propria essenza
fondamentale: il rapporto tra uomini,” ivi,
pag. 108]
In parole più semplici, noi
comunisti, nel delineare i caratteri della nuova società, oltre la critica alla
mercificazione delle umane relazioni, dobbiamo prospettare una rivoluzione
politico-sociale che trasformi in profondità, senza più lo schermo del profitto
e dell’interesse egoistico, la stessa natura dei rapporti sociali. Ma dobbiamo
bandire ogni sorta di ‘integralismo’, cioè ogni presunzione propria dei
‘metafisici’. Aderire alla realtà per modificarla e non solo per darne
un’interpretazione, significa che anche i comunisti convivono, sono parte e
camminano con le imperfezioni umane. Quando queste imperfezioni sono dovute ai
rapporti sociali e di produzione del sistema capitalistico, essi porranno
correttamente il nesso causa-effetto:
non abbiamo da ricercare un fondamento ultimo dell’essere, ma la strada
migliore perché gli esseri umani si relazionino tra di loro senza la barbarie
della mercificazione.
Un esempio per scendere dalle
vette della teoresi alla concreta realtà di tutti i giorni: lo stillicidio di
vittime femminili da parte di loro partners o ex-compagni, mariti, ecc.., ha
fatto coniare ad alcuni il termine orrendo di ‘femminicidio”, cioè
letteralmente la tendenza del genere ‘maschio’ ad uccidere il genere
‘femmina’. Una tendenza dunque fondata
antropologicamente: una nuova metafisica dei costumi.[2] Ancora una volta la barbarie dell’egoismo
fatto ‘sistema di relazioni’, parente stretto dell’arcaica idea del ‘possesso’
individuale anche delle persone (così come fa il padrone nei confronti
dell’operaio), è ben occultato nell’orientamento di massa delle coscienze. La
risposta più di sinistra a questo problema non è accentuare la repressione, ma
la prevenzione. E cioè investire nella cultura, nella scuola,dove il compito
educativo diventa il reciproco rispetto, questo sì assoluto e mai relativo, tra
i generi. Che continuano ad aver bisogno l’uno dell’altro nel mutuo
riconoscimento delle loro differenze e della loro meravigliosa contiguità.
Un ultimo esempio sempre per
aderire allo spirito dei nostri tempi: tempi in cui la sinistra si fa paladina
della categoria di ‘legalità’. Legalità non è l’insieme delle regole che
un’organizzazione si sceglie coscientemente per strutturare i processi
relazionali e decisionali (come ad es. è il caso del centralismo democratico). Ora, se è vero, come ricorda Giannini
nell’articolo citato che “sono le leggi che permettono il passaggio da una
società incivile a una civile”, e,
aggiungiamo, sono sempre le stesse classi dominanti che infrangono le regole
della convivenza democratica con il loro ‘sovversivismo reazionario’ (vedi il
caso eclatante di Berlusconi e della ‘legge Severino’), si fa fatica a non credere,
da comunisti (e leninisti), che le leggi non siano altro che la codifica di
rapporti di forza tra le classi. La magistratura che condanna Berlusconi ed
Emilio Riva è la stessa che accusa il movimento ‘No Tav’ di terrorismo. E che
domani sarà pronta a processare i movimenti di Taranto per un ambiente pulito
ed un lavoro senza ricatti appena si passi ad azioni più conseguenti e ‘dure’
sul piano pratico. Altro che ‘via
giudiziaria’ al socialismo di cui straparla il massimo esponente politico
italiano del capitalismo arrogante e reazionario!
Il terreno di scontro è la
verifica delle categorie con cui si cerca di interpretare la realtà; spetta a
noi comunisti organizzati smascherare il vero volto della crisi: crisi di
sistema, che imbarbarisce ogni ambito della società, non antropologicamente, ma
secondo condizioni storicamente determinate.
[1] Il giusto atteggiamento
nei confronti delle esperienze storiche del socialismo è posto da Giannini in
questo modo: “La stessa vasta, variegata,
spesso fortemente contraddittoria gamma dei giudizi di natura politica, teorica
e storica proveniente dall’intero arco delle forze comuniste e anticapitaliste
mondiali, dall’intero arco delle tendenze di ispirazione marxista sul
socialismo realizzato, indica l’esigenza di proseguire il dibattito – e
soprattutto la ricerca scientifica – attraverso forme e modalità più
strutturate e organiche, che nulla lascino all’improvvisazione, alle necessità
tattiche di ciascun partito e di ciascuna tendenza, puntando invece a una
lettura teorica alta e collettivamente determinata. (..)quelle esperienze
(.)debbono entrare a far parte della memoria e del patrimonio dell’odierno
movimento comunista e anticapitalista, al semplice ma essenziale fine non di
ripeterli (gli errori, ndr), ma di
arricchire positivamente la prassi rivoluzionaria.”, Giannini, “Da una
parte..”, cit., pp.262-65.
[2] Questo punto è stato
oggetto di discussione nel seminario femminista di Paestum dal 4 al 6 ottobre
2013. Significativamente, Stefania Cantatore, dell’UDI di Napoli ha asserito
che “oggi la politica ha fatto diventare
la parola femminicidio come l’uccisione della donna in quanto tale solo da
parte dei mariti, o ex, per parcellizzare un fenomeno che è invece espressione
non solo di un ambito domestico ma più ampio, e che ora quello che fanno le
istituzioni è solo affrontare la violenza sulle donne a livello securitario.”,
cfr. Luisa Betti, Femminismo, la sfida
giovane, in Il Manifesto,
8/10/2013.
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