editoriale Lavoro Politico nr. aprile 2015
domenica 12 aprile 2015
Retorica e senso comune
editoriale Lavoro Politico nr. aprile 2015
RETORICA E SENSO COMUNE
I poteri forti alimentano il senso comune deteriore dell’antipolitica e
dell’antipartitismo con cui rafforzano se stessi. Lo strumento è la retorica
delle parole e le frasi stereotipate per
occultare le cause strutturali dei fenomeni sociali
----- ferdinando
dubla -----
La scuola di retorica di Isocrate
(in Atene, 436-338 a.C.) era celebre
nell’antichità perché metteva in condizione, per chi poteva permettersi una
retta consistente, di avviare giovani alla vita politica attiva, alla carriera,
al successo e alla gloria, attraverso sofisticate tecniche del discorso,
un’estetica della parola che mirasse a rendere persuasivo anche il ragionamento
privo di finalità di ricerca e conoscenza oggettiva (come era nell’Accademia di
Platone). Attraverso l’estrema soggettività dell’opinione, l’obiettivo era
quello del convincimento di larghi strati della popolazione a porre rimedio
alle degenerazioni della democrazia, così come si era sviluppata in Atene dalla
fine del V secolo a.C.
Marx, già nell’opera L’Ideologia Tedesca (1845), esaminava la
formazione e lo sviluppo dell’ideologia dominante, quello della borghesia
capitalista, che tentava di mistificare la realtà delle contraddizioni di
classe attraverso la sovrapposizione, all’analisi scientifica della società, di
falsi assiomi e luoghi comuni. Una sorta di produzione di retorica, attraverso il potere politico dei ceti dirigenti, che
giustificasse i rapporti sociali funzionali alla struttura economica.
Il nostro Gramsci, infine, nei Quaderni dal carcere, da studioso di
filologia e filosofo della politica, forgia una categoria fra le più acute e
rivelatrici della natura del dominio capitalista, quella di “senso comune”. Nel
linguaggio si scopre il rapporto tra dialettica e retorica, inteso come relazione
tra la scienza del comprendere attraverso il ragionamento confutativo e la
tecnica, l’arte della persuasione. Il senso comune, dunque, per Gramsci, è
attraversato, nel sistema capitalista, dalla mistificazione retorica che
“occulta” una descrizione dei rapporti di classe effettivi e il nesso
causa-effetto dei fenomeni sociali.
“Il legame tra
dialettica e retorica continua anche oggi nel linguaggio comune, in senso
superiore quando si vuole indicare una oratoria stringente, in cui la deduzione
o il nesso tra causa ed effetto è di carattere particolarmente convincente e in
senso deteriore per l’oratoria pagliettesca, che fa stare a bocca aperta i
villani.” Quaderno 11 (XVIII) § (41)
Interessante sarebbe approfondire
l’influenza o la concordanza che questa acuta riflessione gramsciana ha avuto
nella psicologia sociale, in particolare di G.W.Allport, autore che è riuscito
a mettere in luce come i pregiudizi abbiano un ruolo fondamentale nelle
valutazioni di massa di tipo errato (bias)
nelle facili categorizzazioni e generalizzazioni proposte dai mass media e in
generale dai poteri forti del sistema sociale.
Questi riferimenti servono per
spiegare, in buona parte, ciò che accade in Italia ai nostri giorni, nella
spirale perversa che si è sviluppata: i poteri forti che utilizzano
l’antipolitica e l’antipartitismo per alimentare il loro dominio e il loro
controllo sulla vita sociale. Di fronte ai dilaganti fenomeni di corruzione
prodotti dal sistema nel sistema, piuttosto che mettere in
discussione il sistema, si cerca di
rafforzare il senso comune della repressione, dell’inasprimento dei controlli,
del giustizialismo. Per rafforzarsi, il potere esecutivo cerca incessantemente
il consenso penale, dalla
parossistica stretta sanzionatoria per i reati contro la pubblica
amministrazione, alla progressiva erosione dei diritti costituzionali, alle
nuove norme antiterrorismo, fino al populismo giudiziario dell’aumento
insensato dei termini di prescrizione dei reati. Nutrire la cultura repressiva
significa escludere in partenza la ricerca cause
strutturali-effetti sociali e accarezzare il senso comune in forma
populista, demagogica, ad uso e consumo dei poteri dominanti, con la
restrizione degli spazi di democrazia reale e lo stravolgimento delle stesse
regole formali presenti nella nostra Carta Costituzionale. Significativo è che
ampie parti della sinistra, e non solo quella moderata, pur contestando alcune
misure particolarmente violente nei confronti del mondo del lavoro (come il
cosiddetto “Jobs Act”) e i metodi autoritari utilizzati dal governo-Renzi (per
far passare l’ignobile legge-capestro elettorale contro minoranze e il
democratico principio della rappresentatività), poi si spellano le mani ad ogni
iniziativa della magistratura o dinanzi a orchestrate campagne mediatiche di
delegittimazione di individui o gruppi, politici e sociali, felicitandosi di
ogni impiccagione pubblica e auspicandone di sempre nuove e cruente, punire un
reo (presunto) per educarne altri cento, mille e così via in una spirale senza
via d’uscita se non l’imbarbarimento collettivo e la delegittimazione di tutta
la politica in quanto tale. Ma a furia di godersi lo spettacolo, che è lotta
furiosa tra fazioni delle classi dominanti, si finisce per restare legati allo
stesso palo degli impiccati. Il caso dei No-Tav insegna come sia sempre più
possibile essere colpiti da teoremi apodittici di magistrati, funzionali ai
peggiori piani dei poteri dominanti.
Paradossalmente non ci si accorge
(o conviene che non ci si accorga, visto l’abbandono della lettura marxista
della realtà) che proprio la magistratura o i mass-media sono tra i poteri
forti dediti alla conservazione del sistema. Gravissimo per la sinistra, diventerebbe
imperdonabile per la sinistra di classe.
Il gergo utilizzato dal circo
mediatico e dai politici di maggioranza e moltissimi di minoranza che siedono
attualmente sugli scranni parlamentari (con scarsissima rappresentatività della
società grazie a sistemi elettorali più vicini al fascismo e al pre-fascismo
piuttosto che agli assetti post-bellici), è pieno zeppo di retorica per
orientare il senso comune in un senso ancora più degradato. Senza che alcuno
ribatta, si ascoltano frasi assiomatiche come, tanto per fare degli esempi,
“riforma del mercato del lavoro”, “il cammino delle riforme non si arresta”,
“la magistratura ha aperto un fascicolo”, “la legge sulla buona scuola”, “i
colpevoli vanno chiusi in carcere e gettata la chiave”, e potremmo continuare a
lungo. L’egemonia nel linguaggio diventa egemonia nei rapporti sociali, nella
vita reale. L’abbandono di un’intenzionalità pedagogica dei partiti differenza
questi nostri tempi tristi da quelli del secondo dopoguerra del ‘900, quando i
valori ideali permeavano comunque anche il senso comune. Uno dei motivi, e non
il secondario, della straordinaria crescita e influenza del PCI. Oggi
“ideologico” significa “ideale” ed è utilizzato contro tutti coloro che si
oppongono al sistema capitalistico e ai suoi falsi valori e assiomi, come con
“tabù ideologico” è stato scardinato l’art.18 dello Statuto dei lavoratori,
come con “rifiuto ideologico del progresso” viene etichettato ogni antagonismo
che cerca di resistere agli scempi ambientali, ad operazioni anti-storiche come
l’Expo (molto emblematico: lì le indagini della magistratura sono servite non
per mettere in discussione l’impianto inutile della manifestazione e lo spreco
di soldi, ma per una ‘necessaria’ accelerazione dei tempi con un uomo solo al
comando). A Taranto, ‘coniugare ambiente e lavoro’ sta significando leggi ad
hoc per continuare ad avvelenare un martoriato territorio per superiori
‘interessi strategici’: per il caso-Ilva
la retorica fatica a coprire gli odori di morte.
Chi in questo paese voglia
ricostruire un partito comunista di quadri e di massa, ha da rimettere al
centro la lettura marxista della realtà e affrontare la questione degli
strumenti di cui dotarsi per sfidare retorica e senso comune. Per indicare un
solo esempio, avere un partito e non avere un giornale che si indirizzi ad
andare oltre la ristretta area della militanza, è impensabile oggi come ai
tempi di Lenin. Nè può bastarci essere presenti nel magma incandescente delle nuove
tecnologie e delle reti, che risulta modalità insufficiente per garantirsi una
visibilità di massa. Avere sezioni territoriali e non curare la formazione di
cellule nei luoghi della produzione, è impensabile oggi come ai tempi di
Antonio Gramsci e Pietro Secchia. E’ una moderna necessità unire le funzioni
dell’intellettuale “organico” e dell’intellettuale “collettivo”, è compito dei
comunisti dei tempi presenti sviluppare il lavoro politico e il lavoro
culturale in un’unica direttrice che sostanzi i nostri valori e i nostri
programmi.
fe.d., aprile 2015
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