un articolo di Mario De Pasquale sulla Gazzetta del Mezzogiorno del 13 ottobre 2015
giovedì 15 ottobre 2015
L'insegnamento della filosofia--il pericolo è la "società ignorante"
un articolo di Mario De Pasquale sulla Gazzetta del Mezzogiorno del 13 ottobre 2015
SE
L’OCCIDENTE LIQUIDA LA FILOSOFIA
DI MARIO DE PASQUALE
L’Occidente mette in liquidazione la filosofia? Nel mondo
anglosassone non c’è posto per l’insegnamento della filosofia nelle scuole
secondarie. Rimane ancora in Grecia, Francia e Spagna, dove il governo Rajoi
intende ridurre le ore di insegnamento della filosofia e rendere obbligatorio
l’insegnamento della religione. Nel nostro paese si insegna filosofia per tre
ore settimanali solo nei licei classici e nei licei delle scienze umane, per
due ore in tutti gli altri indirizzi liceali. Nelle Università gli insegnamenti
filosofici tendono verso la marginalizzazione. Come mai? L’ethos neo-liberale economicistico negli ultimi decenni ha
alimentato una visione pragmatica e produttivistica del sapere e della formazione,
ritenuti come elementi di un processo di razionalizzazione e di innovazione del
modello sociale vigente di sviluppo, di per sé dato per scontato.
In questa prospettiva si può fare a meno della filosofia? La
risposta è ovvia: sì. L’insegnamento della filosofia contribuisce, alla pari di
altre discipline, alla formazione, alla promozione di competenze utili allo
studio, al lavoro, alla comunicazione, alla ricerca, all’esercizio della
cittadinanza. Non è indispensabile per implementare l’innalzamento del Pil.
Tuttavia, bisogna avere il coraggio di farsi un’altra domanda. Nei nostri tempi
difficili quale contributo possono dare la ricerca filosofica e l’insegnamento
della filosofia all’ampliamento della dignità umana, alla valutazione critica
delle attuali forme di vita e alla progettazione di altre migliori e più
giuste, alla formazione di persone e cittadini responsabili capaci di
contribuire alla loro costruzione?
Socrate, a chi gli diceva di giustificare il suo impegno di
filosofo, rispondeva: la vita gli sembrava degna di essere vissuta solo facendo
ricerca. Ricerca su cosa? Su chi siamo, sul senso delle cose e su come vivere,
su cosa è giusto
Siamo liberi se possiamo usare i sensi, immaginare e
ragionare in modo informato e coltivato
dall’istruzione
e cosa è buono, su qual è la forma migliore di vita. Qual è
la strada per la felicità? Aristotele rispondeva: quella di conoscere e
realizzare al meglio, nelle situazioni date, quello che si è, quello che si ha
dentro e quello che si desidera. La filosofa Martha Nussbaum riprende la strada
di Socrate e di Aristotele e cerca di individuare una funzione altamente civile
per l’impegno filosofico: tradurre concretamente in diritti universali i
contenuti di un’idea di dignità della vita umana. La vita è degna di essere
vissuta quando è consapevolmente interrogata, autenticamente progettata e
agita, quando consente alle donne e agli uomini uno sviluppo di capacità
fondamentali per la realizzazione di sé all’interno di una comunità e per la
ricerca della giustizia. Le donne e gli uomini sono liberi e vivono degnamente
se possono usare i propri sensi, immaginare, pensare e ragionare in modo
informato e coltivato da un’istruzione adeguata, comprendendo le cose per come
stanno, individuando o attribuendo loro un senso e un valore. La vita è degna
di essere vissuta quando ognuno è in grado di provare consapevolmente
sentimenti per persone e cose, è capace di esercitare la ragion pratica, di
formarsi un’idea di ciò che è bene e di ciò che è male, secondo cui progettare
il proprio modo di vita insieme con gli altri, le proprie scelte umane e
professionali, etiche e politiche.
In questa prospettiva, anche se può sembrare superficialmente
inattuale, bisogna avere il coraggio di dire che la pratica di ricerca chiamata
“filosofia” può essere per tutti una forma di chiarificazione consapevole, di
riappropriazione del personale sforzo di esistere secondo un senso (Ricoeur), e
un mezzo per realizzare una vita degna, a livello individuale e sociale. E non
appare chiaro che una disciplina così debba far parte del processo formativo
dei nostri giovani? Gli appelli in difesa della filosofia nel nostro Paese
hanno assunto di solito una veste difensiva; i filosofi prendono voce quando le
battaglie sono quasi perdute e spesso si distinguono per un’astratta difesa
dell’umanesimo, come sacrosanta reazione contro ogni riduzione tecnocratica
della complessità dell’esistere e contro
una “razionalità degli egoisti” che governa il presente (cfr. l’appello, del tutto condivisibile, uscito sul sito “La
Scuola” il 19 febbraio 2015, firmato da Roberto Esposito, Adriano Fabris e
Giovanni Reale, sottoscritto da moltissimi filosofi e associazioni
professionali dei filosofi e dei docenti di filosofia).
Ma il problema è più generale e non è solo dei filosofi. La
filosofia e il suo insegnamento seguono i destini tracciati dall’impotenza
della cultura nel progettare e nel
costruire per il presente e per il futuro le forme di vita e i modelli di
società più degni e più giusti.
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Quando i miei ragazzi mi chiedono a cosa serve la filosofia, io rispondo con una frase che credo sia di Heidegger: "Non chiedetevi cosa potete farvene della filosofia ma cosa la filosofia può fare di voi." Grazie Ferdinando, ciao. Pasquale Losavio
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