Subaltern studies Italia

L’analisi e la classe - a cura di Ferdinando Dubla

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martedì 23 febbraio 2016

ANTONIO BANFI: il marxismo come pieno sviluppo della ragione libera

 

IL MARXISMO COME PIENO SVILUPPO DELLA RAGIONE LIBERA

 

ANTONIO BANFI: da Il marxismo e la libertà del pensiero, scritto nel 1954

Secondo Banfi, solo il marxismo concepito come radicale umanesimo e che ha come oggetto d’analisi razionale il reale e la sua trasformazione, può ricollocare la filosofia come universalità del sapere. La lezione di Labriola e Gramsci

 
Il materialismo quale Marx propone come orizzonte alla coscienza proletaria e, in genere,  al nuovo mondo socialista,  non è un nuovo sistema filosofico nel comune senso della parola, come definizione di un'assoluta struttura del reale. Esso è piuttosto un sistema di coordinate interpretative del reale stesso, nella sua dinamica differenziata obiettività.

Fu detto un metodo del conoscere, il che non è interamente giusto, giacchè quando si parla di metodo del conoscere sembra doversi far astrazione dal contenuto, per considerare solo la forma del suo processo. Ma nel marxismo le coordinate definiscono insieme la struttura fondamentale della forma e del contenuto del conoscere. E la definizione avviene secondo i seguenti momenti:

 
a) materialismo.

La materia è il reale in quanto razionalmente riconosciuto, nel senso di una ragione critica immanente. Qui la materia non è l'altro, il negativo dell'idea, il “non essere” come secondo il razionalismo di trascendenza dogmatico platonica; è la materia nel senso che Galileo introduce, come l'obbiettività strutturata del reale determinata secondo le leggi del pensiero scientifico. Ché se per la materie Galileo assunse il solo sistema dei rapporti meccanici, qui la materia si estende  a tutta l'obbiettività del sapere scientifico. Materialismo significa dunque concezione della realtà secondo lo sviluppo del sapere scientifico, di un razionalismo di immanenza; cioè, positivamente, nel senso di una dottrina aperta in pieno sviluppo, e negativamente nel senso di una opposizione netta e radicale a ogni metafisica.

b) Dialetticità.

La dialetticità che in Hegel subisce nella triade delle tesi, antitesi e sintesi una curvatura metafisico-sistematica è ridotta in Marx al suo essenziale significato, al suo valore razionalmente interpretativo, in senso antidogmatico, della realtà.

Dialetticità è infatti una negazione dei princìpi del dogmatismo razionale, dell'identità, cioè, dell'assenza e della sostanza. E' la ammissione dell'alterità non come mero astratto indifferente esser altro (empirismo), non come integrazione col primo in un'unità superiore (dogmatismo razionale), ma come negazione dell'assoluto essere in sé del primo, suo movimento e processo. L'altro non è la negazione del primo, ma la negazione del suo essere in sé a cui tende ad ancorarsi ogni situazione; e proprio perché è negazione del suo essere in sé e sviluppo e riconoscimento razionale della sua struttura, liberazione di questa. Il dialettismo è metodicamente la garanzia della ragione di immanenza rispetto al reale riconoscimento del suo processo come processo e salto insieme. Di qui la concezione marxista della rivoluzione

c)  Materialismo storico.

Sciolta la coscienza metafisica dell'umanità vi si sostituisce quella storica, e se questa deve essere sottratta all'arbitrio dell'accidentale essa deve posare su una struttura di rapporti obbiettivi, costanti nel loro processo. Si tratta dei rapporti sociali-economici che qui costituiscono perciò il piano della materialità come su sopra definito. E' questa coscienza obbiettiva e dinamica del reale, dell'uomo e della loro inerenza, che costituisce l'anticontemplazione, la conoscenza che può e corrisponde alla trasformazione del mondo, la coscienza dell'umanità nuova. E’ ovvio che il marxismo non è una dottrina, ma un indirizzo, e che attende nel sapere concreto, di cui esso garantisce la libertà e l'obbiettività, la sua pienezza. Così esso riassume in sé, ma in senso dialettico, rinnovandone il significato umano, il processo del pensiero moderno. Ma nel tempo stesso dà senso, unità e valore alla problematica effettiva che da esso nasce nel pensiero contemporaneo.

Il problema del sistema del sapere ha nel materialismo dialettico la sua concretezza in quanto è liberato da presupposti dualistici e metafisici. In esso è superato l'elemento dualistico dell'opporsi di soggetto ad oggetto, in quanto l'uno si ritrova nell'altro, e il sapere ha la sua garanzia nella struttura dell'essere, proprio come limite (realismo).

Il problema della storicità della cultura trova nel materialismo storico la sua concreta soluzione, determinando la linea di tale storicità. E infine la teoria della lotta di classe fornisce il momento nuovo e concreto dell'eticità nuova.

 Il marxismo è il pieno sviluppo della ragione libera: la ragione come riflesso della concreta azione umana (identità di homo faber e di homo sapiens) nella sua universale immanenza, come concezione del mondo, dà all'azione concretezza, libertà, universalità come azione della collettività degli uomini nella struttura obiettiva del mondo. E qui la filosofia come garanzia del sapere e della sua umana efficacia nella struttura obiettiva del reale, e dell'eticità che la dirige riprende il suo valore e il suo significato. Essa è coscienza che crea l'umanità come tale e accompagna il suo agire nel mondo, è presenza di tale coscienza, di tale unità e di tale efficacia, sfondo della vita e del sapere a cui ciascuno attinge e non solo un'élite secondo la sua esigenza.

E' chiaro perciò quale è la via degli studi filosofici;  la comprensione radicale del marxismo che non può essere teoricamente pura se non in funzione dell'attività storica del proletariato di cui esprime la coscienza universalistica; l'integrazione in essa dei risultati dello sviluppo della filosofia moderna, quale appare nel pensiero contemporaneo al di sotto degli aspetti di crisi evasiva che caratterizzano in essa la decadenza borghese. Il marxismo apparirà veramente come potenza di radicale trasposizione e integrazione, come rinnovamento dell'esigenza filosofica nel suo senso più ampio e universale sulla base di comuni certezze, nella luce di un comune lavoro. Nel marxismo, inveratore della tradizione, è la base della soluzione della crisi, della restaurazione della filosofia come universalità del sapere.

Due parole per noi italiani. Noi abbiamo una ricca e chiara tradizione di pensiero moderno, che inutilmente letterati e teologi tentano di falsare. Giacché in Italia è nata la coscienza storica e la coscienza scientifica moderna come prodotto del Rinascimento, e alla ripresa politica e civile d'Italia, dopo secoli di invasione e di oppressione, esse si sono riprese nello spirito illuministico e con esso hanno dominato nella coscienza risorgimentale e nello stabilimento di uno Stato di principio laico e democratico. Il teologismo filosofico romantico di un Rosmini e di un Gioberti sono i primi tentativi d'imbrigliare nell'ideologia cattolica  il pensiero delle nuove classi dirigenti.  La reazione fu quella compiuta dai filosofi contemporanei, dalle due generazioni che ci hanno preceduto, dalla generazione degli Spaventa a quella dei nostri maestri, che aprirono il pensiero all'influsso del pensiero europeo, all'influsso cioè del processo di risoluzione del dogmatismo filosofico di cui si è parlato. Il pensiero italiano è stato preso dalla grande corrente del pensiero europeo e mondiale, e non sarà mai abbastanza vantata l'opera di questi spiriti liberi, che ci furono maestri, spesso soli a lottare contro seduzioni e illusioni spirituali di tutti i generi. Da questo punto di vista, nonostante lo sforzo del pensiero e i risultati notevoli, il neoidealismo rappresenta il risorgere di un teologismo , il concludersi dogmatico fuori dalle correnti vive di pensiero, una volta difesosi dal marxismo, in un provincialismo filosofico. Oggi esso è vinto per opera delle ultime generazioni: il pensiero filosofico circola da oltre le Alpi e solo è a raccomandare ai giovani - e perciò è prezioso lo studio dei classici e della storia della filosofia - ch'essi ne avvertano e pongano in rilievo tutta la problematicità e dialetticità, senza lasciarsi sedurre dall'incanto di particolari atteggiamenti, e mantengano ferma contro i risultati apparenti del riconoscimento della grande crisi, contro lo scetticismo o la rinuncia o l'ironia, la fede operosa nel pensiero filosofico, nella sua universalità razionale come scoperta del reale, nella sua umanità profonda come fondazione di un radicale umanesimo.

Che ciò non possa avvenire se non nell'ambito del marxismo è quanto sopra abbiamo indicato. Anche qui non manca all'Italia una tradizione speculativa. Lasceremo qui da parte le valutazioni e i tentativi d'interpretazione marxista entro l'ambito di particolari correnti filosofiche: l'idealismo, il kantismo, il positivismo. E' solo da notare che la più netta, radicale, coerente interpretazione marxista ci giunge, al volgere del secolo, da Antonio Labriola, che indubbiamente fu il più colto tra i filosofi accademici e il più esperto nella conoscenza del pensiero europeo a lui contemporaneo, il più conscio della sua crisi posthegeliana e il più impegnato ad una soluzione. Egli muove, dall'hegelismo all'herbatismo, al marxismo, se è possibile esprimersi così, sulla cresta di un'onda che è tuttavia definita dall'incontro delle varie correnti di pensiero e di ricerca che il pensiero moderno gli offriva. E quella cresta significa la ricerca di una posizione,  di un metodo che gli renda possibile di comprendere la realtà in tutta la ricchezza delle sue forme e dei suoi movimenti. Hegelismo, herbatismo, marxismo non sono che i gradi di tale processo, stimolato dalla ricca larga cultura contemporanea e dall'amore per la realtà e la serietà umana dell'impegno etico e speculativo. Con questo di essenziale, che il marxismo risponde non pure a un suo impegno, ma a un impegno della storia umana: è la garanzia della realtà, della razionalità, dell'eticità per gli uomini in generale nella concreta lotta storica. Ciò che nel positivismo gli ripugna è la sua superficialità della risoluzione della crisi, che corrisponde alla debolezza, alla falsità e vacuità delle stesse forze sociali che sostengono tale risoluzione.

Se con Labriola è riconosciuto al marxismo la sua centralità e il suo significato nel pensiero moderno, come linea che ne riassume il processo, a Gramsci dobbiamo la ricerca sottile di un'interpretazione marxista della cultura, almeno quale prende rilievo nella vita italiana del suo tempo: la ricchezza dei risultati è a tutti nota. Che cosa resta a fare alle nuove generazioni? Il lavoro è infinito e sarebbe tempo che non ci si trattenesse sui margini a baloccarci con velleità da dilettanti. Possiamo enumerare i compiti:

1) l’approfondimento della coscienza marxista del marxismo, nel suo riferimento alla struttura sociale, alle lotte di classe, allo sviluppo della funzione universale del proletariato che gli stanno alla base. Si tratta della storia marxista del marxismo, attraverso le sue conquiste pratiche e gli sviluppi dei teorici;

2) Il riconoscimento dello sbocco nel marxismo delle linee essenziali e progressive del pensiero moderno e della problematica fondamentale del pensiero moderno contemporaneo, a cui il marxismo, rovesciandone il senso,  dà organicità,  soluzione,  riconquistando la funzione del sapere filosofico nel sistema generale del sapere;

3) lo sviluppo dei concetti estremamente pregnanti di materialismo e di dialetticità e la ricerca in loro funzione di una concezione del mondo e della realtà fondata sul valore dialettico del sapere scientifico;

4) l'approfondimento e la continuazione dell'indirizzo gramsciano di un'analisi e interpretazione storica marxista della cultura senza trascurare i risultati della filosofia della crisi;

5) lo sforzo dell'unificazione - su basi storicamente concrete  - dell'abbozzo di tale visione in funzione di un'etica che abbraccia e umanamente significa tutti gli aspetti della cultura e costituisce il vero umanesimo;

6) la reinterpretazione della tradizione culturale e filosofica, oggi tanto più necessaria in quanto, con senso tutto nuovo, cultura e pensiero d'Oriente si affacciano alla storia della cultura. Agli svogliati, agli inerti, agli scettici o - e sono gemelli - agli ispirati, ai mistici, dobbiamo ripetere che i diritti e le forze della ragione sono sempre vive, che la conoscibilità del reale fa passi continui, che nella vittoria del proletariato sta la condizione per la libertà del pensiero, che è il suo esser se stesso, come ragione e come umanità. Dobbiamo affermare, anche se tutta la filosofia deve essere ricostruita, la dignità e il valore della filosofia: giacchè la costruzione non distrugge che le impalcature che limitano la grande opera e la nascondono: essa riprende in sé i motivi di tutta una tradizione; nulla del pensiero è perduto se non ciò che era in esso antipensiero: i limiti della ragione e il rinnegamento della sua umanità. Il marxismo apre come in ogni campo l'era della libertà del pensiero, della sua autonomia ed umanità.

 
da Antonio Banfi, Saggi sul marxismo, Ed.Riuniti, 1960 (postumo), pp.155-160

Le evidenziazioni e l’allineamento paragrafi sono nostri.

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