lunedì 8 maggio 2017
“ANTIPOLITICA” E SENSO COMUNE
[sintesi
dell’intervento alla serata di studio “Gramsci nel lavoro politico della
sinistra”, Taranto, 27 aprile 2017]
(ferdinando dubla)
Partire dall’assunto che le ‘idee
dominanti sono le idee della classe dominante’ (Marx) e coniugarlo con la terza
glossa a Feuerbach del 1845, secondo cui
“La dottrina materialistica
che gli uomini sono prodotti dell'ambiente e dell'educazione, e che pertanto
uomini mutati sono prodotti di un altro ambiente e di una mutata educazione,
dimentica che sono proprio gli uomini che modificano l'ambiente e che
l'educatore stesso deve essere educato. Essa perciò giunge necessariamente a
scindere la società in due parti, una delle quali sta al di sopra della società
(per esempio in Roberto Owen). La coincidenza nel variare dell'ambiente e
dell'attività umana può solo essere concepita e compresa razionalmente come
pratica rivoluzionaria.”, aiuta a comprendere sia il significato e
il valore che Gramsci nei “Quaderni” applica alla categoria di ‘senso comune’,
in relazione diretta con il consenso alle idee dominanti da parte delle masse
popolari, sia la possibile attualizzazione della stessa per comprendere la
dinamica sociale e politica del nostro paese.
E’ indubitabile, infatti, che il
largo consenso che la cosiddetta ‘antipolitica’ ha nell’”opinione media”
(espressione gramsciana) della società italiana, ma in genere nell’occidente
capitalistico alle prese con la crisi strutturale delle formazioni
economico-sociali e il declino imperialistico, impone, alle classi dirigenti
politiche, un tentativo di ricostruzione del “senso comune” dominante, mediante
gli strumenti del cosiddetto ‘populismo’ (tra le categorie utilizzate, la più
lontana dalle sue origini storiche) e della relativa ‘demagogia’, che pur si
afferma di voler contrastare e combattere.
In breve, la categoria
gramsciana, può svelarci e proprio oggi, l’arcano fenomenologico da cui è stata
generata la contraddizione che, semplificando,
potremmo sintetizzare nella elementare considerazione che il potere
politico rincorre i suoi competitori sul
loro proprio terreno, per il banale motivo che è esso stesso,
dialetticamente, all’origine della
propria crisi, della subalternità ai poteri economico-finanziari
sovranazionali.
Nella polemica sviluppata nel Q.8
verso il Saggio Popolare di Bucharin,
Gramsci riafferma la definizione (già presente nel Q.1), di senso comune deteriore: “Un
lavoro come il Saggio popolare,
destinato a una comunità di lettori che non sono intellettuali di professione,
dovrebbe partire dalla analisi e dalla critica della filosofia del senso
comune, che è la «filosofia dei non filosofi», cioè la concezione del mondo
assorbita acriticamente dai vari ambienti sociali in cui si sviluppa
l’individualità morale dell’uomo medio. Il senso comune non è una concezione
unica, identica nel tempo e nello spazio: esso è il «folclore» della filosofia,
e come il folclore si presenta in forme innumerevoli: il suo carattere
fondamentale è di essere una concezione del mondo
disgregata, incoerente, inconseguente, conforme al
carattere delle moltitudini di cui esso è la filosofia (Q 8, 173, 1045).
Non è presente qui la valenza ricostruttiva del senso comune da parte di
una filosofia-scienza quale il marxismo (la ‘filosofia della praxis’, il
materialismo storico) e di quelle forze (principalmente il partito comunista)
che devono costruire una nuova ‘egemonia’ (elaborazioni invece presenti nel
Q.11), ma si stabilisce un legame importante: quello tra senso comune e
folclore. E’ questo passaggio che rende implicito il problema (o la
‘quistione’) del consenso. Schematicamente: il senso comune è il prodotto delle
idee dominanti delle classi dominanti, e non è invariante, ma si trasforma con
le mutazioni morfologiche delle formazioni economico-sociali; il folclore è la
visione del mondo delle classi subalterne e si presenta nelle forme disgregate
e incoerenti proprie delle classi di cui è espressione. Senso comune e folclore
non si identificano, ma l’uno attinge dall’altro per la conservazione e
l’alimentazione del dominio sui subalterni, e siccome l’egemonia non è solo
forza e coercizione, è demandato proprio al senso comune il compito della
ricerca del consenso, per il tramite delle visioni “inconseguenti” del
folclore.
La base di lavoro per questa categoria era già presente, come già
scritto, nel Q.1 e precisamente: “Ogni
strato sociale ha il suo «senso comune» che è in fondo la concezione della vita
e la morale più diffusa. Ogni corrente filosofica lascia una sedimentazione di
«senso comune»: è questo il documento della sua effettualità storica. Il senso
comune non è qualcosa di irrigidito e immobile, ma si trasforma continuamente,
arricchendosi di nozioni scientifiche e opinioni filosofiche entrate nel
costume. Il «senso comune» è il folklore della «filosofia» e sta di mezzo tra
il «folklore» vero e proprio (cioè come è inteso) e la filosofia, la scienza,
l’economia degli scienziati. Il «senso comune» crea il futuro folklore, cioè
una fase più o meno irrigidita di un certo tempo e luogo” (Q 1, 65, 76).
Si è già in grado di attualizzare questa categoria gramsciana, pur
disponendo di molte e altre innumerevoli articolazioni della sua “ermeneutica
sociale”. Oggi, infatti, da quanto si
può rilevare nel nostro paese, l’”antipolitica” è risultato di una cattiva e
debole politica delle classi dirigenti rispetto
ai “poteri forti”, principalmente alle dinamiche e assetti economico-finanziari che producono la
crisi strutturale. Ma l’”antipolitica”, in quanto tale, non esiste: ogni azione
è, strictu sensu, politica. La negazione, dunque, non è alla politica, cioè
filologicamente all’”amministrazione dello Stato, della cosa pubblica”, ma è
genericamente e qualunquisticamente rivolta ai partiti tutti, quali
organizzazioni sulle quali la Costituzione repubblicana ha fondato la
dialettica politica e la partecipazione popolare nel confronto democratico, e,
spingendosi estensivamente nell’originario spirito costituente, la formazione
di una coscienza civica per il bene
comune (tradizione solidale cattolica)
e formazione di una coscienza di classe per l’emancipazione di massa (tradizione
marxista). I tre grandi partiti di massa che animarono l’Assemblea Costituente
(la DC, il PCI, il PSI), pur avendo “concezioni del mondo” (nel linguaggio
gramsciano palese è il significato di ‘filosofie sistematiche coerenti al loro
interno’ ) profondamente diverse, concepivano il partito politico come vettore
di formazione della coscienza, cioè
animato da intenzionalità pedagogica,
in un confronto-scontro di valori e ideali sui quali ricercare il consenso,
limitando in questo modo il ricorrente pericolo di ciò che attualmente viene
definito come demagogico-populista, in definitiva l’”assecondare” le primitive
forme di pensiero proprie di quelle che Gramsci definisce ‘folclore’. In
particolare, per il PCI, la perdita di una cosciente intenzionalità pedagogica
per costruire l’egemonia delle classi subalterne e un’aderenza a logiche
politiche deprivate di finalità strategiche, può portare alla disgregazione del
tessuto connettivo della Repubblica, base della possibile trasformazione
rivoluzionaria: la sua filosofia dell'organizzazione, legata indissolubilmente
a una generale concezione pedagogica della politica, mirava soprattutto a
realizzare concretamente l’intenzionalità pedagogica del partito dei comunisti,
elaborando una vera e propria didattica funzionale
non alla riproduzione autoreferente di un ceto politico staccato dalle masse,
processo tipico delle formazioni politiche di rappresentanza delle classi
dominanti, ma diretta al fine dell’emancipazione, tramite la lotta, della
classe lavoratrice guidata da avanguardie coscienti che costruiscono l’egemonia
da classe dirigente prima di diventare dominante.
Dunque, l’”antipolitica” si
connota come “antipartitismo”, cioè la possibilità organizzata secondo un
progetto ideale di trasformazione strutturale dei rapporti sociali. Ed è qui
che incontra le idee delle classi dominanti, e diventa senso comune deteriore. Un segno tangibile di questo fenomeno è
dato dall’utilizzo da parte del potere politico stesso di continui tentativi
che cercano di assecondare il demopopulismo ‘mediatico’, il ludibrio della
‘casta’ e del ‘ceto politico’ genericamente inteso ai quali pure si
appartiene, sostituendolo al primato
delle classi e alle categorie analitiche della società civile, dei rapporti di
produzione, delle concrete relazioni sociali e delle materiali condizioni di
vita delle popolazioni. E’ una rincorsa
incessante che ha illuso di trasformare la Costituzione repubblicana in Statuto
delle oligarchie al potere, secondo il classico ‘sovversivismo delle classi
dirigenti’ oppure produce il ‘sovranismo’, la retorica patriottarda che
sostituisce l’internazionalismo, cioè il profondo e assoluto rispetto delle
patrie altrui, delle radici culturali e non delle guerre, militari ed
economiche. Oppure, ancora, l’istinto securitario e repressivo, la costante
ricerca di capri espiatori (ieri i meridionali, oggi i migranti); la devozione
a un potere forte come la magistratura, che permette di trasformare i fenomeni
sociali (come anche la corruzione) in problemi di ordine pubblico o reclusione
dei rei senza incidere nelle lacerazioni e contraddizioni del sistema sociale,
sostituendo alla parola ‘giustizia’ quella di ‘legalità’. L’attivismo delle
masse che l’”antipolitica” permette è la stessa fenomenologia del potere che
produce senso comune dal folclore, quella che portò Gramsci a concepire il
fascismo come ‘rivoluzione passiva’ e a contrapporgli la necessità di una
‘riforma intellettuale e morale’, con la formazione permanente di quadri e
militanti attivi per contrastare la tendenza alla delega, al verticismo, alla
separazione, per favorire la partecipazione cosciente delle donne e degli
uomini alla costruzione del loro stesso destino.
L’ambiente
ineducato e rozzo ha dominato l’educatore, il senso comune volgare si è imposto
alla scienza e non viceversa: se l’ambiente è l’educatore, esso deve essere
educato a sua volta, ha scritto Marx, ma il Saggio popolare non capisce questa dialettica rivoluzionaria (Q 7, 29, 877, A)
L’intenzionalità pedagogica,
nella dialettica della trasformazione, riecheggiando la terza glossa di Marx a
Feuerbach, sviluppando coscienza e spirito critico, rende operativa la
contesa egemonica: “la nozione di
«senso comune» si fa operativa nella pratica. Gramsci prende spunto da una
osservazione di Marx, in un luogo del Capitale (su cui aveva già richiamato
l'attenzione il Croce), ove viene affacciata l'idea che un determinato
progresso scientifico (nella fattispecie: della critica dell'economia politica,
in ordine alla teoria del valore) è storicamente possibile allorché «il
concetto di uguaglianza umana possegga già la solidità di un pregiudizio
popolare». Gramsci generalizza questo modo di vedere proiettandolo nella sua
rappresentazione dell'azione politica e rivoluzionaria. Una nuova concezione
può aver risultati incisivi se riesce ad agire anche nella sfera del senso
comune, «modificare l'opinione media di una certa società», addirittura
produrre «nuovi luoghi comuni».” (Luporini,
1987)
Un nuovo senso comune per una nuova società. L’amnesia
storica rimuove la critica serrata che Gramsci, compulsando in carcere testi e
riviste di critica sociale che la censura permetteva, conduceva contro le sociologie
di Robert Michels e Gaetano Mosca, le teorie delle elités e della ‘legge ferrea
dell’oligarchia’, dei ‘capi carismatici’, cioè la teoria della casta e dell’antipolitica,
giudicata
"molto superficiale e sommaria, per caratteri esterni e generici" (Q.2).
“Il ciclo populista genera un politico
sempre più fragile e aleatorio, in cui il carisma di carta pesta inventato dai
media si mescola con la degenerazione trasformista e con un discorso pubblico
sempre più svuotato di ogni contenuto reale.” (Paggi,
2016)
Il
creativo marxismo di Gramsci permette invece, ancora oggi, di svelare l’arcano
delle dinamiche politico-sociali moderne delle società capitaliste.
Riferimenti
Le
citazioni dai Quaderni sono tratte da Antonio Gramsci, Quaderni del
carcere, Edizione critica dell’Istituto Gramsci. A cura di Valentino
Gerratana, Torino, Einaudi, 1977 (2ed.)
Guido
Liguori «Senso comune» e
«buon senso» nei Quaderni del carcere, relazione per il seminario
sul lessico dei Quaderni della IGS Italia, Roma, 13 maggio 2005, in http://www.gramscitalia.it/senso.htm
Cesare
Luporini, Senso comune e filosofia,
cfr. AA.VV., Gramsci -- le sue idee nel nostro tempo, Editrice l'Unità, Roma 1987, in http://ferdinandodubla.blogspot.it/2017/05/senso-comune-e-consenso.html
C.
Malandrino, Gramsci e la Sociologia del partito politico di Michels, in
Gramsci: il partito politico nei
Quaderni,
a cura di S. Mastellone e G. Sola, Firenze, CET, 2001, vedi anche http://polis.unipmn.it/pubbl/RePEc/uca/ucapdv/malandrino165.pdf
Leonardo
Paggi, recensisce su Il Manifesto il lavoro di Michele Prospero "La
scienza politica di Gramsci", Bordeaux ed. http://ferdinandodubla.blogspot.it/2016/07/studi-gramsciani.html
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