venerdì 2 giugno 2017
L'UOMO NUOVO SUI BANCHI DI SCUOLA (Chiara Meta)
GRAMSCI E LA FORMAZIONE
La pedagogia di Gramsci, che si
configura come filosofia umanistica dell'educazione, è parte integrante della
prassi marxista. Negli stessi anni, in URSS, educatori e maestri, tra i quali
la N.K.Krupskaja e A.S.Makarenko, cercavano, con l'impostazione e
l'interpretazione del collettivo e dell'educazione sociale, una pedagogia della
rivoluzione che piuttosto che puntare a una trasformazione antropologica,
investisse sulla cultura e la scienza per l'"uomo nuovo" dello stato socialista.
In questo articolo Chiara Meta rende
evidente l'estrema attualizzazione della riflessione gramsciana sulla scuola,
snodo fondamentale di un possibile rinnovamento sociale, e il collegamento alla
filosofia di Marx e alle più generali categorie di Gramsci di analisi
politica. (fe.d.)
L’UOMO NUOVO SUI BANCHI DI SCUOLA
di CHIARA META
dallo speciale de Il Manifesto ‘Il
ritorno di Nino’ del 18 maggio 2017
Parlare del
ruolo dell’educazione e della scuola oggi alla luce delle considerazioni
pedagogiche di Gramsci rappresenta un angolo visuale fruttuoso per comprendere
alcuni processi in atto nella società contemporanea, relativi alle forme di
scomposizione dei percorsi formativi tradizionali. In particolare il
“paradigma” della complessità come strumento analitico, nonché come dispositivo
pedagogico, sembra definitivamente archiviato, perché ostacolo rispetto alla
velocità che caratterizza i ritmi della comunicazione contemporanea e i tempi
(presunti) della comprensione. Eppure una lunga tradizione del pensiero pedagogico
ci insegna quanta fatica occorra “per imparare ad imparare”. In un passo del Quaderno 10 Gramsci afferma che “il
rapporto pedagogico non può essere limitato ai rapporti specificatamente
scolastici”, in quanto esso “esiste in tutta la società nel suo complesso e per
ogni individuo rispetto ad altri individui, tra ceti intellettuali e non
intellettuali, tra governanti e governati, tra èlite e seguaci, tra dirigenti e
diretti”.
ALLA
BASE del pensiero pedagogico gramsciano vi è una presa di posizione
netta contro le pedagogie della “spontaneità”. Ciò non di meno la posizione
gramsciana si sgancia da una prospettiva di pedantesco pedagogismo, in quanto
egli stesso evidenzia, il rapporto maestro-allievo non può non puntare sulla
libertà di pensiero e di espressione del discente, poiché è l’unica forma di
rapporto in grado di sollecitare una nuova figura di filosofo democratico, cioè del “filosofo convinto che la sua
personalità
Non si limita al proprio individuo
fisico, ma è un rapporto sociale attivo di modificazione dell’ambiente
culturale”.
Si tratta di un pensiero
eminentemente “relazionale” che si manifesta in ogni ambito: da quello politico
(il concetto di egemonia come costruzione del consenso) a quello pedagogico.
Del resto una lunga tradizione (da Maria Montessori a Don Lorenzo Milani) parla
di educazione alla libertà. Non si tratta di un invito alla pedagogia della
spontaneità. Sappiamo a quale dura
disciplina di lavoro Don Milani sottoponesse i suoi allievi, ma comprendeva
anche che senza l’interesse, la partecipazione, non si attiva nessun processo
di apprendimento. E ancora prima che la psicologia cognitiva spiegasse l’
“intelligenza delle emozioni”, Montessori
e don Milani ci hanno spiegato che l’educazione non è l’istruzione, non è l’apprendimento passivo di nozioni e
concetti, ma un processo psico-fisico di educazione alla libertà, intesa come
responsabilità.
LA
SCUOLA di oggi invece sempre più si configura come il luogo
dell’apprendimento basato sull’applicazione di standard valutativi che si
inscrivono in un generale processo di “tecnicizzazione” dell’apprendimento. Che
ne rimane allora dell’apprendimento come dimensione esperienziale? Solo tramite un processo di “reciprocità” si
dà vero apprendimento. È una consapevolezza che ha una lunga storia, dalle Tesi su Feuerbach di Marx al
neoidealismo di Gentile, il soggetto modifica l’oggetto e questo a sua volta
retroagisce rimodificando il soggetto stesso. Si tratta di quel processo
transitivo di natura e cultura, per dirla con John Dewey, che il razionalismo
occidentale ha voluto dividere, costruendo, tramite una logica binaria, tutte
le distinzioni-contrapposizioni: razionale/irrazionale, maschile/femminile,
natura/cultura ecc.
Occorre invece puntare oggi più che
mai a una nuova sintesi e compenetrazione dei saperi, a una ricomposizione
delle scissioni. È proprio Gramsci che richiama l’onnilateranismo marxiano, non
solo per citare la disarticolazione tra insegnamento teorico e pratico
prolungata dalla riforma Gentile del 1923. Per Gramsci si trattava, misurandosi
con quella riforma, di raccogliere una sfida che [si ponesse] all’altezza del
nuovo tempo, caratterizzato dalla diffusione planetaria del modello di vita e
di lavoro della nuova fabbrica fordista.
GUARDANDO
a
quel mutamento antropologico di massa, egli pensava a un nuovo umanesimo capace
di confrontarsi come una fase storica dominata dalla tecnicizzazione delle
funzioni intellettuali, e allo stesso tempo che fosse in grado di utilizzare
quel mutamento in senso progressivo e democratico, ripensando su basi nuove
formazione umanistica e formazione tecnica. Gramsci ha in mente una scuola del
“lavoro” e non meramente di “avviamento al lavoro” che possa saldare insieme
cognizione e applicazione, il momento
ideativo-elaborativo e il momento applicativo, poiché ogni apprendimento è un
processo innanzitutto esperienziale.
A questa emblematica immagine egli
affida, in una lettera indirizzata alla moglie Giulia del primo agosto del
1932, l’idea di un uomo nuovo che possa essere un moderno “Leonardo Da Vinci” divenuto
uomo-massa o uomo collettivo pur mantenendo la sua forte personalità e
originalità individuale”.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento