Guido Liguori su
Il Manifesto del 6 aprile 2018
Potere al Popolo deve trasformarsi in rete di democrazia popolare, in una democrazia di base, luogo di mutualismo, raccordo delle lotte, organizzazione
Non intendo tornare sul risultato del 4 marzo, ma non credo sia utile dimenticare il monito che da esso viene. La situazione resta fluida, le capacità dei vincitori di oggi son tutte da dimostrare, e non scommetterei che conserveranno i loro voti nei prossimi anni. Ma non voglio negare la gravità della nostra sconfitta. E non si tratta solo della sconfitta delle sinistre, ma della sconfitta della rappresentanza stessa e dunque della democrazia.
LA POLITICA TUTTA e il Parlamento in primis hanno perso autorevolezza per l’incapacità del ceto politico di autoriformarsi, rinunciando ai suoi privilegi. Le cittadine e i cittadini sono scoraggiati sulla possibilità di incidere sul destino della collettività.
Votano per protesta le forze dell’antipolitica perché vedono la situazione in continuo peggioramento, economicamente e politicamente. Credo sia oggi necessario rispondere a questa crisi, la cui gravità va al di là del dato elettorale. La mia idea è che – oltre a farci portavoce dei bisogni dei settori popolari della società – sia inevitabile ripensare le forme stesse della rappresentanza e della partecipazione, senza le quali l’azione della sinistra anticapitalista sarà poca cosa.
Queste esigenze possono incrociare il processo di crescita e di rilancio di Potere al Popolo, senza escludere forze politiche e compagne e compagni che non hanno votato questa lista. Sarebbe sbagliato se essa pensasse di trasformarsi in un partito o in una federazione di fatto.
VORREI VEDERE nella bella esperienza di Potere al Popolo un processo che si evolve in direzione opposta, nella direzione della sua trasformazione in rete di democrazia popolare, in una democrazia di base, come si diceva negli anni settanta, che tentasse di includere sempre più esperienze e cittadine e cittadini, fino a formare un potere diffuso che dia visibilità a chi non ne ha, e lo faccia contare. Occorre organizzarlo, questo popolo, in maniera duratura, non solo nel giorno delle elezioni (prova che certo non va elusa): per questo la lista dovrebbe trasformarsi in una rete di Consigli o Comitati che non si contrappongano al Parlamento, ma che cerchino con esso un dialogo, un intreccio, un rapporto conflittuale anche, per creare un circolo virtuoso tra democrazia di base e democrazia parlamentare, per fare arrivare in modo continuo e organizzato ai poteri legislativo ed esecutivo la voce della società. Per ridare credibilità e nuova linfa alla rappresentanza.
TERRITORI DA ESPLORARE, strade da costruire, in un panorama di macerie. E il lavoro non sarà né breve né facile. La esplorazione in questa direzione non mi pare però in contrasto con quanto uscito dall’ultima assemblea di Potere al Popolo. Lì si è detto «creare case del popolo», senza forse tener abbastanza conto che già esistono. Si chiamino questi luoghi da costruire come si vuole, ma che siano esplicitamente il nucleo di un potere dal basso, che conquisti pian piano un ruolo consultivo e poi anche deliberativo accanto alle istituzioni esistenti. Comitati o Consigli di base che eleggano i loro delegati, per dar vita a Comitati di zona o cittadini, e così via, fino a forme di raccordo ancora più ampie. Vorrei insomma che questa esperienza divenisse il nucleo di un nuovo potere democratico che si espande, che organizza tutte e tutti coloro che vogliono far sentire la propria voce. Che rappresenti pian piano fette crescenti di territorio e di popolazione.
LE FORME E I MODI son tutti da trovare. Ma fondamentale è lo spirito con cui questa proposta dovrebbe essere portata avanti: senza settarismi, senza puerile spirito di rivalsa. Non si tratta di fare un partito (ce ne sono già diversi, e l’esperienza ci dice che nessuno rinuncia facilmente alla propria identità, anche perché le differenze sono reali) o un “interpartiti”, ma di dare davvero la parola al popolo: ai Comitati o Consigli che dovranno sorgere nei luoghi di lavoro, nei quartieri, nei paesi, nelle università. Per discutere insieme problemi e programmi, per ragionare insieme delle ipotesi nuove e possibili di redistribuzione del lavoro e del reddito.
NÉ LE CASE DEL POPOLO o Consigli o Comitati devono essere solo questo, bensì anche luogo di mutualismo, raccordo delle lotte, organizzazione di persone che insieme risolvono i problemi della convivenza locale (ambulatori, socialità, contrattazione di lavoro con gli enti pubblici, pulizia e sicurezza delle strade, ecc.) per accumulare prestigio, fiducia, potere popolare.
I partiti esistenti che accettano tale progetto non devono sciogliersi, ma ripensare la loro funzione in questo orizzonte. E continuare a essere soggetti che sostengono il progetto della democrazia diffusa, del potere al popolo, che educano in questa direzione, che alimentano le ragioni di una nuova rappresentanza.
No, certo, non siamo nel «biennio rosso», anzi. Ma la crisi della politica è così profonda che essa stessa ci dà possibilità inedite.
Se sapremo leggere la realtà e percorrere con coraggio vie nuove».
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