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Nei Quaderni Gramsci affronta una varietà tanto ampia di tematiche che spesso le sue intuizioni non hanno modo di svilupparsi. La storia dei gruppi sociali subalterni è una di queste. Il fascino di questa tematica può essere apprezzato oggi più che all'epoca in cui Gramsci scriveva, quando la storia era sostanzialmente narrazione di eventi politici e militari, dominata dalla figura dei capi detentori del potere. Solo negli anni '40 del Novecento, con l'avvio della scuola storica francese de Les Annales, è affiorata alla ribalta della cultura una verità elementare e ovvia, ma di grande impatto: quella per cui la storia vera, quella sul cui sfondo si definiscono gli eventi politici e militari cui gli storici tradizionali hanno assegnato un interesse preminente, è in realtà la storia di masse indefinite di esseri umani vissuti in un cono d'ombra, la storia per l'appunto dei ceti subordinati.
Da marxista, Gramsci ha anticipato questa verità. Se anche la scuola de Les Annales non ha mai riconosciuto il suo debito nei confronti di Gramsci, non è un caso che, tra i suoi maggiori esponenti, alcuni siano dichiaratamente marxisti, dediti soprattutto allo studio delle ideologie sociali, e quindi sostanzialmente gramsciani. Il nodo del discorso di Gramsci è questo:
"§ 2 I gruppi subalterni subiscono sempre l’iniziativa dei gruppi dominanti, anche quando si ribellano e insorgono: solo la vittoria «permanente» spezza, e non immediatamente, la subordinazione. In realtà, anche quando paiono trionfanti, i gruppi subalterni sono solo in istato di difesa allarmata."
Per sormontare questa condizione, i gruppi subordinati devono non solo giungere al potere, conseguire cioè l'egemonia, ma anche dotarsi di una visione unitaria e coerente della realtà storica che li affranchi dall'ideologia dominante. Il tragitto è ovviamente difficile e accidentato:
"§ 5 Le classi subalterne, per definizione, non sono unificate e non possono unificarsi finché non possono diventare «Stato»: la loro storia, pertanto, è intrecciata a quella della società civile, è una funzione «disgregata» e discontinua della storia della società civile e, per questo tramite, della storia degli Stati o gruppi di Stati."
Sulla via del superamento della subordinazione politica e ideologica, non c'è da sorprendersi che le aspirazioni popolari ad un mondo nuovo, fatto a misura d'uomo, trovi espressione nelle "Utopie" e nei "romanzi filosofici", siano pure essi prodotti dal "cervello di intellettuali dominati da altre preoccupazioni." Gramsci scrive:
"§ 7 Le Utopie sono dovute a singoli intellettuali, che formalmente si riattaccano al razionalismo socratico della Repubblica di Platone e che sostanzialmente riflettono, molto deformate, le condizioni di instabilità e di ribellione latente delle grandi masse popolari dell’epoca; sono, in fondo, manifesti politici di intellettuali, che vogliono raggiungere l’ottimo Stato."
La letteratura utopistica è significativa perché essa dà spazio ad un "sogno" latente nell'inconscio umano, fortemente rappresentato nei ceti subordinati, ma esprime anche il disagio di certi intellettuali nei confronti dello stato di cose esistente. Essa, insomma, prefigura la possibilità che tra intellettuali "critici" e ceti subordinati si realizzi un'alleanza che giunga a dare all'utopia un carattere concreto: in breve, a realizzarla.
a cura di Luigi Anepeta (con la collaborazione della dott.ssa Lisa Cecchi), curatore dell’ed.digitale de I Quaderni dal carcere di Gramsci, Nilanienum ed.
https://www.nilalienum.com/i-quaderni-del-carcere-di-gramsci/ I testi dei Quaderni sono ricavati dal sito
www.gramscisource.org che fa capo all’International Gramsci Society (IGS).
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