- La scheda di Pavese
- L'impostazione di De Martino
- L'etnologo e il poeta
-
Tra entusiasmo e cautela
LA
CORRISPONDENZA della COLLANA VIOLA
LA SCHEDA di PAVESE
“La
collezione di studi religiosi etnologici e psicologici, la cosiddetta collana
viola, è la più giovane del nostro catalogo e forse quella di cui più si
sentiva il bisogno in Italia. Mentre in Inghilterra, in Francia, in Germania,
in America da quasi un secolo la storia, la sociologia e la psicologia vanno
rinnovandosi attraverso l’appassionato interesse per le società primitive e
selvagge, per i loro culti, le loro istituzioni e tecniche, da noi ben poco
s’era fatto per informare di questi conati di un nuovo e bizzarro umanesimo il
pubblico colto. Le discussioni e i problemi sollevati dalle ricerche di Edward
B. Tylor, James Frazer, Andrew Lang, Emile Durkheim, Leo Frobenius, Lucien
Lévy-Bruhl, Walter Otto e tanti altri, nemmeno ci giungevano se non come
pallida eco, e comunque non trovavano un ambiente adatto a quella
rielaborazione e acclimatazione che costituiscono il naturale processo di
ricambio di ogni cultura vitale. Un pioniere in questo campo fu, coi suoi studi
sul Naturalismo e Storicismo nell’etnologia, Ernesto de Martino, nel cui nome
abbiamo voluto iniziare la collezione. (…)
L’IMPOSTAZIONE di DE MARTINO
da de
Martino a Pavese, dattiloscritto non datato (pres. 9/10 ottobre 1949)
da Cesare Pavese Ernesto De Martino, La collana viola, Lettere 1945-1950 (a cura di Pietro Angelini), Bollati Boringhieri, 1991, pag. 122-123 (nota) e pag.152.
L’etnologo e il poeta
Povero Cesare / la mia amicizia gli fiorì dopo morto / modesta viola sulla tomba. / Così restò a me / il gusto amaro / di una pietà troppo tarda / ed il rimorso / di una disattenzione impietosa/ finché/ povero Cesare / fu nel bisogno.
Cesare
Pavese e i due volti del Piemonte, Santo Stefano Belbo e Torino, la campagna
ancestrale e la città aperta al mondo moderno. Per me: le Province del Regno e
Napoli, anzi, nella stessa Napoli, la ragione illuministica e la jettatura,
Vico e il culto dell’Avvocata, Don Benedetto e S.Gennaro. Un incontro di noi
due, il piemontese e il napoletano, il poeta e l’etnologo, nella apparente casualità
di una iniziativa editoriale: un incontro le cui ragioni inizialmente
sfuggirono a me molto più che a lui, e che solo dopo la sua morte cominciarono
a proporsi in me, dapprima come vago ritornante ricordo, e quasi come oscuro
debito contratto con lui. Giunse poi il giorno - durante le ferie di agosto del
1962, in un villaggio di pescatori della “Terra del Rimorso” - giunse il giorno
in cui rimeditando sul tema della “fine del mondo” e tracciando i primi
contorni di un’opera storico-culturale che intendevo scrivere sull’argomento -
quel ricordo vago e ritornante prese a crescere in me, e il debito a precisarsi
nel modo col quale doveva essere pagato. Scrissi così questi versi, quasi
“prologo in cielo” di un rapporto con lui che stava per essere affidato alla
“terrena ragione” e alle sorvegliate analisi della ricerca storica. Ernesto de
Martino /
dall’ Archivio Vittoria De Palma, il “prologo
in cielo” in cui è inserito questo scritto è datato 1962, riprodotto in
- Cesare
Pavese - Ernesto De Martino, La collana
viola, Lettere 1945-1950, a cura di Pietro Angelini, Bollati Boringhieri,
1991, pp.191-192.
Cesare
Pavese era morto suicida il 27 agosto 1950.
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