Subaltern studies Italia

L’analisi e la classe - a cura di Ferdinando Dubla

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giovedì 6 marzo 2025

Storia e redenzione nelle Tesi sul concetto di storia di Walter Benjamin

 



Ferdinando Dubla - Francesco Morello, PERDERSI PER SALVARSI. NELLA STORIA / soggettivazione ed ‘escatologia’ dei subalterni in Walter Benjamin ed Ernesto De Martino (parte 2)

http://ferdinandodubla.blogspot.com/2025/02/perdersi-per-salvarsi-nella-storia.html

 

Storicismo/antistoricismo e la dialettica della storia

Se si pone la lotta di classe come motrice della storia, i marxisti non possono non dirsi storicisti. Il materialismo di Marx è storico in quanto levatrice della storia è la trasformazione rivoluzionaria in senso e prospettiva storica. La storia si pone come ponte tra la natura e la cultura. E la natura è sia quella esterna dell’ambiente, sia quella interna dell’essere umano, non riducibile ad un’unica ratio pre-figurata.

Dunque tutto ciò che è nella natura, è nella storia. E la cultura, prodotta dagli esseri umani, diventa parte integrante della loro storia.

Ma se per storicismo intendiamo l’idea della storia, e non la dialettica rivoluzionaria nel conflitto delle classi, oppressi/oppressori, subalterni e dominanti, esso si configura allora come l’”astuzia della ragione” hegeliana, come filosofia presupposta alla storia, come disegno vichiano provvidenziale, che razionalizza l’imponderabile; che pensa i concetti di ‘progresso’, ‘regresso’, ‘civiltà’ o ‘barbarie’, ‘sviluppo’ e ‘sottosviluppo’, secondo una linea del tempo inesorabile che determina il fluire degli eventi; allora i marxisti non possono non dirsi antistoricisti. Perchè le braghe del pensiero idealista non si calzano alla storia. La dialettica tra natura e cultura è nella storia. Dunque, o lo ‘storicismo’ è dialettico, oppure non è.

Comparazioni triangolari

* Lo storicismo autodefinito ‘assoluto’ di Antonio Gramsci è un umanesimo integrale, una filosofia della prassi storica. L’antistoricismo di Benjamin è lo sguardo della storia all’essere umano che trascende se stesso. Lo storicismo antropologico di Ernesto de Martino è il riscatto collettivo della presenza tra natura e cultura, è umanesimo etnografico, è etnocentrismo critico. In tutti è presente la dialettica della storia. / Convergenze parallele nel ‘riscatto-redenzione-escatòn‘. Un marxismo critico dialettico nel nome della storia. 



Storia e redenzione nelle Tesi sul concetto di storia di Walter Benjamin

Francesco Morello

Una certa tradizione critica ritiene indiscernibile la sfera della storia, in cui si svolge la lotta politica dei gruppi subalterni, dall’idea di redenzione e dalla dimensione dell’eschaton. Per citare solo i nomi più noti, basti pensare a Ernst Bloch, Jacob Taubes, Giorgio Agamben. D’altro canto, una linea più sotterranea, trasversale e ancora da esplorare resta quella dell’antropologo Ernesto De Martino che, con il suo concetto di “ethos del trascendimento” coniugato alla ricerca sulla cultura dei gruppi subalterni, offre spunti inediti alla riflessione su questo tema[1].

Uno dei testi fondanti di questa tradizione sono le Tesi sul Concetto di Storia di Walter Benjamin. Testo arduo, a tratti impervio, ma dall’indubbio fascino stilistico, questo scritto in forma di diciotto brevi tesi assume un significato tragico alla luce del contesto in cui è stato scritto e ritrovato. Si tratta di pochi fogli ritrovati nella valigetta che Benjamin portava con sé quando, in fuga dalla Francia ormai occupata dai nazisti, si tolse la vita a Portbou, in Catalogna, il 26 settembre 1940, disperando di riuscire a sfuggire alle guardie franchiste per salpare alla volta degli Stati Uniti. L’amara ironia della storia volle che alcuni dei suoi amici e collaboratori intellettuali, tra cui Theodor Adorno, Hannah Arendt e Bertold Brecht, riusciranno in seguito a raggiungere indenni la loro destinazione d’oltreoceano.

In queste tesi Benjamin offre una concezione della storia e della rivoluzione estremamente originale, in grado di stimolare ancora oggi prospettive critiche e posture di lotta che scuotono molte delle rassicuranti certezze del pensiero progressista. Vi troviamo il caratteristico e “scandaloso” intreccio di materialismo storico e messianismo ebraico che rappresenta la cifra della sua filosofia politica.

Alla definizione del rapporto tra i due elementi, Benjamin dedica la prima, suggestiva tesi:

 

E’ noto che sarebbe esistito un automa costruito in modo tale da reagire ad ogni mossa di un giocatore di scacchi con una contromossa che gli assicurava la vittoria. Un manichino vestito da turco, con un narghilè in bocca, sedeva davanti alla scacchiera, posta su un ampio tavolo. Con un sistema di specchi veniva data l'illusione che vi si potesse guardare attraverso da ogni lato. In verità c'era seduto dentro un nano gobbo, maestro nel gioco degli scacchi, che guidava per mezzo di fili la mano del manichino. Un corrispettivo di questo congegno si può immaginare nella filosofia. Vincere deve sempre il manichino detto «materialismo storico». Esso può competere senz'altro con chiunque se prende al suo servizio la teologia, che oggi, com'è a tutti noto, è piccola e brutta, e tra l'altro non deve lasciarsi vedere.[2]

 

In una contemporaneità contraddistinta dalla secolarizzazione, la teologia è piccola e brutta, ma soltanto il suo motore segreto consente alla lotta di classe di riportare le sue vittorie. Il materialismo storico non deve recidere il suo legame con la dimensione messianica, con una sfera di pienezza di senso della storia, pena la sconfitta delle classi subalterne. La teologia è il nucleo segreto che alimenta un inaggirabile bisogno di riscatto delle classi oppresse.

Il tempo storico, secondo Benjamin, è caratterizzato da un’intrinseca aspirazione alla redenzione e da un indice messianico, radicati dialetticamente proprio nella sua costitutiva caducità e incompiutezza. La storia è cosparsa di schegge messianiche, frammenti incompiuti, possibilità inespresse, che devono raccogliersi e salvarsi in una dimensione escatologica e di apocatastasi che Benjamin pensa come atto rivoluzionario.

 

[…] l'immagine di felicità che custodiamo in noi è del tutto intrisa del colore del tempo in cui ci ha oramai relegati il corso della nostra esistenza. Felicità che potrebbe risvegliare in noi l'invidia c'è solo nell'aria che abbiamo respirato, con le persone a cui avremmo potuto parlare, con le donne che avrebbero potuto darsi a noi.

A conferire alla storia la sua apparente continuità è l’immedesimazione dello storico con le classi dominanti, che nasce da una sua complice e viziosa forma di accidia. Lo storico che si immedesima nel corso lineare della storia si immedesima nel vincitore. A lui si contrappone il materialista storico, che coglie nel passato i frammenti incompiuti che non sono stati assimilati dalla tradizione dominante, i sentieri interrotti, le spinte abortite di un possibile mondo alternativo. Così li fa suoi nel presente in cui scrive, mai neutrale, sempre intento a “spazzolare la storia contropelo”.

 

[…] se ci si chiede con chi poi propriamente s'immedesimi lo storiografo dello storicismo. La risposta non può non essere: con il vincitore. Quelli che di volta in volta dominano sono però gli eredi di tutti coloro che hanno vinto sempre. L'immedesimazione con il vincitore torna perciò sempre a vantaggio dei dominatori di turno. Con ciò, per il materialista storico, si è detto abbastanza. Chiunque abbia riportato sinora vittoria partecipa al corteo trionfale dei dominatori di oggi, che calpesta coloro che oggi giacciono a terra. Anche il bottino, come si è sempre usato, viene trasportato nel corteo trionfale. Lo si designa come il patrimonio culturale. Esso dovrà tener conto di avere nel materialista storico un osservatore distaccato. Infatti tutto quanto egli coglie, con uno sguardo d'insieme, del patrimonio culturale gli rivela una provenienza che non può considerare senza orrore. Tutto ciò deve la sua esistenza non solo alla fatica dei grandi geni che l'hanno fatto, ma anche al servaggio senza nome dei loro contemporanei. Non è mai un documento della cultura senza essere insieme un documento della barbarie. E come non è esente da barbarie esso stesso, così non lo è neppure il processo della trasmissione per cui è passato dall'uno all'altro.[7]

 

E’ interessante notare a questo punto una sorprendente convergenza tra questo concetto benjaminiano di una storia degli oppressi che, abbandonata alla discontinuità e alla frammentazione, aspira alla reintegrazione messianica, e un passaggio chiave del quaderno 25 di Gramsci, proprio dedicato alla costruzione di una lettura della storia basata sulla categoria dei “subalterni”.

 

"§ Criteri metodologici. La storia dei gruppi sociali subalterni è necessariamente disgregata ed episodica. È indubbio che nell’attività storica di questi gruppi c’è la tendenza all’unificazione sia pure su piani provvisori, ma questa tendenza è continuamente spezzata dall’iniziativa dei gruppi dominanti, e pertanto può essere dimostrata solo a ciclo storico compiuto, se esso si conchiude con un successo. I gruppi subalterni subiscono sempre l’iniziativa dei gruppi dominanti, anche quando si ribellano e insorgono: solo la vittoria «permanente» spezza, e non immediatamente, la subordinazione. In realtà, anche quando paiono trionfanti, i gruppi subalterni sono solo in istato di difesa allarmata (questa verità si può dimostrare con la storia della Rivoluzione francese fino al 1830 almeno). Ogni traccia di iniziativa autonoma da parte dei gruppi subalterni dovrebbe perciò essere di valore inestimabile per lo storico integrale; da ciò risulta che una tale storia non può essere trattata che per monografie e che ogni monografia domanda un cumulo molto grande di materiali spesso difficili da raccogliere." [8]

 

Senza voler appiattire l’una sull’altra le riflessioni dei due autori, non si può fare a meno di notarne la prossimità persino lessicale (quando si parla di “cumulo di […] materiali difficili da raccogliere”). Anche in Gramsci la tradizione degli oppressi è disgregata, e allo stesso tempo anela ad una sotterranea unificazione storiografica e rivoluzionaria che la strappi dall’oblio riscattandola.

Fare storia non significa ricostruire oziosamente il passato, ma raccogliere da esso quelle schegge messianiche nell’attimo del pericolo, rappresentato dal rischio che la tradizione degli oppressi si dissolva o venga mistificata. «Neppure i morti saranno al sicuro dal nemico, se vince»[9].

Ad una storia intesa come ricostruzione di un’immagine eterna del passato, Benjamin contrappone la costruzione di una costellazione di significato a partire da un’immagine del passato che “guizza via”, e che spetta al materialista storico afferrare con prontezza nel suo presente. Ogni determinato punto del passato attende di essere raccolto da un determinato, specifico, presente. Salvare il passato, riscattarlo, significa riconoscere il presente come “significato” da esso, come destinatario del suo appello alla redenzione[10]. Bisogna recuperare l’”altro” del passato, riaprendo in questo modo la storia al possibile, strappandola alla sua reificazione. In questo modo il passato, lungi dal manifestarsi come un passaggio necessario e transitorio per giungere al presente, appare come una serie di momenti irripetibili che gridano il loro appello alla salvezza, in attesa che qualcuno ne colga il lato nascosto, quello che non è stato incorporato nella tradizione dominante.

La rivoluzione deve essere pensata secondo la stessa struttura messianica di recupero dell’inespresso e del suo compimento. L’attività dello storico materialista e del rivoluzionario finiscono così con il convergere, anche se su piani differenti. Ciò rende particolarmente originale e spiazzante il concetto benjaminiano di rivoluzione. Invece di essere orientata verso il futuro, essa guarda verso il passato; naturalmente non per restaurarlo, ma per raccogliere in esso i frammenti sparsi della storia degli oppressi, e vendicare nell’attimo rivoluzionario tutte le generazioni passate di subalterni. Egli ritiene di poter ricondurre questa concezione della rivoluzione allo stesso Marx dei Manoscritti economico-filosofici del 1844. 

 

Il soggetto della conoscenza storica è di per sé la classe oppressa che lotta. In Marx essa figura come l'ultima classe resa schiava, come la classe vendicatrice, che porta a termine l'opera di liberazione in nome di generazioni di sconfitti.[11]

 

Tuttavia, nelle note preparatorie alla stesura del testo, è lo stesso Benjamin a segnalare un potenziale elemento di distanza dal pensatore di Treviri. La rivoluzione, a differenza della nota espressione di Marx, non è la “locomotiva della storia”, ma il suo “freno d’emergenza”[12].

La rivoluzione arreca un arresto messianico al continuum della storia; è una frattura che sospende nell’istante del kairos (l’attimo dell’opportunità) la sua precipitosa corsa verso la catastrofe. Il gesto rivoluzionario si compie in quello che Benjamin chiama Jetztzeit (tempo-ora, tempo dell’adesso), in cui i frammenti e le possibilità irrisolte del passato entrano in una congiunzione diretta con il presente, che li porta a compimento rovesciando l’esistente. Così come il materialista storico non scrive la storia come se essa si svolgesse in un tempo “omogeneo e vuoto”[13], allo stesso modo il rivoluzionario agisce in un adesso carico di senso, e ricapitola in un’istante tutti i frammenti disparati della storia, portandola a compimento. Robespierre strappava a forza l’antica Roma dalla tradizione dominante per consegnarla ai rivoluzionari; durante la rivoluzione di luglio c’è chi testimonia di aver visto i rivoluzionari sparare sugli orologi dei campanili per scardinare il tempo[14]. La rivoluzione accade nell’attimo in cui l’intera storia umana si cristallizza in una monade[15].

Con queste tesi Benjamin lascia in eredità una prospettiva feconda e ricca di spunti per il pensiero critico, deciso ad interrogarsi sul significato e sul senso della storiografia e della lotta rivoluzionaria. Come ogni pensatore vitale e storicamente decisivo, il terreno da lui dissodato lascia aperte diverse questioni, interrogando il nostro presente e stimolandolo a cercare nuove risposte.

Il progressismo costituisce uno strumento adeguato alla lotta dei subalterni contro l’egemonia delle classi dominanti? La dimensione teologica, per quanto secolarizzata, è davvero inaggirabile per lasciar sprigionare la scintilla dell’anelito al riscatto di popoli e classi oppresse? Gli sfruttati in conflitto organizzato contro gli sfruttatori possono fare a meno di prospettive progettuali per il futuro, nel loro tentativo di invertire il corso catastrofico della storia?

 

NOTE

[1] Per una lettura originale del pensiero di Ernesto de Martino in chiave subalternista, anche in rapporto all’ethos del trascendimento, si veda il saggio di Ferdinando Dubla contenuto nel IV capitolo dei «Subaltern Studies Italia.1», Barbieri, 2024,  pp. 31-37

[2] W. Benjamin, Angelus Novus, tr. it. di Renato Solmi, Einaudi, Torino 1995, p. 75, Tesi 1.

[3] ivi, pp. 75-76, Tesi 2.

[4] ivi, Tesi 13, 17. Sul conformismo e il determinismo economicistico della socialdemocrazia, cfr. anche Tesi 11.

[5] ivi, p. 79, Tesi 8.

[6] ivi, p. 80, Tesi 9.

[7] ivi, pp. 78-79, Tesi 7.

[8] Antonio Gramsci, Q.25 (XXIII), §2, Ai margini della storia. Storia dei gruppi sociali subalterni, Einaudi, 1975, p.2290

[9] W. Benjamin, Angelus Novus, cit., p. 78, Tesi 6.

[10] ivi, p. 77,  Tesi 5.

[11] ivi, p. 82, Tesi 12.

[12] W. Benjamin, Sul concetto di storia. Scritti 1938-1940, in Opere complete. VII , a cura di Hermann Schweppenhäuser, Rolf Tiedemann, Enrico Ganni, Einaudi, Torino, 2006, p. 497.

[13] W. Benjamin, Angelus Novus, cit., p. 83, Tesi 14.

[14] ivi, p. 84, Tesi 15.

[15] ivi, p. 85, Tesi 17.

 

Come nella scrittura dei Subaltern studies a citazioni invertite, cioè la fonte autoriale è primaria, l’ermeneutica secondaria, “adattamento” necessario del testo all’interpretazione. *

WEB BLOG

- Walter Benjamin ed Ernesto de Martino: due personalità filosofiche accomunate dall’analisi ‘emozionale’, potremmo dire, dei gruppi subalterni. Il doppio sguardo, se partiamo dal Marx dell’onnilateralità dell’essere umano e la reintegrazione dalla frammentarietà e disgregazione dei gruppi subalterni nel Gramsci del Quaderno 25. Nonostante le ‘ermeneutiche’ in gran parte accademiche, sempre a induzione di narrazioni dominanti di tipo metafisico e idealista, che contorcono i testi, la comparazione è, non solo possibile, ma feconda di suggestioni per il pensiero (e la prassi) rivoluzionari. I percorsi di liberazione costituiscono, di per sè, atti rivoluzionari, perchè inducono a una narrazione altra, eversiva, quella dei dominati che si costruiscono come soggetto storico.

http://ferdinandodubla.blogspot.com/2021/07/ranajit-guha-ladattamento-di-gramsci.html

http://ferdinandodubla.blogspot.com/2021/08/la-questione-del-metodo-filologico.html

Cit. da Peter D.Thomas sui ‘fraintendimenti creativi’ e i ‘laboratori dialettici’ riferiti a Gramsci e gli studi internazionali. Quello di ‘far finta’ che non esista un soggetto interpretante che utilizza il testo filologico degli autori [acribia filologica] con una tesi dunque precostituita sul soggetto di studio, magari in chiave di ‘interpretazione’ del presente [filologia vivente] è vizio di storicismo idealistico, di carattere metafisico, subalterno alle narrazioni dominanti, a cui i Subaltern studies diretti da Ranajit Guha, metodologicamente, hanno contrapposto la dialettica soggetto/oggetto, la fonte, il testo, l’adattamento e l’ermeneutica, per ricostruire una narrazione altrimenti afasica.

http://ferdinandodubla.blogspot.com/2021/07/i-fraintendimenti-creativi-e-il.html

La storia non è lineare, non è progressiva, non v’è nessuna ‘astuzia della ragione’. Il ‘progressismo’ è infatti deriva-azione dello storicismo idealistico. Lo storicismo marxista è dialettico.

http://ferdinandodubla.blogspot.com/2020/06/storicismo-dialettico.html

 

* a cura di Ferdinando Dubla e Francesco Morello - laboratorio di filosofia politica - Filosofia Pop -Arci Calypso (Sava), anno antiaccademico 2024/2025, anno filosofico 425 d.GB., (dopo Giordano Bruno) 



Sava (TA), 20 febbraio 2025


sabato 1 marzo 2025

SUBALTERN STUDIES ITALIA - pubblicazioni on line 1_2

 

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 Formato digitale sfogliabile di Subaltern studies Italia 1. Saggi su Guha, Gramsci, de Martino e i margini della storia. A cura di Ferdinando Dubla. Barbieri edizioni, Manduria, 2024



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I margini della storia. Gramsci e i Subaltern studies. Una pagina di Gramsci sullo studio dei gruppi subalterni. A cura di Ferdinando Dubla.

Un’introduzione per chi voglia studiare il Quaderno 25 di Gramsci, redatto a Formia, nella Clinica Cusumano, nel 1934-1935 * e il rapporto con i Subaltern studies internazionali, in particolare con la filosofa statunitense di origini indiane Gayatri Chakravorty Spivak.

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