Subaltern studies Italia

L’analisi e la classe - a cura di Ferdinando Dubla

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venerdì 21 febbraio 2025

PERDERSI PER SALVARSI. NELLA STORIA / soggettivazione ed ‘escatologia’ dei subalterni in Walter Benjamin ed Ernesto De Martino (1)

 


Walter Benjamin ed Ernesto de Martino 


“Essere perduti nel mondo… Questo esser perduti si configura come un “negativo” da cui riscattarsi: la fenomenologia indica la Weltvernichtung, la epoché, come la “via” per questo riscatto. Eppure questo “negativo” è in realtà un positivo, e questo oblio racchiude una liberazione: l'”oblio del mondo” è un momento necessario del “progetto comunitario dell’utilizzabile”, progetto che comporta tra l’altro la salutare possibilità di dimenticare.”

E.de Martino, La fine del mondo, Einaudi, 1977, pp.64445

Quando i  percorsi di liberazione collettivi costituiscono atto rivoluzionario

Escatologia è termine prevalentemente teologico, una delle ancelle degli dei nella filosofia.

Ma con escatologia (dal greco antico ἔσχατος éskhatos 'ultimo') si indica una dottrina volta a indagare il destino ultimo del singolo individuo, dell'intero genere umano e dell'universo; escatologica è dunque la ‘salvezza’ degli ultimi. I subalterni. I subalterni, la classe degli ultimi ai margini della storia, soggetto dell’analisi gramsciana del Q.25, non avranno mai storia se non prendono coscienza (e dunque organizzazione) della loro subalternità. Costruire la prospettiva storica dell’escatòn, come lo chiama Ernesto de Martino, è la stessa redenzione dei vinti delle tesi sulla storia di Walter Benjamin.

 

cfr. http://ferdinandodubla.blogspot.com/2021/04/lescaton-dei-subalterni-subaltern.html

 

Le pagine culturali del quotidiano cattolico Avvenire si rivelano molte volte  feconde di stimoli culturali in ottica ‘subalternista’, come questo articolo di Gianni Vacchelli su Walter Benjamin (pubblicato l'11 marzo  2023 ”Walter Benjamin: la storia è redenzione dei vinti”)

https://www.avvenire.it/agora/pagine/benjamin-la-storia-redenzione-dei-vinti

 

“La critica radicale di Benjamin al progresso, alla storia lineare e a ogni storicismo (da quello hegeliano alla banalizzazione positivista o socialdemocratica) porta ad un’altra concezione del tempo, dove il passato è attivo, feconda il presente ed è da esso stesso modificato. L’eredità benjaminiana è immensa e ci invita a «riaprire la storia», Ellacuría direbbe a «rilanciarla in un’altra direzione», che non abbia al centro la cupidigia del capitale, ma una debole e insieme forte rammemorazione messianica, che si incarna anche in noi, come singoli e come generazioni coscienti della nostra responsabilità di liberazione dei piccoli, degli oppressi, dei vinti. In tre proposte sull’autore tedesco si va dalla celebre opera sull’arte al raffronto con altri pensatori Fino alle consonanze con la teologia della liberazione. Nella riflessione di Löwy il concetto di “rammemorazione messianica” invita a rilanciare le responsabilità del presente in un’altra direzione rispetto alla cupidigia del capitale, come sosteneva Ellacuría”, [estratto]

 

Walter Benjamin (Berlino, 15 luglio 1892 – Portbou, 26 settembre 1940) è stato un filosofo, scrittore, critico letterario e traduttore tedesco; si è occupato di epistemologia, estetica, sociologia, misticismo ebraico e materialismo storico. Il lavoro di Benjamin, riconosciuto postumo, ha influenzato filosofi (quali Theodor Adorno, György Lukács e Hannah Arendt), mistici (come Gershom Scholem) e drammaturghi (come Bertolt Brecht).

Tra la fine del 1939 e il maggio del 1940 scrive le “Tesi di filosofia della storia” (Über den Begriff der Geschichte), il suo ultimo lavoro e testamento spirituale. Le Tesi avrebbero dovuto essere l'introduzione del Passagen-Werk, che Benjamin non poté completare e che grazie a Georges Bataille fu nascosto e conservato alla Bibliothèque Nationale.  Gli abbozzi furono trovati da Giorgio Agamben nel 1981 alla Bibliothèque Nationale tra le carte di Bataille e furono pubblicati in Italia da Einaudi, prima nel 1986 con il titolo Parigi, capitale del XIX secolo e poi nel 2000 con il titolo I «passages» di Parigi.

“Nell’idea di felicità, in altre parole, vibra indissolubilmente, l’idea di redenzione. Lo stesso vale per la rappresentazione del passato, che è il compito della storia. Il passato reca seco un indice temporale che lo rimanda alla redenzione. C’è un’intesa segreta fra le generazioni passate e la nostra. Noi siamo stati attesi sulla terra. A noi, come ogni generazione che ci ha preceduto, è stata data in dote una <debole > forza messianica, su cui il passato ha un diritto. Questa esigenza, non si lascia soddisfare facilmente. Il materialismo storico lo sa”. Walter Benjamin

da Tesi di filosofia della storia, ed.dig. Mimesis, 2012, tesi 2 pos.30

 




L’inserimento di Walter Benjamin tra gli autori degli studi subalterni si trova primariamente nella comparazione tra l’escatòn (riscatto) contro la crisi della presenza che abdica “senza compenso“, categoria dell’antropologia filosofica di Ernesto de Martino e la redenzione dei vinti, dei subalterni, nel filosofo berlinese; che combatte lo storicismo dell’”astuzia della ragione” hegeliana, perchè il materialismo, ‘storico’ appunto, sappia guardare oltre il possibile razionale e fondi un’escatologia per la liberazione, individuale solo perchè collettiva.

“La tradizione degli oppressi ci insegna che lo «stato di emergenza» in cui viviamo è la regola. Dobbiamo giungere a un concetto di storia che corrisponda a questo fatto. Avremo allora di fronte, come nostro compito, la creazione del vero stato di emergenza; e ciò migliorerà la nostra posizione nella lotta contro il fascismo. La sua fortuna consiste, non da ultimo in ciò: che i suoi avversari lo combattono in nome del progresso come di una legge storica. Lo stupore perché le cose che viviamo sono «ancora» possibili nel ventesimo secolo è tutt’altro che filosofico. Non è all’inizio di nessuna conoscenza, se non di quella che l’idea di storia da cui proviene non sta più in piedi.”, Walter Benjamin, tesi 8. cit. vedi supra.

“Quando è il negativo a prevalere, e questo accade in fasi particolarmente drammatiche dell'esistenza umana (come la morte di una persona cara), può manifestarsi una crisi radicale, una “funesta miseria esistenziale”, per cui l’ethos del trascendimento non riesce più a risolvere la crisi nel valore e la mancata valorizzazione fa perdere anche l’operabilità sul reale. L’attività etica della valorizzazione è necessaria per impedire la destrutturazione dell'esserci”, in quanto il “vitale” vede per intero invaso il suo spazio, quello dell’intersoggettività e il rapporto con il mondo. Avviene allora che “la presenza abdica senza compenso”.,

Ernesto de Martino, Il mondo magico, 1948, ed. Einaudi, pag.43.

 

“C’è un quadro di Klee che s’intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infinito. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può più chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso è questa tempesta.”, Walter Benjamin, tesi 9 cit. vedi supra.  



Angelus Novus è un acquerello dipinto nel 1920 da Paul Klee, conservato presso il Museo d'Israele, a Gerusalemme  


 Per entrambi, De Martino e Benjamin, il contrario di ‘riscatto’, escatòn, è ‘apocalissi’, di ‘redenzione’ è catastrofe.

 

QUANDO “LA PRESENZA ABDICA SENZA COMPENSO” in Ernesto de Martino

La presenza è un soffio effimero che il mondo rischia, in ogni momento, di inghiottire e di vanificare.

- La categoria di ‘crisi della presenza’ ne ‘Il mondo magico’, l’opera del 1948 che mette in interlocuzione l’antropologia italiana con l’antropologia culturale internazionale, da Ernesto de Martino, nel secondo capitolo,  viene messa in relazione allo ‘stato’ o ‘condizione olon’ studiata da S. M. Shirokogoroff in The Psychomental Complex of the Tungus (London 1935).

Una condizione osservata nei Tungusi, ma dello stesso tipo in altri popoli, chiamata latah dai Malesi, irkunii dagli Yukagiri, amurak dagli Yakuti, menkeiti dai Koriaki, imu dagli Ainu. È un comportamento di imitazione, una ‘coinonia’, cioè un’unione (la koinè greca classica) con gli altri, come il ripetere gesti e parole dette da altri spossessandosi di sè oppure imitando la natura, diventando albero o foglia o elemento naturale perdendo la propria identità. Non c’è più soggettivazione culturale, ma il perdersi. Un perdersi nel non-esser/ci nel nulla di uno stato di natura che imita sì, ma la morte della persona. Ma è questa vertigine del nulla la base di una ri-soggettivazione per il tramite dell’appartenenza rituale, di un riscatto (escatòn) della presenza collettiva dell’esser/ci nel mondo, primo tassello per l’uscita dalla natura e l’entrata nella storia per mezzo della cultura.

“Se analizziamo lo stato olon, ravvisiamo, come suo carattere, una presenza che abdica senza compenso. Tutto accade come se una presenza fragile, non garantita, labile, non resistesse allo choc determinato da un particolare contenuto emozionante, non trovasse l’energia sufficiente per mantenersi presente ad esso, ricomprendendolo, riconoscendolo e padroneggiandolo in una rete di rapporti definiti. In tal guisa il contenuto è perduto come contenuto di una coscienza presente. La presenza tende a restare polarizzata in un certo contenuto, non riesce ad andare oltre di esso, e perciò scompare e abdica come presenza.”

“Infatti il semplice crollo della presenza, la indiscriminata coinonia, lo scatenarsi di impulsi incontrollati, rappresentano solo uno dei due poli del dramma magico: l’altro polo è costituito dal momento del riscatto della presenza che vuole esserci nel mondo. Per questa resistenza della presenza che vuole esserci, il crollo della presenza diventa un rischio appreso in un’angoscia caratteristica: e per il configurarsi di questo rischio la presenza si apre al compito del suo riscatto attraverso la creazione di forme culturali definite. Per una presenza che crolla senza compenso il mondo magico non è ancora apparso; per una presenza riscattata e consolidata, che non avverte piú il problema della sua labilità, il mondo magico è già scomparso. Nel concreto rapporto dei due momenti, nella opposizione e nel conflitto che ne deriva, esso si manifesta come movimento e come sviluppo, si dispiega nella varietà delle sue forme culturali, vede il suo giorno nella storia umana”.

Ernesto de Martino, Il mondo magico, cit. da ed. digitale su ed. Einaudi 2021 curata da Marcello Massenzio, 2022, pp. 167-169. In nota de Martino cita autori come Lévy-Bruhl, E. Cassirer, L. Klages, H. Werner, R. Thurnwald.

La cultura del ‘primitivo’ si sgrana così come filogenesi dell’umanità storica.

a cura di ferdinando dubla

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