Se il senso di appartenenza a un mondo storico è il tratto culturale dell’identità antropologica di un popolo, lo straniamento è alla radice dell’alienazione; per cui diventa centrale il rapporto, che è atavico e ancestrale insieme, con la terra e il proprio territorio. In chiave di attualizzazione, la relazione umana che presiede alla propria configurazione, passa da individuale a collettiva: e, per mezzo di essa, diventa possibile la trasformazione rivoluzionaria.
E’, molecolarmente, la fase della genesi della coscienza di classe in Gramsci: qui però, la presa di coscienza avviene “per entro” l’altro sguardo possibile, quello che può anche produrre gli idola tribus di baconiana memoria e i fenomeni di alienazione diventano tutti “spossesamento “ e altro-da-se’.
L’ethos del trascendimento, che è sempre immanente in questi processi, vera chiave della filosofia demartiniana, diventa così la base dell’escatòn, del possibile riscatto. - fe.d.
Daniel Dovico, Il dramma storico dell'occidente: Ernesto De Martino e la proposta dell'etnocentrismo critico
Università degli Studi di Padova - Dipartimento di Studi Linguistici e Letterari
Corso di Laurea Triennale in Lettere - tesi di laurea
pp.7/8
https://www.academia.edu/33479053/Il_dramma_storico_delloccidente_Ernesto_De_Martino_e_la_proposta_delletnocentrismo_critico
De Martino nel celebre episodio del “campanile di Marcellinara”, (..) offre lo spunto per ulteriori considerazioni:
Ricordo un tramonto percorrendo in auto una strada della Calabria. Non eravamo sicuri del nostro itinerario e fu per noi di grande sollievo incontrare un vecchio pastore. Fermammo l’auto e gli chiedemmo le notizie che desideravamo, e poiché le sue indicazioni erano tutt’altro che chiare gli offrimmo di salire in auto per accompagnarci sino al bivio giusto, a pochi chilometri di distanza: poi lo avremmo riportato al punto in cui lo avevamo incontrato. Salì in auto con qualche diffidenza, come se temesse una insidia, e la sua diffidenza si andò via via tramutando in angoscia, perché ora, dal finestrino cui sempre guardava, aveva perduto la vista del campanile di Marcellinara, punto di riferimento del suo estremamente circoscritto spazio domestico. Per quel campanile scomparso, il povero vecchio si sentiva completamente spaesato: e solo a fatica potemmo condurlo sino al bivio giusto e ottenere quel che ci occorreva sapere. Lo riportammo poi indietro in fretta, secondo l’accordo: e sempre stava con la testa fuori del finestrino, scrutando l’orizzonte, per veder riapparire il campanile di Marcellinara: finché quando finalmente lo vide, il suo volto si distese e il suo vecchio cuore si andò pacificando, come per la riconquista di una «patria perduta». Giunti al punto dell’incontro, si precipitò fuori dall’auto senza neppure attendere che fosse completamente ferma, e scomparendo selvaggiamente senza salutarci, ormai fuori della tragica avventura che lo aveva strappato allo spazio esistenziale del campanile di Marcellinara. Anche gli astronauti, da quel che se ne dice, possono patire di angoscia quando viaggiano negli spazi, quando perdono nel silenzio cosmico il rapporto con quel «campanile di Marcellinara» che è il pianeta terra, e il mondo degli uomini: e parlano, parlano senza interruzione con i terricoli, non soltanto per informarli del loro viaggio, ma per non perdere «il senso della loro terra». (1)
- In questo caso la domesticità assume una dimensione
non più soltanto temporale, ma spaziale, che viene concettualizzata da de
Martino nella locuzione di “patria culturale”. Non si tratta tuttavia di uno
spazio banalmente geografico e rigidamente circoscritto, ma del luogo simbolico
di memorie e di scelte culturali, radicate nella storia e socialmente
condivisibili, in cui l’individuo trova una propria collocazione identitaria di
appartenenza. Il campanile di Marcellinara assume la funzione di axis mundi,
di centro aggregante di tutte le forze centripete del senso, “stella polare”
imprescindibile che rende l’uomo in grado orientarsi all’interno di un ordine
mondano. Ciò che importa è che questo centro continui ad esserci, sia esso il
punto fisso all’interno di una superficie ristretta incarnato dal campanile di
Marcellinara, la mobile domesticità dei Penati che Enea porta con sé in seguito
alla distruzione di Troia, o la securitas fornita dal kauwa-auwa,
il palo sacro dei nomadi achilpa che definisce i loro spostamenti nella terra
incognita. (2)
La
perdita del senso dell’orientamento e di quell’ordine spaziale il cui vero e costante
centro è il soggetto umano, variamente oggettivato e destoricizzato tramite il
simbolismo, si accompagna a un’amnesia delle memorie storiche che mantengono
vivo quell’ordine attraverso il loro tramandarsi. Questo “spaesamento” genera
“angoscia”, paralisi della propria capacità di agire di fronte al collasso del
mondo domestico e appaesato. È l’esperienza di chi viene in contatto con una
realtà radicalmente altra rispetto a quella conosciuta, in lontani contesti
geografici o in più prossimi contesti sociali, ma è altresì l’esperienza di chi
subisce lo svuotamento di senso del proprio mondo, ritrovandolo estraneo e
irriconoscibile.
1. De Martino, La fine del
mondo, ed. Einaudi 2002, pp. 480/81
2. E. De Martino, “Angoscia
territoriale e riscatto culturale nel mito achilpa delle origini. Contributo
allo studio della mitologia degli aranda”, in Studi e Materiali di Storia
delle religioni, volume XXIII, Roma, 1951-52, pp. 51-66.
il campanile di Marcellinara (CZ)
Ernesto de Martino (1908/1965)
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