Subaltern studies Italia

L’analisi e la classe - a cura di Ferdinando Dubla

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sabato 19 febbraio 2022

COSCIENZA E SOGGETTO NEI SUBALTERN STUDIES : autonomia e politicità delle lotte

 

La quaestio della “soggettivazione” è insieme il tema del soggetto politico, dell’”agency” e della coscienza di classe/spontaneità. In Gramsci si pone come superamento della disgregazione dei gruppi subalterni. (Q.25) /


(..) "La storia dei gruppi sociali subalterni è necessariamente disgregata ed episodica. (..) Ogni traccia di iniziativa autonoma da parte dei gruppi subalterni dovrebbe perciò essere di valore inestimabile per lo storico integrale.", 

Antonio Gramsci, Quaderno 25 (XXIII), 1934, Ai margini della storia (Storia dei gruppi sociali subalterni).


a cura di  /Subaltern studies Italia/

 

4.5 L'hic et nunc delle lotte: il problema dell'autonomia e della politicità

di Mariangela Milone

 

AUTONOMIA e POLITICITA'  delle LOTTE

 Il problema della coscienza rivoluzionaria è al centro del dibattito dei Subaltern Studies: è una problematizzazione che, prima di comportare per il gruppo indiano l'ingresso in una fase in cui la lettura delle fonti occidentali si è svolta in un'ottica decostruzionista, è stato diretto contro quella parte della storiografia inglese, rappresentata da Thompson e Hobsbawm, che, se inizialmente aveva ispirato la scrittura di una History from below, non aveva però mancato di connotare le espressioni di insorgenza, di ribellione e di autonomia secondo le caratteristiche di una “pre-istoria”.

Queste definizioni, come dimostrano lavori come “The making of the English working class” di Thompson, diventano enucleabili in maniera diretta e certa solo se si pensa che la storia sia nata come sorella gemella del capitalismo, in quanto, cioè, canale che il tempo del capitale ha da percorrere, nella misura in cui ciò ha dato un senso ai suoi stadi progressivi ed alle soggettività che ne avrebbero assorbito i caratteri.

Lo stesso Hobsbawm individua una serie di forme di mobilitazione - come il banditismo sociale, le rivolte dei calzolai e le sollevazioni messicane che usavano lo strumento dell'occupazione delle terre (440) - a partire da cui avrebbero potuto trovare espressione ed essere indagate dalla storiografia le istanze delle classi subalterne. Tuttavia, il punto di divergenza tra lo storico inglese e il gruppo fondato da Guha consiste nell'attributo della politicità a insurrezioni che, per la storiografia britannica, essendo di natura spontaneistica e fuori dal controllo dei “ribelli primitivi”, non avevano una propria autonomia, né quella consapevolezza che deriva da un'agency capace di determinare alla rivolta dei soggetti consapevoli delle forze economiche che agiscono su di loro, collocandosi così all'esterno oppure, accordando una funzione progressiva alla storia, nel non-ancora del capitalismo.

Il problema degli studiosi del gruppo indiano è, allora, sottrarre il dominio del metodo alla Storia progressiva, impostata sulla base della “immedesimazione emotiva”, di cui parla Benjamin, propria dello storico (occidentale o comunque rappresentante dei vincitori) nel modo di guardare rispetto ai documenti e alle circostanze evenemenziali: in mancanza di una simile riflessione, infatti, “di qui in avanti – dice Guha – non si avrà nulla nella storia che possa apparire totalmente inaspettato” (441).

 

DALLA FRAMMENTAZIONE all’UNITÀ ORGANICA

Lo storico indiano, coerentemente con la lettura benjaminiana che identifica con l'accidia come peccato capitale quella brama di impadronirsi dell'immagine autentica del passato, vede questo effetto quale risultato dell'introduzione di “commutatori (shifters) dell'organizzazione del discorso, che aiutano l'autore a sovrapporre una sua propria temporalità a quella degli eventi narrati” (442).

Si sovrappone, così, il tempo della storia con il tempo del discorso stesso, “il tempo-carta, che intreccia la cronologia della materia-oggetto con quella dell'atto- linguaggio che esso presenta”(443).

Il risultato di questa operazione è un documento che, imbevuto di questo tempo- carta, va a comporre un patrimonio culturale che rivela al materialista storico, il cui compito è spazzolare la storia contropelo, “una provenienza che non può considerare senza orrore” (444).

Rispetto a questa distorsione che opera nella narrazione del passato, secondo Guha, non c'è niente che la storiografia possa fare, poiché lo iato che si produce tra lo storico e il materiale che studia è un fatto inerente alla stessa natura del discorso storico: il massimo a cui può ambire sta nel riconoscere l'impossibilità di accedere pienamente alla coscienza del passato, rendendo questo dato un'assunzione, un parametro della narrazione (445).

La storiografia ufficiale spiega il fallimento storico della nazione indiana di creare se stessa partendo da dati fondamentali e interdipendenti: l'impossibilità di rinvenire nei soggetti in lotta una coscienza rivoluzionaria o comunque di classe; l'assenza di una leadership in grado di condurre le masse in rivolta da uno stato di frammentazione locale ad un'entità organica di carattere generale che si costituisse e si identificasse in un movimento di liberazione nazionale.

Con riguardo a quest'ultimo punto, Guha lega la frammentazione delle insorgenze direttamente a questioni territoriali e di composizione demografica, prima ancora che politiche, in quanto l'organizzazione sociale di molte zone, in India come nell'America del Sud, era basata su divisioni in villaggi e tribù spesso distanti tra loro al punto da rendere problematica la circolazione delle informazioni.

Sulla questione, invece, della coscienza di far parte di un movimento di liberazione nazionale, il problema si sdoppia, in quanto la critica investe sia la coscienza soggettiva e di classe sia l'aspetto teleologico che riguarda la finalità (non raggiunta) di porsi lungo il cammino storico e progressivo culminante nella costituzione dello Stato-nazione.

 La storiografia ufficiale manca però di chiedersi, dando per scontata la risposta o comunque situandola entro una catena semiotica di sviluppo progressivo, quale sarebbe stato effettivamente l'esito delle mobilitazioni anticoloniali, soprattutto in relazione alla specificità di quella situazione storica e delle soggettività che con essa erano intrecciate, se si fosse seguita la ricetta liberale occidentale.

Non si può escludere, considerando proprio l'importanza della dimensione temporale delle lotte in relazione alla loro propria specificità, che “le lotte anticoloniali non sarebbero state in grado di mobilitare le masse se avessero posposto ulteriormente le proprie rivendicazioni in un futuro più o meno remoto; per questo motivo i movimenti di liberazione opposero sempre al “non ancora” del liberalismo ottocentesco l’hic et nunc del nazionalismo terzomondista” (446).

Ma anche volendo stare alla logica di una linearità del processo storico, la ricostruzione storica può suggerire un concatenamento diverso da quello che la storiografia ufficiale vorrebbe come prodromico allo Stato-nazione: in questo senso, Gautam Bhadra è stato il primo a mettere in relazione le rivolte anticoloniali con il passato indiano delle mobilitazioni contadine del periodo precoloniale, che è un passato di insurrezioni contro altri imperi, in particolare contro la dominazione Mogol, di cui lo storico rinviene documenti risalenti agli inizi del XVII secolo.

Il suo discorso tende così a rovesciare il discorso della storiografia ufficiale con gli stessi argomenti da questa utilizzati sull'assenza di una coscienza rivoluzionaria e di un'autonomia della classe contadina.

Infatti, secondo Bhadra, le rivolte anticoloniali, “con tutte le loro variazioni, erano parte della tradizione generale della ribellione contro lo stato Mogol. In quest’area, le sollevazioni prese in esame segnarono anche l’inizio di una tradizione di resistenza contadina” (447).

La mancata integrazione delle masse lavoratrici entro il sistema discorsivo della lotta nazionalista di cui erano portavoce le élites derivava perciò non solo dalla impossibilità di ricodificare quel discorso in un immaginario e in una materialità radicalmente differenti, ma anche e conseguentemente dalla necessità politica di creare uno spazio nuovo e diverso che fosse in grado di preservare dall'oblio la propria tradizione delle lotte: come rileva Ascione, “per Guha [...] era proprio nell’atto del sottrarsi all’interazione con il potere che i gruppi subalterni salvaguardavano la propria indipendenza d’azione e di pensiero, la loro essenziale alterità” (448).

 Quella che la massa lavoratrice va a costituire è “la politica del popolo [...] [quale] spazio autonomo, la cui esistenza non era effetto della politica dell'élite e che non dipendeva da essa” (449).

Allora il punto è, seguendo Guha, che se l’insurrezione dei contadini nell’India coloniale è letta come a-politica e non autonoma, lo è proprio perché e nella misura in cui lo storico adopera le categorie interpretative che assumono la storia della composizione sociale di classe occidentale come modello di riferimento.

 NOTE

 

440)  Cfr: E.Hobsbawm, Gente non comune, BUR, Milano 2007

441)  R.Guha, La prosa della contro-insurrezione, in R.Guha – G.Ch.Spivak, Subaltern Studies. Modernità e (post)colonialismo, Ombre Corte, 2002, p.66.

442)  Ibidem

443)  Ibidem

444)  W.Benjamin, Sul concetto di storia, Einaudi; 1997, p.31 (tesi VII)

445) R.Guha, La prosa della contro-insurrezione, op. cit., p.88

446)  G.Ascione, A Sud di nessun sud, Postcolonialismo, movimenti antisistemici e studi decoloniali, I libri di Emil, 2010, p.42

447)  G.Bhadra, Two Frontier Uprisings in Moghul India, in AA.VV., Subaltern Studies Vol. II, a cura di R.Guha, Oxford University Press, New Delhi 1983, p.59

448)  G.Ascione, A Sud di nessun sud, op. cit., p.53

449)  P.Chatterjee, A proposito di alcuni aspetti della storiografia dell'India coloniale, in R.Guha – G.Ch.Spivak, Subaltern Studies. Modernità e (post)colonialismo, op. cit., p.35

 

- dalla Tesi di dottorato - Mariangela Milone, Università di Salerno, a.a. 2012/2013, “Genealogie della soggettivazione postcoloniale. Una lettura foucaltiana”

pag. 123/126

Mariangela Milone è ricercatrice dell’Università di Salerno.

 

La nuova titolazione dei sottoparagrafi è di Subaltern studies Italia.





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