“Proveremo a
pensare la storia del mondo come l’impensabile che è racchiuso all’interno dei
suoi confini, (..) Ranajit Guha, La storia ai limiti della storia del mondo,
2003
SUD ASPRO
MONTANO: San Luca ai confini della storia
Siamo la #gentediAspromonte [a San Luca] “il mare si
indovinava nel grande vuoto dell’orizzonte”, Corrado Alvaro, 1930 /
Come Alvaro, così San Luca. Il paese
natale dello scrittore porta le stimmate di epicentro della 'ndrangheta, delle
faide malavitose, dei proiettili sul cartello di entrata, dei commissariamenti
comunali per infiltrazioni mafiose. Spariscono le ragioni sociali, rientrano le
tesi lombrosiane dell'antropologia criminale. Alvaro è calabrese e il suo
Cristo si è fermato a San Luca. L'autore di Gente in Aspromonte è indiziato di
meridionalismo, di aver narrato i senza voce, i subalterni dell'Aspro Montano.
Datato, certo, come tutta la questione storico-sociale del Mezzogiorno. La
connessione, però, si fa evidente: le aspettative di un popolo diventano
frustrazione della propria condizione sociale, l'atavico retaggio tradizionale
senza escatòn (il riscatto di de Martino) l'insediamento nel nuovo capitalismo finanziario
con la critica delle armi.
San Luca può parlare?- fe.d.
NEL NOSTRO PASSATO
è RACCHIUSO IL FUTURO
epilogo di
“Gente in Aspromonte” di Corrado Alvaro: “Aspettava
la sua sorte. Quando vide i berretti dei carabinieri, e i moschetti puntati su
di lui di dietro agli alberi, buttò il fucile e andò loro incontro.
‘Finalmente,’ disse, ‘potrò parlare con la Giustizia. Chè ci è voluto per
poterla incontrare e dirle il fatto mio!”.
Quello che
di San Luca (RC) ci ha consegnato la società dello spettacolo descritta da
Debord è l’immagine stereotipata di una caratterizzazione antropologica degna
della pseudo-“genosomatica” di Cesare Lombroso e che è entrata nelle narrazioni
dominanti della “questione meridionale” come “questione criminale”, quella che
Gramsci denunciava per riproporla come “questione sociale”. La terra natale di
Corrado Alvaro genera però anche la sua contronarrazione, non edulcorata nè
retorica, ma incisa nella sofferenza e nel riscatto possibile del mondo
subalterno. I volti, le mani, il lavoro e l’arte come cultura
dell’appartenenza, come soglia di un altro mondo possibile. - #subalternstudiesitalia
“Avevamo
un’identità di popolo che purtroppo abbiamo perso; non siamo più noi, ma
gareggiamo tra noi per diventare ‘altri’”.
Fortunato
Nocera (San Luca, 1938), scrittore e saggista.
Non è molto raro, in Italia, che si parli e si accusi per sentito dire. Non si può definire timido o rassegnato chi, a soli 27 anni firma assieme ad altri 52 illustri intellettuali coraggiosi, tra cui Umberto Zanotti Bianco, Eugenio Montale, Piero Calamandrei, e lo stesso Giovanni Amendola, il manifesto antifascista che Benedetto Croce scrisse in risposta a quello pro fascismo di Giovanni Gentile; chi, nel Mondo dello stesso Amendola, giornale apertamente antifascista, continuò a scrivere contro il nascente regime totalitario: “Nel 1922 ero al Mondo il giornale di opposizione al fascismo. Vi scrissi volontariamente cose che mi costarono poi molti guai… Gli attacchi che mi facevano i giornali mi impedivano di vivere e riparai a Berlino…Ero antifascista per temperamento, per cultura, per indole, per inclinazione, per natura.” A causa di questa persecuzione, per la quale i giornali e le riviste rifiutavano ogni suo scritto, Alvaro precipitò addirittura nell’indigenza e nella disperazione morale ed economica. Minacciato parecchie volte dagli squadristi, fu aggredito fisicamente dagli stessi il 16 dicembre 1925, mentre passeggiava con l’amico filosofo e critico Adriano Tilgher, pure lui malmenato. Riparò a Berlino dove l’aveva invitato Luigi Pirandello ed altri intellettuali rifugiati nella Repubblica di Weimar. Qui, riuscì a trovare lavoro in vari giornali e riviste, anche francesi, e a completare Gente in Aspromonte, La signora dell’isola e altri scritti e a pubblicare L’amata alla finestra.
Ma anche leggendo le opere di Alvaro si riesce a capire il suo carattere non rinunciatario o rassegnato: Antonello Argirò, il protagonista del suo racconto più conosciuto ed apprezzato, Gente in Aspromonte, reagisce in maniera anche violenta alle angherie perpetrate dai padroni contro la sua famiglia che, per distruggerla economicamente, bruciano la stalla e la mula che ci sta dentro, unica fonte di entrata della famiglia. Antonello dà fuoco ai boschi e alle mandrie dei padroni. Mario La Cava commenta così l’episodio: Nel racconto i fatti si svolgono con alto senso di drammaticità. Una burla atroce è al centro dell’azione. I nobili fannulloni mettono fuoco alla capanna in cui è custodita la mula del povero Argirò, unica risorsa per mantenere il figlio agli studi. Un altro suo figlio si sacrificava lavorando lontano nell’impegno di aiutare il padre a mantenere il figlio studente. Distrutte le loro speranze, il figlio che lavorava appicca il fuoco ai boschi dei nobili, nel vano tentativo di liberare il popolo oppresso. Non riesce a nulla, riesce soltanto a gridare alto il suo bisogno di giustizia di fronte al mondo.
Questo non è certo un atteggiamento di cultura della rassegnazione.
da Calabria Post https://www.calabriapost.net/cultura/corrado-alvaro-tutt-altro-che-rassegnato?fbclid=IwAR341YBLHzxru0Q5ZhkNFtstHBNCvWT0Hy6-eix-4GcIfM0oGxGnXHKrRw0
Video realizzato dal centro culturale San Luca Illustrato. #sanlucaillustrato
Qui, in
questo luogo di abbandoni e di rovine, di bellezze e di devastazioni, bisogna
fare i conti con la storia profonda e sotterranea, bisogna ascoltare e
decifrare le voci di quelli che hanno raccontato e inventato i luoghi, occorre
cercare un nuovo modo di relazionarsi con loro.
Vito Teti, Il senso dei luoghi,
Donzelli (2004). e.book 2014, referre, pos.332
racconto fotografico #casanatale #corradoalvaro antica.sartoria.sanluchese di via san sebastiano / incontro di Subaltern studies Italia con San Luca e l’aspra controstoria dei subalterni, 3 giugno 2022
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