Nakba,
prima e seconda Intifada, gli accordi di Oslo, Hamas e ANP
È necessario lavorare su
almeno due fronti:
- la controinformazione di
quello che sta accadendo nella striscia di Gaza e anche in Cisgiordania ad
opera dei coloni predoni, che si configura come genocidio e sterminio del
popolo palestinese da parte di Israele, con orrendi crimini di guerra che hanno
come obiettivo la “soluzione finale”; sono coperti dai media complici e
compiacenti occidentali, veri strumenti di diffusione di intossicazione
sionista fascista (altro che antisemitismo!, anche i palestinesi sono semiti,
che è termine coniato in ambito linguistico alla fine del XVIII secolo,
derivato dal personaggio biblico Sem, figlio di Noè, che secondo il primo
testamento sarebbe il progenitore dei popoli semitici). Perchè il sionismo è fascista, nazionalista,
teologico fondamentalista, ’suprematista’ (il popolo ‘eletto’).
- approfondimento storico-politico. La storia
della nascita di Israele dopo la II guerra mondiale è la storia di una pulizia
etnica, è la storia dell’imperialismo atlantista che crea uno stato alleato
‘cane da guardia’ nel Medio Oriente e nel mondo arabo, con la deportazione e la
progressiva segregazione del popolo palestinese. È la storia della resistenza
di quel popolo all’annientamento, nelle forme e nei modi possibili nel dato
contesto storico-politico, anche con gravi errori tattici e strategici delle
guide politiche laiche palestinesi, che infatti perdono consenso ed egemonia a
favore del teologismo fondamentalista e avventurista dei tagliagole reazionari,
specchio del sionismo fascista dall’altra parte. Un approfondimento che deve
avvalersi dei grandi contributi degli storici e filosofi critici e analisti sia
nativi palestinesi sia di origini ebraiche, primi fra tutti Edward Said, il
gramsciano autore di “Orientalismo” (1978) che ci ha lasciati troppo presto
(nel 2003) e Ilan Pappè, autore de “La pulizia etnica della Palestina”, The
Ethnic Cleansing del 2007, vero atto d’accusa, documentato, del peccato
originale dello Stato d’Israele datato 1948.
- Il lavoro incessante su questi due fronti,
quanto più capillare e di massa, deve contribuire al lavoro politico della
sinistra di classe e antagonista, dei comunisti, dei marxisti, per assumere una
lettura della questione palestinese universalistica e di prospettiva
democratica, laica e socialista, per la costituzione delle forme di
autodeterminazione politica attraverso un’entità statale autonoma, libera e
indipendente, fermando il genocidio, lo sterminio, l’apartheid, la segregazione
del martoriato popolo palestinese. / fe.d.
NAKBA
(1.) e INTIFADA (2.) - la catastrofe, la
lotta e la resistenza del popolo palestinese
La Nakba, la catastrofe, è il
peccato originale, è l’esodo forzato dalla propria terra dei palestinesi nel
1948, al termine del mandato britannico, tre anni dalla fine dell’Olocausto. Al
tempo della costituzione dello Stato di Israele, la popolazione araba era di 1
ml e 200 mila abitanti, 600 mila la popolazione ebraica (dati UNSCOP, United
Nations Special Committee on Palestine, A/364, 3 settembre 1947).
Il peccato originale, però, è
stata la pulizia etnica, la “nakba”. Il termine ‘pulizia etnica’ è dello
storico Ilan Pappè, uno dei rappresentanti della Nuova storiografia israeliana,
autore del libro “La pulizia etnica della Palestina”, in Italia editato da Fazi
nel 2008.
SECONDO PAPPÈ,
più di metà della popolazione
palestinese originaria, quasi 800.000 persone, era stata sradicata, 531
villaggi erano stati distrutti e 11 quartieri urbani svuotati dei loro
abitanti. Il piano, deciso il 10 marzo 1948, e soprattutto la sua sistematica
attuazione nei mesi successivi, fu un caso lampante di un’operazione di pulizia
etnica, considerata oggi dal diritto internazionale un crimine contro
l’umanità. (..) l’espropriazione delle terre dei palestinesi da parte di
Israele nel 1948. (..) utilizzando principalmente gli archivi militari
israeliani, gli storici revisionisti sono riusciti a dimostrare quanto fosse
falsa e assurda la pretesa israeliana che i palestinesi se ne fossero andati
“volontariamente”, sono stati in grado di confermare molti casi di espulsioni
di massa da villaggi e città e hanno rivelato che le forze ebraiche avevano
commesso un gran numero di atrocità, massacri compresi. Una delle figure più
note tra quanti hanno scritto sull’argomento è lo storico israeliano Benny
Morris. (..) Nel creare il proprio Stato-nazione, il movimento sionista non
condusse una guerra che “tragicamente, ma inevitabilmente” portò all’espulsione
di parte della popolazione nativa, ma fu l’opposto: l’obiettivo principale era
la pulizia etnica di tutta la Palestina, che il movimento ambiva per il suo
nuovo Stato. (..) Il termine Nakba fu adottato, per comprensibili ragioni, come
tentativo di controbilanciare il peso morale dell’Olocausto ebraico (Shoah), ma
l’aver trascurato i protagonisti può in un certo senso aver contribuito a
perpetuare la negazione da parte del mondo della pulizia etnica della Palestina
nel 1948 e successivamente. (..) È nostro dovere strappare dall’oblio la
semplice ma orribile storia della pulizia etnica della Palestina, un crimine
contro l’umanità che Israele ha voluto negare e far dimenticare al mondo.
Ilan Pappè, op.cit, Fazi, 2008, ed.digit. 2015, pos. 88-203
LA
PRIMA INTIFADA [1987_1993]
1987. L'8 dicembre un camion
delle forze di difesa israeliane (IDF) colpì due furgoni che trasportavano
operai di Gaza a Jabalya, un campo profughi che al tempo ospitava 60.000
persone. Uccise all'istante quattro di loro. Corse veloce la voce che lo
scontro non era stato un incidente, ma una vendetta in nome di un israeliano
accoltellato a morte alcuni giorni prima nel mercato di Gaza. Quella sera,
scoppiò una rivolta a Jabalya, durante la quale centinaia di persone bruciarono
pneumatici ed attaccarono le forze di difesa israeliane (IDF) di turno nella
zona. La rivolta si allargò ad altri campi profughi palestinesi ed infine a
Gerusalemme. Il 22 dicembre il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite
condannò Israele per avere violato la convenzione di Ginevra a causa del numero
di morti palestinesi nelle prime poche settimane di Intifada. La rivolta
palestinese si esprimeva con mezzi poveri: decine di adolescenti affrontavano
le pattuglie di soldati israeliani bersagliandoli di sassi. Nei primi tredici
mesi di Intifada, 332 palestinesi e 12 israeliani furono uccisi. Il fatto che
159 bambini palestinesi sotto i 16 anni, molti dei quali colpiti mentre
tiravano sassi a soldati delle IDF, fossero stati uccisi, era diventato
particolarmente allarmante per gli osservatori internazionali. Comunque, il
popolo palestinese con la prima Intifada di massa era riuscito a rinsaldare la
propria identità politica indipendente, sebbene l’OLP (Organizzazione per la
Liberazione della Palestina, fondata a Gerusalemme nel maggio 1964) avesse un
controllo limitato sulla situazione, cioè non dirigeva politicamente di fatto
le spontanee espressioni di rabbia popolare. Ma la rivolta può anche essere
collegata sia alla conferenza di Madrid del 1991 (tre giorni, 30 - 31 ottobre e
1 novembre) in cui USA e URSS cercarono di accordarsi su soluzioni negoziali
coinvolgendo Siria, Libano e Giordania; sia al ritorno di Arafat e
dell'organizzazione dal proprio esilio tunisino dopo la guerra libanese del
1982. Con la prima Intifada, estesa da Gaza alla Cisgiordania, caratterizzata,
oltre che dal lancio di pietre, da scioperi, dimostrazioni, scontri con le
forze occupanti, azioni di disobbedienza civile, e fino al 1993, era
ridiventato centrale il tema dell’autodeterminazione politica attraverso la
creazione di un’entità statale autonoma palestinese autogovernata.
LA
SECONDA INTIFADA (2000-2006)
anche detta i. di al-Aqsa,
dal nome della moschea che sorge a Gerusalemme, nel terzo luogo santo
dell’islam (al-Haram ash-Sharif «il nobile santuario») dopo La Mecca e Medina,
ebbe inizio nel settembre 2000. L’evento scatenante fu infatti la visita, il 28
settembre, del leader del Likud, A. Sharon, al sito religioso venerato da
entrambe le religioni (per gli ebrei l’al-Haram ash-Sharif è il monte del Tempio).
Il giorno successivo, dopo la preghiera del venerdì, migliaia di fedeli
musulmani affollavano la Spianata delle moschee dove si verificarono i primi
scontri con le forze di polizia israeliane (6 morti e oltre 200 feriti tra i
palestinesi). La protesta palestinese dilagò rapidamente a Gaza e in
Cisgiordania, trasformandosi in una rivolta contro l’occupazione israeliana e
per l’indipendenza della Palestina. La durezza della repressione messa in atto
dal governo israeliano, condannata dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni
Unite il 7 ottobre, fu più volte denunciata nelle sedi internazionali nei mesi
successivi. A differenza della prima i., caratterizzata da scontri di piazza,
manifestazioni popolari e azioni non violente di disobbedienza civile, l’i. di
al-Aqsa ha visto un largo uso di armi da fuoco da parte dei palestinesi e il
ricorso ad attentati e attacchi suicidi contro obiettivi civili e militari, con
una recrudescenza nel marzo 2002 contro alberghi, autobus, bar, centri
commerciali. La sfiducia verso il processo di pace avviato a Oslo (1993),
contraddistinto da inadempienze israeliane, e le misere condizioni di vita dei
palestinesi motivarono una rivolta che non risparmiò nemmeno Y. ‛Arafat, accusato di poca democrazia interna e
di arrendevolezza verso gli israeliani. Dai primi giorni di
aprile, con l’assedio al campo profughi palestinese di Jenin in Cisgiordania,
l’escalation delle operazioni militari israeliane nei territori palestinesi
subì una drammatica intensificazione. Dal dicembre 2001 lo stesso ‛Arafat venne confinato nella sede
dell’Autorità nazionale palestinese, a Ramallah, assediata dall’esercito
israeliano. La seconda i., intanto, proseguiva, sia pur con minore intensità,
prolungandosi anche dopo il 2004, quando la morte di ‛Arafat e la malattia di Sharon
mutarono il quadro. Solo nel 2006 poté dirsi conclusa, con il tragico bilancio
di circa 5000 morti tra i palestinesi e circa 1000 tra gli israeliani.
scheda elaborata con
Dizionario di storia Treccani
Sosteniamo la tesi che
l’egemonia politica di Hamas nella resistenza palestinese è stata favorita da
Israele, direttamente in funzione anti-ANP, indirettamente dalle sue continue
violazioni degli accordi di Oslo del 1993-1995.
Il
grande inganno di Israele ad Oslo rafforza Hamas
A seguito della Battaglia di
Gaza (2007) (2) tra Fatah e Hamas, questa prese il controllo completo
dell'omonima Striscia eliminando o allontanando gli esponenti avversari; nel
quadro di tali eventi e tra accuse di illegalità a loro volta i funzionari
eletti di Hamas furono eliminati fisicamente o allontanati dalle loro posizioni
dall'Autorità Nazionale Palestinese in Cisgiordania e i loro incarichi furono
assunti da esponenti del Fatah e da membri indipendenti. Il 18 giugno 2007, il
Presidente palestinese Mahmūd Abbās
(Fath) emette un decreto che mette fuorilegge le milizie di Hamas. La
cui forza, politica, militare e specie economica, giovandosi degli appoggi
degli sceicchi nel Quatar dunque, si
deve proprio agli accordi di Oslo.
1) Il cosiddetto Accordo di
Taba, in cui si riconosceva ad interim un Consiglio palestinese di autogoverno eletto
2) La battaglia di Gaza si svolse fra il 12 e il 14 giugno del 2007 fra le milizie di Hamas e le forze di Fatah. In particolare, dal punto di vista strategico-militare, fu importante la conquista, da parte dei miliziani, del quartier generale del Servizio Palestinese di Sicurezza Preventiva nella Striscia.
E
oggi l’ANP? Chiara Cruciati su Il Manifesto, 7.11.2023
estratto
Sono trascorsi trent’anni
dagli Accordi di Oslo e dalla fondazione dell’Autorità nazionale palestinese,
esecutrice dell’omicidio politico dell’Olp ed elefantiaca amministrazione senza
sovranità che avrebbe dovuto condurre alla nascita di uno stato di Palestina.
Eppure, trent’anni dopo, la
diplomazia occidentale non intende ancora intraprendere una strategia reale di
soluzione della secolare questione palestinese. Non lo vuole soprattutto
Israele (..) In tale contesto di blackout politico e persistenza di un
approccio colonialista verso il sud del mondo, la carta dell’Anp come cane da
guardia altrui è l’ovvia risposta ma è esercizio futile. Non ha prospettive
reali: perché l’Autorità non gode di alcun consenso tra la base né di
legittimità nel mondo arabo che l’ha palesemente bypassata per normalizzare i
rapporti con Tel Aviv; perché è proprietà privata di un’élite politica ed
economica che ha allargato a dismisura il gap sociale con la popolazione; (..)
Non esiste strategia per il futuro, un’assenza surreale e dolorosa a 75 anni
dall’espulsione forzata di quasi un milione di palestinesi dalle proprie terre
e a 56 dall’occupazione militare di quel che restava della Palestina storica.
Decenni dopo, la comunità internazionale occidentale non legittima ancora le
aspirazioni di libertà palestinesi e si trincera dietro uno slogan – due
popoli, due stati – che è solo uno scudo alla soluzione politica. L’occupazione
non è davvero messa in dubbio, nemmeno oggi. (..) Privati della politica,
privati di speranza, la rabbia dei palestinesi ribolle insieme alla convinzione
che la libertà non passerà per una diplomazia schiacciata sulle ragioni
israeliane e complice del massacro in corso.
a cura di Ferdinando Dubla,
Subaltern studies Italia - Lavoro Politico web_serie
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