Subaltern studies Italia

L’analisi e la classe - a cura di Ferdinando Dubla

Powered By Blogger

martedì 7 novembre 2023

SEM - la catastrofe, la lotta e la resistenza del popolo palestinese

 




Nakba, prima e seconda Intifada, gli accordi di Oslo, Hamas e ANP

È necessario lavorare su almeno due fronti:

- la controinformazione di quello che sta accadendo nella striscia di Gaza e anche in Cisgiordania ad opera dei coloni predoni, che si configura come genocidio e sterminio del popolo palestinese da parte di Israele, con orrendi crimini di guerra che hanno come obiettivo la “soluzione finale”; sono coperti dai media complici e compiacenti occidentali, veri strumenti di diffusione di intossicazione sionista fascista (altro che antisemitismo!, anche i palestinesi sono semiti, che è termine coniato in ambito linguistico alla fine del XVIII secolo, derivato dal personaggio biblico Sem, figlio di Noè, che secondo il primo testamento sarebbe il progenitore dei popoli semitici).  Perchè il sionismo è fascista, nazionalista, teologico fondamentalista, ’suprematista’ (il popolo ‘eletto’).

 - approfondimento storico-politico. La storia della nascita di Israele dopo la II guerra mondiale è la storia di una pulizia etnica, è la storia dell’imperialismo atlantista che crea uno stato alleato ‘cane da guardia’ nel Medio Oriente e nel mondo arabo, con la deportazione e la progressiva segregazione del popolo palestinese. È la storia della resistenza di quel popolo all’annientamento, nelle forme e nei modi possibili nel dato contesto storico-politico, anche con gravi errori tattici e strategici delle guide politiche laiche palestinesi, che infatti perdono consenso ed egemonia a favore del teologismo fondamentalista e avventurista dei tagliagole reazionari, specchio del sionismo fascista dall’altra parte. Un approfondimento che deve avvalersi dei grandi contributi degli storici e filosofi critici e analisti sia nativi palestinesi sia di origini ebraiche, primi fra tutti Edward Said, il gramsciano autore di “Orientalismo” (1978) che ci ha lasciati troppo presto (nel 2003) e Ilan Pappè, autore de “La pulizia etnica della Palestina”, The Ethnic Cleansing del 2007, vero atto d’accusa, documentato, del peccato originale dello Stato d’Israele datato 1948.

 - Il lavoro incessante su questi due fronti, quanto più capillare e di massa, deve contribuire al lavoro politico della sinistra di classe e antagonista, dei comunisti, dei marxisti, per assumere una lettura della questione palestinese universalistica e di prospettiva democratica, laica e socialista, per la costituzione delle forme di autodeterminazione politica attraverso un’entità statale autonoma, libera e indipendente, fermando il genocidio, lo sterminio, l’apartheid, la segregazione del martoriato popolo palestinese. / fe.d.

 

 

NAKBA (1.)  e INTIFADA (2.) - la catastrofe, la lotta e la resistenza del popolo palestinese

 

La Nakba, la catastrofe, è il peccato originale, è l’esodo forzato dalla propria terra dei palestinesi nel 1948, al termine del mandato britannico, tre anni dalla fine dell’Olocausto. Al tempo della costituzione dello Stato di Israele, la popolazione araba era di 1 ml e 200 mila abitanti, 600 mila la popolazione ebraica (dati UNSCOP, United Nations Special Committee on Palestine, A/364, 3 settembre 1947).

Il peccato originale, però, è stata la pulizia etnica, la “nakba”. Il termine ‘pulizia etnica’ è dello storico Ilan Pappè, uno dei rappresentanti della Nuova storiografia israeliana, autore del libro “La pulizia etnica della Palestina”, in Italia editato da Fazi nel 2008.

SECONDO PAPPÈ,

più di metà della popolazione palestinese originaria, quasi 800.000 persone, era stata sradicata, 531 villaggi erano stati distrutti e 11 quartieri urbani svuotati dei loro abitanti. Il piano, deciso il 10 marzo 1948, e soprattutto la sua sistematica attuazione nei mesi successivi, fu un caso lampante di un’operazione di pulizia etnica, considerata oggi dal diritto internazionale un crimine contro l’umanità. (..) l’espropriazione delle terre dei palestinesi da parte di Israele nel 1948. (..) utilizzando principalmente gli archivi militari israeliani, gli storici revisionisti sono riusciti a dimostrare quanto fosse falsa e assurda la pretesa israeliana che i palestinesi se ne fossero andati “volontariamente”, sono stati in grado di confermare molti casi di espulsioni di massa da villaggi e città e hanno rivelato che le forze ebraiche avevano commesso un gran numero di atrocità, massacri compresi. Una delle figure più note tra quanti hanno scritto sull’argomento è lo storico israeliano Benny Morris. (..) Nel creare il proprio Stato-nazione, il movimento sionista non condusse una guerra che “tragicamente, ma inevitabilmente” portò all’espulsione di parte della popolazione nativa, ma fu l’opposto: l’obiettivo principale era la pulizia etnica di tutta la Palestina, che il movimento ambiva per il suo nuovo Stato. (..) Il termine Nakba fu adottato, per comprensibili ragioni, come tentativo di controbilanciare il peso morale dell’Olocausto ebraico (Shoah), ma l’aver trascurato i protagonisti può in un certo senso aver contribuito a perpetuare la negazione da parte del mondo della pulizia etnica della Palestina nel 1948 e successivamente. (..) È nostro dovere strappare dall’oblio la semplice ma orribile storia della pulizia etnica della Palestina, un crimine contro l’umanità che Israele ha voluto negare e far dimenticare al mondo.

 Ilan Pappè, op.cit, Fazi, 2008, ed.digit. 2015,  pos. 88-203  




LA PRIMA INTIFADA [1987_1993]

1987. L'8 dicembre un camion delle forze di difesa israeliane (IDF) colpì due furgoni che trasportavano operai di Gaza a Jabalya, un campo profughi che al tempo ospitava 60.000 persone. Uccise all'istante quattro di loro. Corse veloce la voce che lo scontro non era stato un incidente, ma una vendetta in nome di un israeliano accoltellato a morte alcuni giorni prima nel mercato di Gaza. Quella sera, scoppiò una rivolta a Jabalya, durante la quale centinaia di persone bruciarono pneumatici ed attaccarono le forze di difesa israeliane (IDF) di turno nella zona. La rivolta si allargò ad altri campi profughi palestinesi ed infine a Gerusalemme. Il 22 dicembre il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite condannò Israele per avere violato la convenzione di Ginevra a causa del numero di morti palestinesi nelle prime poche settimane di Intifada. La rivolta palestinese si esprimeva con mezzi poveri: decine di adolescenti affrontavano le pattuglie di soldati israeliani bersagliandoli di sassi. Nei primi tredici mesi di Intifada, 332 palestinesi e 12 israeliani furono uccisi. Il fatto che 159 bambini palestinesi sotto i 16 anni, molti dei quali colpiti mentre tiravano sassi a soldati delle IDF, fossero stati uccisi, era diventato particolarmente allarmante per gli osservatori internazionali. Comunque, il popolo palestinese con la prima Intifada di massa era riuscito a rinsaldare la propria identità politica indipendente, sebbene l’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina, fondata a Gerusalemme nel maggio 1964) avesse un controllo limitato sulla situazione, cioè non dirigeva politicamente di fatto le spontanee espressioni di rabbia popolare. Ma la rivolta può anche essere collegata sia alla conferenza di Madrid del 1991 (tre giorni, 30 - 31 ottobre e 1 novembre) in cui USA e URSS cercarono di accordarsi su soluzioni negoziali coinvolgendo Siria, Libano e Giordania; sia al ritorno di Arafat e dell'organizzazione dal proprio esilio tunisino dopo la guerra libanese del 1982. Con la prima Intifada, estesa da Gaza alla Cisgiordania, caratterizzata, oltre che dal lancio di pietre, da scioperi, dimostrazioni, scontri con le forze occupanti, azioni di disobbedienza civile, e fino al 1993, era ridiventato centrale il tema dell’autodeterminazione politica attraverso la creazione di un’entità statale autonoma palestinese autogovernata.

LA SECONDA INTIFADA (2000-2006)

anche detta i. di al-Aqsa, dal nome della moschea che sorge a Gerusalemme, nel terzo luogo santo dell’islam (al-Haram ash-Sharif «il nobile santuario») dopo La Mecca e Medina, ebbe inizio nel settembre 2000. L’evento scatenante fu infatti la visita, il 28 settembre, del leader del Likud, A. Sharon, al sito religioso venerato da entrambe le religioni (per gli ebrei l’al-Haram ash-Sharif è il monte del Tempio). Il giorno successivo, dopo la preghiera del venerdì, migliaia di fedeli musulmani affollavano la Spianata delle moschee dove si verificarono i primi scontri con le forze di polizia israeliane (6 morti e oltre 200 feriti tra i palestinesi). La protesta palestinese dilagò rapidamente a Gaza e in Cisgiordania, trasformandosi in una rivolta contro l’occupazione israeliana e per l’indipendenza della Palestina. La durezza della repressione messa in atto dal governo israeliano, condannata dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite il 7 ottobre, fu più volte denunciata nelle sedi internazionali nei mesi successivi. A differenza della prima i., caratterizzata da scontri di piazza, manifestazioni popolari e azioni non violente di disobbedienza civile, l’i. di al-Aqsa ha visto un largo uso di armi da fuoco da parte dei palestinesi e il ricorso ad attentati e attacchi suicidi contro obiettivi civili e militari, con una recrudescenza nel marzo 2002 contro alberghi, autobus, bar, centri commerciali. La sfiducia verso il processo di pace avviato a Oslo (1993), contraddistinto da inadempienze israeliane, e le misere condizioni di vita dei palestinesi motivarono una rivolta che non risparmiò nemmeno Y. Arafat, accusato di poca democrazia interna e di arrendevolezza verso gli israeliani. Dai primi giorni di aprile, con l’assedio al campo profughi palestinese di Jenin in Cisgiordania, l’escalation delle operazioni militari israeliane nei territori palestinesi subì una drammatica intensificazione. Dal dicembre 2001 lo stesso Arafat venne confinato nella sede dell’Autorità nazionale palestinese, a Ramallah, assediata dall’esercito israeliano. La seconda i., intanto, proseguiva, sia pur con minore intensità, prolungandosi anche dopo il 2004, quando la morte di Arafat e la malattia di Sharon mutarono il quadro. Solo nel 2006 poté dirsi conclusa, con il tragico bilancio di circa 5000 morti tra i palestinesi e circa 1000 tra gli israeliani.    

scheda elaborata con Dizionario di storia Treccani

Sosteniamo la tesi che l’egemonia politica di Hamas nella resistenza palestinese è stata favorita da Israele, direttamente in funzione anti-ANP, indirettamente dalle sue continue violazioni degli accordi di Oslo del 1993-1995.

Il grande inganno di Israele ad Oslo rafforza Hamas




 13 settembre 1993: un Bill Clinton a larghe braccia fa da mezzàno tra Yitzhak Rabin, allora primo ministro di Israele e Yasser Arafat, in rappresentanza dell’OLP - Organizzazione per la liberazione della Palestina, alla Casa Bianca. Si ufficializzavano gli accordi di Oslo, in cui da parte palestinese veniva istituita l’ANP, l’autorità nazionale che, accontentandosi di una striscia di terra a Gaza e del territorio al confine giordano, la Cisgiordania, appunto, rimandava pericolosamente ad un secondo momento la costituzione di uno Stato palestinese. In quanto al primo ministro israeliano, verrà assassinato da un fanatico fondamentalista religioso ebreo (Yigal Amir) il 4 novembre 1995 a Tel Aviv. Insieme ad Arafat e Shimon Peres (allora laburista ministro degli esteri) era stato insignito del premio Nobel per la pace 1994. Forse è lì che muore il simulacro dei “due popoli due stati”. Perchè è un passaggio successivo alla soluzione di un conflitto dovuto ad un’espropiazione e una pulizia etnica,  dunque “terra e stato ai palestinesi nell’autoderminazione politica”, prioritariamente. Israele ha sempre boicottato le ‘concessioni’ degli accordi norvegesi del 1993 (ci fu anche una specie di Oslo 2 nel 1995) (1) con una costante aggressione colonialista al  territorio già concentrazionario della Cisgiordania, violando ogni risoluzione ONU. Arafat perse consenso ed egemonia, divenendo addirittura, con il riconoscimento politico degli occupanti, un simbolo di arrendevolezza ed eccessivo moderatismo. Favorendo così l’ascesa delle organizzazioni fondamentaliste integraliste religiose, fra cui la sunnita Hamas, che andò al potere nella striscia di Gaza. L'ala politica di Hamas vinse diverse elezioni amministrative locali a Gaza, Qalqilya, e Nablus. Nel gennaio 2006 con una vittoria a sorpresa alle elezioni legislative in Palestina del 2006 con il 44% circa dei voti, Hamas ottenne 74 dei 132 seggi della camera, mentre al-Fatah, con il 41% circa dei voti ne ottenne solo 45. La distribuzione del voto però era molto differente nei vari territori: le principali basi elettorali di Hamas erano nella Striscia di Gaza, mentre quelle del Fatah erano concentrate in Cisgiordania. Questo lasciò subito presagire che, se i due partiti non avessero trovato un compromesso, sarebbe potuta scoppiare una lotta per il controllo dei due territori nei quali ciascuno dei due partiti era più radicato.

A seguito della Battaglia di Gaza (2007) (2) tra Fatah e Hamas, questa prese il controllo completo dell'omonima Striscia eliminando o allontanando gli esponenti avversari; nel quadro di tali eventi e tra accuse di illegalità a loro volta i funzionari eletti di Hamas furono eliminati fisicamente o allontanati dalle loro posizioni dall'Autorità Nazionale Palestinese in Cisgiordania e i loro incarichi furono assunti da esponenti del Fatah e da membri indipendenti. Il 18 giugno 2007, il Presidente palestinese Mahmūd Abbās (Fath) emette un decreto che mette fuorilegge le milizie di Hamas. La cui forza, politica, militare e specie economica, giovandosi degli appoggi degli sceicchi nel Quatar  dunque, si deve proprio agli accordi di Oslo.

1) Il cosiddetto Accordo di Taba, in cui si riconosceva ad interim un Consiglio palestinese di autogoverno eletto

2) La battaglia di Gaza si svolse fra il 12 e il 14 giugno del 2007 fra le milizie di Hamas e le forze di Fatah. In particolare, dal punto di vista strategico-militare, fu importante la conquista, da parte dei miliziani, del quartier generale del Servizio Palestinese di Sicurezza Preventiva nella Striscia.

 

E oggi l’ANP? Chiara Cruciati su Il Manifesto, 7.11.2023

estratto

Sono trascorsi trent’anni dagli Accordi di Oslo e dalla fondazione dell’Autorità nazionale palestinese, esecutrice dell’omicidio politico dell’Olp ed elefantiaca amministrazione senza sovranità che avrebbe dovuto condurre alla nascita di uno stato di Palestina.

Eppure, trent’anni dopo, la diplomazia occidentale non intende ancora intraprendere una strategia reale di soluzione della secolare questione palestinese. Non lo vuole soprattutto Israele (..) In tale contesto di blackout politico e persistenza di un approccio colonialista verso il sud del mondo, la carta dell’Anp come cane da guardia altrui è l’ovvia risposta ma è esercizio futile. Non ha prospettive reali: perché l’Autorità non gode di alcun consenso tra la base né di legittimità nel mondo arabo che l’ha palesemente bypassata per normalizzare i rapporti con Tel Aviv; perché è proprietà privata di un’élite politica ed economica che ha allargato a dismisura il gap sociale con la popolazione; (..) Non esiste strategia per il futuro, un’assenza surreale e dolorosa a 75 anni dall’espulsione forzata di quasi un milione di palestinesi dalle proprie terre e a 56 dall’occupazione militare di quel che restava della Palestina storica. Decenni dopo, la comunità internazionale occidentale non legittima ancora le aspirazioni di libertà palestinesi e si trincera dietro uno slogan – due popoli, due stati – che è solo uno scudo alla soluzione politica. L’occupazione non è davvero messa in dubbio, nemmeno oggi. (..) Privati della politica, privati di speranza, la rabbia dei palestinesi ribolle insieme alla convinzione che la libertà non passerà per una diplomazia schiacciata sulle ragioni israeliane e complice del massacro in corso.

a cura di Ferdinando Dubla, Subaltern studies Italia - Lavoro Politico web_serie



http://lavoropolitico.it/

 

Nessun commento:

Posta un commento