di
Gennaro Ascione
Titoli
redazionali Subaltern Studies Italia
I SUBALTERN STUDIES hanno avuto come
saldo punto di riferimento il lavoro dello storico bengalese Ranajit Guha, scomparso
il 28 aprile 2023
(cfr. SUBALTERN STUDIES ITALIA
SALUTA RANAJIT GUHA
http://ferdinandodubla.blogspot.com/2023/05/subaltern-studies-italia-saluta-ranajit.html )
dal 1982, anno della pubblicazione di “Writings on South Asian History and Society”. Ma la prevalenza dell‘impostazione di Guha, adattivo del pensiero di Gramsci del Quaderno 25 scritto a Formia negli ultimi anni della sua vita, alle condizioni dell’India postcoloniale; e di Althusser, nel sottolineare il ruolo autonomo della cultura come elemento non meramente riflessivo della sovrastruttura; e di Mao e delle esperienze del maoismo militante tra i ceti contadini e le insorgenze dei subalterni dell’Asia meridionale, nel corso degli anni ‘80 si diluiranno, contamineranno e confluiranno nelle tendenze “post”, dal post/strutturalismo al post/colonialismo, appunto, passando per il decostruzionismo di Derrida e la microfisica di Foucault, principalmente. La figura della Gayatry Spivak è stata dunque decisiva in questo ‘passaggio’, ma ha, paradossalmente, silenziato i subalterni. (fe.d.)
La ricostruzione di Gennaro Ascione ˩
SUBALTERNITÀ E
POSTSTRUTTURALISMO
Come
sostiene David Ludden (1) l'irrompere sulla scena accademica internazionale del
Subaltern Studies Group è caratterizzato da un atto di negazione, da parte
degli studiosi indiani coinvolti, di tutte le precedenti «storie dal basso»
sull'Asia meridionale: la subalternità dunque divenne una novità, inventata de
novo dai Subaltern Studies, che attribuirono nuovi significati a vecchie parole
e segnarono un nuovo inizio per gli studi storici. Dominazione, subordinazione,
egemonia, resistenza, rivolta e altri concetti già in uso, ora potevano essere
subalternizzati. Per definizione, la subalternità era stata ignorata da tutti
gli studiosi del passato: dunque, tutta la ricerca fino ad allora compiuta
divenne elitaria (2). L'analisi di queste forme di mobilitazione politica si
avvalse in maniera crescente dell'apporto delle teorie poststrutturaliste. In
virtù dell'influenza di Foucault, Lacan e Derrida, le questioni di ordine
metodologico/interpretativo vennero riarticolate in funzione di due obiettivi:
decostruire la logica delle distorsioni operate dalla storiografia nazionale e
decodificare la semiotica dell’agire sociale dei gruppi subalterni.
1)
La trattazione più approfondita della prima fase della storia del gruppo
(Subaltern studies, ndr), dalla
nascita fino alla fine degli anni ottanta, è, a nostro avviso, quella redatta
da D.Ludden, Reading Subaltern studies. Critical History, Contested Meaning and the Globalization
of South Asia, London 2002
2) Ivi, pag.16
Ascione,
pos.527 continua
[Con] l’ingresso
di Gayatri Chakravorty Spivak nel gruppo nel 1986, il tema del rapporto tra
cultura e potere guadagnò maggiore spazio, tant'è che nello stesso anno, a
Calcutta, durante il secondo congresso del Subaltern Studies Group, emerse una
tensione interna fondamentale. (3)
3) B. Aschcroft,
Postcolonialism, in Id., G.
Griffiths, H. Tiffin, Post-Colonial Studies.
The Key Concepts, London-New York 2002
A
metà degli anni ottanta, dunque, il Subaltern Studies Group si riposizionò, nel
contesto accademico mondiale, avvicinandosi al decostruzionismo come prassi e
agli studi culturali come prospettiva d'analisi. A partire dal quinto volume
dei Subaltern Studies Series (1987), infatti, i saggi raccolti affrontano quasi
tutti il tema del rapporto tra cultura e potere in relazione ai gruppi
subalterni nel processo di costituzione della nazione indiana, postulando la
sfera della cultura come dimensione relativamente autonoma dell'agire sociale.
Tale svolta in senso culturalista, come diversi studiosi del gruppo
sottolineano in momenti diversi della loro produzione intellettuale (4) “affonda
le radici, dal punto di vista teorico, nel marxismo althusseriano” (5).
4) Cfr. D.
Chakrabarty, Post-coloniality and the Artifice
of History: Who Speaks for 'Indian' Pasts?, in "Representations",
37, 1992, pp.1-26
5)
E' interessante notare, a tal proposito, che Derrida, le cui opere
costituiscono un punto di riferimento cruciale per la svolta culturalista
dell'Indian Subaltern Studies Group, a metà degli anni ottanta, fosse stato
allievo di Althusser all'Ecole des hautes études.
ALTHUSSER E MAO-TSE TUNG
NEI SUBALTERN STUDIES
L'eredità
di Althusser nei confronti del collettivo indiano risiederebbe nella
ridefinizione, da parte del filosofo francese, della questione del rapporto tra
struttura e sovrastruttura, che, in estrema sintesi, assegna alla cultura una
capacità trasformativa sul modo di produzione, piuttosto che considerarla come
un mero epifenomeno dei rapporti di produzione. Ma, a sua volta, l'opera di
Althusser, specialmente negli anni sessanta, fu fortemente influenzata dalla
teoria delle contraddizioni di Mao Zedong (6) e dalla Rivoluzione culturale in
Cina (7). Nel fermento politico e culturale degli anni sessanta in Europa, il
maoismo come prassi politica alimentava le spinte alla mobilitazione nei
movimenti di estrema sinistra in tutta Europa, mentre, come ermeneutica
marxiana sofisticata, esso entrava nel dibattito accademico occidentale; sullo
sfondo, il processo di istituzionalizzazione e d'integrazione nelle compagini
governative dei partiti comunisti nei Paesi europei occidentali e il relativo
dibattito teorico sulle ortodossie marxiste.
6) Nella sua re-interpretazione della dialettica marxiana, Mao
teorizza il carattere contingente della gerarchia tra le contraddizioni
generate dal capitale e la necessità di una continua lettura di tali gerarchie
a fronte del contesto spaziotemporale preso in considerazione. Così, ad
esempio, la lotta del popolo cinese contro i colonizzatori europei e giapponesi
assumeva, negli anni quaranta, il valore di contraddizione principale, rispetto
alla quale anche la propensione internazionalista della lotta di classe del
proletariato risultava temporaneamente subordinata all'esigenza della lotta
all'imperialismo. È su questa disputa che già negli anni trenta si erano create
notevoli tensioni tra i delegati russi del Comintern e i comunisti cinesi a
Pechino.
7) L'analisi
dell'esperienza della Rivoluzione culturale in Cina è senza dubbio molto
complessa. Tuttavia ciò che viene in rilievo per la vicenda intellettuale da
noi considerata sono gli esiti teorici che Mao trasse da essa, o che,
viceversa, egli pose come supporto teorico alla lotta interna che va sotto il
nome di «Rivoluzione culturale». Di fronte alla minaccia dell'imborghesimento
dei quadri di partito (processo che d'altro canto può essere letto in termini
di crescente fazionalismo interno al Partito comunista cinese) negli anni sessanta,
Mao teorizza l'insufficienza della trasformazione del modo di produzione
capitalistico per il raggiungimento del socialismo: una necessità ulteriore
consisteva dunque in un cambiamento nella cultura, tale da inscrivere il
socialismo come ideologia nella mentalità del popolo e dei quadri di partito.
Di qui l'enfasi posta sulla sovrastruttura come termine dialettico della
struttura stessa, dotato di capacità trasformativa sui rapporti di produzione.
Ascione,
pos. 540
DAI SUBALTERNI ALLA
CRITICA POSTCOLONIALE
Nel
1988, una raccolta di studi subalterni selezionati si avvalse della prefazione
di Edward Said, che li descrisse come una sorta di insurrezione intellettuale
contro l'eurocentrismo: l'insufficienza delle categorie storiografiche
occidentali, sosteneva Said, si inscriveva in un più ampio contesto di critica
postcoloniale ai modi di rappresentazione occidentali delle scienze
storico-sociali, che prendeva piede nella periferia del sistema-mondo.
Simultaneamente, il saggio introduttivo del volume, scritto da Spivak (8) e un
altro redatto dalla stessa O'Hanlon (9), criticavano il precedente lavoro del
collettivo per l'assenza delle tematiche di genere e, radicalizzando le tesi decostruzioniste
sulla costruzione della soggettività, lasciavano intravedere alcuni dei limiti
intrinseci al progetto di «dare voce ai subalterni». La critica
all'orientalismo e quella alla storiografia si incontravano così nello spazio
condiviso dell'analisi del rapporto tra linguaggio e potere e, allo stesso
tempo, il collettivo Subaltern Studies raggiungeva una audience internazionale,
trovando consensi in quegli ambienti accademici in cui già erano diffusi i temi
e le metodologie dei Cultural Studies britannici e americani (da Birmingham, a
Leeds, a Manchester, a Toronto) (10) e all'interno dei quali in analogia con la
retorica della post-modernità, si faceva largo il concetto di postcolonial (11).
Nello stesso anno, in un volume curato da Lawrence Grossberg e Cary Nelson,
Gayatri Chakravorty Spivak pubblicava il suo saggio dal titolo Can the
Subaltern speak?, destinato a influenzare la successiva produzione
intellettuale del collettivo, nel quale criticava l'ontologizzazione di
qualsiasi oggetto di studio, compresi i gruppi subalterni, e problematizzava in
modo radicale l'istanza originaria da cui il progetto Subaltern Studies aveva
avuto origine, giungendo in ultimo a negare la certezza della possibilità
gnoseologica di rintracciare e documentare la voce degli oppressi". (12)
8) Spivak, Deconstructing Historiography, in Select Subaltern studies, a cura di
R.Guha e G.C.Spivak, New York 1988
9) Cfr. O'Hanlon,
Recovering the Subject: Subaltern studies
and Postcolonial Historiography, in
"Neplantla: Views from the South, 12, 2000, pag.212
10)
Per un'analisi in prospettiva di lunga durata sui Cultural Studies e sulla loro collocazione nel panorama accademico
e nel dibattito del secondo dopoguerra si veda R.Lee, Life and Times of Cultural Studies, Durham 2003
11)
Per una sintesi delle principali questioni connesse all'uso del termine
"postcoloniale" si veda Postcoloniality,
in International Encyclopedia of Social
and Behavioral Sciences, a cura di N.J. Smelser e P.B. Baltes, Amsterdam,
2001
12) Spivak, Can the Subaltern speak?, in L.Grossberg,
G.Nelson, Marxism and the Interpretation
of Culture, Urbana 1988. Per
un'analisi parzialmente differente dello stesso problema teorico cfr. A. Shamsul,
When will the Subaltern Speak. Central Issues in Historical Sociology of South Asia, in
"Asian Profile", 21, 1993, pp.431-47.
Ascione,
ivi e pos.547
Gennaro Ascione, "Indiani d'America": studi postcoloniali,
in Storica, Anno XII, 2006, nr.34,
Viella - citazioni dal formato digitale (pos. - posizione della pagina)
di Gennaro Ascione vedi anche
su questo blog:
DECOLONIZZARE IL SAPERE - Subaltern Studies e studi
postcoloniali in interlocuzione
sul tema: PER
UN DIBATTITO CRITICO SUI SUBALTERN STUDIES E POSTCOLONIAL STUDIES
segui la nostra pagina FB: Subaltern
studies Italia
Nessun commento:
Posta un commento