Subaltern studies Italia

L’analisi e la classe - a cura di Ferdinando Dubla

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martedì 5 dicembre 2023

LA CLASSE OPERAIA VA ALL’INFERNO: LA "PALAZZINA LAF" DI MICHELE RIONDINO

 





Taranto - Dopo l’anteprima romana, il 22 novembre 2023 è stata proiettata in prima assoluta a San Giorgio Jonico al Cine multisala Casablanca il film di Michele Riondino, figlio di questa terra (bellissima la colonna sonora di Diodato, “La mia terra” ) PALAZZINA LAF.

Una ricostruzione neorealista ma con moderno linguaggio cinematografico del mobbing operaio e la discriminazione di classe all’interno dell’Ilva di Taranto alla fine dei 90 del secolo scorso, anni in cui si propalava la scomparsa della classe e dunque della sua centralità politica. Ma si era fatta invisibile per le classi dominanti nel dominio del senso comune. La classe c’era, eccome, era all’inferno, era alla Palazzina LAF. Un film dunque dal solido impianto civile e “engagè” diceva Sartre, impegnato, dagli echi grotteschi, arrabbiati e per questo rivoluzionari, che rimandano a “La classe operaia va in paradiso“ di Elio Petri del 1973, e Gian Maria Volontè che oggi veste i panni del siderurgico Caterino Lamanna - Michele Riondino.

 

Accanto all'attore e regista tarantino in sala anche  Claudio Virtù, uno dei mobbizzati del 1997 all’Ilva di Taranto e autore di un libro dal medesimo titolo da cui è stata tratta la sceneggiatura. “Naturalmente ambientalista, sono figlio di operai e un operaista, mi hanno chiesto di occuparmi di cinema e non di politica o di sindacato, ebbene ho fatto cinema, per amore della mia città. Ne è scaturita una critica al cinismo e all’indifferenza, al menefreghismo e all’arrivismo, il vano blandire il padrone, ma nello stesso tempo la necessità di accrescere la coscienza di classe e la consapevolezza civica diffusa, registrando la crisi di rappresentativitá del sindacato in fabbrica. La figura di Caterino Lamanna, che porta il nome di uno dei primi confinati di reparto alla FIAT, è l’emblema di tutte le contraddizioni che la presenza siderurgica e la protervia padronale porta in una città baciata dal mare e dalla natura, da quelle ambientali a quelle sociali del Sud operaio. / fe.d.

 

La mia città, in una sorta di autoanalisi, sta metabolizzando il racconto del film e ne sta traendo conclusioni molto importanti.

Il mio film però non è solo per Taranto, per i tarantini.

Palazzina laf vuole raccontare la condizione dei lavoratori delle nostre fabbriche, vuole parlare del silenzio che c’è attorno e dentro alle nostre fabbriche.

Il mio film parla dei lavoratori: di quelli che difendono la propria dignità, il proprio ruolo e le proprie competenze e di quelli che sono disposti a vendere la propria dignità e i propri colleghi pur di ricoprire un ruolo che non gli compete.

Il mio film è un urlo di rabbia nei confronti della politica (soprattutto di sinistra) e del sindacato per aver abbandonato la dimensione umana del lavoratore e averlo ridotto a una semplice tessera sindacale. Michele Riondino, 4.12.2023

 

La recensione di Paola Casella, del "Quotidiano di Puglia", 2.12.2023


Ho visto Palazzina Laf: film crudo, realistico e soprattutto coraggioso. Quella vicenda è consegnata alla storia, ma non è ancora troppo lontana nel tempo. L’interpretazione di Michele Riondino è magistrale, ha impersonato il protagonista, Caterino Lamanna, con l’anima ed ogni fibra del suo corpo, per l’intensità della sua espressione mi ha ricordato in qualche tratto Eduardo De Filippo.

Bravissimi Elio Germano, che ha dato vita a Giancarlo Basile, un personaggio che resterà ormai nella storia del cinema, e tutti gli altri attori che hanno messo a nudo in modo autentico e credibile l’umanità dei personaggi.

Al centro della storia il primo caso di mobbing della storia d’Italia, il diritto ad un lavoro degno, accennato il dramma sanitario.

Struggente l’interpretazione di Diodato nella colonna sonora che è una poesia d’amore in musica per la nostra terra.

In primo piano nel film la fabbrica, il suo inferno, il quartiere Tamburi, la masseria, che mi è sembrata quella di Vincenzo Fornaro; la città si è vista, invece, solo sullo sfondo, bellissima, ma lontana e, all’epoca, ancora ignara della sua condizione, della sua forza e soprattutto del nuovo destino che ormai pretende. -

 

Ottima recensione quella della giornalista Paola Casella, ma voglio solo fare una considerazione: nel 1997, anno in cui è ambientato il film, la popolazione di Taranto forse non si sa pensare ancora senza la grande fabbrica siderurgica, ma ignara non lo era: la consapevolezza in particolare ecologica crescerà sempre di più, meno nelle classi dirigenti politiche, “tutti si abbeverano alla mamma Italsider” era un motto che si sentiva spesso, per indicare che un’intera città era legata e dipendeva dalla monocultura dell’acciaio, che dà benessere ‘a tutti’ e da cui la classe politica dominante e “im-prenditori” scassati “prendono prebende”. La vicenda della palazzina LAF scuote ancor di più le coscienze, rimette al centro la posizione della classe operaia, alle prese in quegli anni con la privatizzazione del ‘polo siderurgico strategico’: tanto strategico da essere svenduto dal governo Dini a un padrone senza scrupoli, mentre la città era governata dal ‘citismo’ e l’estrema destra egemone, sindaco Gaetano De Cosmo. Pochi allora compresero, questo sì, che quella vicenda di mobbing operaio alludeva a una necessaria svolta storico-politica, l’unità di cittadini e lavoratori, per riprendere in mano il destino del proprio territorio. Ma c’è chi non lo comprende ancora adesso. 

- Il 26 novembre 2017 ci lasciava precocemente Alessandro Leogrande, scrittore e giornalista d’inchiesta tarantino dalla parte degli ultimi. Anche l’ultimo film dell’attore e regista Michele Riondino, anche lui di Taranto, PALAZZINA LAF, è dedicato a lui. Anche la recente cura editoriale delle poesie del poeta-operaio Pasquale Pinto di Stefano Modeo per Marcos y Marcos (”La terra di ferro”) va inscritta in un lascito ”alessandrino”.

Perché noi, in queste terre, gli siamo tutti debitori. Amava Pasolini, Alessandro, studiava Gramsci, utilizzava molte loro analisi e categorie per capire il presente dell’emarginazione sociale, delle storie di chi non ha voce per raccontarle. Pagine dolenti le sue, necessarie però al riscatto dei subalterni. E un atto d’amore per i sud senza latitudine. 

 

Ci sono città che diventano specchio del paese, delle sue trasformazioni, dei suoi nodi irrisolti, dei suoi fallimenti, delle sue cadute, delle sue ansie di riscatto. Taranto è una di queste: singolare laboratorio urbano, stretto tra le ciminiere dell’Ilva e il mare che si apre davanti ai suoi palazzi, emblema dello sviluppo novecentesco e del suo rifluire verso una crisi profonda. Taranto è una città a strati. Una città in cui i piani storici, temporali, sociologici si accavallano, spesso nascondendosi a vicenda. L’essere stata una antica capitale della Magna Grecia, un porto del Mediterraneo avvezzo al meticciato e alle più disparate dominazioni straniere, è solo uno di questi strati: uno strato sempre più difficile da afferrare, che sprofonda nei meandri della Storia e sovente ritorna sotto forma di sogno o pulsione nascosta. Ma la città che conosciamo, quella che oggi si estende come una grigia lingua di cemento per diversi chilometri all’apice del golfo che prende il suo nome, è in realtà una città profondamente novecentesca, segnata dalla grande industria e dalle politiche di sviluppo che l’hanno determinata. Negli ultimi decenni dell’Ottocento, subito dopo l’Unità d’Italia, Taranto aveva poco più di trentamila abitanti. Essi abitavano per lo più nell’antica isola, la città vecchia. Con la costruzione dell’Arsenale militare è iniziato il caotico sviluppo economico e urbanistico che l’ha poi contraddistinta per tutto il ventesimo secolo. Proprio sul fallimento di quell’apparato militar-industriale, è stato in seguito edificato il sogno siderurgico, la nuova industria di Stato che ha fatto di Taranto la città più operaia del Mezzogiorno. Di quella fucina prometeica, incistata sulle rive dello Ionio, solo molto tempo dopo si sono raccolti i cocci. 

Alessandro Leogrande, 2013, da “Fumo sulla città”, Fandango, cit. ed. digitale Feltrinelli 2022, §corrispondente


- Il film di Riondino PALAZZINA LAF è dedicato ad Alessandro Leogrande. Crediamo sia proprio l’opera da noi citata ad aver costituito una prima sceneggiatura del film, corroborata da un altro testo che per l’attore e ora anche regista di terra jonica è stato fonte di ispirazione per l’intera vicenda e il profilo dei personaggi: PALAZZINA LAF - Mobbing: la violenza del padrone, di Claudio Virtù (in foto accanto a Michele Riondino alla prima di Taranto) per le edizioni Archita, 2001, testo ormai introvabile e da ristampare per una sua distribuzione su larga scala.


#LavoroPolitico #PalazzinaLAF #mobbing #classeoperaia

 



 

C’è ora anche da annoverare il libro del poeta-operaio (dell’Ilva) Pasquale Pinto, curato da Stefano Modeo per Marcos y Marcos “La terra di ferro e altre poesie (1971-1992)“ https://www.leparoleelecose.it/?p=38661

oltre che il saggio di Salvatore Romeo “L'acciaio in fumo-L'Ilva di Taranto dal 1945 a oggi”, per Donzelli, 2019, che sta diventando un classico storiografico di storia dell’industria, indispensabile per la memoria operaia.

Per l’analisi politico-sociologica cfr. su questo blog

 

Mutazione antropologica e paradigma produttivistico: il caso-Taranto e l'analisi marxista

 



 

 

a cura di Ferdinando Dubla


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