Subaltern studies Italia

L’analisi e la classe - a cura di Ferdinando Dubla

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giovedì 7 dicembre 2023

L’ESISTENZIALE È POLITICO: “Diego” - “Emilio” e Antonio Savasta

 




Non v’è delazione non v’è confessione non v’è una rivelazione che possa aver sconfitto i gruppi di lotta armata organizzata “per il comunismo” in Italia in una parabola di anni che va dalla fine degli anni ‘60 agli inizi degli anni ‘80. 

L’emblema di questo assunto è la figura di Antonio Savasta, nomi di battaglia "Diego" ed "Emilio" ( foto in alto, al processo Dozier, Corte d'Assise di Verona, 8-25 marzo 1982)

DISFATTA E LIBERAZIONE

da Nicola Rao, Colpo al cuore. Dai pentiti ai «metodi speciali»: come lo Stato uccise le BR. La storia mai raccontata., Sperling e Kupfer, 2011, cit. da formato e.book, §corrispondente

[Giorgio = Giovanni Ciucci - Emilio = Antonio Savasta]

La porta si staccò dagli infissi come un foglio di carta. Grosse figure nere e mascherate, con in testa caschi che sembravano scafandri, li travolsero come un uragano. Due di loro andarono direttamente nell’altra stanza, dove Giorgio teneva sotto tiro Dozier. Lo colpirono in testa con il calcio di una pistola. Giorgio stramazzò a terra. Avrebbe avuto il tempo di sparare all’ostaggio, come prevedeva il regolamento delle Br, ma non se l’era sentita. In quel momento, a uno degli agenti partì un colpo di pistola che, per fortuna, si conficcò nel muro. Emilio e gli altri erano a terra, legati e incappucciati. Li avevano portati fuori dalla casa e lasciati sul pianerottolo. Nel frattempo stavano arrivando Improta, De Francisci, Genova e tutti gli altri per il sopralluogo nel covo. Dozier era già in questura a Padova quando De Francisci telefonò  al ministro dell’Interno Rognoni. «Ministro, abbiamo liberato Dozier.» «Ma chi? Noi?» chiese Rognoni. «Sì, sì, noi, la polizia, da soli.» Il ministro tirò il più lungo sospiro della sua vita. Poi prese il telefono rosso, quello collegato solo con il Quirinale e palazzo Chigi, e avvertì Pertini e Spadolini. Era fatta. [..]

«Come cazzo ti chiami? Qual è il tuo nome di battaglia?» cominciarono a domandare altri agenti ai quattro terroristi catturati. Le richieste erano accompagnate da calci in tutte le parti del corpo. Dopo l’ennesimo calcio, quello che sembrava il capo del gruppo rispose: «Il mio nome di battaglia è Emilio e mi chiamo Antonio Savasta».

 

Antonio Savasta a processo, Verona, 8 marzo 1982

 

La liberazione del generale Dozier dall‘abitazione padovana che un gruppo armato delle BR-PCC (la colonna veneta delle Brigate rosse per il Partito Comunista Combattente, capeggiata da Antonio Savasta) teneva in ostaggio, il 28 gennaio 1982, pose fine alla storia politica di quella organizzazione. Savasta, già provato dall’omicidio Taliercio, non attese le torture, che pure ci furono (è documentato) per confessare ciò che sapeva, cosciente della fine del ‘sogno rivoluzionario’. La liberazione di Dozier fu una disfatta per le BR. Ma non fu Savasta a provocarla, che, anzi, con quell’azione aveva voluto colpire ‘il cuore dell’imperialismo’, riallacciandosi al movimento di massa contro i missili a Comiso e le installazioni NATO in Italia, riprendendo dunque un filo non più autoreferenziale; semmai egli impersonò la necessità della storia, che aveva la sconfitta nelle sue stesse origini, nel velleitarismo strategico e ideologicamente ‘fossile’ dell’interpretazione di una possibile ‘guerra di movimento’ nel cuore dell’Occidente capitalista e nella catena imperialista. Iniziano proprio così gli anni del “riflusso”. Perchè fu una slavina, che coinvolse anche chi non aveva condiviso le scelte, avventuriste, militariste e omicidiarie delle BR, come la sinistra di classe erede delle lotte del ‘68 e degli anni ‘70 o che si era opposto con tutta la durezza del non-riconoscimento nè politico nè sociale (nel senso di non riconoscere comunque il fenomeno armato “in nome del comunismo” nemmeno spia di un malessere sociale) come il PCI, relegato sulla difensiva. È dunque un nodo storico-politico molto importante, ancora da studiare con profondità analitica.


 

Antonio Savasta nasce a Roma il 30 dicembre 1955. - Giovanissimo militante attivista a Centocelle, periferia sud-est romana, entra nelle Brigate Rosse insieme alla sua allora compagna Emilia Libera alla fine del 1976, reclutato da Bruno Seghetti. Ha ventuno anni, una formazione politica sul campo, nelle lotte di quartiere, “La politica era una condizione necessaria e veniva vissuta in tutti gli aspetti della vita. Si lottava per la casa, per il lavoro nelle fabbriche, contro il carovita, per la scuola “aperta al popolo”, attuando mobilitazioni come occupazioni e autoriduzioni, con picchetti che impedivano il distaccamento delle utenze.”, Luciano Vasapollo e Luigi Rosati, Centocellaros (ediz. Efesto, 2022) cit. da https://contropiano.org/news/cultura-news/2022/06/11/centocelle-e-le-lotte-socio-politiche-viste-dai-centocellaros-0150107


dove si potrebbe dire che “l’esistenziale è politico”.


o    La rabbia in corpo per le ingiustizie e i soprusi della società capitalista, per i crimini dell’imperialismo, si rappresenta sempre come parte di un collettivo, in cui studenti, operai, lavoratori precari e occasionali, si identificano nel gruppo di lavoro politico, in cui la socializzazione si fonde con l’affermazione identitaria. Savasta, diplomato al liceo classico “Gaetano De Sanctis”, frequenta sia l’Università sia il lavoro come marginale, non è la figura dell’operaio-massa del Nord o sradicato del Sud,  è la nuova figura dell’antagonista sociale dei quartieri periferici della metropoli, militante dei gruppi e centri sociali della sinistra di classe. Finchè mantiene legami di massa, è la figura del ribelle metropolitano. Il salto politico alla clandestinità è ideologico, dunque si percepisce come rivoluzionario, perchè esistenziale. 


Così ricostruisce la sua biografia politica Nicola Rao:

 

Un brigatista in carriera. Nato e cresciuto in un quartiere della periferia romana, la sua parabola è quella di un’intera generazione di brigatisti. Prima la militanza in Potere Operaio, poi nei gruppi del terrorismo diffuso impegnati nell’antifascismo militante, quindi l’ingresso nelle Br, prima come referente di quartiere, poi universitario. È lui a custodire la Renault 4 in cui sarà fatto ritrovare il corpo senza vita di Aldo Moro in via Caetani. È lui a uccidere a colpi di lupara il tenente colonnello dei carabinieri Antonio Varisco sul lungotevere. È lui, su incarico del capo supremo Mario Moretti, a tentare di costituire una colonna sarda delle Br, per assaltare le carceri speciali dell’isola e liberare i capi storici dell’organizzazione. Ed è sempre lui che viene spedito da Moretti in Veneto per dar vita a una nuova stagione di sangue. È ancora Savasta a interrogare e poi a massacrare l’inerme e indifeso Giuseppe Taliercio. Così come è lui l’inquisitore di Dozier. Nel momento in cui viene catturato, Emilio (il suo nome di battaglia) è il numero tre dell’organizzazione, componente del massimo organo delle Br (il comitato esecutivo) e il più giovane tra i dirigenti del gruppo. (Nicola Rao, cit. § corrispondente

 

 

- Quando Savasta viene catturato in via Pindemonte, a Padova, il 28 gennaio 1982, dove insieme al gruppo delle BR - per il Partito Comunista Combattente, tiene prigioniero il generale della NATO Dozier, ha 26 anni. Verrà torturato insieme agli altri, ma le sue confessioni scaturiranno da un tormento interiore che era diventato sempre più insopportabile dopo l’assassinio di Taliercio, dirigente Montedison di Marghera, il 5 luglio del 1981. Savasta impersona un errore politico grave, se ne accorge compiutamente quando è “nelle mani del nemico”, ma per lui è una specie di catarsi. Quel passaggio dalle lotte di movimento al partito armato, infatti, da sogno rivoluzionario in pochi anni è diventato incubo autoreferenziale, militarista, in una logica che di politico ha solo una fraseologia liturgica, costituita com’è da spari, omicidi, isolamento dalla classe operaia (Guido Rossa, sindacalista PCI, colpito da Riccardo Dura in modo spregevole, perchè “delatore”, Genova, 24 gennaio 1979) ammazzamenti di compagni ‘sospetti’ di aver ceduto, scissioni frazionistiche con odii e rancori interni. Le sue confessioni sono il risultato non la causa di una sconfitta annunciata. Quello Stato che era stato presuntivamente colpito al cuore paradossalmente usciva più forte, più autoritario e repressivo, poteva anche torturare mettendo a tacere tutto l’antagonismo politico e sociale. E quando Savasta parla ai processi, “le cose che io so ve le ho già dette” ripete, cfr. udienza del processo alla rivista dell'Autonomia «Metropoli» (1987)

in https://italia-podcast.it/podcast/spazio-70/brigate-rosse-interrogatorio-del-pentito-antonio-s


alla sfera del politico i suoi inquisitori sono poco interessati, benchè egli si sforzi, con fastidio, di far comprendere che proprio senza quella sfera i fatti non hanno storia e diventano incomprensibili. Perchè l”esistenziale è politico”.

Rassegna fotografica dal programma Sky “Il sequestro Dozier. Un’operazione perfetta”, cfr.



una docu-serie che ricostruisce il rapimento del generale James Lee Dozier da parte delle Brigate Rosse tra dicembre del 1981 e gennaio del 1982. La docu-serie, realizzata da Dazzle, è scritta da Davide Azzolini, Fulvio Bufi e Massimiliano Virgilio, con la regia di Nicolangelo Gelormini. Per la prima volta, senza reticenze, si parla delle torture a cui furono sottoposti i prigionieri catturati per estorcere rivelazioni, da parte della ‘squadra’ speciale guidata da Nicola Ciocia, alias il prof. “De Tormentis”.


 Emanuela Frascella e Antonio Savasta


 

su questo stesso blog-

LA CAREZZA DI SAVASTA

 

su Telegram

https://t.me/lavoropolitico/236   Ruggero Volinia, le cui rivelazioni portarono alla liberazione del generale Dozier - a processo, 8 marzo 1982

https://t.me/lavoropolitico/237  Antonio Savasta ed Emilia Libéra - processo Dozier, 8-25 marzo 1982

https://t.me/lavoropolitico/238  Emanuela Frascella ed Emilia Libéra durante il processo Dozier, 8-25 marzo 1982

https://t.me/lavoropolitico/241 In un’altra ‘gabbia’, gli ‘irriducibili’ Cesare di Lenardo e Alberta Biliato, processo Dozier, Corte d’assise Verona, 8-25 marzo 1982

 



 

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