Non v’è delazione non v’è confessione non v’è una rivelazione che possa
aver sconfitto i gruppi di lotta armata organizzata “per il comunismo” in
Italia in una parabola di anni che va dalla fine degli anni ‘60 agli inizi
degli anni ‘80.
L’emblema di questo assunto è la figura di
Antonio Savasta, nomi di battaglia "Diego" ed "Emilio" ( foto in alto, al processo Dozier, Corte
d'Assise di Verona, 8-25 marzo 1982)
da Nicola Rao, Colpo
al cuore. Dai pentiti ai «metodi speciali»: come lo Stato uccise le BR. La
storia mai raccontata., Sperling e Kupfer, 2011, cit. da formato e.book,
§corrispondente
[Giorgio = Giovanni Ciucci - Emilio = Antonio
Savasta]
La
porta si staccò dagli infissi come un foglio di carta. Grosse figure nere e
mascherate, con in testa caschi che sembravano scafandri, li travolsero come un
uragano. Due di loro andarono direttamente nell’altra stanza, dove Giorgio
teneva sotto tiro Dozier. Lo colpirono in testa con il calcio di una pistola.
Giorgio stramazzò a terra. Avrebbe avuto il tempo di sparare all’ostaggio, come
prevedeva il regolamento delle Br, ma non se l’era sentita. In quel momento, a
uno degli agenti partì un colpo di pistola che, per fortuna, si conficcò nel
muro. Emilio e gli altri erano a terra, legati e incappucciati. Li avevano
portati fuori dalla casa e lasciati sul pianerottolo. Nel frattempo stavano
arrivando Improta, De Francisci, Genova e tutti gli altri per il sopralluogo
nel covo. Dozier era già in questura a Padova quando De Francisci telefonò al ministro dell’Interno Rognoni. «Ministro,
abbiamo liberato Dozier.» «Ma chi? Noi?» chiese Rognoni. «Sì, sì, noi, la
polizia, da soli.» Il ministro tirò il più lungo sospiro della sua vita. Poi
prese il telefono rosso, quello collegato solo con il Quirinale e palazzo
Chigi, e avvertì Pertini e Spadolini. Era fatta. [..]
«Come
cazzo ti chiami? Qual è il tuo nome di battaglia?» cominciarono a domandare
altri agenti ai quattro terroristi catturati. Le richieste erano accompagnate
da calci in tutte le parti del corpo. Dopo l’ennesimo calcio, quello che
sembrava il capo del gruppo rispose: «Il mio nome di battaglia è Emilio e mi
chiamo Antonio Savasta».
Antonio Savasta a processo, Verona, 8 marzo 1982
Antonio Savasta nasce a Roma il 30 dicembre 1955. - Giovanissimo militante attivista a Centocelle, periferia sud-est romana, entra nelle Brigate Rosse insieme alla sua allora compagna Emilia Libera alla fine del 1976, reclutato da Bruno Seghetti. Ha ventuno anni, una formazione politica sul campo, nelle lotte di quartiere, “La politica era una condizione necessaria e veniva vissuta in tutti gli aspetti della vita. Si lottava per la casa, per il lavoro nelle fabbriche, contro il carovita, per la scuola “aperta al popolo”, attuando mobilitazioni come occupazioni e autoriduzioni, con picchetti che impedivano il distaccamento delle utenze.”, Luciano Vasapollo e Luigi Rosati, Centocellaros (ediz. Efesto, 2022) cit. da https://contropiano.org/news/cultura-news/2022/06/11/centocelle-e-le-lotte-socio-politiche-viste-dai-centocellaros-0150107
o La rabbia in corpo per le ingiustizie e i soprusi della società capitalista, per i crimini dell’imperialismo, si rappresenta sempre come parte di un collettivo, in cui studenti, operai, lavoratori precari e occasionali, si identificano nel gruppo di lavoro politico, in cui la socializzazione si fonde con l’affermazione identitaria. Savasta, diplomato al liceo classico “Gaetano De Sanctis”, frequenta sia l’Università sia il lavoro come marginale, non è la figura dell’operaio-massa del Nord o sradicato del Sud, è la nuova figura dell’antagonista sociale dei quartieri periferici della metropoli, militante dei gruppi e centri sociali della sinistra di classe. Finchè mantiene legami di massa, è la figura del ribelle metropolitano. Il salto politico alla clandestinità è ideologico, dunque si percepisce come rivoluzionario, perchè esistenziale.
Così ricostruisce la sua biografia politica Nicola Rao:
Un brigatista in
carriera. Nato e cresciuto in un quartiere della periferia romana, la sua
parabola è quella di un’intera generazione di brigatisti. Prima la militanza in
Potere Operaio, poi nei gruppi del terrorismo diffuso impegnati
nell’antifascismo militante, quindi l’ingresso nelle Br, prima come referente
di quartiere, poi universitario. È lui a custodire la Renault 4 in cui sarà
fatto ritrovare il corpo senza vita di Aldo Moro in via Caetani. È lui a
uccidere a colpi di lupara il tenente colonnello dei carabinieri Antonio
Varisco sul lungotevere. È lui, su incarico del capo supremo Mario Moretti, a
tentare di costituire una colonna sarda delle Br, per assaltare le carceri
speciali dell’isola e liberare i capi storici dell’organizzazione. Ed è sempre
lui che viene spedito da Moretti in Veneto per dar vita a una nuova stagione di
sangue. È ancora Savasta a interrogare e poi a massacrare l’inerme e indifeso
Giuseppe Taliercio. Così come è lui l’inquisitore di Dozier. Nel momento in cui
viene catturato, Emilio (il suo nome di battaglia) è il numero tre dell’organizzazione,
componente del massimo organo delle Br (il comitato esecutivo) e il più giovane
tra i dirigenti del gruppo. (Nicola Rao, cit. § corrispondente)
in https://italia-podcast.it/podcast/spazio-70/brigate-rosse-interrogatorio-del-pentito-antonio-s
su questo stesso blog-
su Telegram
https://t.me/lavoropolitico/236 Ruggero Volinia, le cui rivelazioni
portarono alla liberazione del generale Dozier - a processo, 8 marzo 1982
https://t.me/lavoropolitico/237 Antonio Savasta ed Emilia Libéra - processo
Dozier, 8-25 marzo 1982
https://t.me/lavoropolitico/238 Emanuela Frascella ed Emilia Libéra durante
il processo Dozier, 8-25 marzo 1982
https://t.me/lavoropolitico/241
In un’altra ‘gabbia’, gli ‘irriducibili’ Cesare di Lenardo e Alberta Biliato,
processo Dozier, Corte d’assise Verona, 8-25 marzo 1982
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