Adriana Faranda e
Valerio Morucci
Valerio
Morucci - Ritratto di un terrorista da giovane - Piemme, 1999
I
sogni non possono comprare il tempo. Solo vivere per il battito di ciglia che
gli è concesso. (..) Agire per conquistare il mondo, l’universo. Si sapeva. Si
è sempre saputo. Ma non serve a niente sapere.
Valerio Morucci,
Ritratto di un terrorista da giovane, Piemme, 1999
Un tentativo per
riavere indietro i colori di un mosaico ricoperto dal grigio bitume del
rimpianto. La contraddittoria verità della gioia e delle lacrime. Della ragione
e della passione. Soprattutto della passione. Ciò che cercavo era il senno di
prima. Il ragazzo che era trent’anni fa e di cui avevo dimenticato
l’irriverente sorriso e la rettilinea confusione. Non volevo lenire il dolore
dello smarrimento ma, semmai, liberarmi della zavorra del presente per andare a
ritrovare l’esultanza dell’esserci. La sua realtà e la sua verità. Quelli in
cui, o per cui, aveva agito e vissuto.
[p.7]
“Dio, quegli occhi! Non
è solo che erano turchini, che già basterebbe, ma erano come vellutati: non una
superficie liscia, se capite cosa voglio dire, ma spessa e soffice. Ci si
poteva perdere dentro, ammaliati da quella sofficità. Ma non è che il mio giudizio
potesse valere più di tanto. E anche dopo non è che di donne io abbia mai
capito granchè. Sia come sia, guardare dentro quegli occhi è stata
un’esperienza traumatica di cui porto ancora i segni.” [V.M.]
[p.65]
Aria
di "golpe"
"non c'erano solo
i partiti a premere per una svolta autoritaria. Loro erano solo la faccia
scoperta. Dietro si agitava tutto il mondo delle organizzazioni paramilitari
fasciste, di spezzoni dei servizi segreti italiani, della CIA e chissà chi
altri. Si scoprirà dopo che, da febbraio, molte caserme erano state messe in
allarme dai generali, in attesa degli esiti del referendum sul divorzio di
maggio '74. Ad aprile una bomba fa saltare un pezzo di binario e il rapido
Parigi-Roma evita il deragliamento solo per il blocco automatico dei treni in
caso di interruzione delle rotaie. Sarebbe stata un'altra strage.
L'organizzazione fascista MAR, capeggiata da Marco Fumagalli, aveva in
progetto, per le 48 ore precedenti il referendum, attentati in tutto il paese,
da addossare all'estrema sinistra in modo da forzare un intervento dei
militari. Fumagalli viene arrestato e il piano salta, ma non del tutto. Ordine
Nero piazza in quei giorni bombe in tutto il paese: Milano, Bologna, Ancona.
Soltanto a Savona, quattro bombe in poco più di dieci giorni: su un binario
mentre stava arrivando un treno di pendolari, in una scuola media, un ufficio
pubblico e un condominio di cinque piani. Bilancio: due morti e decine di
feriti.
Ma a progettare colpi
di stato c'era un sacco di altra brava gente. Sembrava fosse il passatempo
degli aficionados della guerra fredda. C'era stata la Rosa dei Venti,
un'associazione segreta interna all'esercito scoperta alla fine del '73.
L'organizzazione era segreta nel senso che non ne sapevano nulla i politici,
mentre ne sapevano tutto i generali, i servizi segreti italiani e della NATO
che l'avevano messa in piedi, sicuramente in base alle clausole anticomuniste,
anche queste segrete, del Patto Atlantico. La vicenda portò all'arresto, da
parte di un coraggioso giudice padovano, del generale Miceli, capo del SID. Ma
la Cassazione gli tolse l'inchiesta portandola a Roma.
Poi viene scoperto un
altro complotto, capeggiato da Sogno e Pacciardi con l'appoggio degli americani
e del comandante della X MAS Valerio Borghese., graziato da Togliatti, ministro
della Giustizia, nel '46. Al convegno del PLI, Sogno aveva inneggiato a
"un colpo di stato liberale". C'era un'atmosfera talmente demenziale
che lui ebbe la faccia tosta di dirlo in un convegno pubblico. A luglio
Andreotti, ministro della Difesa, deve destituire una bella manciata di
generali e ammiragli: "per prevenire un colpo di stato", dirà. Erano
soprassalti di spirito democratico? O lo facevano per mostrare a noi, e al PCI,
quanto fossero cattivi e pericolosi i cani da guardia del potere capitalistico?
[pp.166-168]
Conclusione
Parlavo, sentivo,
facevo. Ma mi sentivo altrove, come sospeso dietro quello che parlava, sentiva,
faceva. Sospeso in un oblìo prostrato e fluttuante, legato all'altro da un
sottile laccio di malessere. (..) Mi trovavo in quel particolare stato d'animo
in cui il malessere incalza l'abulia per trascinarla sul fondo. Consumare tutto
il dolore, e poi, ma solo poi, riemergere. E nel vortice uno sconquasso di
sentimenti, seni di colpa, rimpianti. Strappavo una ad una le parole alle
pagine ingiallite, sotto la fioca luce della lampadina impolverata tre metri
sopra la branda. E ogni parola mi penetrava velenosa nell'anima come mille aghi
di afflizione. (..) Fuggiaschi anche da un sè troppo umiliato per essere l'uno
rifugio dell'altra. L'angoscia di quella totale, remissiva, impossibilità di
speranza, scatenò una frenesia di emozioni che dissolse la scansione del tempo.
Tutto il dolore che la coscienza, a sua cautela, poteva diluire,
centellinandolo nella cronologia degli avvenimenti, si ammassò come una bufera.
I ricordi, i volti, i fatti, erano solo veicoli attraverso cui il dolore veniva
a presentare il suo conto. Non sono quelli momenti in cui si ha la forza, o la
volontà, di cercare attenuanti, di aggrapparsi alla compassione di sè. Quel
dolore assoluto e senza parole, non conosceva la compassione e non conosceva la
scusante dei mali del mondo: conosceva solo il male di sè. E ogni ricordo
positivo, ogni gesto d’amore, diveniva un aggravante. Isola subito risucchiata
nel mare dell’avvilimento.
Il poi arrivò, come
arriva sempre. Una benevolenza del tempo che rende stazionaria una grave
malattia.” [V.M.] fine (pag.230)
Nessun commento:
Posta un commento