sabato 24 marzo 2012
GRAMSCI, il revisionismo e la non conoscenza della storia
sull'inconsulto ennesimo attacco a Gramsci, che tenta con tutta evidenza di recidere la radice della tradizione teorica "nobile" ai comunisti italiani, oltre allo scritto di Gianni Fresu e Ferdinando Dubla sul numero di marzo di Lavoro Politico e alla serie di interventi mirati e puntuali pubblicati sul sito di Marx XXI°, un contributo breve ma efficace di Alberto Scanzi, presidente del Circolo Gramsci di Bergamo
GRAMSCI, il revisionismo e la non conoscenza della storia
In questi ultimi due mesi sono state scritte e pubblicate cose inverosimili, senza fondamento e anche offensive su Gramsci. Mi riferisco, anzitutto, al libro di Lo Piparo dove si sostiene che Gramsci sarebbe stato usato dal comunismo e che Togliatti, descritto all’occorrenza come suo carceriere, avrebbe addirittura fatto sparire un ‘Quaderno’ eretico.
Sembra quasi che Gramsci sia stato rinchiuso in un carcere sovietico mentre Mussolini stia facendo di tutto per liberarlo. E’ bene invece ricordare che Gramsci fu arrestato l’8/11/1926, a seguito delle leggi speciali contro le opposizioni e in violazione dell’immunità parlamentare, e condannato a 20 anni, 4 mesi e 5 giorni di reclusione da parte del Tribunale speciale fascista. Interpretazione, dunque, paradossale, già al centro di campagne storiografiche nei passati anni ottanta.
Nuova è invece la tesi che Togliatti avrebbe nascosto un “Quaderno” di Gramsci: scoop che Lo Piparo desume dalle contraddittorie testimonianze d’epoca, che parlano a volte di trenta, a volte di trentacinque, a volte di trentaquattro quaderni. Questa geniale deduzione è dunque sfuggita per tanti anni agli storici e a quasi settanta anni di interpretazioni.
Ecco, poi, geniale la bufala di Dario Biocca che sulla rivista “ Nuova storia contemporanea” sostiene, in un saggio, che Gramsci pur di ottenere la libertà si sarebbe appellato ad un articolo di legge che prevedeva il “ravvedimento” del detenuto; un Gramsci quindi che si sarebbe piegato al fascismo pur di ottenere la libertà, contro la tradizione che vuole il leader comunista sempre indisponibile a chiedere la grazia per rispetto dei suoi principi, dei compagni e della lotta antifascista. La prova starebbe nella stessa istanza formulata da Gramsci a Mussolini il 24 settembre 1934, nella quale il prigioniero si appellava all’art. 176 del Codice Rocco. Ma nell’art. 176 del codice fascista del 1931 il “ravvedimento” esisteva solo a discrezione di chi concedeva il beneficio e non richiedeva atti positivi o auto-emendativi, era quindi potestà del giudice concedere i benefici, e ciò in coerenza con la concezione poliziesca dello stato fascista. Come dimostra la documentazione già pubblicata da Paolo Spriano negli anni settanta, Gramsci si appella all’art. 176 per motivi di salute e buona condotta e non dichiara alcun ravvedimento, peraltro non richiesto.
Altra invenzione è il Gramsci mussoliniano del 1916, sul quale ha ricamato Veneziani, che descrive un Gramsci violento e nemico del riformismo, fraintendendo un saggio di Leonardo Rapone. Quegli articoli usciti dalla penna di Gramsci non vanno staccati dal loro contesto storico e non erano sicuramente meno violenti di quelli dei guerrafondai contro cui Gramsci si scagliava.
Certamente ognuno è libero di formulare nuove tesi, proporre nuove interpretazioni ma la storia è conoscenza e onestà intellettuale, pertanto l’immaginazione o l’invenzione teorica devono restarne assolutamente escluse.
Non credo sia in atto una sorta di complotto, né voglio invocare censure ma il costruire la storia con citazioni o fatti isolati, estrapolati dal contesto storico (come gli scritti di Gramsci del 1916 in piena lotta pro o contro la guerra) significa costruire una narrazione extra-storica e realizzare un’operazione di incultura storica.
No. Gli studiosi e gli storici non possono procedere in questo modo. In mancanza di documenti – persi, distrutti o non ancora trovati – non si può teorizzare che l’immaginazione sia autorizzata a percorrere le più disparate direzioni. Il Gramsci dei Quaderni è e resta oggi il pensatore italiano più studiato nel mondo per l’ampio respiro della sua analisi e delle sue idee. Certamente non fu interventista, non fu incarcerato da Togliatti, che anzi lo farà conoscere al mondo con la pubblicazione dei ‘Quaderni’ a partire dal 1948, mai si compromise con il fascismo e morirà proprio perché dimenticato nelle galere fasciste in una situazione psicofisica logora oltre ogni dire - colpito da emotisi, tubercolosi, arteriosclerosi e attacchi psicotici -lasciandoci un luminoso esempio di vita di intellettuale e politico.
pubblicato su Lavoro&Politica anno 2 n. 12 22 marzo 2012
GRAMSCI, il revisionismo e la non conoscenza della storia
In questi ultimi due mesi sono state scritte e pubblicate cose inverosimili, senza fondamento e anche offensive su Gramsci. Mi riferisco, anzitutto, al libro di Lo Piparo dove si sostiene che Gramsci sarebbe stato usato dal comunismo e che Togliatti, descritto all’occorrenza come suo carceriere, avrebbe addirittura fatto sparire un ‘Quaderno’ eretico.
Sembra quasi che Gramsci sia stato rinchiuso in un carcere sovietico mentre Mussolini stia facendo di tutto per liberarlo. E’ bene invece ricordare che Gramsci fu arrestato l’8/11/1926, a seguito delle leggi speciali contro le opposizioni e in violazione dell’immunità parlamentare, e condannato a 20 anni, 4 mesi e 5 giorni di reclusione da parte del Tribunale speciale fascista. Interpretazione, dunque, paradossale, già al centro di campagne storiografiche nei passati anni ottanta.
Nuova è invece la tesi che Togliatti avrebbe nascosto un “Quaderno” di Gramsci: scoop che Lo Piparo desume dalle contraddittorie testimonianze d’epoca, che parlano a volte di trenta, a volte di trentacinque, a volte di trentaquattro quaderni. Questa geniale deduzione è dunque sfuggita per tanti anni agli storici e a quasi settanta anni di interpretazioni.
Ecco, poi, geniale la bufala di Dario Biocca che sulla rivista “ Nuova storia contemporanea” sostiene, in un saggio, che Gramsci pur di ottenere la libertà si sarebbe appellato ad un articolo di legge che prevedeva il “ravvedimento” del detenuto; un Gramsci quindi che si sarebbe piegato al fascismo pur di ottenere la libertà, contro la tradizione che vuole il leader comunista sempre indisponibile a chiedere la grazia per rispetto dei suoi principi, dei compagni e della lotta antifascista. La prova starebbe nella stessa istanza formulata da Gramsci a Mussolini il 24 settembre 1934, nella quale il prigioniero si appellava all’art. 176 del Codice Rocco. Ma nell’art. 176 del codice fascista del 1931 il “ravvedimento” esisteva solo a discrezione di chi concedeva il beneficio e non richiedeva atti positivi o auto-emendativi, era quindi potestà del giudice concedere i benefici, e ciò in coerenza con la concezione poliziesca dello stato fascista. Come dimostra la documentazione già pubblicata da Paolo Spriano negli anni settanta, Gramsci si appella all’art. 176 per motivi di salute e buona condotta e non dichiara alcun ravvedimento, peraltro non richiesto.
Altra invenzione è il Gramsci mussoliniano del 1916, sul quale ha ricamato Veneziani, che descrive un Gramsci violento e nemico del riformismo, fraintendendo un saggio di Leonardo Rapone. Quegli articoli usciti dalla penna di Gramsci non vanno staccati dal loro contesto storico e non erano sicuramente meno violenti di quelli dei guerrafondai contro cui Gramsci si scagliava.
Certamente ognuno è libero di formulare nuove tesi, proporre nuove interpretazioni ma la storia è conoscenza e onestà intellettuale, pertanto l’immaginazione o l’invenzione teorica devono restarne assolutamente escluse.
Non credo sia in atto una sorta di complotto, né voglio invocare censure ma il costruire la storia con citazioni o fatti isolati, estrapolati dal contesto storico (come gli scritti di Gramsci del 1916 in piena lotta pro o contro la guerra) significa costruire una narrazione extra-storica e realizzare un’operazione di incultura storica.
No. Gli studiosi e gli storici non possono procedere in questo modo. In mancanza di documenti – persi, distrutti o non ancora trovati – non si può teorizzare che l’immaginazione sia autorizzata a percorrere le più disparate direzioni. Il Gramsci dei Quaderni è e resta oggi il pensatore italiano più studiato nel mondo per l’ampio respiro della sua analisi e delle sue idee. Certamente non fu interventista, non fu incarcerato da Togliatti, che anzi lo farà conoscere al mondo con la pubblicazione dei ‘Quaderni’ a partire dal 1948, mai si compromise con il fascismo e morirà proprio perché dimenticato nelle galere fasciste in una situazione psicofisica logora oltre ogni dire - colpito da emotisi, tubercolosi, arteriosclerosi e attacchi psicotici -lasciandoci un luminoso esempio di vita di intellettuale e politico.
pubblicato su Lavoro&Politica anno 2 n. 12 22 marzo 2012
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