martedì 8 luglio 2014
Rifondazione dell'etica sociale e prospettiva socialista
“Del resto noi non fondiamo la città avendo questo di mira, come una
classe del popolo possa essere straordinariamente felice, ma come lo sia al
massimo possibile l’intera città.”
(Platone, Repubblica,
IV, 420b)
“ […] siccome una società, secondo Smith, non è felice dove la
maggioranza soffre, e siccome lo stadio
di maggior ricchezza della società conduce a questa sofferenza della
maggioranza e l’economia politica (in generale la società fondata
sull’interesse privato) conduce a questo stato di maggior ricchezza, bisogna
concludere che l’infelicità della società è lo scopo dell’economia politica.”
(K.Marx, Manoscritti
economico-filosofici del 1844, Einaudi, ed.2004, pp.16-17)
-
Il sentimento che anima il giovane Engels che
visita i sobborghi di Manchester e la sua umanità dolente, la classe operaia
sfruttata in fabbrica e immiserita nelle sue condizioni materiali (La situazione della classe operaia in
Inghilterra, 1845), non era dissimile da quello di Flora Tristan, che
qualche anno prima, nel 1839, aveva visitato Londra e aveva concluso che
l’emancipazione delle classi subalterne poteva realizzarsi solo attraverso
l’unità operaia e l’emancipazione femminile (Promenades dans Londres, 1840): socialismo scientifico e slancio
utopistico divergevano nella realizzazione concreta di un coerente disegno
rivoluzionario, non nella necessaria indicazione di una prospettiva che si
fondasse su un’etica sociale profondamente rinnovata.
E se il socialismo non è assimilabile
a una teoria del pragmatismo, lo si deve alle speranze che suscita nelle menti
e nei cuori di chi deve costruirlo, e cioè, i popoli del mondo in cammino verso
la propria liberazione: “Il comunismo è
possibile empiricamente solo come azione dei popoli dominati tutti ‘in una
volta’ e simultaneamente, e ciò presuppone lo sviluppo universale della forza
produttiva e le relazioni mondiali che il comunismo implica. Il comunismo, per
noi, non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la
realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce
lo stato di cose presenti.” (K.Marx, L’Ideologia Tedesca, 1946). D’altra parte, nella stessa definizione di
comunismo, è presente sia “lo stato delle cose presenti da abbattere” sia “la
società in cui il libero sviluppo di ciascuno sia la condizione per il libero
sviluppo di tutti” : il primo momento – la liberazione dalle catene dello
sfruttamento e dell’oppressione dell’uomo sull’uomo – è l’indispensabile
premessa del secondo momento – la riconquista del tempo della propria vita e lo
sviluppo ‘onnilaterale’ delle facoltà umane.[1]
Non perdere di vista la prospettiva e porla al
centro non solo della riflessione, ma anche dell’azione politica, è compito
anche dei comunisti di oggi: che debbono riproporla anche e forse soprattutto
per la devastazione che l’idea del socialismo e della società comunista ha
subìto in Occidente dopo l’esperienza storica del Novecento. Liberi da ogni
visione palingenetica e salvifica, propria di ogni integralismo, riporre al
centro il tema della prospettiva socialista significa cimentarsi con la
necessità di una rifondazione sociale dell’etica. Discorso che va fatto
discendere dalle vette filosofiche a cui sono pervenuti in passato autori
marxisti come Lucàcks, Korsh o Ernst Bloch, e reso attuale più che mai dalla
degenerazione delle relazioni umane e sociali proprie del capitalismo. Il quale
non ha etica: la mercificazione e il feticismo del denaro come parametri di
status sociale, pone in teoria una rigida regolamentazione dei
comportamenti attraverso codici morali
assolutizzati, nella pratica una continua rottura e inutilità di quei codici, resi tutti ‘relativi’ al
processo che Marx chiamava di ‘reificazione’ dei rapporti tra esseri umani. Nella temperie delle assemblee del movimento
del ’68 come nell’interlocuzione di Marx ed Engels con gli utopisti a loro
contemporanei, non era irrilevante il tema della felicità e di un’etica della
liberazione delle energie cognitive e psico-fisiche che dovevano disegnare una
vera e propria riappropriazione, tramite la socialità e la ricchezza articolata
delle relazioni, dell’autorealizzazione
e del proprio e altrui benessere (appunto liberato dagli idola del denaro e in genere dei
disvalori capitalistici). Oggi non è così. Un comunista che si intrattiene con
questi discorsi, non è considerato tale. L’avversario ha scavato nel nostro
terreno e ci ha deprivato. Una deprivazione grave: perché scollegare la
prospettiva socialista dalla ricerca della felicità e del benessere collettivi,
non in uno schema eudemonistico[2] ma concreto e possibile a
partire dalle date e storiche condizioni determinate dall’epoca storica,
significa privare di senso l’azione politica e interrompere il nesso dialettico
che intercorre tra fini ideali e strategie per la trasformazione del presente. E’
la storia che ci consegna lezioni importanti, ma, se si tiene presente che
liquidare la vicenda dei comunisti del XX secolo è anche voler liquidare il
prezioso patrimonio di riflessioni e analisi sui destini più complessivi degli
esseri umani, la lezione più significativa diventa quella che la prospettiva
socialista che ha in sé la rifondazione di un’etica sociale non può poggiarsi,
come pure è avvenuto in alcuni casi in passato, sulla pretesa di ‘integrale
ricostruzione antropologica’, semmai di un rinnovato ‘senso comune’, per
esprimersi gramscianamente. Ecco perché è suggestivo ricordare la profondità e
il sentimento etico comunista di Enrico Berlinguer:
“Noi siamo convinti che il mondo, anche questo terribile, intricato
mondo di oggi può essere conosciuto, interpretato, trasformato e messo al
servizio dell’uomo, del suo benessere, della sua felicità. La lotta per
quest’obiettivo è una prova che può riempire degnamente la vita.”
(manifestazione PCI, 7 giugno 1984)
ferdinando dubla
articolo di apertura del nr. luglio-agosto 2014 di Lavoro Politico
[1] Elaborazione sia del
giovane Marx dei Manoscritti, sia del
Marx ‘maturo’, come si legge nella Critica
al programma di Gotha del 1875: “In
una fase più elevata della società comunista, dopo che è scomparsa la
subordinazione servile degli individui alla divisione del lavoro, e quindi
anche il contrasto di lavoro intellettuale e fisico; dopo che il lavoro non è
divenuto soltanto mezzo di vita, ma anche il primo bisogno della vita; dopo che
con lo sviluppo generale degli individui sono cresciute anche le forze
produttive e tutte le sorgenti delle ricchezze sociali scorrono in tutta la
loro pienezza, - solo allora l’angusto orizzonte giuridico borghese può essere
superato, e la società può scrivere sulle sue bandiere: “Ognuno secondo le sue
capacità; a ognuno secondo i suoi bisogni”, con buona pace degli
‘scissionisti’ del pensiero di Marx. [in rete, vedi, per questa e le altre
citazioni, le risorse presenti in http://www.marxists.org/italiano/marx-engels]
[2] Più che allo schema
eudamonistico della filosofia classica
greca, ci riferiamo qui alle moderne riflessioni del filosofo francese Michel
Onfray, che riprende la critica alle religioni cara alla sinistra hegeliana con
cui il giovane Marx polemizza, rendendo
centrale semmai la categoria di lotta di classe; in un discorso rinnovato sulla rifondazione
di un’etica sociale, i marxisti devono
saper interloquire costruttivamente anche con suggestioni neoilluministiche.
Crf. M.Onfray, Trattato di ateologia.
Fisica della metafisica, Fazi, 2005.
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