Se lo stemma araldico antico di Taranto era lo scorpione, scelto da Pirro (vedi “Scritti vari di Gennaro Bacile di Castiglione” Sito Araldica Civica:
www.araldicacivica.it), non per questo bisogna inferirne che il rito della taranta abbia origini nel territorio della città dei due mari. Anche perché Pirro scelse quel simbolo per la conformazione tipologica della città e per simbolizzarne la capacità aggressiva, se attaccata, come l'aracnide, appunto. Ma nelle trasformazioni storiche avvenute nei secoli, plausibile appare, sulla traccia di Ernesto De Martino, il modello simbolico originario (la danza e la musica) divenuta terapia di un 'male di vivere' con implicazioni nella sessualità femminile e le modificazioni avvenute nell' Alto medioevo con la preminenza dell'esorcizzazione dalle tentazioni del 'peccato', e infine la definitiva 'cristianizzazione' nel Settecento con il culto paolino e dell'acqua risanatrice del pozzo di Galatina. I riti orfici e i culti dionisiaci, molto diffusi in Magna Grecia, si intrecciano con simbologie, stati di trance e liturgie del rito della taranta proprie del Salento visitato con la sua équipe da De Martino nel 1959 e poi resocontato nel suo testo, tra i più suggestivi, "La terra del rimorso", 1961. (fe.d.)
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I colori del Tarantismo
di Roberto Nistri (http://nistrikos.blogspot.it/search/label/Tarantismo)
Uno dei fenomeni più dibattuti nell’ambito degli studi antropologici è il tarantismo. Diverse sono le interpretazioni che si sono date del fenomeno. Per i più, sulle orme dei medici Epifanio Ferdinando e Giorgio Baglivi, il tarantismo è una malattia da ricondurre ad una sindrome tossica da morso di aracnide velenoso. Per Tommaso Cornelio, i tarantati non sono altro che dei dolci di sale. Per altri invece, al pari del medico Francesco Serao, il tarantismo è una falsa credenza popolare frutto della superstizione. C’è poi chi collega il fenomeno con la malinconia, e non mancano coloro che, come Ignazio Carrieri e Francesco De Raho lo riconducono ad una alterazione psichica dipendente o indipendente dall’aracnidismo. Ernesto de Martino, invece, grazie ai dati raccolti durante la ricerca sul campo nell’estate del 1959, sostiene l’irriducibilità del fenomeno a disordine psichico, e mette in risalto la sua autonomia simbolica, culturalmente condizionata, cioè un suo orizzonte mitico-rituale di ripresa e di reintegrazione rispetto ai momenti critici dell’esistenza, con particolare riferimento alla crisi della pubertà, e al tema dell’eros precluso e ai conflitti adolescenziali, nel quadro del regime di vita contadino.
Il tarantismo, secondo Ernesto de Martino, offriva l’occasione per evocare e configurare, per far defluire e per risolvere i traumi, le frustrazioni, i conflitti irrisolti nelle singole vicende individuali, e tutta la varia potenza del negativo che, rivissuta nei momenti critici dell’esistenza,veniva simbolicamente riplasmato come morso di taranta che scatena una crisi da controllare ritualmente mediante l’esorcismo della musica, della danza e dei colori.
Lontana dalle dotte disquisizioni, il tarantismo secondo la gente di Puglia, è causato dal morso di un animale, la taranta che “pizzica” preferibilmente le donne, durante il lavoro nei campi, al piede, alla mano o al pube, nell’ardore dell’estate. Copiosa è la bibliografia sul tarantismo che negli ultimi decenni si è arricchita grazie soprattutto agli studi di Eugenio Imbriani, Roberto Nistri, Carlo Petrone, Rosario Quaranta, Anna Maria De Vittorio, Enza Musardo Talò e Giovanni Fornaro (..)
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(a cura di) Carlo Petrone, Il Morso Della Taranta A Taranto E Dintorni, Edizioni Giuseppe Laterza 2013, pp.426
recensione di Salvatore Esposito
Circoscrivere il fenomeno del Tarantismo al solo Salento, area in cui negli anni si sono concentrati gli studi sul tema, sarebbe un errore, e questo non solo perché le ricerche più recenti ne hanno attestato la presenza anche in altre zone europee, ma anche per la presenza di un’ampia letteratura, forse poco nota ai più, in cui viene presa in esame l’area tarantina. Se Ernesto De Martino, nella prefazione a “La Terra Del Rimorso, indicava in generale nella Puglia e nelle campagne dell'Italia Meridionale l’area in cui era radicato tale fenomeno, nel 1897 lo scrittore inglese George Gissing nei suoi appunti di un viaggio “Sulla Riva Dello Ionio”, scriveva che quest’area era caratterizzata da una profonda superstizione popolare, forza ritardatrice che non le ha consentito di adeguarsi, malgrado ogni sforzo, alla modernità ed al progresso. Le comunità contadine del tarantino come Manduria, Grottaglie, e Lizzano non erano estranee a questo antico rituale, e se è vero che “nomina sunt consequentia rerum” basterà porre attenzione alla comune radice “tar” per comprendere come possa esistere qualcosa di più di una connessione etimologica tra questa terra e il fenomeno del tarantismo. Un esempio ne è certamente Athanasius Kircher che, rifacendosi alla tradizione orale, fa derivare tarantula dal fiume Taro (Tara), sulle cui sponde non era difficile imbattersi in tarante, il cui morso, era ritenuto molto più pericoloso di quello di altri ragni, ma Tara, o Tarante, era anche il figlio di Nettuno, che secondo la leggenda ha fondato la città di Taranto, da cui prese il nome. A riguardo illuminanti sono gli studi di Roberto Nistri, che ha analizzato le connessioni etimologiche con il sanscrito e il greco nonché con la tradizione celtica, così come di particolare interesse sono le ricerche compiute da Antonio Basile e Carmelina Naselli, che rendono sostanzialmente plausibile un radicamento del tarantismo anche nell’area tarantina. A gettare nuova luce sul tema è “Il Morso Della Taranta. A Taranto E Dintorni volume antologico curato da Carlo Petrone, avvocato, pubblicista ed autore di testi in ambito giuridico e sociale, il quale ampliando il lavoro compiuto nel corso di un convegno in ricordo di Ernesto De Martino, promosso nel 2001 dal “Centro Ricerche e Studi Piero Calamandrei di Taranto”, ha compiuto una rigorosa ricerca documentale raccogliendo una serie di saggi di grande interesse che, in modo diverso, prendevano in esame il tema del Tarantismo, con particolare riferimento all’area tarantina. A riguardo spiega Petrone: “In queste pagine c'è la voce del Sud che sa raccontare. Ma anche la danza di donne che gridano un bisogno di riscatto sociale, tra rimorsi e ricerca di nuove dimensioni di vita. Il simbolico morso della Taranta scatenava una crisi che veniva controllata ritualmente mediante 'l'esorcismo' della musica, della danza e dei colori. La sconvolgente realtà di ieri forse si ripropone sotto nuove forme nell'epoca contemporanea. E tante storie continuano”. Ne è nato una corposa e ricca raccolta di saggi che nella sua prima parte ci consente di apprezzare gli attenti e meticolosi studi condotti da alcuni ricercatori tarantini come il già citato Antonio Basile, docente di Antropologia Culturale presso l'Accademia delle Belle Arti di Lecce con il prezioso contributo “Il ballo della taranta a Taranto e nei dintorni albanesi”, o il saggio “Il tarantismo: dal sintomo al simbolo dal sintomo al revival identitario” di Anna Maria Rivera, docente di Etnologia e di Antropologia sociale presso l'Università degli Studi di Bari. A tali contributi si aggiungono gli scritti di Roberto Cofano con una originale ricerca sui tour dei viaggiatori stranieri in Italia, dello storico Roberto Nistri con i due saggi “La musica strega e il ragno danzante” e “Memora orale e musica di tradizione da Diego Carpitella ad Alfredo Majorano”, nonché quelli di Vincenza Musardo Talò, studiosa attenta del folklore albanese, e Marco Leone, docente di Letteratura Italiana nell'Università del Salento. Preziosi ed illuminanti sono poi i saggi di Alberto Mario Cirese, Alfredo Majorano, Edmondo Perrone, e Giovanni Acquaviva, nonché “Il fenomeno del Tarantismo in Puglia”, pubblicato nel 1980 da Rosario Jurlaro su "Rassegna Salentina". La seconda parte del volume è dedicata ad alcuni testi storici sul tarantismo, con la novella ottocentesca “Lalla tarantata” di Alessandro Criscuolo, “Il ballo della tarantola” dello scrittore manduriano Giuseppe Gigli, il saggio che Michele Greco nel 1912 dedicò al tarantolismo, ed ancora il saggio “La danza dei tarantolati nei dintorni di Taranto” pubblicato da Anna Caggiano nel 1931 in una raccolta di studi sulle tradizioni popolari italiane. Completano il volume l’estratto da “Taranto… Tarantina” di Cosimo Acquaviva, il testo “Il fenomeno della tarantola nella nostra regione” pubblicato da Vincenzo Gallo nel 1935 su "Voce del Popolo", e un brano tratto da “Domenica in Albis” di Emanuele De Giorgio che, attingendo dai ricordi della sua infanzia racconta un colorito episodio di tarantismo di cui fu testimone. Giusto compendio del volume è il disco allegato, inciso per l’occasione dal gruppo I Febi Armonici, gruppo composto da Claudio De Vittorio (chitarra, violino, organetto e voce), Emanuele De Vittorio (tamburelli, percussioni e voce), Annamaria Caliandro (voce e castagnole), Tonino Palmisano (chitarra battente), i quali attraverso nove brani hanno offerto un piccolo spaccato della tradizione musicale tarantina. Durante l’ascolto scopriamo brani come “Mariella”, trascinante pizzica di San Marzano di San Giuseppe in cui spicca l’organetto di Massimiliano Morabito, gli stornelli “Ballati”, che sembrano rimandare alle fronne napoletane, o ancora la serenata “Vulia Cu Ti Li Docu” in dialetto leporanese. Il vertice del disco arriva però con “La Taranta Sbruvegnate” scritta da Saverio Nasole e qui riproposta insieme alla pizzica pizzica “Santu Paulu”, a dimostrare la stretta connessione tra il fenomeno del tarantismo nel Salento e nel Tarantino.
stemma della provincia di Taranto
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